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Autore: Red Moon    22/07/2011    0 recensioni
Un'epidemia ha reso mostri assetati di sangue la maggior parte della popolazione mondiale, rendendo i sopravvissuti fuggiaschi pronti a tutto per guadagnare un'ora di vita in più. Nelle strade di città ormai disabitate i predatori più pericolosi non sono quelli che attaccano ferocemente la propria preda, ma quelli che si celano nell'ombra in attesa del momento giusto per colpire.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giovane tenente osservava con attenzione la strada sottostante. Doveva concentrarsi su ogni particolare, perché nella situazione in cui si trovavano lui ed i suoi commilitoni ogni più piccolo errore poteva rivelarsi fatale e condurre alla morte. O peggio. Non voleva diventare uno di quei cosi, era terrorizzato solo all'idea, però non poteva permettersi di darlo a vedere. Lo doveva ai suoi uomini, a quelli rimasti almeno...

Era da più di due mesi che si trovava in quell'inferno e aveva già perso sette dei suoi dieci uomini; supponeva fosse una buona media dato che la quasi totalità del genere umano era stata spazzata via dalle infinite orde di non-morti. Ciò nonostante continuava a darsi dell'incapace per aver perso tutti quei ragazzi che ormai conosceva da anni e che avrebbero dovuto essere sotto la sua responsabilità. Era divorato dai sensi di colpa. E prima dei rimorsi per coloro che erano morti veniva l'angoscia di mantenere in vita a coloro che, miracolosamente, lo erano ancora. E poi lui non doveva preoccuparsi solo della sua squadra, sia pur ridotta ai minimi termini, ma anche dei civili che incontravano di tanto in tanto; non lo considerava un obbligo, anche perché non era rimasto nulla della vecchia società e delle sue organizzazioni: molto probabilmente i suoi superiori erano morti e, casomai non lo fossero, non erano certo in grado di trasmettere ordini. Perciò lui faceva ciò che riteneva più giusto: il suo compito era difendere i civili da quelle bestie, ridar loro speranza, perché era quello il compito delle Forze dell'Ordine. Servire e proteggere. E lui avrebbe continuato a farlo, a dispetto delle circostanze. Era sempre stato un po' idealista, lo ammetteva, ma che c'era di male a cercare di fare il meglio, soprattutto in una situazione come quella? Tanto peggio di così...

«Signore! Abbiamo perso il primo piano, che...»

Quelle parole gli riportarono alla mente avvenimenti che ora sembravano distanti anni luce. Solo tre mesi prima lui e quelli che ora erano suoi compagni d'armi non erano altro che giovani reclute di una delle tante accademie militari degli Stati Uniti d'America. Lui aveva già ricevuto il grado di tenente perché aveva frequentato corsi più avanzati grazie alla sua eccellenza in tutte le attività extra scolastiche e non, ma era un'eccezione. La maggior parte dei ragazzi erano tutti giovani sui venti-venticinque anni, i cui padri avevano partecipato attivamente alla vita militare del Paese, che ora si apprestavano a seguire le orme dei genitori. La mattina del giorno in cui li avevano resi operativi si stavano esercitando a rendere e mantenere sicura una determinata zona.

«Allora, tenente, supponiamo che lei ed i suoi uomini vi troviate in un territorio sconosciuto, braccati dal nemico, e che dobbiate...», proprio in quel momento la sirena d'emergenza aveva iniziato a suonare. Lì per lì tutti avevano pensato ad una delle solite esercitazioni, ma ben presto si erano resi conto di essere in errore. Dall'altoparlante la voce di un agitato supervisore aveva strillato che ogni ufficiale e sottufficiale presente in Accademia, insegnate o allievo, sarebbe dovuto essere operativo entro dodici ore dalla trasmissione.

Fino ad allora tutto era sembrato così facile, quasi un gioco, l'unica possibile conseguenza di un errore era stata la ramanzina di un superiore, una lavata di capo che quasi sempre si concludeva con un nulla di fatto. E anche quando la punizione arrivava, non andava mai oltre una settimana di consegna.

Alle dodici in punto era cominciato il via vai di elicotteri che trasportavano le diverse uniti nelle città in cui era necessario il loro intervento. Appena decollati, un'altra voce gracchiante di un colonnello che non avevano mai visto, li aveva informati su quello che sarebbe stato il loro compito: «Ragazzi, il vostro Paese ha bisogno di voi, siamo in una situazione particolarmente delicata e mi aspetto che ognuno di voi faccia del suo meglio per riportare l'ordine nelle nostre città. Non appena arrivati sugli obbiettivi verrete smistati e divisi in squadre, ogni caposquadra avrà sotto il suo comando da cinque a quindici uomini. Una volta a terra vi verranno forniti i dettagli. Siamo comunque fiduciosi nell'affermare che, grazie anche a voi, il nostro Paese uscirà da questa crisi più forte che mai.»

Ora pensare a quel discorso lo faceva sentire stupido, perché allora si era sentito orgoglioso che i suoi superiori riponessero in lui tanta fiducia. Probabilmente invece, mentre quel messaggio veniva diffuso loro se la stavano già svignando, diretti verso una zona sicura, ammesso che ne esistessero.

L'elicottero su cui si trovava era atterrato a Los Angeles e lui era stato messo a capo di un gruppo composto quasi esclusivamente da ragazzi che conosceva, il che, pensava, avrebbe reso tutto più facile. Il loro primo compito era stato scortare un pezzo grosso del settore petrolifero, un certo Peter Carson, che risiedeva in una delle sue tante lussuose ville nei pressi di Fullertown fino a Inglewood, in modo che potesse successivamente essere imbarcato con la sua famiglia su di un aereo del Los Angeles International Airport diretto alle Channel Islands. Il viaggio di andata era stato quasi una passeggiata, nonostante i numerosi incidenti stradali che il piccolo convoglio aveva dovuto evitare. Una volta giunti a destinazione avevano prelevato il Signor Carson ed erano ripartiti alla volta di Inglewood. Durante il viaggio di ritorno però, erano stati avvisati che l'avamposto di Inglewood era stato travolto dai nemici. Tutti i soldati si erano domandati chi fossero questi “nemici”, poiché durante il loro addestramento in Accademia non erano stati messi al corrente degli ultimi avvenimenti. Al che il magnate li aveva brevemente informati sui fatti. I ragazzi erano stati parecchio scettici sulla veridicità di queste informazioni, ma, quando sul tragitto ne avevano incontrati alcuni, erano impalliditi di fronte a tutto quell'orrore. Arrivati a Los Angeles si erano ritrovati nel caos più totale e, dopo aver affidato Carson ai corpi incaricati di occuparsi dei civili, si erano diretti verso l'improvvisato punto di comando situato in quello che probabilmente era un vecchio magazzino. Avevano subito notato che più della metà degli armati presenti all'inizio della missione mancavano all'appello e che tutti gli assenti appartenevano alle squadre che erano poste a difesa dell'avamposto di Inglewood. Tra questi, molti erano loro amici e, nonostante avessero visto con i propri occhi i “nemici”, non riuscivano proprio a capire come quei malati con evidenti problemi di coordinazione potessero aver eliminato intere divisioni di militari armati fino ai denti. Non avevano avuto il tempo di fare domande e, dopo una veloce riorganizzazione delle forze rimaste, erano stati destinati, insieme ad altre tre squadre, alla perlustrazione del territorio presente tra il centro di Los Angeles e Inglewood. Le quattro squadre, denominate Alfa, Bravo, Charlie e Delta, sarebbero partite l'indomani all'alba.

Il termine della missione era fissato per un paio di settimane, ma solo il viaggio di andata ne occupò una intera: le strade erano rese impraticabili da mezzi abbandonati e tamponamenti su vasta scala, senza contare il dettaglio più inquietante, l'irreale silenzio che regnava sulla città. Finché erano rimasti nei pressi del centro i rumori dell'insediamento poco lontano li avevano raggiunti senza problemi e loro non vi avevano prestato troppa attenzione; ma ora ogni scricchiolio li faceva sobbalzare. Incontrarono pochi di quei non-morti e li abbatterono senza troppe difficoltà, ciò li rese un poco più ottimisti su quello che li aspettava. Una volta giunti a Inglewood però, il loro ottimismo si dissolse come fumo in una tempesta. L'odore di putrefazione era ovunque e diventava sempre più forte man mano che si avvicinavano al centro commerciale adibito ad avamposto militare. Nel parcheggio antistante all'edificio giacevano migliaia di corpi con un foro di proiettile in testa. Dentro, lo scenario era ancora peggiore, ampie chiazze di sangue secco ricoprivano il pavimento e, in alcuni casi persino i muri, segno che la lotta era continuata all'interno dopo che le difese esterne avevano ceduto. Perlustrarono la struttura, sprangando nel modo migliore possibile tutte le uscite secondarie e quelle più difficili da sorvegliare. Alfa e Bravo rimasero per garantire la sicurezza dell'avamposto, mentre Charlie e Delta, la compagnia di cui facevano parte, avevano iniziato a retrocedere. La Charlie si era fermata a Windsor Hills e la Delta al Memorial Coliseum, situate a quattro e otto chilometri da Inglewood. Il piano prevedeva infatti che queste compagnie mantenessero sicura la strada per Inglewood affinché i civili potessero esservi trasferiti senza incontrare spiacevoli incovenienti; i militari poi si sarebbero via via aggregati al convoglio principale per continuare a garantire la sicurezza della popolazione. Sfortunatamente la notte seguente allo stanziamento della Delta nel luogo prestabilito i componenti di Alfa e Bravo avevano iniziato a fornire particolari poco rassicuranti tramite brevi collegamenti radio, i non-morti si stavano radunando intorno al centro commerciale e il loro numero cresceva di ora in ora. Poi erano iniziate le raffiche dei mitra, per ore nella note quello era stato l'unico suono a ricordare a tutti l'esistenza di quel piccolo manipolo di soldati che, com'era prevedibile, venne travolto alle prime luci dell'alba. Ma se quella era stata la fine di Alfa e Bravo, che insieme contavano più di sessanta uomini, Charlie e Delta non avrebbero avuto speranze, avevano immediatamente pensato i ragazzi delle due compagnie d'appoggio. Il comandante della Charlie aveva richiesto al comando generale di Los Angeles il permesso di iniziare la ritirata, e quest'ultimo aveva risposto che tutte le unità in missione dovevano rientrare il più in fretta possibile. La Delta si era quindi preparata alla ritirata e attendeva la Charlie nel luogo prestabilito; i quattro chilometri che le dividevano però, inghiottirono la compagnia C e nel giro di un paio d'ore dall'ultima trasmissione anche le detonazioni si spensero. Poi anche la Delta si era divisa,il nucleo iniziale di ventisette uomini che la componeva si era diviso in due gruppi più piccoli : uno, quello del caporal maggiore Robert Harris, comprendeva sedici uomini, tutti già impiegati in operazioni contro i non-morti, e sarebbe dovuta proseguire verso Ovest in cerca di eventuali superstiti di Charlie, Bravo e Alfa; l'altro, quello del Tenente Richard Whyte, composta da dieci ragazzi che non erano mai entrati in contatto diretto con uno di quei morti viventi, si sarebbe dovuto dirigere verso Est per recuperare eventuali superstiti del comando generale.

I giovani si erano imbattuti quasi subito in gruppi più o meno numerosi di civili che, essendo in fuga dal centro città, avevano fortemente sconsigliato loro di avventurarvisi per qualcuno che sicuramente era già morto. Alla fine qualcuno aveva comunque preferito rimanere con i militari ed il loro gruppo era cresciuto fino a comprendere all'incirca una trentina di persone, troppe, che concentrate nello stesso luogo non avevano potuto fare a meno di produrre un rumore proporzionato al loro numero che aveva finito per attirare i non-morti. In una notte tutto si era consumato, il piccolo perimetro aveva ceduto sotto quella moltitudine di assalitori ed i giovani soldati erano venuti a conoscenza con orrore di come quei mostri potessero aver fatto sparire tanta gente. La divoravano viva. Ciò che per molti dei sopravvissuti era un dato acquisito si riversò su di loro con tutta la forza di un orrore inaspettato ed inimmaginabile.

A pensare a quella notte gli venivano ancora i brividi, non distava più di tre settimane da quel freddo pomeriggio, ma quei ricordi sembravano appartenere ad un altra vita...Si trovavano in quella palazzina da ventisei giorni, vi si erano barricati per sfuggire ai non-morti,ma ben presto anche la fame e la sete si sarebbero aggiunte alle loro già numerose preoccupazioni.

«Signore! Il primo piano! L'abbiamo perso! Che cosa...»

«Ho sentito, Ben. Per ora limitatevi a sigillare ogni possibile punto di collegamento tra primo e secondo piano.»

«Già fatto, Signore.»

«Bene, c'è altro? Ah a proposito Ben, nessuna notizia del vecchio Jack? È da un po' che non si vede...»

Il vecchio Jack era un dalmata appartenuto ad una squadra dei Vigili del Fuoco, o almeno questo era quello che avevano pensato quando l'avevano trovato, poco prima di rifugiarsi in quell'edificio. I Vigili che l'accompagnavano se l'erano dimenticato nel furgone, e lui era rimasto lì, silenzioso, spaventato dai versi terribili che provenivano dall'esterno; ma quando aveva sentito le loro voci, aveva iniziato ad abbaiare come un pazzo ed era balzato fuori non appena avevano aperto le porte del furgone. Inizialmente avevano pensato di mangiarlo, ma poi, essendosi resi conto del suo avanzato addestramento avevano deciso di utilizzarlo come mezzo di comunicazione tra loro e l'altra gruppo della Charlie. La maggior parte delle radio era andata perduta e le batterie delle rimanenti si erano esaurite nel giro di un paio di settimane, avrebbero potuto saccheggiare qualche negozio, ma la prospettiva di morire per un paio di batterie non aveva allettato nessuno, quindi si era deciso per il cane. Il piano si era subito rivelato un successo, i canidi infatti, apparivano immuni al contagio e, sebbene un po' malconcio, il vecchio Jack ritornava sempre alla base con la risposta del caporal maggiore Harris.

«Sì Signore, lo abbiamo visto proprio cinque minuti fa, ma...non saprei...mi è sembrato di...ah, ma non è possibile...»

«Che cosa non è possibile?»

«Beh, giurerei di aver visto il nostro Jack con un lupo alle calcagna, Signore.»

 

  
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