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Autore: UkyTwitch    23/07/2011    4 recensioni
« Sarebbe stato fantastico se fossimo morti tutti stanotte,vero?»
Mentre il ragazzo pronunciava queste parole, a Clarissa parve che per un attimo la pioggia si fosse trasformata in neve, e che il bianco dei fiocchi si fosse confuso con quello della sua pelle.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Marrone scuro.

Come i suoi capelli lisci.

Clarissa faceva roteare con movimenti lenti e ripetitivi la stanghetta di plastica nella sua tazza di caffè appena presa allo Starbucks vicino scuola.

La notte aveva portato via ogni traccia del ragazzo cereo dalla sua mente.

Sarà stato un sogno. Continuava a ripetersi ogniqualvolta quel sorriso amaro le si ripresentasse davanti.

- Eccola là-

-Hai sentito del padre?-

Odiava vivere in una cittadina così piccola. Tutti sapevano i cazzi di tutti gli altri, ed era inevitabile che fosse così.

- Sì,poveretto.-

- … Probabilmente se non avesse avuto una figlia che fa patti col Diavolo non gli sarebbe successo tutto questo.-

Ecco un’altra cosa che odiava. La sua scuola. I suoi compagni. Tutte le chiacchiere che facevano su di lei. A causa del suo abbigliamento un po’ diverso e della sua riservatezza, Clarissa era stata scambiata per una poco di buono, una con la testa non tanto a posto. E questo portava a insulti e discriminazione. Ma, in fondo, era meglio così. Preferiva stare da sola piuttosto che circondarsi di persone con una mentalità così chiusa.

-Ah, eccoti qui, finalmente!-

Venne svegliata dall’ipnosi che il cucchiaino di plastica aveva sortito su di lei da una ragazza alta, sorridente, i capelli lunghi agitati dal leggero vento autunnale che si era appena alzato: Martha. L’unica che era riuscita ad avvicinarsi davvero a Clarissa, l’unica che era riuscita a vedere oltre quel muro fatto di borchie e dipinto di eyeliner.

- Attenta! Potrei iniziare a sparare serpenti dagli occhi. Potrei prenderti l’anima…!- Clarissa sorrise amaramente guardando l’amica che si sedeva davanti a lei ridendo sommessamente.

- Non ascoltarli, sono un branco di idioti.-

- Non c’è bisogno che tu me lo dica.- Sorseggiò il suo caffè chiudendo gli occhi e assaporando quel momento in cui la bevanda amara scivolava fin nel suo stomaco, diffondendo calore in tutto il suo corpo. Martha roteò gli occhi: la sua amica era così, non accettava consigli da nessuno, pretendeva di poter fare tutto da sola. Quando Clarissa finì di bere, poggiò il bicchiere sul tavolo del cortile della scuola e fissò lo sguardo sull’amica.

- Immagino che le voci siano arrivate anche a te, comunque.-

- Aspettavo di incontrarti per accertarmi di persona che fossero vere. –

La ragazza sospirò. Magari fossero false… Pensò tristemente. Si guardò intorno, per essere certa che nessuno li ascoltasse, poi si sporse verso Martha, mettendosi in ginocchio sulla panchina. Prese un respiro profondo e iniziò a parlare.

- Mio padre è stato operato l’altra notte, come ti avevo detto. –

Martha annuì, posando la sua mano su quella di Clarissa, per incoraggiarla ad andare avanti. La ragazza continuò tremante.

- Beh… L’infezione si è espansa fino a diventare pericolosa per il resto del corpo. Gli hanno… Amputato… Tutt’e due… Le gambe…-

Iniziò a singhiozzare. L’amica si alzò e andò da lei, per stringerla in un abbraccio consolatorio. – E non so per quale dannatissimo malfunzionamento, ci hanno in poche parole detto che ha vita breve…- Con quest’ultimo sussurro nascose la testa nel petto di Martha, facendosi cullare per cinque minuti buoni. Dove sarebbe finita senza di lei? Senza i suoi abbracci, i suoi silenzi comprensivi? In quel momento Clarissa si sentiva così fragile che sapeva che avrebbe potuto autodistruggersi da un momento all’altro. –Dai, bella, combatti. – Martha le prese il viso fra le mani e sorrise. Ricambiò con un sorriso tirato, poi entrambe si alzarono e si diressero all’interno delle mura scolastiche, richiamate dalla campanella. Clarissa non le aveva raccontato né della sua fuga fuori città, né del ragazzo cereo, quasi come se volesse convincere anche se stessa che non fosse mai successo niente, nonostante le fosse impossibile evitare il ricordo di quella perfetta pelle bianca almeno un paio di volte a lezione.

 

- Ehi, ti va di andare a mangiare qualcosa insieme ora?- Finalmente era finita. Martha aveva preso Clarissa per mano per evitare di perderla nella folla all’uscita e la stava invitando fuori a pranzo. Domanda ormai retorica, dato che pranzavano ogni santo giorno insieme… La ragazza sorrise e annuì, poi alzò gli occhi al cielo. Aveva sentito qualcosa posarsi dolcemente sulla sua faccia.

Nevicava.

Di già? È solo Novembre dopo tutto… Pensò perplessa. – Ti muovi Clarissa? È solo neve! Non ti ucciderà!- Martha la tirò fuori dai cancelli della scuola, solo per ritrovarsi immersa in una folla ancora più grande e agitata. – Ma si può sapere che succede oggi?! C’era uno sciopero e noi non lo sapevamo?!- Mentre l’amica continuava a blaterare lamentele senza senso dovute alla fame, Clarissa si guardava intorno, cercando di capire qualcosa; bloccò un ragazzo che era sicura fosse nel suo corso di Biologia. Questi la guardò dapprima stupito, poi evidentemente la riconobbe anche lui e si calmò. – Ehi, sai per caso a cosa è dovuto tutto ‘sto casino?- Il ragazzo si strinse nelle spalle. – Dicono che ci sia una parata che sta attraversando tutta la città.- Martha si intromise nel discorso. – Una parata?! Cazzo, ma allora c’era davvero uno sciopero e noi non lo sapevamo! Clarissa! Mi deludi!- La ragazza roteò gli occhi e guardò il ragazzo come a scusarsi per la sua amica, poi la tirò via, facendosi spazio fra la folla. Più andava avanti, più sentiva della musica provenire da una delle strade. Si diresse senza esitazione verso di essa, trascinandosi dietro una Martha alquanto perplessa. Svoltò di qua, girò di là, andò dritto… Si fermò. L’amica le sbatté contro.

- Clarissa si può sapere dove co… Oh. –

Erano sbucate nella via principale della cittadina, e quello che si trovarono davanti fu qualcosa di strabiliante.

Un enorme carro, la cui base era ricoperta da drappeggianti stoffe rosse e festoni bianchi, portava sopra cinque ragazzi, cinque musicisti, per l’esattezza: un cantante, due chitarristi, un bassista e un batterista. Dietro di loro, un enorme corteo formato da uomini e donne pallidissimi, ma che a Clarissa parvero più vivi che mai; i vestiti che portavano, inoltre, le ricordavano molto quelli del ragazzo cereo. La musica non era per niente quella che ti aspetteresti da una banda da parata: andava più sul rock, inoltre la voce del cantante risuonava per tutta la strada. Il tutto, contornato da un cielo grigiastro e da piccoli fiocchi di neve. Clarissa camminò lentamente in direzione del carro, affascinata come non lo era mai stata in vita sua, seguita da Martha. Fece in modo di trovarsi a lato della banda, per poter osservare coloro che stavano dando vita a quello spettacolo. Il suo sguardo passò dal batterista, al bassista, ai due chitarristi, per poi posarsi sul cantante. Quando lo riconobbe ebbe un tuffo al cuore.

Era lui. Il ragazzo dalla pelle bianca.

- Ah ah, guarda come si agita quello più bassino… Ehi, Clarissa? Dove vai?!- Martha non fece in tempo a fermare l’amica che questa si era già messa a correre dietro al carro, per poi posizionarsi ordinatamente dietro di esso e seguirlo. Chi sei? Questa domanda la torturava. Doveva scoprilo. Li avrebbe seguiti fino alla fine, si sarebbero dovuti fermare prima o poi. Guardò dietro di sé: l’amica non c’era più, l’aveva persa fra la folla. Non si preoccupò più di tanto, la conosceva bene: era già stata anche troppo senza mangiare, se ne sarebbe andata a pranzare e poi si sarebbe fatta sentire il più presto possibile sul cellulare, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi. Tornò a guardare davanti a sé dopo aver ammirato i costumi del corteo dietro al carro,e si concentrò sulla neve fredda che le si poggiava in viso e sulla musica che proveniva dalla banda. In particolare, una frase la catturò subito:

 

And even if you’re dead and gone believe me, your memory will carry on, we’ll carry on.

 

Il suo pensiero andò subito a suo padre. Si portò una mano al petto, chiuse gli occhi, si fece cullare da quella voce. Per un attimo sentì una forza nuova scorrerle dentro, una forza che la convinceva che sì, era possibile andare avanti, e che sì, poteva, anzi, doveva combattere. Riaprì gli occhi, e si accorse che il carro si era ormai spinto fuori dalla città, e che la desolazione della periferia iniziava pian piano a prendere possesso del paesaggio circostante. Circa cinque minuti dopo, Clarissa si trovò davanti a quello che sembrava essere un accampamento, simile a quelli che si scorgono ogni tanto dietro ai circhi: un po’ ovunque erano sparse roulette e piccoli tendoni. In poco tempo il corteo si sciolse, e tutti si diressero in varie direzioni, a gruppi di due, in tre, da soli. La ragazza si guardò intorno, ma aveva ormai perso di vista i cinque musicisti; decise perciò di cercarli. Si muoveva confusa e confusamente, come una farfalla contro una finestra, e infatti non si stupì molto quando, guardando dietro di sé mentre ancora andava avanti, sbatté contro qualcuno. Si girò velocemente mormorando un flebile – Scusa…-, poi si bloccò ad osservare, un po’ spaventata e un po’ ammaliata, la donna che si trovò davanti: il suo volto era coperto da quella che le sembrò essere una specie di maschera a gas, e da essa fuoriusciva una cascata di dorati capelli ricci; portava un vestito gotico, la cui gonna era ricoperta da una rete metallica. Fissava Clarissa, la testa leggermente inclinata, con aria interrogativa; nonostante il suo aspetto poco incoraggiante, la ragazza sentiva che non le avrebbe fatto nulla di male. Quanto può essere diversa da me, in fondo? Pensato ciò, prese coraggio e riuscì a formulare una frase di senso compiuto. – Ehm, senti… Tu fai parte della banda, no? Quindi… Mi chiedevo se… Sapessi dove fosse il cantante che stava sul carro…- La donna rimase immobile per qualche attimo, poi girò la testa verso destra e alzò lentamente il braccio candido in quella direzione; seguendo il suo indice, Clarissa notò due roulette decisamente più grandi delle altre, dipinte di nero. – Ehi, wow, grazie mille!- Guardò la gotica con un sorriso pieno di gratitudine; questa fece un inchino degno di una dama dell’Ottocento, poi osservò la ragazza mentre correva verso la sua mèta.

Eccoci. Ci sei. Ce l’hai fatta.

Ora bussa.

Clarissa si ripeteva queste frasi da ormai una decina di minuti, senza però trovare la forza per eseguire l’ordine che si stava dando; deglutì, ripensò per l’ennesima volta al sorriso triste che l’aveva incantata la notte prima, e si decise a colpire la porta della roulette con il pugno, ma il suo momento di gloria dovuto al coraggio ritrovato venne brutalmente distrutto, perché questa si aprì senza che lei dovesse fare niente. Indietreggiò, il cuore che le batteva a mille, il respiro smorzato dall’ansia di scoprire chi si celava dietro quel rettangolo nero. Quando lo vide, poi, l’aria le mancò completamente.

Era lui, non era stato un sogno, un’allucinazione! Stessi capelli neri, stessa divisa, stessa pelle bianca come il latte. Stavolta riuscì anche a vedere il colore dei suoi occhi: un verde chiaro che pareva brillare di luce propria. Clarissa si portò una mano al petto con la paura che il cuore le scoppiasse, mentre il ragazzo si guardava intorno uscendo completamente dalla roulette. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lui le donò un altro di quei preziosi e struggenti sorrisi, che sottolineavano ancor di più il viso infantile del ragazzo. – Sono così contento di vedere che sei ancora viva.- Ecco che pronunciava un’altra di quelle frasi che sarebbero rimaste impresse nella mente di Clarissa per sempre. – Ma… Ieri notte… - Balbettò, confusa. -Era quello che tu volevi sentirti dire. – Il sorriso amaro sul volto del ragazzo non accennava ad andarsene. – Chi sei tu…?- Le porse la mano, coperta da guanti neri privi di dita, guardandola con i suoi occhi chiari. – Io mi chiamo Gerard.- La ragazza la strinse e rimase sconvolta nel sentire i suoi polpastrelli incredibilmente freddi. – Io… Io sono Clarissa. – Il ragazzo sorrise di nuovo, non più tristemente. – Clarissa. Mi piace... Piacere. Cosa ci fai qui? – Si portò una mano fra i capelli bagnati dalla neve, formulando una risposta. – Volevo conoscerti. Volevo capire chi fossi… Ieri sera mi hai sconvolto non poco.- Gerard rise lievemente. – Ti ho spaventato?- Clarissa scosse la testa. – No,no. Sconvolgere è molto diverso da spaventare.- E non sapeva ancora, quanto quel ragazzo l’avrebbe sconvolta. Quest’ultimo sorrise felice, un sorriso che la fece ritrovare a guardarlo con un’espressione beota in volto. Ma che… Clarissa riprenditi! Pensando ciò si massaggiò la fronte con l’indice e il pollice, poi tirò fuori il cellulare dalla tasca, perché aveva vibrato. Martha le aveva appena mandato un sms (più somigliante a una lettera, a dire il vero) in cui raccontava della sua epopea per cercare un bar aperto che avesse camerieri che non si fossero fatti distrarre dalla parata. Inoltre, la sgridava per essere “scappata all’improvviso”. – Devi tornare a casa?- Gerard la richiamò alla realtà. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. – Beh… Sì, credo proprio di sì. – Annuì per rafforzare il concetto. – E… Ci sai tornare da sola?- Clarissa si guardò intorno, cercando di riconoscere il posto in cui si trovavano, ma dovette rigirarsi verso di lui, le guance lievemente rosse. – Ehm… No. – Gerard rise dolcemente. – Beh, allora se vuoi posso accompagnarti io, tanto per oggi ho finito. – Alla ragazza si illuminarono gli occhi, e fece di sì con la testa più volte prima di calmarsi.

Mentre abbandonavano l’accampamento, Clarissa notò che tutte le persone che incrociavano lanciavano un’occhiata scioccata, a volte severa, al ragazzo, e questo la metteva a disagio. Per fortuna non impiegarono troppo tempo per lasciarsi roulette e tendoni alle spalle.

 

- E quindi… Come mai siete qui? Chi siete? – Camminavano da ormai un quarto d’ora, e Clarissa era finalmente riuscita a rompere il ghiaccio, la testa china a osservare la neve che si era ammucchiata ai lati della strada. – Beh, noi siamo la Black Parade. Siamo i soliti ragazzi che vogliono cambiare il mondo con la musica, tutto qui… - La ragazza alzò un sopracciglio. L’aveva presa per stupida? – Sì, raccontala a qualcun altro. Quelli che ho visto in questa stessa strada qualche ora fa non erano i “soliti ragazzi”. – Clarissa sapeva che c’era qualcosa di diverso in loro. Gerard ridacchiò. – Beh, diciamo che allora siamo degli insoliti ragazzi con una missione.

- E quale sarebbe questa “missione”?-

Il ragazzo si fermò, guardando il cielo. A Clarissa venne subito in mente la sera prima, la neve che spariva nel pallore della sua pelle. – Noi… Vogliamo solo far capire a chi ci ascolterà che bisogna andare avanti. – Riprese a camminare. – Più di così non posso dirti, scusa.-  Lei alzò un sopracciglio, ma non osò chiedere altro: i suoi occhi verdi si erano rabbuiati all’improvviso, e la metteva a disagio pensare di essere stata la causa di quel mutamento così repentino. Passò il resto della passeggiata a osservarlo, e più lo guardava, più quel suo aspetto “insolito”, come lo aveva definito lui, la incuriosiva, più sentiva il bisogno di conoscerlo meglio. Tutto di lui la attirava e la spaventava allo stesso tempo: quella pelle così bianca, che ricordava quella di un fantasma, ma che le sembrava tanto liscia e candida; quegli occhi contornati di un nero pesante, tetro, ma che faceva risaltare ancora di più il verde delle sue iridi; il viso fanciullesco e quasi femmineo, l’espressione perennemente assorta.

Voglio sapere tutto di te.

Arrivarono davanti alla casa di Clarissa che già si stava facendo buio; prima di congedarsi, la ragazza bloccò Gerard per un polso. – Senti, ti prego – iniziò, uno sguardo supplichevole – Non è che domani hai voglia di fare una passeggiata? Se non vuoi non c’è problema…- Sentiva di aver fatto una cazzata. Aveva chiesto a un ragazzo conosciuto la notte prima se voleva uscire con lei? L’aveva fatto davvero? Sarebbe stato normalissimo se avesse declinato gentilmente, magari in imbarazzo. Ma Gerard non era un ragazzo normale, mi sembra che l’abbiate capito anche voi. – Mi piacerebbe un sacco, ma di mattina abbiamo una parata in un paese qui vicino, quindi dovremo fare di pomeriggio.- Clarissa rimase un attimo sconvolta, poi si riprese e rispose. – Ah, perfetto, io tanto ho scuola.- Arrivò alla porta di casa. - Allora… A domani!- Agitò la mano, mentre il ragazzo si congedava con un semplice cenno del capo per poi dileguarsi nel nero di quella serata d’autunno.

Clarissa corse in camera sua, dopo aver salutato frettolosamente la madre, e si gettò sul letto; ripensò alla giornata appena trascorsa, poi il pensiero corse a suo padre, e si rese conto che Gerard era riuscito a non farle pensare ai suoi problemi per un pomeriggio intero. Sorrise, prese il cellulare e scrisse un messaggio a Martha:

 

“Hey, scusa se ti ho fatta preoccupare. Comunque sto meglio di stamattina, non ho avuto il tempo di ringraziarti per il tuo appoggio.

Ah, e domani ti devo raccontare una cosa.

Ho conosciuto un insolito ragazzo con una missione.”

 

***

Eccomi qua col secondo capitolo! Ce l'ho fatta, yuu-huu! Era da giorni che mi dicevo che l'avrei finito e poi per un motivo o per un altro non ci riuscivo D: Ma ora sono qui. u.u9 Uhuh, il Gerard di questa storia è parecchio enigmatico...

By the way, vorrei ringraziare chi ha recensito il primo capitolo, e spero che vi sia piaciuto anche questo; grazie per aver letto :3

Uky ♥

  
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