The Best Source Of Comfort
“... e ora dopo ora, rimandava quello che sapeva di
dover dire, di dover fare, perché era troppo difficile rinunciare al conforto
più dolce.” (HBP)
Il sole
stava tramontando. Harry lo guardò sparire dolcemente dietro il profilo delle
montagne che circondavano la valle, mentre il cielo si tingeva di rosso e oro.
Era seduto
in riva al lago, la schiena poggiata contro il tronco di un albero, e osservava
la scena fra le ciglia socchiuse. Faceva piuttosto caldo, quella sera, perché
per tutto il giorno il cielo era stato sereno e il sole aveva brillato più
sfolgorante che mai. Ormai era giugno inoltrato, ricordò. La scuola era finita
e tutti gli studenti erano liberi di tornare a casa, se volevano. Ma ormai il
tempo, gli esami e lo studio per lui non avevano più alcun significato.
Aspettava solo che avesse luogo il funerale di Silente, prima di partire e di
lasciare Hogwarts per sempre.
La
superficie del lago era lievemente increspata, e scintillava di riflessi
dorati. Harry spostò distrattamente una mano, passandola piano sulla copertina
del libro che aveva in grembo. Aveva tentato di leggerlo per quasi tutto il
pomeriggio, nella vana speranza di distrarsi un po', ma i suoi sforzi si erano
rivelati totalmente inutili. La sua testa era talmente piena di pensieri scuri
e ingombranti che non c'era spazio per nient'altro.
A parte
Ginny, naturalmente.
L'immagine
di lei si materializzò nella sua mente con sorprendente velocità. I suoi lunghi
capelli rossi, che teneva sempre sciolti sulle spalle; quel sorriso ironico,
che all'occorrenza sapeva anche essere seducente. I suoi occhi scuri, in cui
amava perdersi quando la guardava da vicino. Harry abbassò le palpebre, mentre
una morsa terribile gli stringeva il cuore. Pensare a lei era insieme il
piacere più grande e la tortura più terribile.
Quelle
settimane trascorse con Ginny erano state le più felici della sua vita: gli era
sembrato di essere un'altra persona, una persona normale. Era stato
talmente bene che per un po' si era scordato delle responsabilità tremende che
gli gravavano sulle spalle: Voldemort, gli Horcruxes e la Profezia avevano
cessato di essere concetti comprensibili. Ma la morte di Silente lo aveva
riportato bruscamente alla realtà.
Fin
troppo bruscamente, pensò Harry, raccogliendo le ginocchia al petto e stringendole con
le braccia.
Non
sarebbe mai riuscito a dimenticare l'immagine di Silente che veniva scagliato
in aria dall'Avada Kedavra di Piton, il suo corpo senza vita che cadeva oltre
il parapetto della Torre di Astronomia, inerte come una bambola di stracci.
Quella morte lo aveva colpito - se possibile - ancora più duramente di quella
di Sirius, forse perché, senza rendersene pienamente conto, aveva sempre dato
per scontato che Silente non se ne sarebbe mai andato. Una parte di lui aveva
pensato che il vecchio Preside gli sarebbe rimasto per sempre accanto, per
guidarlo e consigliarlo con la sua grande, infinita saggezza.
Invece, se
n'era andato per sempre e lui non si era mai sentito così solo in vita sua. In
un certo senso, è vero, lo era sempre stato: dall'infanzia infelice con i
Dursley, alla morte di Sirius e alla scoperta della Profezia. Essere una
creatura marchiata lo aveva sempre fatto sentire diverso dagli altri, destinato
a un futuro incerto e terribile di cui non riusciva a distinguere i contorni.
Silente però era sempre rimasto al suo fianco, ed era stato l'unico -
nonostante l'affetto di Ron, Hermione e della famiglia Weasley - a farlo
sentire davvero normale. Con Silente era stato capace di affrontare gli argomenti
più terribili e spaventosi, senza lasciarsi prendere dal panico e senza perdere
completamente la testa; a pensarci adesso, dubitava fortemente che sarebbe
riuscito a mantenersi lontano dalla follia se non ci fosse stato il vecchio
Preside a sostenerlo.
Adesso,
quindi, era veramente solo. Il sentiero che si snodava davanti a lui era
lungo e buio, e Harry aveva soltanto una certezza dentro di sé: che avrebbe
dovuto percorrerlo senza l'aiuto di nessuno. Le cose si stavano facendo sempre
più serie, più pericolose, e non avrebbe mai voluto mettere in pericolo le
persone che gli stavano a cuore solo per puro egoismo.
L'immagine
di Ginny tornò a farsi strada nella sua mente, invadendola con prepotenza. La
brezza fresca che spirava dal lago gli scompigliò i capelli, sollevandoglieli
dalla fronte, e Harry si immaginò che fosse la mano piccola e calda di Ginny ad
accarezzarlo con dolcezza, come solo lei sapeva fare.
Perché? pensò, rattristato. Perché
devo farle del male? Non se lo merita…
Aveva
saputo di doverla lasciare fin da quando Silente era morto, ovviamente. Se si
guardava indietro adesso, alla luce di tutto quello che era successo, non
riusciva a capire come avesse fatto ad essere così stupido. Non avrebbe dovuto
coinvolgere Ginny così profondamente nella sua vita; non avrebbe dovuto
permettere che tutti nella scuola li vedessero insieme, e parlassero della loro
relazione, perché quella notizia sarebbe potuta giungere ad orecchie sbagliate
che l’avrebbero usata contro di lui. Contro di loro.
Poteva già
essere troppo tardi. Avrebbe dovuto parlarle da subito, da quella notte
maledetta, ma non ne aveva avuto il coraggio. Aveva temuto di spezzarle il
cuore ma, soprattutto, di spezzare il proprio. Ginny era l’unico conforto che
gli restava, l’ultima luce in un mare sconfinato di oscurità, e anche se sapeva
per certo che prima o poi avrebbe dovuto separarsi da lei era duro infliggersi
quel dolore con le proprie mani.
Sentì dei
passi sull’erba soffice, alle sue spalle, e suo malgrado sorrise. Avrebbe
riconosciuto il suo modo di camminare anche nel fragore di un uragano. Voltò
appena la testa, e colse un baluginare rosso fiamma mentre lei gli arrivava
accanto.
“Ehi…” lo
salutò, restando in piedi lì vicino. La sua voce era dolce.
Harry alzò
lo sguardo su di lei.
“Ginny”
mormorò, abbozzando un sorriso.
“Ti ho
cercato ovunque” gli disse, tendendogli una mano. Era ancora immobile, davanti
a lui, e i suoi capelli sembravano incandescenti per via del tramonto alle sue
spalle. Era talmente bella che gli fece male al cuore.
Le prese
la piccola mano nella sua e la tirò giù accanto a sé, stringendosela contro.
“Che
succede?” domandò lei, sorpresa da quell’impeto di affetto. Gli appoggiò la
guancia sulla spalla, e scrutò in silenzio il suo profilo per qualche istante.
“Brutti pensieri?”
Harry
annuì, stancamente. “Già.”
“Posso
esserti utile in qualche modo?” chiese ancora Ginny. Gli posò una mano sul
petto, all’altezza del cuore, e Harry fu certo che lo avesse sentito battere
più veloce del normale. La vide accennare un piccolo sorriso, prima di
insinuare la punta delle dita fra i bottoni della camicia, sotto alla cravatta
allentata.
La mano di
Harry salì a coprire la sua, ma non cercò di fermarla… anzi, si limitò a
spingerla con dolcezza più sotto al tessuto, per farle capire che quello che
faceva – tutto quello che faceva – gli piaceva. Ginny gli abbandonò la testa
sulla spalla e cominciò a slacciare i bottoni, ad uno ad uno, lentamente.
Harry le
lasciò la mano e si accomodò meglio con la schiena contro l’albero, cingendole
le spalle con un braccio. Quando le sue dita gli toccarono la pelle, non poté
fare a meno di rabbrividire nell’aria fresca del crepuscolo. Il sole era
sparito quasi del tutto dietro le cime dei monti.
“Stai bene…?”
La voce di Ginny lo riscosse dal vago torpore che lo aveva assalito.
“Sì”
annuì. “Sto bene.” Era la verità: quando lei gli stava vicino, aveva
l’impressione che niente potesse fargli del male. Era come se il mondo si
trasformasse davanti ai suoi occhi.
Le dita di
lei continuavano a slacciare i piccoli bottoni bianchi. Arrivarono all’ultimo,
e poi finalmente Ginny poté scostare i due lembi della camicia, scoprendogli il
petto. Cominciò ad accarezzarlo piano, con la mano aperta, e Harry chiuse
istintivamente gli occhi, perché il gesto era davvero piacevole.
“Pensavo
che fossi scappato” sussurrò Ginny, mentre lo baciava piano sul collo,
facendolo rabbrividire di nuovo.
“Scappato…?”
ripeté, stupito. “E dove…?”
“Scappato da
me” precisò lei, a bassa voce. Il suo tono era scherzoso, ma Harry sapeva
che quelle parole nascondevano un fondo di verità. Dopo la morte di Silente,
non era più stato lo stesso… e anche se lui, Ginny, Ron e Hermione non si erano
quasi mai lasciati in quei giorni, qualcosa dentro di lui e nel suo
comportamento era sicuramente cambiato. Non poteva sperare che Ginny non se ne
fosse accorta.
“Cosa?”
disse, stupito. “Da te? Ma che stai dicendo, Ginny?”
“Oh,
andiamo…” Ginny sospirò. “Non hai bisogno di mentire con me. E nemmeno con Ron
e Hermione, se è per questo. Non devi fare l’eroe davanti a noi, Harry. Ti
capiamo meglio di chiunque altro.”
Mentre
parlava, la sua piccola mano gli scivolava lieve sul petto. Harry la guardò
salire e scendere, mentre cercava disperatamente qualcosa da dire. Avrebbe
dovuto dirle la verità – che tra loro doveva finire subito, il più presto
possibile, che non dovevano più vedersi – ma non ci riusciva. Non ancora. Non
in quel momento così perfetto. Sentiva che se lei si fosse alzata e se ne fosse
andata, lasciandolo lì da solo, sarebbe andato in mille pezzi.
La mano di
Ginny scese in basso, molto più in basso di quanto Harry si aspettasse. La vide
giocare esitante sul bottone dei calzoni neri della divisa, prima di decidere
che dopo tutto era il caso di varcare quel confine una volta per tutte. Harry
le coprì di nuovo le dita con le sue, ma stavolta fu davvero per fermarla.
Ginny
sollevò appena la testa e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Non
voglio che tu… che tu lo faccia per me” sussurrò lui, imbarazzato. Voleva
essere toccato da lei più di qualunque cosa al mondo – era un anno intero che
sognava una cosa del genere – ma improvvisamente gli sembrava ingiusto
condividere con Ginny un’intimità che poi sarebbe dovuta finire bruscamente.
Non voleva che poi lei si pentisse di nulla.
Gli occhi
scuri di Ginny scintillarono maliziosi.
“Non ti
preoccupare, Harry” disse, piano. “Lo faccio soprattutto per me.”
Harry la
guardò, stupito e incerto, e lei approfittò di quel momento di indecisione per
svicolare, sottraendo la mano alla stretta delle sue dita. Slacciò piano il
bottone dei calzoni e abbassò la lampo. Quando le sue piccole dita gli si
chiusero attorno, Harry dovette chiudere gli occhi per cercare di non svenire.
Gettò la testa indietro, appoggiandola contro il tronco dell’albero, e sospirò
irresistibilmente.
Ginny
cominciò a muovere la mano su e giù, ritmicamente, togliendogli quasi il fiato.
Quando riuscì ad aprire di nuovo gli occhi, vide quelli scuri di lei che lo
guardavano con un’intensità che non aveva mai notato prima di allora. Cercò di
decifrare lo sguardo, ma senza successo: la sua mente era affollata di pensieri
strani e di sensazioni nuove ed esaltanti, mai provate prima di allora. Sentì
che Ginny si spostava e si sporgeva verso di lui, per baciarlo. Gli baciò piano
il lato del collo, spostandosi dietro l’orecchio. Catene di brividi gli corsero
su per la schiena, mentre la piccola mano di lei non accennava a volersi
fermare.
Gli
sembrava che improvvisamente non ci fosse più aria sufficiente per respirare.
Ginny continuò a baciarlo e le sue labbra calde scivolarono sul suo viso, con
lentezza, fino a posarsi sulle sue. Harry era talmente sconvolto che fino ad
allora non aveva quasi mosso un muscolo, ma quel contatto così familiare sembrò
risvegliare la sua mente assopita. La strinse fra le braccia e scivolò di lato,
sdraiandosi sulla schiena, fra l’erba profumata. Ginny si appoggiò su un
gomito, restando per metà sopra al suo corpo, e continuò a baciarlo e ad
accarezzarlo piano.
“Oh,
Ginny, per Merlino…” sussurrò Harry, ancora con gli occhi chiusi. Aveva il
respiro affannoso e riusciva a malapena ad articolare le parole. “Se continui
così io… io…”
“E’ quello
che voglio…” mormorò lei, parlandogli all’orecchio. “E’ quello che voglio,
Harry… rilassati…”
Harry sentì
che si scostava un po’ da lui, e che smetteva di accarezzarlo. Sollevò
leggermente le palpebre e la guardò mentre, appoggiata di fianco sul gomito,
con la mano libera si sfilava le mutandine da sotto la gonna scozzese della
divisa. Prima che le gettasse nell’erba poco lontano, ne ebbe una visione
fugace: erano bianche, di cotone. Mutandine semplici, da ragazzina. Quello che
lei era. Quello che erano tutti loro, anche se gli avvenimenti più recenti
avevano fatto dimenticare a chiunque cosa volesse dire vivere un’adolescenza
spensierata.
Ginny
tornò più vicino, e riprese a baciarlo piano sul viso. Poi, senza preavviso,
gli scivolò sopra, aprendo leggermente le gambe. Harry trattenne bruscamente il
fiato a quel contatto così nuovo, così strano. Le teneva le braccia intorno al
corpo, e provò improvvisamente un bisogno irresistibile di stringerla di più.
Ginny gli
si accoccolò contro il petto nudo.
“Ti prego,
Harry…” sussurrò. La sua voce era strana, diversa dal solito. Sembrava quasi
che fosse sull’orlo delle lacrime, ed era assurdo, perché Ginny non piangeva
quasi mai.
Nonostante
quello sfregare umido fra le gambe, talmente piacevole che minacciava di fargli
perdere la testa, Harry si impose di riprendere il controllo. Le prese il viso
fra le mani e glielo fece alzare verso il suo, per guardarla in faccia. Non
stava piangendo, no… ma i suoi occhi erano lucidi, e immensamente tristi.
“Che ti
succede?” le chiese, preoccupato. “Ginny, che cosa…”
“Ti
prego…” lo interruppe lei, sempre con quella voce diversa, che non era la sua.
“Ti prego, Harry, toccami…”
La
richiesta lo colse totalmente impreparato. Non aveva mai fatto niente del
genere, ovviamente: la sua relazione con Cho, l’unica parvenza di storia che avesse
avuto prima di Ginny, non si era certo spinta così in là da vederlo impegnato
in carezze intime. I suoi pensieri dovettero riflettersi sul suo viso, perché
Ginny abbozzò un sorriso.
“Ti prego”
ripeté, sottovoce.
Harry le
passò una mano fra i lunghi capelli ramati, scrutando il suo voltò con
intensità. La mano di lei era di nuovo scivolata ad accarezzarlo fra le gambe,
e il peso del suo corpo era tornato a premere su di lui soltanto di lato. La
attirò a sé e la baciò a lungo sulle labbra, tenendo gli occhi chiusi.
“Mostrami
come…” mormorò, con voce tremante.
Ginny aprì
lentamente gli occhi, e il modo in cui lo guardò gli accese un fuoco dentro. La
vide distendersi sulla schiena, al suo fianco, e questo lo indusse a tirarsi su
e ad appoggiarsi sul gomito, nella stessa identica posizione in cui era lei
fino a poco prima. Ginny gli prese la mano destra e la portò sulla propria
gamba, senza smettere di fissarlo. Harry chiuse le dita intorno alla pelle
morbida e vellutata della sua coscia e, dopo un attimo di esitazione e uno
sguardo particolare che si scambiarono, cominciò a salire piano verso l’alto.
Ginny lo
attirò a sé con un braccio, e si baciarono mentre la mano di lui continuava a
spostarsi. La pelle di Ginny era calda, invitante. Harry sentiva la testa ronzargli
in modo strano, e sembrava che tutto il resto non contasse più niente: non
c’erano più gli uccelli che cantavano fra i rami degli alberi, i rumori lontani
del Castello, le voci degli altri studenti nel Parco, il suono leggero
dell’acqua che la piovra gigante spostava dolcemente con i suoi enormi
tentacoli. L’unica cosa che sentiva era il respiro di Ginny, che cresceva e si
faceva più affannoso. La baciò piano sul collo, inspirando il suo profumo
delicato di fiori. Sentì le dita di lei infilarsi fra i capelli, sulla nuca, e
accarezzarlo piano. Le sue dita continuarono a salire e arrivarono fra le gambe
di Ginny, che le allargò impercettibilmente, per facilitargli i movimenti.
Il
contatto con la sua pelle umida lo fece quasi trasalire, ma si impose di non
darlo a vedere. Non sapeva esattamente quello che doveva fare, ma non ebbe
tempo di preoccuparsene a lungo: appena la toccò in quel punto, Ginny trattenne
bruscamente il fiato, e gli coprì la mano con la sua, stringendogliela forte.
Harry lo interpretò come un tentativo di fermarlo, e si bloccò all’istante.
“No!”
esclamò Ginny, sottovoce, con un sorriso a metà fra l’urgente e il divertito.
“Non ti fermare, Harry, ti prego…”
Irresistibilmente,
anche lui sorrise. “D’accordo…” sussurrò. “Ma spiegami…” disse, tornando a
baciarla sulle labbra e mordicchiandogliele piano. “Spiegami come devo fare…”
Ginny gli
strinse la mano, e la portò più in alto, finché lui non sentì qualcosa di
piccolo e duro sfiorargli la punta delle dita.
“Qui…”
mormorò lei, la voce che tremava un po’.
Harry
cominciò ad accarezzarla piano, guidato esclusivamente dall’istinto, e la
osservò con attenzione mentre si abbandonava al suo tocco, gli occhi chiusi.
Sembrava che le piacesse quello che faceva. Quasi inavvertitamente, il dito gli
scivolò più in basso, e toccò l’entrata della piccola fessura che poco prima
aveva solo sfiorato. Ginny gemette piano, e Harry capì quello che doveva fare:
lasciò che il dito scivolasse un po’ dentro, in quell’umidore caldo e
invitante. Lei trattenne di nuovo il fiato, e aprì gli occhi per guardarlo. La
sua espressione lo stupì un po’: sembrava intimorita, ma anche decisa ad
ottenere quello che desiderava. Improvvisamente, Harry capì che quello che
stavano facendo non sarebbe bastato... Ginny avrebbe voluto di più, e
l’erezione dolorosa che gli pulsava fra le gambe era della sua stessa opinione.
“Ginny, io
non…” cominciò a dirle, con dolcezza, senza smettere di toccarla piano. Non
avrebbe avuto esitazioni, se si fosse trattato di lui e basta: non aveva mai fatto
l’amore con una ragazza, è vero, ma era abbastanza certo che se la sarebbe
cavata comunque, in qualche modo… in fondo, pensò sorridendo fra sé, era
riuscito a districarsi al meglio in situazioni decisamente meno piacevoli.
Quello che lo preoccupava era Ginny, e il motivo per cui avesse deciso di fare
l’amore con lui. Ricordò le parole che la signora Weasley aveva pronunciato
pochi mesi prima, mentre erano alla Tana e parlavano del fidanzamento fra Bill
e Fleur Delacour: la guerra gioca strani scherzi alla mente e al cuore delle
persone, perché la precarietà della vita in certe circostanze induce a vedere e
sentire le cose in modo diverso. La signora Weasley si era chiaramente
sbagliata sul conto di suo figlio e della sua ragazza, visto che la coppia era
più unita che mai nonostante la disgrazia capitata a Bill, ma quelle parole non
potevano non farlo riflettere.
“E’ quello
che voglio, Harry” ripeté Ginny per l’ennesima volta, e la stretta sulla mano
di lui si fece più urgente.
“No,
aspetta… aspetta un attimo” insistette Harry. Dovette fare uno sforzo sovrumano
per impedirsi di assecondarla.
Lei lo
guardò con aria interrogativa, ma non sembrava arrabbiata… solo un po’
sorpresa.
“Ecco,
io…” cominciò Harry. Ma scoprì che era maledettamente difficile dire quello che
doveva dire se continuava a guardarlo in quel modo. Non aveva intenzione di
ferirla.
“Cosa?”
sussurrò Ginny, senza capire.
Harry
scosse brevemente la testa, e sorrise fra sé.
“Penserai
che sono uno stupido” disse, sottovoce. “E che rovino tutto perché penso
troppo.”
“Tu non
sei mai stato famoso perché pensi troppo” ribatté lei, divertita.
“E’ vero”
ammise Harry, sorridendo. “Diciamo che allora lo faccio nei momenti sbagliati,
forse…”
Le dita di
Ginny strinsero le sue, ancora appoggiate fra le sue gambe. “Niente di quello
che fai o dici è sbagliato” mormorò, con dolcezza. “Ti ascolto.”
Harry la
guardò, grato della comprensione, e abbassò il viso verso il suo. La voglia di
baciarla era troppo forte, addirittura irresistibile.
“Non
voglio che tu debba pentirti di niente, se un giorno guarderai indietro… se un
giorno non ci sarò più” le disse, in un sussurro. La baciò piano sulla fronte,
e poi sulle labbra, per zittire dolcemente le sue proteste. “Aspetta, lasciami
finire” disse, sorridendo. Improvvisamente, sentiva che le parole che doveva
dire l’avrebbero fatto sentire meglio. Almeno un po’. “Non so che cosa
succederà, come andranno le cose, e non voglio che tu faccia qualcosa che non
desideri veramente solo perché spinta da… da…”
“Dal fatto
che c’è la guerra?” finì lei, inarcando un sopracciglio.
“Già.”
Harry sospirò. “Non sarebbe giusto. Non potrei mai perdonarmelo se…”
“Non sei
tu a dover decidere per me, Harry.” La voce di Ginny era decisa, come la
stretta delle sue dita intorno a quelle di lui. “E ad ogni modo… sai benissimo
che la guerra non c’entra niente con quello che provo per te.”
“Non ho
detto questo, ma…”
“Ho sempre
voluto te” lo interruppe Ginny, appassionata. I suoi occhi scuri brillavano
alla luce morente del crepuscolo. “Sempre e soltanto te, Harry. Tutti gli altri
sono stati…” esitò, cercando con cura la parola giusta, prima di proseguire, ma
non la trovò. “Non sono stati importanti. Mentre tu… con te è diverso.”
Harry
scosse la testa. “Non parlavo di questo, Ginny.”
“So quello
che voglio” insistette lei, attirandogli il viso più vicino. “Voglio te. Voglio
fare l’amore con te, perché ti amo… non perché domani potremmo essere tutti
morti.”
La guardò
a lungo, e sentì rafforzarsi dentro quel sentimento così forte, così profondo
che negli ultimi mesi – e soprattutto in quelle poche settimane in cui la loro
relazione si era fatta più importante – aveva sentito crescergli costantemente
dentro.
“Anch’io
ti amo, Ginny” le disse piano, senza pensarci. Sembrò così naturale dirlo, così
giusto.
Ginny
sorrise. “Lo so, Harry.”
“Oh.” Lui
ricambiò il sorriso. “Quindi ho parlato troppo anche questa volta, è così?”
“No…”
Ginny scosse piano la testa, divertita, e lo attirò più vicino. “Mi piaci
quando parli, Harry. Mi piace ogni cosa di te.”
Harry la
baciò, e il bacio divenne sempre più profondo, più coinvolgente. Le sue mani
cominciarono a muoversi da sole, come guidate da una forza incontrastabile.
Ricominciò ad accarezzare Ginny e, sospirando, lei fece lo stesso con lui. I
loro respiri si fusero insieme, e la coscienza di Harry cominciò ad
annebbiarsi, a svanire come fumo. Sentì che Ginny lo tirava per i vestiti, e si
sdraiò su di lei, sostenendosi sui gomiti per non gravarle troppo addosso con
il suo peso. Le sollevò la gonna scozzese, che finì per arrotolarsi intorno
alla sua vita, e Ginny gli fece scivolare le mani aperte sulla schiena,
accarezzandogli la pelle nuda sotto la camicia. Sentì che cercava di scostargli
i pantaloni, senza successo, e la aiutò con una mano. Le piccole dita di lei si
strinsero sul suo sedere, e lo schiacciarono contro il proprio bacino. Harry
voltò la testa di lato e aprì gli occhi. Ormai era caduto il buio, e il cielo
restava vagamente luminoso soltanto verso ovest, dove il sole era tramontato;
il lago brillava di una luminescenza strana, quasi irreale, e l’acqua era
appena increspata dal vento.
E’
tardi,
pensò, incoerentemente. Dovremmo essere già rientrati al Castello…
Ginny si
mosse piano, sotto di lui, e tornò a spostare gli occhi sul suo viso. Nella
semioscurità, ormai riusciva a distinguere appena i suoi lineamenti, ma era
come se non ci fosse bisogno di guardarla per riuscire a vederla
davvero. Scivolò piano su di lei e le entrò dentro, con delicatezza, stando
attento a non farle troppo male. Ginny sospirò, e si aggrappò alle sue spalle.
Gettò la testa indietro e Harry chiuse gli occhi, la baciò sul collo, sulla
gola, mentre quella sensazione travolgente, mai provata prima, si impossessava
implacabile del suo corpo, centimetro dopo centimetro.
Ginny
gemette piano quando lui arrivò in fondo. Rimasero così per diversi secondi,
uniti nel modo più profondo e più intimo che conoscessero, e si strinsero
forte.
“Ho sempre
voluto soltanto te” ripeté Ginny, con voce flebile. “Soltanto te, Harry. Ti
amo… e sono felice che sia tu, qui, adesso.”
Non trovò
le parole adatte per risponderle. Non sarebbe riuscito a spiegarle a voce
quanto era importante, e quanto contava nella sua vita. Cominciò a muoversi
dentro di lei, e la sentì aggrapparsi più forte, e soffocare i gemiti contro la
sua spalla.
“Ti faccio
male…?” le chiese, con dolcezza.
“Sì… ma
non ti fermare, non ti fermare…” gli rispose, sottovoce.
Non
sarebbe più riuscito a fermarsi neanche se ci avesse provato con tutte le sue
forze, probabilmente. Ripensò alle parole di Silente, alla sua convinzione che
il potere che lo distingueva così tanto da Voldemort fosse la capacità di
amare… e si chiese se Voldemort avesse mai provato quello che stava sentendo
lui in quegli istanti. Probabilmente no.
Ginny
cominciò a mormorare il suo nome, ancora e ancora, mentre entrava e usciva da
lei più dolcemente possibile. Le loro gambe si erano avvinghiate strette, e i
loro respiri si confondevano nell’oscurità. Harry trovò la bocca di lei e la
baciò a lungo. Gli sembrò di sentire le guance bagnarsi, e ci mise un bel po’ a
capire che quelle lacrime non erano di Ginny, ma sue.
Più tardi,
molto più tardi, tornarono insieme verso il Castello, attraversando i prati
bagnati dalla prima rugiada che aveva cominciato a cadere. Le stelle brillavano
nel cielo scuro, e la superficie del lago, appena increspata dalla brezza
fresca, rifletteva la luce della luna.
Non
parlarono molto. Ginny si strinse le braccia intorno al corpo, scossa da un
improvviso brivido di freddo, e Harry la cinse per le spalle, attirandola a sé.
Anche nel buio, riuscì a cogliere il sorriso fuggevole che comparve sulle
labbra di lei, dopo quel gesto così semplice.
Il
silenzio era strano, fra loro. Non pesante, perché avevano ormai raggiunto
quella confidenza profonda che rende possibile restare muti per minuti o ore in
reciproca compagnia senza provare disagio… semplicemente strano, ecco. Carico
di significato, come le sue lacrime mentre facevano l’amore. Ginny non aveva
chiesto alcuna spiegazione, tanto che Harry a tutta prima aveva pensato che
nell’intensità di quei momenti non si fosse accorta di nulla. Ma era
impossibile che non avesse sentito le guance bagnarsi, e gli sembrava di
ricordare le sue dita che gli asciugavano dolcemente gli occhi, dopo che
avevano finito di fare l’amore e giacevano sdraiati l’uno accanto all’altra,
abbracciati. Forse aveva semplicemente pensato che fosse stata l’emozione a
farlo commuovere, oppure il timore per quel futuro così nebuloso e incerto che
lo aspettava. Harry aveva apprezzato il suo tatto, la sua capacità di non fare
domande su un argomento che poteva risultare sgradevole o addirittura penoso.
Se gli avesse chiesto il perché di quelle lacrime, non era sicuro che sarebbe
riuscito a mentirle e a non dirle che piangeva perché sapeva già che fra loro
non avrebbe potuto durare per sempre. Glielo avrebbe detto… e le avrebbe
spezzato il cuore.
Prima o
poi, comunque, avrebbe dovuto dirglielo. Mentre la stringeva di più a sé, sui
gradini di pietra del Castello, il pensiero lo colpì più duramente che mai. Non
serviva a nulla rimandare quel momento, lo capiva, ma quando abbassò gli occhi
sul viso di lei, i contorni appena percettibili nell’oscurità, gli sembrò di
riuscire a vedere perfettamente quegli occhi scuri che lo guardavano come
nessuno, prima di allora, aveva mai fatto. E sentì che non poteva… non poteva
dirglielo. Non ancora. Non quella notte.
Si sforzò
di sorriderle, quando si fermarono davanti al massiccio portone di quercia.
“Speriamo
che Gazza non stia pattugliando i corridoi” sussurrò, passandole una mano fra i
capelli.
Ginny si
avvicinò e sentì il suo respiro sul viso, le labbra sfiorare le sue. Sorrideva.
“Vieni”
gli disse, piano. “Forse conosco qualche passaggio segreto che persino tu
ignori.”
Harry si
lasciò prendere per mano e condurre oltre la soglia, nella Sala di Ingresso
illuminata solo dalla luce incerta delle torce. Seguì Ginny su per la
scalinata, docile. Dubitava che lei avesse in mente qualche passaggio di cui
lui non fosse già a conoscenza – la Mappa del Malandrino era un’ottima fonte di
vie alternative a quelle principali per girare indisturbati nel Castello – ma
non disse niente. Voleva soltanto stare con lei, e sentirla parlare, vederla
sorridere, ascoltare il suono della sua risata come se da quello dipendesse la sua
vita.
“Allora”
disse Ginny, mentre salivano lungo una scalinata stretta e pericolante, che lui
aveva percorso mille altre volte in passato. Sotto di loro c’era il vuoto, il
buio più totale: camminare su quei gradini dava sempre l’impressione di essere
in pericolo, di poter cadere da un momento all’altro per precipitare in un
abisso senza fine. Era un po’ come essere innamorati, pensò Harry. “Eri mai
stato in un posto del genere prima d’ora?”
Harry
abbozzò un sorriso, e scosse la testa.
“No”
mormorò, ed era assolutamente sincero. “Mai, prima che mi ci portassi tu.”
Non si era
mai sentito in quel modo. Non era sicuro che lei capisse quello che aveva
dentro, o che provasse gli stessi identici sentimenti, ma di una cosa era
certo: non si sarebbe mai più sentito così per il resto della vita, che fosse
durata duecento anni o soltanto un altro giorno.