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Autore: Gray Lady    22/07/2011    2 recensioni
Il mio primo racconto è un viaggio interiore alla scoperta del personaggio che più amo della saga di Harry Potter; spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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“Alzati, Ron, caro. È tardi, sai?”
Non ci sarebbe stato modo migliore di svegliare il ragazzo. Era talmente abituato agli urli belluini di sua madre, la mattina, che sentirla parlare in quel modo gli fece subito aprire gli occhi.
“E' arrivata una cosa per tee” canticchiò lei, poggiandogli in grembo una busta. Gonfia. Con inciso uno strano stemma: un corvo, un leone, un tasso e un serpente, stretti l’uno all’altro tutt’intorno a una grande “H”.
“Ma … ma allora …” Ron fissò la busta con gli occhi pieni di lacrime.
“Ooh, il piccolo Ronnie piange! Ma’, perché non gli dai un bacino?!”
Fred e George, i due gemelli, erano appena entrati nella stanza, e si erano accovacciati ai due lati del fratello, ridendo come matti.
“Piantatela! Vado a preparare il pranzo, cercate di non ammazzarvi. E … Ron …”
Il ragazzo alzò gli occhi su di lei.
“Complimenti!” sussurrò la madre, voltandosi in fretta per nascondere le lacrime.
“Santo cielo, ma perché siamo circondati da gente così emotiva?!” esclamò George.
“E anche tu, cos’hai da piangere? Nella nostra famiglia, tutti siamo andati ad Hogwarts, quindi perché non avresti dovuto?” fece Fred a Ron, la voce più dolce.
“Oh, ma lo sapete benissimo!!” sbottò lui.
I due gemelli indietreggiarono, stupiti dalla sua furia improvvisa.
Il ragazzo li fissò, gli occhi accesi.
“Tutti voi avete mostrato fin da piccoli che eravate maghi. Devo ricordarvelo? Fred, tre anni, saltellando da un piede all’altro appicca il fuoco alla porta del bagno, nel quale nostra madre era chiusa da circa mezz’ora. Avevo un anno, ma ricordo benissimo quanto ha urlato”.
“Volevo solo che uscisse, me la stavo facendo sotto” mormorò Fred a occhi bassi, le guance scarlatte.
“Beh, non sarebbe stata la prima volta, dico bene?” fece George.
“Ehi, razza di…”
“Ginny” esclamò Ron, bloccando Fred, che stava per lanciarsi sul gemello “all’età di sei anni già cavalcava la scopa. Charlie dormiva tra le zampe di un drago, Bill sapeva la lingua dei folletti a cinque anni. E Percy ne aveva otto quando ha cominciato a stendere trattati sull’importanza delle regole nella società. Scrivendo in Rune antiche. Ma io? Pensavate tutti che fossi un Magonò!”
Un Magonò era un Babbano nato da genitori maghi.
“Beh, tu… giochi molto bene a scacchi, e… ehm…”
Il mormorio imbarazzato di Fred si spense sotto le occhiate dei fratelli.
“Comunque, non lo sei, un Magonò, giusto? Ci vai! Vai ad Hogwarts!” esclamò George festante.
Ron saltò su dal letto, facendo balzare indietro i gemelli.
“Aria” borbottò “ho bisogno di aria”.
E uscì come un turbine, la busta ancora stretta in mano.
Camminando in fretta, prese la porta sul retro, per evitare l’allegria e le congratulazioni dei suoi familiari; aveva bisogno di stare solo. Di riflettere.
Non ci riusciva proprio, ad essere felice per Hogwarts.
Era stato talmente male, all’idea di non poter frequentare la più prestigiosa scuola di Stregoneria esistente, all’idea di essere l’unico della famiglia in cui non scorresse sangue magico, all’idea che niente, e nessuno, potesse liberarlo da quella maledetta sensazione di non valere un accidente.
Ora, non riusciva a credere a ciò che aveva sotto gli occhi.
Un foglio di carta, una verità limpida come la luce che splendeva tutt’intorno a lui.
Un foglio di carta, una certezza urlante.
Un foglio di carta, che con la sua semplice esistenza distruggeva le più profonde convinzioni di Ron, radicate al suo essere come piante rampicanti, insidiosi artigli che laceravano il suo animo.
Erano semplici, a dirsi, ma straordinariamente complesse, a pensarci  a mente sgombra.
Ron non si amava.
Continuamente preso in giro, seppur bonariamente, dai fratelli, soffocato da una madre oppressiva, era un ragazzo nervoso, impaurito, insicuro.
Temeva che da un momento all’altro qualcuno gli dicesse che c’era stato un errore, oppure saltasse fuori urlando: “Scherzavo!”
“Ronald Weasley? Quello lì? Ma no, ci siamo sbagliati!”
Udì una spettrale risata nella sua testa.
E rabbrividì, nonostante il sole fosse ben caldo, in quella mattinata di luglio; era al di là dal provare qualsiasi sensazione terrena: era immerso in se stesso.
Gli occhi dilatati, la bocca semiaperta, respirava boccate d’aria rovente.
Poi, qualcosa scattò.
E Ron Weasley gridò, gridò, con il cuore in gola, gridò, riversando nell’aria tutto ciò che l’aveva sempre fatto sentire umiliato, derelitto, solo.
Gridò, e lasciò che il suo grido venisse inghiottito dal vento, e con lui, tutte le sue paure.
Restò lì, in ginocchio, nell’erba, il capo rovesciato verso il cielo, le braccia spalancate, prostrato verso quell’immensità che aveva saputo tirar fuori.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasto lì, quando si rialzò.
Sapeva solo che, tra le dita, stringeva una busta.
E quella busta, era la sua vita.
  
 
  
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