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Autore: apochan kenshiro    22/07/2011    2 recensioni
Una città completamente diversa, un clima cambiato... Chi sono Michiko e Kaito? Che fine hanno fatto tutti quanti? E perchè il distretto di Nerima-ku è più silenzioso e tranquillo che mai? Una storia particolare, dove la linea del tempo segue un corso unico, dove tutto ciò che è non è, dove l'apparenza inganna, dove la verità porta a tutta un'altra realtà...
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Salve! Questa è la prima volta che pubblico con il mio account sul sito (non avendo avuto prima la connessione, condividevo l'account con una mia amica...), ma non è la prima storia che pubblico... questa volta intendo condurre ben avanti la fanfiction che qui vi presento, che ho cominciato a scrivere da molto tempo, e la quale spero si prefiguri come un grosso "lavoro", diverso dai precedenti... se in "corso d'opera" vorreste recensire i capitoli vi sarei molto grata... (sia recensioni positive che critiche sono più che gradite...)
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Ranma Saotome
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cruel pain
 

Una sfera rosso fuoco inondò di luce, per l’ultima volta in quella giornata, la città. Le ombre della sera cominciarono a farsi strada sinuose, mentre la prima stella fece capolino nel cielo. Nella città tutti ormai si apprestavano a rincasare e gli unici ostinati a rimanere all’aperto erano pochi gatti, che vagavano miagolando fra i vicoli, forse in cerca di cibo. La sera si apprestava sempre più a scendere sulla città di Nerima.
Poco dietro le tende di un’anonima camera da letto, una ragazza osservava pensierosa lo spettacolo del tramonto, che si svolgeva sul piccolo distretto di Tokyo; sospirava tristemente solo guardando la ritirata giornaliera del sole; pensieri e ricordi si affollavano sicuramente nella sua mente: i suoi occhi blu lo confermavano.
Michiko fece un ultimo lungo respiro e poi si scostò dalla finestra, richiudendo la tenda. Distolse i suoi pensieri dal crepuscolo, ma non da ciò che quasi ormai da molto aleggiava nella sua mente. Con la stanchezza nei movimenti e nei gesti, si diresse alla scrivania della sua camera; accese la luce; scostò la sedia e vi si poggiò; poi aprì un cassetto ed estrasse il suo fidato confessore, l’unico che aveva tutta la pazienza del mondo per ascoltarla e nessuna possibilità o volontà di raccontare ciò che lei le confidava.
La ragazza aprì così il suo diario sulla scrivania, prese una penna, appuntò accuratamente la data e cominciò a scrivere, completamente immersa nei suoi pensieri:
“Caro diario,
per l’ennesima volta sono qui che sfoglio le tue pagine, sperando di trovare ancora un angolo dove parlare e sfogarmi con te. Ogni giorno, ogni notte quando dormo, ogni volta che guardo il tramonto, questi pensieri non fanno altro che sommergermi ed io non riesco a provare niente che non sia una profonda tristezza. Ripenso alla mia vita come qualcosa di vuoto, come ad una puzzle con una tessera mancante … sento veramente il bisogno di ciò che mi è stato strappato ingiustamente … se solo non me lo avessero detto … avrei potuto continuare a vivere senza questo senso di incompletezza, senza questo rimorso di non averli mai potuti conoscere … i nonni e le zie erano riusciti a far vivere me e mio fratello in serenità, per almeno sedici anni. Purtroppo il peso che tutti avevano sul cuore non aveva permesso oltre che mantenessero il silenzio: si sentivano in dovere di raccontarci la verità. Ed io, ormai da almeno due mesi, non riesco a fare altro che rimanere chiusa in me stessa e riversare quasi ossessivamente sulle tue pagine i miei pensieri: quello che dissero a me e a mio fratello in quel pomeriggio di metà settembre mi ha letteralmente sconvolto … dal racconto trapelavano unicamente odio, risentimento e sofferenza … quell’odio … continuo ancora chiedermelo: si può arrivare ad odiare così tanto? Si può veramente arrivare ad un tale punto di non ritorno e di follia? No, non si può, e questo mi tormenta ininterrottamente … tutto ciò era inammissibile, era inaccettabile, e ciò che era peggio, tutto ciò era EVITABILE … anche adesso non riesco a fare a meno di guardare intensamente l’orologio: spero da un momento all’altro che le lancette si blocchino e comincino a girare furiosamente al contrario, magari portandomi indietro nel tempo … magari facendomi aggiustare quello che tutti quanti vogliono continuare a guardare, anche se con le lacrime agli occhi, come inevitabile … magari facendo sì che la mia vita sia quella che io volevo che fosse. Con questo non voglio dire che i nonni, le zie e mio fratello Kaito non mi abbiano dato tutto l’affetto di cui avevo bisogno, ma con LORO sarebbe sicuramente stato bellissimo …”
Michiko sollevò stanca gli occhi dalla pagina di diario ed osservò l’orologio: erano le cinque e mezzo e ciò significava che poteva concedersi ancora un po’ di solitudine.
“ … ora i miei pensieri sono più fitti che mai e non riesco a proseguire oltre. Quando ancora avrò bisogno di aprirmi, sono sicura che le tue pagine saranno pronte ad accogliere i miei pensieri. Mi concederò un po’ di riposo sul mio letto, anche se so che in realtà ne passerà di tempo prima che trovi la mia pace …”
Posò la penna e chiuse il diario, riponendolo poi accuratamente nel cassetto. Si alzò dalla sedia e si guardò intorno: si rese conto che ormai la sera era scesa e che l’unica fonte di luce nella sua stanza era la lampada sulla scrivania.
Fece per dirigersi sul letto, quando sentì un lieve ticchettio.
“Sarà forse la zia che bussa alla mia porta?”
Pensò dirigendosi alla porta della sua camera. Afferrò la maniglia ed aprì, sporgendosi timidamente sul corridoio: non c’era nessuno. Dal piano inferiore proveniva un sommesso chiacchierare, probabilmente la televisione. Da due mesi a quella parte quasi più nessuno aveva voglia di parlare in famiglia.
Michiko richiuse la porta, pensando che fosse stato unicamente frutto della sua immaginazione. Questa volta ritornò alla scrivania e spense la luce, poi con decisione andò sul suo letto; distendendosi, agguantò con forza il cuscino e lo tenne stretto a sé, come se stesse cercando di abbracciare qualcosa che non poteva in realtà afferrare. Si accoccolò su sé stessa, continuando a tenersi il cuscino fra le braccia; i pensieri che la tormentavano erano talmente confusi ed affollati nella sua testa, che le dettero quasi l’impressione di svanire. Nell’oscurità, nel silenzio, nella sua stanza, la ragazza si ritrovò in uno stato di dormiveglia, come sospesa nel vuoto in cui si sentiva cadere.
Stava quasi per addormentarsi, quando il lieve ticchettio fece nuovamente capolino. No … nonostante si sentisse più prigioniera del mondo onirico che presente nella realtà, capì che quel ticchettio era reale.
Si alzò controvoglia dal letto e provò a guardarsi intorno: era notte di luna nuova e non vi era assolutamente luce nella stanza; solo la lontana e fioca reminescenza della luce di un lampione. Provò allora ad acuire il suo senso dell’udito, ma non ricevette un segno. Si diresse dunque a tentoni verso la scrivania, per accendere la luce. Proprio nel momento in cui stava per premere l’interruttore risentì quel suono. Questa volta aveva capito: la finestra.
Facendo spazio nella sua mente ad altro, immaginò il peggio: un malintenzionato, un ladro, un maniaco, un mascalzone, un assassino … procedendo sempre a luce spenta, appoggiandosi ai mobili ed alle pareti, giunse all’angolo opposto della stanza dove, nascosti accanto all’armadio, c’erano due “cimeli” assai curiosi, che la sedicenne non aveva mai però esitato ad usare. Non aveva mai saputo il perché fossero lì nella sua stanza; lei non l’aveva mai chiesto e nessuno glielo aveva mai detto. Li prese entrambi, giusto per scegliere quale dei due sarebbe stato più utile al momento: nella mano sinistra teneva una vecchia mazza da baseball, che aveva almeno vent’anni, mentre nella destra impugnava un’altrettanto vecchia katana di bambù. Le soppesò per qualche secondo fra le mani, poi optò per la katana di bambù: più leggera, ma efficace.
Il ticchettio arrivò nuovamente, stavolta meno lieve. Michiko, afferrando con entrambe le mani la katana, si diresse lentamente verso la finestra, seguendo la luce esterna del lampione. Quando arrivò vicino a questa, vi si mise accanto, in modo da non essere vista. Emise un respiro profondo.
“Forza Michiko …”
Aprì di scatto tende e finestra e puntò la katana verso l’individuo che le stava di fronte.
-Non muoverti brutto maniaco!-
Aveva gli occhi spalancati e pieni di rabbia. Quando però quello che vedeva fu tradotto in informazione dal suo cervello, comprese l’errore in cui era caduta, per l’ennesima volta …
-Cavolo, Michiko, un giorno o l’altro mi farai fuori con tutti i tuoi attrezzi! Ed io che ero venuto per tirarti un po’ su di morale … -
Due occhi irriverenti color nocciola squadravano la ragazza.
-Non potresti farlo come tutte le persone normali, Kaito? Bussando alla porta, per esempio. –
-Noto che sei carina come al solito, sorellina. –
-Piantala scemo! Entra, altrimenti ci congeliamo tutti e due … -
Uno volta che il ragazzo fu entrato, la sorella chiuse la finestra ed accese la luce. 

  
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