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Autore: Ariana_Silente    21/07/2011    2 recensioni
La mamma è sempre la mamma. Che mondo sarebbe senza?
Ma per Neville è molto difficile accettare la sua mamma, il suo papà. Esseri così distanti, distaccati..inutili?
A volte però bastano delle parole buone per trasformare un grande dolore insopportabile in un grande dolore sopportabile, nonostante tutto.
Un giorno, al San Mungo. Neville incontra una persona buona e un padre dal gran cuore.
Altra FF sul mondo di HP - ho messo 'infanzia di Harry'perché se Neville è un bambino lo è pure lui, se la matematica non è un opinione, anche se ho una pessima opinione della matematica^^ - ehi! ci sto prendendo gusto a pubblicare! A voi, sappiatemi dire cosa ne pensate, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neville Paciock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Il dono della mamma.

 

«Signor dottore! Signor dottore!»

Il medimago fece ancora qualche passo, poi si fermò chiudendo un attimo gli occhi prima di voltarsi gravemente, il camice s’allargò formando un’ampia cappa.
Vide il visetto paffuto di un bambino, ma gli occhi non erano quelli di un bambino di non più di sei anni. Una patina di pianto li annebbiava e una cupa ombra vi dimorava. Da una manina stretta a pugno spuntava una cartina violacea.
Sospirò.
Lo sfortunato figlio dei Paciock.
Cosa mai avrebbe dovuto digli?
E cosa avrebbe potuto chiedergli quel bambino?
Cercò di sorridergli e si avvicinò cauto.

«Sono il dottor Grey, piccolo. Ti sei perso?» tentò ben sapendo chi fosse chi gli stava davanti.
Il piccolo scosse la testa bionda, le labbra contratte.
«I…Quelli nella stanza… sono… la mia mamma e il mio papà.» disse tutto d’un fiato. Deglutii a fatica, cercando di trattenere i tremiti del corpo.
«Ti chiami Neville, non è vero?» mormorò, attirandolo a sé con fare paterno. Il bambino non doveva essere molto più grande di suo figlio.
«Non è questo l’importante.» sussurrò con voce tremante. L’uomo sollevò il sopracciglio.
«Certo che lo è, Neville. È con questo nome che ti presenterai al mondo e con cui ti ricorderemo.» gli sorrise rassicurante.
Il bambino abbassò lo sguardo e si strinse il petto con le braccia, un gesto così pieno di dolore che il dottor Grey sentì le lacrime agli occhi. Lo strinse a sé, al suo cuore, posando un bacio veloce sulla testa del piccolo.
Neville alzò di nuovo lo sguardo e cercò gli occhi del dottore.
Non c’era più pianto, solo sconfinata rassegnazione. La cui presenza, forse, era più inquietante delle lacrime.
«Non potete trovare una cura per loro vero?» disse e la voce per la prima volta non tremò. L’uomo chiuse gli occhi, cercando velocemente le parole adatte.
«Neville, vedi, il corpo umano è uno straordinario organismo in cui ogni parte, seppur minima, ha il suo posto e la sua funzione, in un unico ciclo di misteriosa perfezione. In certi casi, quando questa perfezione viene a mancare, l’organismo riesce a sopperire da solo.
Ci sono parti di questo organismo che siamo in grado di aiutare a guarire e a ritrovare la perfezione. Certi altri invece, non ci è possibile. Perché non lo conosciamo profondamente oppure è assolutamente compromesso. E vedi, il cervello, la sede della coscienza, ecco, questa è una parte che non ci è possibile curare. E, temo, nemmeno in futuro, Neville.» concluse con una carezza gentile sulla guancia del bambino che lo ascoltava rapito.
Annuì un paio di volte, come se si fosse aspettato qualcosa di simile.
«Hanno perso la ragione. Sono pazzi.» si decise a riassumere il bambino con uno scatto della mascella. Grey lo guardò un momento.
«Non sono più in grado di intendere e volere, sì, Neville. Ma sono ancora in grado di amarti.» affermò grave e serio. Il bambino lo guardò con tanto d’occhi.
«Non è vero. Non fanno altro che darmi scarti di caramelle e ritagli di giornali, senza mai dire una parola.» biascicò, scuotendo il pugno chiuso, mentre una lacrima gli rotolava lungo la guancia.
Grey si rialzò, tenendo in braccio il piccolo corpo scosso dai singhiozzi. Aspettò che si calmasse e lo guardò negli occhi.
«Sai, ci sono molti modi per manifestare i propri sentimenti. C’è chi lo afferma a voce, chi attraverso i gesti e poi c’è chi preferisce farlo attraverso i doni.» attese che il bambino rimuginasse sulle parole. Un lampo gli attraversò gli occhi.
Si portò all’altezza degli occhi la mano e l’aprì, sul palmo, stropicciata, la cartina vuota di una vecchia bollagommabollente.

«Un dono?» mormorò piano, insicuro.
«Il dono della tua mamma.» precisò con calma la voce sopra il suo orecchio.
Il piccolo Neville alzò lo sguardo, meno tormentato di prima. La boccuccia distesa in un incerto sorriso.
«Non ci avevo pensato.» ammise sinceramente.
«Non fartene un cruccio, Neville. E adesso vediamo di sistemarti. Io ho da fare, perciò sarà meglio trovare la tua nonna. Sei con lei, vero?» gli chiese in tono pratico. Il bambino annuì con un sorriso.
Non ebbero bisogno di cercare.
«Santo cielo, Neville, dov’eri finito?! E perché disturbi il medimago? Deve lavorare, non ha mica tempo da perdere!» Augusta Paciock eliminò la distanza da suo nipote con quattro grandi falcate.
«O, no, non si preoccupi, signora Paciock, nessun disturbo. Io e Neville abbiamo chiacchierato un po’.» spiegò, lasciando che la donna prendesse in braccio il bambino che aveva fatto sparire svelto la cartina, cosa che non passò inosservata al medimago.
«Se le cose stanno così, allora…» fece di rimando.
«Allora tutto sistemato. Neville, è stato un piacere. Ricordati di quello che ti ho detto! Buona giornata!» il dottor Grey si recò in un’altra stanza.
Nonna e nipote si guardarono.
«Cosa ti ha detto?» s’informò.
«Che ci sono molti modi di esprimere i propri sentimenti.» riportò diligentemente, ma non aggiunse altro.

La mano nella tasca stringeva la cartina stropicciata.

 

Il dono della sua mamma.

  
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