Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Cassandra Morgana    21/07/2011    1 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Capitolo 24

Lacrime e fumo

 

 

Ricordo la prima volta che ho visto Andrea piangere. Che ho visto incrinarsi quel ghignetto sfrontato compreso nel pacchetto base.

Neri era appena stato sollevato dall’incarico, le nubi cominciavano a addensarsi. E tutte le strade portavano ufficialmente a lui: era iniziata la parabola discendente. Sintomo inequivocabile, la gragnola di critiche al vetriolo che, durante le prove di quel pomeriggio, gli era piovuta addosso per bocca della Longoni.

Era piombato in aula trafelato e fuori tempo massimo, più simile che mai a uno straccio – credo che lui e il professore si fossero appena mollati, giorno più giorno meno.

Da quel momento per Andrea era stato un continuo incartarsi su stupidaggini, dimenticare le battute, sbagliare gli accenti; l’arpia aveva fiutato il fatto che fosse nel pallone e l’aveva letteralmente demolito. Era finita a urla belluine da un capo all’altro della sala, con canonica uscita di scena a porte sbattute da parte di lui. Le rispostine per le rime e il furioso abbandono di campo presto avevano ceduto il passo al gelo dell’autocommiserazione.

Non c’ero stato per lui, quella volta. C’era stata Isa, ad asciugargli le lacrime, a sussurrargli all’orecchio: ho ancora un ricordo abbastanza netto dei commenti a caldo sibilati alle mie spalle, nell’attimo in cui gli sono passato a fianco – percorso obbligato –, degnandoli di un’occhiata di sguincio e allontanandomi più in fretta che potevo. Perché ci voleva un capro espiatorio.

Guardalo, è felice… Che bastardo! Ride perché sei in difficoltà, è tutto ciò che vuole. Si starà dicendo, ma è questa la merdina che mi ha fottuto il posto?

E tu non dargli soddisfazione, Andre!

Non era vero, ma il mostro dalle cento bocche aveva parlato, e quella era la versione ufficiale. Che senso avrebbe avuto andare da lui più tardi, quando avesse sbollito, e puntualizzare che non gongolavo affatto per le sue sfighe – in verità non m’importava proprio nulla –, che non era stato per nulla divertente; e che marciare sul cadavere ancora caldo, da parte della Longoni, era un comportamento putrido a prescindere…? Che d’altronde l’avevano capito pure i sassi: la Longoni aveva piantato un casino e ferito lui per colpire Neri, dargli dell’incompetente e distruggere la sua creatura.

Era una manovra da scartare a priori, perché alla prima sillaba, Andrea mi sarebbe saltato alla gola snudando gli artigli. Mi avrebbe urlato addosso. Che della mia pietà, delle mie parole, da me, che – secondo lui e secondo Isa e secondo il mondo intero – avevo tutto l’interesse di questo mondo a volerlo nella merda, non sapeva che farsene.

Contento, rosicone?

La verità è che le lacrime di Andrea e i suoi occhi gonfi non mi avevano fatto né freddo né caldo. Non avrei fatto una piega neppure se si fosse buttato ai miei piedi, dichiarandomi amore eterno: lui non ci aveva mai pensato due volte, a guardarmi dall’alto in basso e a infierire, e il fatto che non mi avesse mai visto piangere o dare in escandescenze sotto la sferza delle loro maldicenze, sotto il suo sguardo indolente, non significava che non ci fossi stato male. Che i suoi occhietti sprezzanti su di me non fossero coltellate.

Era piuttosto ristabilire un equilibrio: perché sai, carino, avete dato il tormento a tutti, tu e la tua spocchia schifosa; adesso che ti sei impippato nei tuoi stessi casini e ci sei caduto in mezzo, zitto e sopporta come fanno tutti.

E poi Neri doveva pagare. A prescindere, con o senza Nicoletti tra i piedi.

Del desiderio di stare al posto di Isa e stringermelo al petto, se avevo potuto farne a meno fino ad allora, ne avrei fatto a meno anche in futuro. Mandare a puttane Neri e i bei progetti per il suo favorito era stata una conquista troppo amara, tutt’altro che gratificante, e del resto non si può avere tutto dalla vita. Nemmeno quelle lacrime: avrei continuato a tenermi le mie, con buona pace di tutti.

 

È strano osservarlo adesso, bersi in silenzio quel singhiozzare continuo nel buio. Perché che crollasse di nuovo, stavolta era quasi una certezza – qualunque cosa sia successa dopo, dopo che si è eclissato con la Loria a tessere qualche losco intrigo. Peggio del previsto.

È strano e destabilizzante, come una colata di gelo dentro le ossa. Soprattutto quando, per la seconda volta, ti sei introdotto in camera sua senza preavviso e con una scusa che non vale la candela. Vorresti toglierti d’impiccio, ma nel contempo friggi nel desiderio inespresso di scoprire quale altro ingegnoso sistema abbia architettato stavolta per farsi del male.

- Andre, scusa, non volevo spaventarti. Ho dimenticato l’orologio, l’altra sera…

Quando c’è mancato poco che finissimo a letto.

Cioè, tecnicamente ci siamo finiti. Solo che non abbiamo proseguito oltre.

Andrea non risponde. Sprofonda con la faccia sul cuscino, quasi volesse collassare sotto il peso del suo corpo inerme.

- Andre, cos’è successo?

La domanda giusta: cos’altro è successo? Perché sedermi sul bordo del letto e sfiorargli la schiena, è la vera prova del fuoco. Potrebbe tagliar corto intimandomi di farmi i cazzi miei.

Invece, a sorpresa, eccolo sorgere come la luna dal groviglio delle lenzuola, il cuscino ridotto in condizioni pietose stretto tra le mani. Tirarsi su con l’entusiasmo di uno zombie e strisciare verso di me fino a fare della mia spalla il suo muro del pianto.

- Gabriiii… – esala, la voce di chi riemerge dalla tomba.

Calma, Gabriele. Scrollartelo subito via, non è la mossa giusta. Neppure abbracciarlo, perché potrebbe spezzarsi.

Mi chiedo se in un’altra occasione mi avrebbe mandato affanculo senza farmi passare dal via. Se mi avrebbe fissato con un sorriso da folle e gli occhi grondanti di collera, e chiesto se finalmente ero soddisfatto.

Stavolta è bandiera bianca, niente di più. Lo capisco dal fatto che non oppone resistenza, quando lo allontano quel tanto che basta per osservarlo.

La luce rovente del tramonto disegna strane ombre sul suo viso; per un attimo potrei riconoscerlo solo dal tumulto dei suoi capelli, il volto disfatto, gli occhi iniettati di sangue. Come una foto sfocata in cui a stento riesci a riconoscerti in una macchia sbiadita.

- Tieni, asciugati un po’ – riesco a mormorargli, tra un suo singhiozzo e l’altro e i miei tentativi di non farmi inzuppare la maglietta.

La fortuna insospettata di ritrovarsi un pacchetto di salviettine umidificate dentro la borsa, improvvisato kit di pronto soccorso per crisi isteriche assortite.

In silenzio, solleva la bottiglietta dell’acqua per servirsi di una lunga sorsata, e gli ultimi singulti di pianto svaniscono in un sospiro profondo, il braccio tremante e il respiro ridotto a un rantolo.

È a questo punto, di solito, che urge la terapia d’urto.

- Si può sapere che diavolo fai? – è la sua prima frase di senso compiuto, la voce roca di pianto, in dieci minuti abbondanti di non-conversazione.

- Non si vede? – sollevo gli occhi su di lui, mentre lecco sulla cartina per chiudere la sigaretta artigianale girata a tempo di record.

Il fumo mi brucia leggermente la gola, quando tiro per accendere, ma la miscela è quasi perfetta. Aspiro una seconda boccata e poi una terza, prima di piazzargli senza preavviso il minuscolo involucro fra le labbra.

- Ehi, sei matto?! – Andrea si ritrae di scatto; afferra la sigaretta tra indice e medio, curandosi di tenerla a distanza di sicurezza, e la esamina con occhio critico – Vorrei sapere cosa ci hai messo dentro. Anzi, no, lo pretendo proprio.

Sollevo gli occhi al cielo. E lui, di rimando, sgrana gli occhi come a ribadire l’ovvio.

- La camomilla. Su, da bravo. Aspira.

Mi fissa con diffidenza. Almeno sembra convinto. Si porta la sigaretta alla bocca e arriccia il naso.

- Ma è Maria…

Sorrido, sforzandomi di modellare la frase in una composizione che non suoni sarcastica.

- Certo che lo è. Così ti rilassi per bene, e poi magari possiamo parlare.

- No, per carità! – ridacchia.

Tira un altro paio di boccate, prima di alzarsi di scatto e andarla a spegnere nel lavandino.

- No, davvero, questo è-fuori-questione! – sbatte le palpebre, isterico, e se non altro i suoi occhi sembrano migliorati, visto che riesce a tenerli aperti – Ti ringrazio dell’aiuto, eh, ma non ho intenzione di passare alle canne.

Devo sforzarmi di non ridergli in faccia. Perché a volte è così candido che non sai dire se davvero ci sia o ci faccia. Ti dà l’idea di uno ancora pulito, poi sul più bello sa sconvolgerti con la furbata del secolo.

- Lascia stare, Andre. Normalmente non ti avrei mai fatto certo una proposta simile. Vedila come un’emergenza, un’ultima spiaggia. Eri sconvolto.

Posso pure scommetterci, che se tante volte ha fatto effetto su di me, su di lui e sulla depressione di una sera può fare miracoli.

- Sarà… – Andrea fissa il pavimento – Che genere di proposta mi avresti fatto, normalmente?

Eccolo là.

- Qualcosa… come questo? – riattacca, e credo di essere proprio io quello che ha sottovalutato l’intera questione, perché in capo a un secondo lui è qui, cavalcioni su di me, le sue labbra aperte sulle mie. Che sfregano dolcemente, e bruciano.

La bella notizia è che stavolta non dovrò tentarmi giravolte spaziali per uscire dal vicolo cieco secondo cui io avrei manifestato l’intenzione di baciarlo – o tradotto direttamente nella pratica –, perché ha fatto tutto da solo.

- Dio, Gabri…

- Allora – gli sussurro, appena riesco a staccarmi da lui e dallo schiocco umido delle sue labbra – Mi spieghi un po’ cos’è successo?

Dal settimo cielo direttamente a terra, o all’anticamera dell’inferno.

Andrea non risponde subito. China lo sguardo, a disagio, e d’un tratto mi sembra quasi minuscolo nella felpa troppo grande che gli disegna le spalle, al centro di una stanza troppo vuota e troppo ampia. La sua voce un biascicare veloce e appena percettibile.

- Non è vero nulla – butta fuori, come il fumo che tra un po’ gli salirà alla testa - se gli effetti non sono già in corso d’opera.

La sua dannata mania di snocciolare i concetti per frasi ermetiche.

- Cosa non è vero, Andre? – a volte si fa davvero una fatica terribile, a estrapolargli le parole di bocca e beccarsi solo risposte sibilline; ma forse stavolta cerca di guadagnare tempo.

- Quello che hai visto stamattina – risponde, e ho l’impressione che tra poco la sua faccia toccherà il pavimento, visto che ce la mette tutta per schivare sguardi indiscreti.

Anche se è solo il mio, e lui ancora non sa che sono l’ultima persona al mondo a poter fargli la morale.

Si stringe nelle spalle, utopico tentativo di mimetizzarsi con l’arredamento – ma le guance in fiamme lo tradiscono. È come se un nodo dalle dimensioni di questa stanza gli impedisse di strapparsi di dosso il resto della storia.

Respira. Deglutisce, tira su col naso, qualche lacrima imprigionata tra le ciglia.

- Riccardi non mi ha picchiato – sussulta – Cioè… Lui voleva darmi un pugno, figurati: se potesse mi sparerebbe in fronte. Però mi ha mancato… Ed io ho finto che il colpo fosse andato a segno – solleva gli occhi al cielo; si guarda intorno, come in un accesso claustrofobico, come in attesa di un motivo che lo invogli a proseguire – Era quello che volevo. Avevo previsto tutto. E quando Riccardi dice che gli ho toccato il culo, probabilmente dice l’unica cosa vera in tutta la sua vita. Volevo provocarlo finché non facesse qualche cazzata… – sospira, mentre intreccia nervosamente le dita – Tutto qui.

Spalanca gli occhi, in attesa. Spera che gli dia dello stronzo e gli ripulisca la coscienza al posto suo.

 

Cosa vuoi che ti dica, Andrea? Esiste qualcosa che potrebbe farti sentire meno sporco? Te lo sei tenuto dentro tutte queste ore, come un masso sul cuore. Ci hai messo tutti i tuoi residui di coscienza, e forse non hai neanche ottenuto ciò che volevi. Forse il male che ti sei fatto non valeva il prezzo dell’intero gioco. La pelle che ti sei strappato di dosso con la forza delle unghie. Il rispetto di te stesso. Ci hai guadagnato l’ennesimo sputo in faccia e il gusto sadico di una vendetta senza sbocco. È questo?

E adesso preferiresti che ti guardassi in faccia e storcessi il naso. O che ti perdonassi al posto tuo, ti allisciassi la testa. La verità è che non posso fare nessuna delle due cose, e se ti perdono o ti condanno, sarei poi costretto a perdonare o condannare me. Perché ci ho speso troppo di mio, anche se non lo dirò mai, e il peggio è che c’è ancora una cosa che devo fare.

Una parte di me vorrebbe davvero guardarti negli occhi e gridarti che-cazzo-hai-fatto. Se davvero tutto meriti di inquinarsi così, di tingersi di odio, e che tu ci perda la testa.

L’altra parte di me è cristallizzata in una morsa che mi lascia appena respirare. So di dover trovare al più presto una risposta, una giustificazione. Giustificare te per giustificare me. Se ho accettato di fare quel che ho fatto, in silenzio – resta solo l’atto finale –, il primo passo sarà discolpare te. Anche se nulla mi dà il diritto di decidere, di rimangiarmi ogni discorso ragionevole e offrirti una rassicurazione che vale meno di zero.

Hai sbagliato indirizzo, Andrea: non sono migliore di te. E nel momento in cui mi sono calato a testa bassa nel mio inferno, sono costretto a chiudere un occhio – o chiuderli direttamente tutti e due – per tutto ciò che verrà dopo.

Pensi di aver fatto male, Andrea? Sei tenero. Io ho fatto peggio e non sento il bisogno di rimettermi alla clemenza di nessuno.

Guardami, Andrea: sono molto peggio di te. Mi sono arrogato il diritto di fare giustizia, di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, ed io sono nel giusto. Cosa puoi fartene dell’assoluzione di chi sta per affondare il coltello?

 

Tutto ciò che posso fare è sfuggire il suo sguardo come se la risposta fosse scontata.

- Credi che non me ne sia accorto che fingevi? – sorrido – Ti hanno mai detto che sei bravo, ma un tantino melodrammatico?

Andrea si osserva intorno. Sembra sotto shock.

- Dopo questa, sinceramente pensavo ti avrei fatto più schifo di prima – tira su col naso.

Qualcosa mi dice che la sua voglia di piangere non è svanita del tutto.

- Vorrei solo capire cosa ci trovi in tutto questo, Andre. Se davvero volessi startene al centro dell’attenzione e dire a tutti che Riccardi è brutto e cattivo.

Andrea scuote il capo. No, negazione.

- Ho parlato col direttore – solleva gli occhi al cielo – Naturalmente non mi ha creduto e mi ha dato del piantagrane. Sai qual è la novità? Che le parole “violenza omofobica” dicono meno di zero: per quel che gliene importa, possiamo anche ammazzarci, basta che lui non veda e non senta. Non sia mai dovesse metterci la faccia! Capisci perché tutto questo mi manda fuori di testa? Mi sono comportato come una merda per guadagnarmi la sua indifferenza! È già tanto che non abbia sbroccato, quando gli ho fatto capire che mi piacciono gli uomini. Per un attimo ho temuto che mi cacciasse solo per questo.

- Andre, scusa, ma esageri – sospiro: forse servirà a chiarirmi le idee, perché il concetto di “esagerazione” sembrava incluso nel prezzo – Elena non ha tutti i torti, quando dice che ne fai una malattia. Vedi razzismi e pregiudizi ovunque.

Andrea si torce le dita, nervoso.

- Ti dico solo due parole: Federico Riccardi. Il concetto di omofobia è incluso nel pacco-base. È chiaro? – rilancia.

- E tu fai conto che un insulto suo vale zero.

Andrea incrocia le braccia sul petto, spazientito.

- Ma chi se l’è mai filato? È venuto lui, a dirmi che i froci come me gli fanno schifo. Sottinteso, che questo gli dà diritto di tormentarmi come e quando vuole, e si sente anche figo.

Silenzio. La verità è che vorrei fosse tutta una sua dannata ossessione. Lo vorrei disperatamente.

- E lui che fine ha fatto?

- Boh! – Andrea si stringe nelle spalle – Non lo so e non voglio saperlo. Per costringere il direttore a scendere dal pero, ho dovuto minacciarlo che avrei denunciato e sputtanato tutto, compresa la sua ignavia – per un attimo i suoi occhi sono tutto un luccichio soddisfatto, vagamente diabolico; o forse è solo quel paio di boccate di sigaretta “diversamente corretta” che inizia a fare il suo effetto – Comunque, se tutto va bene, Riccardi se ne andrà affanculo. Sai che succede domani? – sorride – Il direttore lo chiamerà nel suo studio, gli farà il predicozzo e gli alliscerà la testa. Magari lo spedisce a casa per qualche giorno. Poi, al prossimo Direttivo, stenderà un punticino microscopico all’ordine del giorno come “spiacevoli episodi di ordinaria omofobia”. Farà il finto drittone e si piglierà anche qualche merito.

E sbuffa, come se qualcosa nella composizione dell’aria o nell’arredo lo infastidisse profondamente.

- Vorresti prendertelo tu, il merito?

Pungolarlo per scucirgli qualche rivelazione, non è sempre una cattiva idea; lo è quando si rischia di uscire dai margini.

- Merito di cosa? – quasi trasale, Andrea – Te l’ho detto: mi sento una merda. Non… – tentenna – Non credevo si stesse così da schifo.

Non sai quanto, Andrea; non sai quanto.

- Non dirmi che mo’ ti senti in colpa per Riccardi…? – tiepido tentativo di sguazzare ancora nel torbido.

- Per Riccardi? – Andrea arriccia il naso – Facciamo finta che non esista? Chiamiamolo “X”. Secondo te, è giusto incastrare qualcuno forzando una situazione, chiunque sia…? È giusto che paghi per l’unica cosa che non ha fatto?

- Senti, Andrea, l’ho visto anch’io, l’hanno visto tutti: che non ti abbia colpito è un caso, è che ti sei scansato in tempo. Ti avrebbe rotto la faccia.

Di questo ne vado certo, perché è accaduto sotto i miei occhi. Ricordo pure lo schiocco di quelle dita che lo frustavano appena.

- Cosa cambia, Andre? – proseguo – Diciamo che hai solo … omesso il particolare di aver avuto ottimi riflessi.

Andrea scuote la testa.

- Ma l’ho provocato: gli ho dato una manata sul culo, volevo che mi picchiasse. Se poi mi sono evitato un cazzotto in faccia, meglio per me – e prorompe in una risatina amara, come se ci fosse un risvolto divertente – Non è difficile fargli perdere il controllo: sono il suo incubo.

Sollevo gli occhi al cielo. È così carino che ad associarlo a un incubo ci vuole davvero una fantasia malata. Tranne quando si rivela il bastardo masochista che è.

- Questa è già un po’ più grave… Soprattutto perché le potevi buscare.

- Pensi anche tu che Riccardi meriti il dispetto per il fatto di essere uno stronzo?

Pensi anche tu di poterti ergere a giustiziere del cazzo, Andrea?

- Penso che la tua, in un certo senso, sia legittima difesa – e il semplice deglutire, stavolta, mi sembra più complicato del previsto.

- E ancora non hai sentito il pezzo clou… – ammicca.

- Che sarebbe?

- Oltre ai suoi insulti veteronazisti, di cui avrai esperienza… L’altra sera ha cercato di rubarmi lo spray per l’asma. Ecco, l’ho detto. Tanto, se morivo strozzato, a lui non sarebbe fregato nulla, mi pare logico! Tanto valeva allungare le zampe… – conclude, un mugolio risentito.

- Figlio di puttana…

Segue una pausa imbarazzata che nessuno si preoccupa di riempire. Andrea scuote le spalle, interrogativo. Ammicca a tre centimetri dalla mia faccia, come in attesa di una sentenza definitiva.

- Beh, è tutto qua ciò che sai dire, Gabri?

- Che ti aspettavi, la fustigazione?

Ed è il suo turno, adesso, di fuggire lo sguardo e perdere un po’ di tempo.

- Non capisco. Dimmi almeno che sono il solito coglione, che non mi sopporti più. Dai, me lo devi – spalanca le palpebre, confuso; poi mi agita la mano davanti agli occhi come per accertarsi che non sia morto o del tutto rimbecillito – Mi aspettavo una reazione più consistente, ecco. O qualche idea carina sul da farsi.

- Sei fuori strada – gli sorrido, e devo quasi farmi violenza per costringere i muscoli della mia faccia a comporsi nell’espressione voluta – Non voglio farti la morale. Penso… che qualche ragione ce l’abbia. Minima, ma ce l’hai.

- Di far giustizia? Di dimostrare a tutti che sono io la parte lesa di tutta questa storia?

- Di tutelarti da chi ti vorrebbe morto – taglio corto – Anche se i tuoi metodi fanno schifo.

- Guarda che il pensiero di immerdare quell’idiota non mi dispiace affatto… – scuote le ciglia, satanico.

Adesso, sono sicuro che stia cercando di tastare le mie reazioni. Vuole mettermi alla prova e capire quanto lo ritenga becero da uno a dieci.

- Senti, Andrea  Io ci metterei la mano sul fuoco, che se Riccardi non fosse mai venuto da te a tentare di rovinarti l’esistenza, tu non ti saresti manco accorto che esiste.

Spero che i miei occhi puntati al soffitto gli abbiano suggerito che il discorso dopo un po’ diventa pesante.

- Pensi che lo stia facendo per me stesso? – Andrea socchiude le palpebre, meditabondo – Mi sottovaluti. Non ho mai sopportato i bulli del cazzo che pensano di guadagnare punti quanti più musi spaccano. Che amano rendere la vita difficile a chi gli sta sullo stomaco, come se fosse un loro diritto. Dopo gli omofobi, il secondo posto d’onore è tutto per loro. Immagina di vedere… te, poniamo te, che sei lì che ti fai i cavoli tuoi, e a un certo punto salta fuori mister X e decide di tormentarti, perché nel suo cervellino inutile avresti qualcosa nel tuo DNA che non va, che automaticamente gli dà il diritto di trattarti come uno straccio. Oggi sono io… e le conseguenze non sono state così gravi. Domani, chi sarà…?

È lapalissiano, ora. Perché l’aveva detto lui, che si sarebbe dannato l’anima pur di raddrizzare un po’ del male che aveva fatto, direttamente o no, quando per un caso fortuito si era trovato incluso a pieno titolo nella casta e sottoposto alle sue dure leggi.

È adesso che il contenuto di quella frase declamata per sbaglio in un’aula vuota, dopo che Alberti mi aveva quasi rotto il naso, emerge in tutta la sua tragica verità, come una nota inquietante. Non era mettere una pezza provvisoria sui suoi disastri.

Il problema è che stavolta Andrea è serio. Oscenamente serio. E come tutte le volte che è serio, ti incunea addosso un’angoscia difficilmente quantificabile.

- Possiamo parlarne in un altro momento? – liquidare un discorso non è mai stato tanto difficile e liberatorio al tempo stesso.

Specie quando ti rendi conto che avresti ancora la possibilità di propinargli un discorsetto e stornare la catastrofe.

Prima che cominci a temere seriamente per te e per tutto ciò che ti dice il cervello, nell’esaltazione della vittoria sudata a spintoni.

- Finalmente una bella idea! – squittisce, sprofondando nel letto a peso morto, un braccio teso davanti al viso come per ripararsi da raggi invisibili – Cazzo, mi gira la testa…

La spiegazione plausibile è che questa è la prima canna della sua vita, all’alba dei suoi vent’anni.

- Sicuro di star bene?

La risposta è una specie di mugugno poco articolato, con la bocca impastata e un gusto vagamente languido – che forse sono l’unico a sentire.

Come se il peso di quella giornata da suicidio e di quei discorsi farraginosi gli sia ricaduto sulle spalle solo in quel momento, lasciandolo lì senza la forza di riconnettere il cervello.

- Vieni qui… – mi sussurra con un cenno perentorio.

Non avevo mai fatto caso alle sue mani. Le dita lunghe, sinuose, i movimenti spicci. L’anellino al pollice destro come una trafittura gelida sulla pelle, quando le sue dita mi arpionano un lembo della maglietta e mi attirano verso di lui, con un sonoro lamento delle molle del letto. E di nuovo, quel basso mugolio di sottofondo, come le fusa di un gatto. Le dita che indugiano sull’orlo della maglia, per poi scorrermi sulla cute, risalire fino alla nuca e assestarsi lì, frementi. Le labbra, le mie e le sue, fameliche le une sulle altre – appena il tempo di riempirsi d’ossigeno i polmoni, prima di riprendere a esplorarsi.

Il silenzio è come un manto di tenebra sulle spalle, come il guizzare dei suoi movimenti – solo qualche schiocco improvviso, la tensione impigliata addosso.

E poi, non so cos’è – forse quel paio di boccate traditrici di cui mi sono servito anch’io, quando gli ho mostrato com’è che doveva fare. Non so cos’è, ma all’improvviso quantificare la realtà diventa difficile, incastrarsi in un intervallo di tempo qualsiasi. Separare quel silenzio terribilmente vivo e palpitante dallo scorrere delle sue labbra su di me, dal respiro veloce che gli si mozza in gola e trema.

So soltanto che da un certo momento in poi c’erano solo le sue labbra avvitate alle mie, il fruscio dei suoi capelli tra le mie dita, la penombra nebbiosa della stanza, la sua pelle rovente – così vicini che per qualche istante non c’è più stata la singola percezione, ma solo un’unica scintilla, una specie di contatto vivo. Lo scatto felino con cui si è sollevato su di me, sfidando il leggero capogiro che per un attimo ha minacciato di farlo rotolare a terra, e il suo attacco – stavolta più in basso, dritto alla gola – come un formicolio intenso sottopelle.

E lo schiocco gentile delle sue labbra che si dischiudono a scoprire i denti.

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Cassandra Morgana