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Autore: chaplin    23/07/2011    2 recensioni
Il bello dell'essere bimbi stava nell'ebbrezza costituita da tutte quelle cose che apparivano nuove e fuori dal comune, quei venti contrastanti che s'abbattevano contro gli statici schemi che gli adulti propinavano ai loro figli. Ogni piccola novità era un segnale libera tutti, un altro passo verso l'essere giovani.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1.
Agli occhi di un bambino

 

Il bello dell'essere bimbi stava nell'ebbrezza costituita da tutte quelle cose che apparivano nuove e fuori dal comune, quei venti contrastanti che s'abbattevano contro gli statici schemi che gli adulti propinavano ai loro figli. Ogni piccola novità era un segnale libera tutti, un altro passo verso l'essere giovani.
L'afa estiva si faceva sentire per le stradicciole di Birmingham e i bambini giravano a petto nudo con le loro testoline rapate, correndo come soldatini in miniatura. Giocavano a far la guerra, palleggiavano, ridevano, si gridavano a vicenda... Un quasi dodicenne passava di lì scrutandoli dal marciapiede, nascondendo il fascino che provava verso quei giochi, piccoli giochi a cui ormai non giocava più.
Sono grande, ormai, si diceva, ho ben altri interessi. A smontarlo, una sola domanda: quali interessi?
Perché, in apparenza, di interessi non ne aveva. La letteratura? I libri li leggeva, certo, ma per lui erano solo parole su parole racchiuse da un altro strato di parole.
Una noia. Il cinema? Pacchiano... Gente che finge di essere altra gente. Era stufo di farsi fregare. C'era sempre il calcio, però... Un buon modo di sciogliere la tensione causata dalla scuola, ma chissà... Non poteva limitarsi a seguire una palla per il resto della sua vita. E già pensava alla sua vita...
In quel momento, i suoi occhi si fermarono sulla superficie liscia di un pannello trasparente di vetro, e la sua attenzione andò a fermarsi su quei quadrati belli e colorati che il commesso del negozio aveva esposto in vetrina.
All'inizio fece fatica a capire cosa potessero essere quei... quadrati, a tratti rettangolari, essendo lievemente schiacciati al lato superiore. Sembravano figurine. Raffiguravano visi diversi da quelli che componevano la cerchia della gente che era abituato a vedere, denti sicuramente più dritti rispetto agli sgorbi giallognoli che ogni individuo di sangue inglese era costretto a portarsi dietro, bellissime acconciature che mai aveva visto prima d'ora, nomi propri di persona che sembravano uscire da romanzi di avventura o da fumetti di supereroi...
“Ti piace il rock 'n' roll?”
Si girò per vedere chi avesse parlato e i suoi occhi incontrarono quelli di un ragazzo paffuto di statura media che stringeva tra le mani un sacchetto della spesa; un ciuffo scuro gli copriva un occhio e sotto il suo nasino dritto si allargava il sorriso di una persona gentile.
Sembra simpatico, almeno... Ma... Cos'aveva detto?
“... prego?” si sentì di dover chiedere, grattandosi la testolina folta e bionda.
Il ragazzo bruno si mise un dito tra le labbra, pensieroso.
“Mmm, allora mettiamola così... Come ti chiami?”
“Robert...” rispose il biondo.
“Ok, Robert,
ti piace la musica?
Il biondo arrossì.
Non sapeva se gli piacesse la musica, a dirla tutta. Fino a quel momento, la musica alle sue orecchie era stata solo un'accozzaglia di note, pretenziose composizioni classiche realizzate da gente barbosa, ascoltate a loro volta da altra gente barbosa... Qualcosa di astratto e difficile,
troppo difficile da cogliere, per lui.
“Non... non saprei...”
L'altro allora si avvicinò a lui, tendendogli una mano.
“Bene, Robert,” il bruno assunse un'espressione solenne, “Io mi chiamo John.”
“Piacere, John,” Robert ridacchiò. “Io mi chiamo Robert, e...”
John scoppiò in una sguaiata risata. “
Me l'hai già detto!
Robert sbuffò. “Già... Scusa...”
“E ora che hai da scusarti?!” esclamò John, sorpreso, per poi tirargli una sonora pacca sulla schiena e dirgli, rivolgendogli un occhiolino: “Dai, ora entriamo in questo negozio, che ti mostro cos'è il rock 'n' roll.”
Robert annuì, ora sorridendo come non mai, mentre un brivido percorreva la sua schiena. E non ebbe nemmeno il tempo di prendere un respiro perché il pungente odore di legno e di vecchio lo precedette e lo travolse, ma ancor più veloce fu il suono di una chitarra elettrica che come il vento raggiunse le sue orecchie...
E in quel momento, il piccolo Robert Anthony Plant conobbe il rock 'n' roll.

Robert! Cos'è quella cosa che tieni in mano?!”
Robert ebbe un sussulto. Non si aspettava che sua madre fosse già tornata dal supermercato.

Che guaio...
“Ermmm... Ciao mamma!” esclamò, abbozzando un sorrisone spensierato.
La signora Plant sbuffò sonoramente ignorando quelle figurative scarpe tirate a lucido che le stava porgendo il figlio e, in un gesto rapido, prese quel sacchetto di plastica causando le proteste del bimbo. Si aspettava di vedere ogni sorta di oscenità che la fantasia di un undicenne cresciuto troppo in fretta potesse sognarsi, invece l'unica cosa che le sue dita riuscirono a pescare fu un 45 giri malandato.
Robert si mordeva il labbro inferiore trattenendo un pianto liberatorio, mentre la madre esaminava quel piccolo oggetto che le era capitato tra le mani. La disperazione del ragazzo nasceva dal non riuscire a decifrare quelle labbra serrate e dipinte di un insopportabile rosso ciliegia, quegli occhi fissi su quella foto di Elvis Presley stampata sulla copertina. Era arrabbiata? Era delusa?
“Robert... Robert Anthony Plant...”
Robert divenne completamente rosso e quasi si mise sull'attenti.
Inghiottì un altro po' di saliva. Cosa gli stava per dire?
“... Robert Anthony Plant, figliolo,
da quando compri questa spazzatura?!
Aveva urlato. Sua madre aveva urlato. Forte, anche. E Robert odiava quando sua madre gli urlava addosso mentre le sue guance prendevano lo stesso colore delle sue labbra.
E quando volle salvare quel piccolo tesoro fu troppo tardi, perché un attimo dopo l'unica cosa che rimase di quel vinile fu un mucchio di plastica rotta e la copertina stracciata scagliata contro ad un muro. Sotto tutta quella carta, il sorriso di Elvis era ormai lontano, soffocato sotto le macerie.
“E ora vai a studiare, invece di perdere tempo con queste cose!”
Fu solo allora che le lacrime gli salirono agli occhi.
Appena la signora Plant fu lontana, il ragazzo cadde in ginocchio e scoppiò a piangere, tenendosi il viso tra le mani.

John sembrava sorpreso.
“Davvero tua madre ha reagito così?”
Robert non aveva nemmeno la forza di rispondere. Annuì in silenzio, col labbrino fuori.
“Brutta storia, amico!” esclamò il bruno, dando un buffetto alla spalla del biondo. “A questo punto, direi di fare così...”
“Così
come?” Il ragazzo biondo sembrava arrabbiato, ora. “Cosa devo fare? Io... io non avrò mai un futuro se continuo in questa maniera, devo studiare, devo fare scelte ragionevoli in questa vita che mi ritrovo, e... E diamine, cosa mi porterà il rock 'n' roll? Niente! Non mi porterà niente!”
Detto questo, si mise a singhiozzare, un po' dalla vergogna e un po' dall'ansia che gli aveva portato lo sfogo.
John lo guardava in silenzio, col broncio.
“Uff... E stai già a pensare al futuro, tu?”
Robert tirò su col naso e si voltò a guardare John con un'espressione perplessa sul volto.
“C-cosa...”
“Dai, avrai la mia stessa età e già pensi al futuro! Il futuro non esiste, Robert, non devi dare ascolto ai tuoi, devi seguire il presente e vivertelo... Il presente sfugge dalle nostre mani, proprio per questo motivo noi dobbiamo imparare a viverlo a pieno affinché il passato non torni per distruggere quel che stiamo lentamente costruendo...” Fece una piccola pausa voltandosi per lanciare un'occhiataccia ad un autista che s'ostinava a tener premuto il clacson della macchina. “Non devi aver paura... Abbiamo entrambi dodici, undici anni, non lo so, ma abbiamo comunque una vita davanti... Non dare ascolto ai tuoi, vai per la tua strada...”
Si guardarono per un po', fino a quando Robert si decise ad asciugarsi le palpebre e annuì, deciso finalmente a vivere.
John sorrise.
“Significa che il prossimo giovedì sarai di nuovo qui, vero?”
“S... sì!” annuì di nuovo, ridendo.
“Ed entrerai di nuovo in questo negozio con me, ok?”
“Sì!”
“E sarà così per tutti i giovedì, me lo prometti?”
Qui Robert esitò, ma alla fine esclamò un altro “Sì!” buttandosi tra le braccia robuste dell'amico.

E fu così per tutti i giovedì, e il giovedì divenne ben presto il giorno della settimana preferito di Robert.
Ogni giovedì scopriva un nuovo artista, ascoltava le ultime uscite e rimaneva a bocca aperta davanti alla televisione, costantemente sintonizzata su canali che in casa Plant non aveva occasione di vedere. Elvis era il migliore, con quei capelli e quello sguardo che pareva aver rubato il cuore di milioni di ragazze e l'ammirazione di milioni di ragazzi. Anche a Robert venne voglia di farsi il ciuffo come Elvis – così come tanti altri ragazzi che da tempo addietro avevano iniziato a imbrillantinarsi i capelli. Voleva vestirsi come lui, voleva essere come lui, voleva essere lui.
Un giovedì, però, John non si fece più vedere.
E fu lo stesso per gli altri giovedì che seguirono, e arrivarono in ordine cronologico agosto, il suo dodicesimo compleanno e poi settembre, e a seguire un nuovo anno scolastico, che in pochissimo tempo riusc
ì a soffocare tutte le novità giornaliere a cui ormai si era abituato.
La scuola era cos
ì vecchia, ordinaria, monotona... Nessuna risata somigliava a quella sgraziata e stridula di John, nessuno aveva il coraggio di strapparsi di dosso quell'orrenda uniforme, nessuna personalità riusciva a dimostrarsi forte come quella di un ribelle. C'era da annoiarsi a morte. E Robert odiava la noia, era il sentimento peggiore che esistesse su questo universo.

 

 


Aggiorno subito perché desidero dare almeno una piccola idea di come sarà la storia. In questo capitolo ho voluto far entrare in scena Robert e un altro personaggio che penso avrete tutti capito chi sia, nonostante dubiti che qualcuno stia leggendo questa fic, LOL. In ogni caso ho intenzione di proseguirla, visto che sono ispirata e sento di poter partorire nuovi capitoli nonostante abbia un mucchio di compiti da recuperare – in sintesi, spero che il capitolo sia piaciuto almeno un poco, e desidero clemenza nel caso di eventuali errori, l'ho scritta di getto e al momento non ho tempo di ricontrollare. Detto questo, ringrazio di cuore Selene Silver che ha recensito e ringrazio anche chiunque abbia dato un'occhiata a questa storia. Buon proseguimento di serata. <3

  
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