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Autore: Xecestel    21/07/2011    1 recensioni
Nella città di Tartatà scoppia il caos, quando un assassino sconosciuto comincia a fare stragi di dipendenti di varie multinazionali. Così due curiosi personaggi, l'ispettore Giovanni Rossi e il capitano Giacomo Bianchi, si mettono sulle tracce del colpevole, tra mistero e comicità.
Genere: Comico, Demenziale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO IX: COLPEVOLE

 

Anche se l’inverno è già passato, la Russia resta una nazione a dir poco gelida. È già una settimana che osserviamo il signor Braginski e in questi giorni non mi è sembrato più neanche sicuro che ci fossimo sul serio. L’ho notato da come appariva preoccupato, da come barcollava quando camminava, da come tremava il bicchiere di vodka che beveva.

Solo alla fine della settimana, Gino mi ha fatto notare che stavo spiando il maggiordomo novantenne.

In verità la nostra esca non sembra per nulla nervosa, anche se in realtà noi sappiamo bene che sta andando incontro a morte quasi certa. Questo ovviamente ci aiuta, perché Hood potrebbe sospettare qualcosa, se notasse una preoccupazione nel volto della sua preda.

Il maggiordomo ordina al russo di prendere del vodka immediatamente, ad un semplice cenno dell’uomo, che va subito in cucina a prepararsene un po’.

In teoria nella Russia Sovietica il vodka dovrebbe bere te, ma siccome è pur sempre la Russia, i suoi abitanti non rinunciano alla loro bevanda nazionale.

Io, personalmente, preferisco bere dell’acqua, ma sono gusti.

Infatti, ad esempio, c’è chi prende l’acqua semplice, ma io preferisco aggiungere ad essa uno zoccolo di gnu dell’Himalaya grattugiato, tanto per insaporirla un po’.

Restiamo a osservare un altro po’. In una settimana ci siamo spostati pochissimo tra i nascondigli, perché quest’uomo passa il 90% del suo tempo nell’immenso salone della sua casa.

Però oggi qualcosa potrebbe cambiare: squilla il telefono.

Il maggiordomo ordina al suo padrone di portarglielo e risponde. Poi lo passa al signor Braginski, che risponde in italiano.

Dalla nostra distanza, io e Gino non sentiamo molto della conversazione, che comunque non dura molto.

Alla fine di essa, il russo sembra stranamente più preoccupato…. che genere di chiamata era?

“Capo, il nostro protetto sta salendo le scale, seguiamolo!” mi dice Gino sottovoce e comincia a spostarsi nell’altro nascondiglio.

Faccio per seguirlo, ma una voce mi ferma.

“Gianni, ciò che scoprirai adesso potrebbe essere sconvolgente, ma per capire tutto fino in fondo, dovrai riflettere attentamente!”

Quella voce… IL CAPITANO? Mi volto verso la provenienza del consiglio, ma non c’è nulla. Ovvio, il capitano è morto. Sarà lo stress che gioca brutti scherzi?

“Capo, presto!” mi intima Gino.

Saliti al piano superiore vediamo un orrendo cambio di abiti del nostro protetto. Uno spettacolo che farebbe far soldi a un regista di film horror!

A giudicare dalla giacca e dalla cravatta, deve stare per fare un incontro galante o d’affari, o comunque importante.

Subito dopo ridiscende nel salone del suo appartamento, esce in giardino e si nasconde dietro un albero lasciando le chiavi appese alla serratura.

Sempre per il fatto che nella Russia Sovietica l’ospite deve accogliere il padrone di casa.

Poco tempo dopo arriva un uomo che si ferma davanti l’abitazione, guarda le chiavi, apre la porta ed entra.

Poi il signor Braginski si fa accogliere in casa e i due si accomodano in delle poltrone.

In quel momento, proprio quando comincio a riconoscere l’ospite, arriva una chiamata dalla centrale.

“Capitano, sa che anche il figlio del questore Bianchi si trova in vacanza in Russia, in questo momento?”

Incredulo, fissando Francesco Bianchi seduto di fronte al signor Braginski con occhi da pesce lesso in salamoia con salsa di rosmarino, rispondo: “Sì… lo so”

Poi chiudo la chiamata e sto a guardare la conversazione. Non posso ascoltarla perché non si sente nulla.

Lentamente i due cominciano ad innervosirsi, e la discussione degenera. Vorrei proprio sapere di cosa parlano…

D’un tratto, il nostro protetto si alza, fa per saltare addosso al suo interlocutore, ma prende una storta. Neanche il tempo di accorgersene e di rimetterla al suo posto, che Francesco Bianchi, figlio del questore Giacomo Bianchi, mio mentore, prende una spada da un’armatura appesa al muro come decorazione e gliela conficca in gola.

“Accidenti, sbrighiamoci!” urlo subito e corro fuori dal rifugio con Gino.

Sfortunatamente Francesco se ne accorge, corre alla mia macchina, posta in strada, ben visibile, forza la portiera e trova le chiavi al suo interno. Così parte a tutta velocità.

“Ti avevo detto di nasconderla!” urlo al mio sottoposto.

“Mi sembrava un posto sicuro!”

Fortunatamente il nostro bersaglio ha sbadatamente lasciato le chiavi della propria macchina attaccate alla serratura, quindi entriamo e partiamo all’inseguimento.

“Vai Gino!” esclamo.

Sfortunatamente non riusciamo a star dietro al fuggitivo, che è molto più veloce di noi.

“Gino, mi deludi!”

“Che vuole, capo, quella è una Lamborghini a locomozione atomica!”

“E questa invece?”

“A giudicare dal modello… una Fiat a locomozione di sfiducia. E il governo non è caduto!”

Al sentire quelle parole, la macchina si deprime e si ferma subito, piangendo lacrime di olio dai fanali anteriori.

Così, mentre il figlio del questore scappa, noi restiamo in mezzo alla strada a confortare la sua macchina.

Anzi, lo fa Gino, che ci sa fare meglio con i mezzi di trasporto. Io rischierei di toccare il tasto sbagliato e di ferire ancor più i suoi sentimenti!

Mentre il mio collega e sottoposto sta lì a prendersi le invettive degli automobilisti, io noto una freccia conficcata sul retro del sedile del posto guida.

“Che significa questo?” mormoro senza neanche accorgermene, prendendo il dardo.

“Quello di cui parlavo prima. Esamina tutto e rifletti bene, o la tua indagine si concluderà in tragedia”

Di nuovo quella voce? Mi volto di scatto e lo vedo seduto nei sedili posteriori: il questore Bianchi.

“Ca… capitano… cioè, questore…” non riesco ad articolare le parole dall’emozione e dalla felicità.

Felicità rotta dalla domanda di Gino: “Con chi parla, capo? In macchina non c’è nessuno”

“Sono un fantasma, Gianni” spiega il questore “Sono apparso a te, perché la giustizia trionfi e tu non muoia. La strada potrebbe essere ancora infinitamente lunga, ma può essere anche infinitamente breve. Le cose cambieranno a seconda delle tue azioni e col mio aiuto potrai risolvere il caso in breve tempo. Sfortunatamente una legge del mondo degli spiriti mi costringe a parlare ad enigmi, quindi non potrò dirti tutto ciò che so”

“Quindi lei è una proiezione del mondo degli spiriti?” chiedo sottovoce, per non essere sentito da Gino.

“No, sono ancora vivo, in parte” mi risponde sorridendo “Nel tuo cuore” e mi indica il petto.

Dopo uno stupore iniziale, sorrido anch’io.

“Quindi potrei risolvere il caso… in quanto, come tempo minimo?” chiedo poi, tornando serio.

“Il minimo è di una settimana. Ma dovrai sopportare mali e tragedie tremendi”

“Di che tipo?”

“Come ti ripeto devo parlare ad enigmi, ma tu conosci bene il tipo di sofferenza al quale alludo…”

Poi sparisce, lasciando il sedile bagnato.

“Ah, Gianni, scusa, non sapevi che sono incontinente?” mi dice per ultima cosa, ridendo.

Durante il ritorno in Italia, continuo a riflettere sulla freccia. Probabilmente durante il viaggio di Francesco, Hood ha tentato di ucciderlo, ma la freccia è stata fermata dal sedile. Quindi Robin Hood vuole ucciderlo in quanto figlio del questore? Che stia indagando in proprio anche lui?

Ciò che so è che vanno entrambi assicurati alla giustizia, ma Francesco va anche protetto.

“Gino, andiamo a casa Bianchi, il dovere chiama”

“Oh, ho lasciato il cellulare in silenzioso!” esclama il mio sottoposto prendendo il telefono “Pronto?”

   
 
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