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Autore: Whatsername    26/03/2006    8 recensioni
... e ora dopo ora, rimandava quello che sapeva di dover dire, di dover fare, perché era troppo difficile rinunciare al conforto più dolce.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Best Source Of Comfort

The Best Source Of Comfort

 

 

“... e ora dopo ora, rimandava quello che sapeva di dover dire, di dover fare, perché era troppo difficile rinunciare al conforto più dolce.” (HBP)

 

Il sole stava tramontando. Harry lo guardò sparire dolcemente dietro il profilo delle montagne che circondavano la valle, mentre il cielo si tingeva di rosso e oro.

Era seduto in riva al lago, la schiena poggiata contro il tronco di un albero, e osservava la scena fra le ciglia socchiuse. Faceva piuttosto caldo, quella sera, perché per tutto il giorno il cielo era stato sereno e il sole aveva brillato più sfolgorante che mai. Ormai era giugno inoltrato, ricordò. La scuola era finita e tutti gli studenti erano liberi di tornare a casa, se volevano. Ma ormai il tempo, gli esami e lo studio per lui non avevano più alcun significato. Aspettava solo che avesse luogo il funerale di Silente, prima di partire e di lasciare Hogwarts per sempre.

La superficie del lago era lievemente increspata, e scintillava di riflessi dorati. Harry spostò distrattamente una mano, passandola piano sulla copertina del libro che aveva in grembo. Aveva tentato di leggerlo per quasi tutto il pomeriggio, nella vana speranza di distrarsi un po', ma i suoi sforzi si erano rivelati totalmente inutili. La sua testa era talmente piena di pensieri scuri e ingombranti che non c'era spazio per nient'altro.

A parte Ginny, naturalmente.

L'immagine di lei si materializzò nella sua mente con sorprendente velocità. I suoi lunghi capelli rossi, che teneva sempre sciolti sulle spalle; quel sorriso ironico, che all'occorrenza sapeva anche essere seducente. I suoi occhi scuri, in cui amava perdersi quando la guardava da vicino. Harry abbassò le palpebre, mentre una morsa terribile gli stringeva il cuore. Pensare a lei era insieme il piacere più grande e la tortura più terribile.

Quelle settimane trascorse con Ginny erano state le più felici della sua vita: gli era sembrato di essere un'altra persona, una persona normale. Era stato talmente bene che per un po' si era scordato delle responsabilità tremende che gli gravavano sulle spalle: Voldemort, gli Horcruxes e la Profezia avevano cessato di essere concetti comprensibili. Ma la morte di Silente lo aveva riportato bruscamente alla realtà.

Fin troppo bruscamente, pensò Harry, raccogliendo le ginocchia al petto e stringendole con le braccia.

Non sarebbe mai riuscito a dimenticare l'immagine di Silente che veniva scagliato in aria dall'Avada Kedavra di Piton, il suo corpo senza vita che cadeva oltre il parapetto della Torre di Astronomia, inerte come una bambola di stracci. Quella morte lo aveva colpito - se possibile - ancora più duramente di quella di Sirius, forse perché, senza rendersene pienamente conto, aveva sempre dato per scontato che Silente non se ne sarebbe mai andato. Una parte di lui aveva pensato che il vecchio Preside gli sarebbe rimasto per sempre accanto, per guidarlo e consigliarlo con la sua grande, infinita saggezza.

Invece, se n'era andato per sempre e lui non si era mai sentito così solo in vita sua. In un certo senso, è vero, lo era sempre stato: dall'infanzia infelice con i Dursley, alla morte di Sirius e alla scoperta della Profezia. Essere una creatura marchiata lo aveva sempre fatto sentire diverso dagli altri, destinato a un futuro incerto e terribile di cui non riusciva a distinguere i contorni. Silente però era sempre rimasto al suo fianco, ed era stato l'unico - nonostante l'affetto di Ron, Hermione e della famiglia Weasley - a farlo sentire davvero normale. Con Silente era stato capace di affrontare gli argomenti più terribili e spaventosi, senza lasciarsi prendere dal panico e senza perdere completamente la testa; a pensarci adesso, dubitava fortemente che sarebbe riuscito a mantenersi lontano dalla follia se non ci fosse stato il vecchio Preside a sostenerlo.

Adesso, quindi, era veramente solo. Il sentiero che si snodava davanti a lui era lungo e buio, e Harry aveva soltanto una certezza dentro di sé: che avrebbe dovuto percorrerlo senza l'aiuto di nessuno. Le cose si stavano facendo sempre più serie, più pericolose, e non avrebbe mai voluto mettere in pericolo le persone che gli stavano a cuore solo per puro egoismo.

L'immagine di Ginny tornò a farsi strada nella sua mente, invadendola con prepotenza. La brezza fresca che spirava dal lago gli scompigliò i capelli, sollevandoglieli dalla fronte, e Harry si immaginò che fosse la mano piccola e calda di Ginny ad accarezzarlo con dolcezza, come solo lei sapeva fare.

Perché? pensò, rattristato. Perché devo farle del male? Non se lo merita…

Aveva saputo di doverla lasciare fin da quando Silente era morto, ovviamente. Se si guardava indietro adesso, alla luce di tutto quello che era successo, non riusciva a capire come avesse fatto ad essere così stupido. Non avrebbe dovuto coinvolgere Ginny così profondamente nella sua vita; non avrebbe dovuto permettere che tutti nella scuola li vedessero insieme, e parlassero della loro relazione, perché quella notizia sarebbe potuta giungere ad orecchie sbagliate che l’avrebbero usata contro di lui. Contro di loro.

Poteva già essere troppo tardi. Avrebbe dovuto parlarle da subito, da quella notte maledetta, ma non ne aveva avuto il coraggio. Aveva temuto di spezzarle il cuore ma, soprattutto, di spezzare il proprio. Ginny era l’unico conforto che gli restava, l’ultima luce in un mare sconfinato di oscurità, e anche se sapeva per certo che prima o poi avrebbe dovuto separarsi da lei era duro infliggersi quel dolore con le proprie mani.

Sentì dei passi sull’erba soffice, alle sue spalle, e suo malgrado sorrise. Avrebbe riconosciuto il suo modo di camminare anche nel fragore di un uragano. Voltò appena la testa, e colse un baluginare rosso fiamma mentre lei gli arrivava accanto.

“Ehi…” lo salutò, restando in piedi lì vicino. La sua voce era dolce.

Harry alzò lo sguardo su di lei.

“Ginny” mormorò, abbozzando un sorriso.

“Ti ho cercato ovunque” gli disse, tendendogli una mano. Era ancora immobile, davanti a lui, e i suoi capelli sembravano incandescenti per via del tramonto alle sue spalle. Era talmente bella che gli fece male al cuore.

Le prese la piccola mano nella sua e la tirò giù accanto a sé, stringendosela contro.

“Che succede?” domandò lei, sorpresa da quell’impeto di affetto. Gli appoggiò la guancia sulla spalla, e scrutò in silenzio il suo profilo per qualche istante. “Brutti pensieri?”

Harry annuì, stancamente. “Già.”

“Posso esserti utile in qualche modo?” chiese ancora Ginny. Gli posò una mano sul petto, all’altezza del cuore, e Harry fu certo che lo avesse sentito battere più veloce del normale. La vide accennare un piccolo sorriso, prima di insinuare la punta delle dita fra i bottoni della camicia, sotto alla cravatta allentata.

La mano di Harry salì a coprire la sua, ma non cercò di fermarla… anzi, si limitò a spingerla con dolcezza più sotto al tessuto, per farle capire che quello che faceva – tutto quello che faceva – gli piaceva. Ginny gli abbandonò la testa sulla spalla e cominciò a slacciare i bottoni, ad uno ad uno, lentamente.

Harry le lasciò la mano e si accomodò meglio con la schiena contro l’albero, cingendole le spalle con un braccio. Quando le sue dita gli toccarono la pelle, non poté fare a meno di rabbrividire nell’aria fresca del crepuscolo. Il sole era sparito quasi del tutto dietro le cime dei monti.

“Stai bene…?” La voce di Ginny lo riscosse dal vago torpore che lo aveva assalito.

“Sì” annuì. “Sto bene.” Era la verità: quando lei gli stava vicino, aveva l’impressione che niente potesse fargli del male. Era come se il mondo si trasformasse davanti ai suoi occhi.

Le dita di lei continuavano a slacciare i piccoli bottoni bianchi. Arrivarono all’ultimo, e poi finalmente Ginny poté scostare i due lembi della camicia, scoprendogli il petto. Cominciò ad accarezzarlo piano, con la mano aperta, e Harry chiuse istintivamente gli occhi, perché il gesto era davvero piacevole.

“Pensavo che fossi scappato” sussurrò Ginny, mentre lo baciava piano sul collo, facendolo rabbrividire di nuovo.

“Scappato…?” ripeté, stupito. “E dove…?”

“Scappato da me” precisò lei, a bassa voce. Il suo tono era scherzoso, ma Harry sapeva che quelle parole nascondevano un fondo di verità. Dopo la morte di Silente, non era più stato lo stesso… e anche se lui, Ginny, Ron e Hermione non si erano quasi mai lasciati in quei giorni, qualcosa dentro di lui e nel suo comportamento era sicuramente cambiato. Non poteva sperare che Ginny non se ne fosse accorta.

“Cosa?” disse, stupito. “Da te? Ma che stai dicendo, Ginny?”

“Oh, andiamo…” Ginny sospirò. “Non hai bisogno di mentire con me. E nemmeno con Ron e Hermione, se è per questo. Non devi fare l’eroe davanti a noi, Harry. Ti capiamo meglio di chiunque altro.”

Mentre parlava, la sua piccola mano gli scivolava lieve sul petto. Harry la guardò salire e scendere, mentre cercava disperatamente qualcosa da dire. Avrebbe dovuto dirle la verità – che tra loro doveva finire subito, il più presto possibile, che non dovevano più vedersi – ma non ci riusciva. Non ancora. Non in quel momento così perfetto. Sentiva che se lei si fosse alzata e se ne fosse andata, lasciandolo lì da solo, sarebbe andato in mille pezzi.

La mano di Ginny scese in basso, molto più in basso di quanto Harry si aspettasse. La vide giocare esitante sul bottone dei calzoni neri della divisa, prima di decidere che dopo tutto era il caso di varcare quel confine una volta per tutte. Harry le coprì di nuovo le dita con le sue, ma stavolta fu davvero per fermarla.

Ginny sollevò appena la testa e gli rivolse uno sguardo interrogativo.

“Non voglio che tu… che tu lo faccia per me” sussurrò lui, imbarazzato. Voleva essere toccato da lei più di qualunque cosa al mondo – era un anno intero che sognava una cosa del genere – ma improvvisamente gli sembrava ingiusto condividere con Ginny un’intimità che poi sarebbe dovuta finire bruscamente. Non voleva che poi lei si pentisse di nulla.

Gli occhi scuri di Ginny scintillarono maliziosi.

“Non ti preoccupare, Harry” disse, piano. “Lo faccio soprattutto per me.”

Harry la guardò, stupito e incerto, e lei approfittò di quel momento di indecisione per svicolare, sottraendo la mano alla stretta delle sue dita. Slacciò piano il bottone dei calzoni e abbassò la lampo. Quando le sue piccole dita gli si chiusero attorno, Harry dovette chiudere gli occhi per cercare di non svenire. Gettò la testa indietro, appoggiandola contro il tronco dell’albero, e sospirò irresistibilmente.

Ginny cominciò a muovere la mano su e giù, ritmicamente, togliendogli quasi il fiato. Quando riuscì ad aprire di nuovo gli occhi, vide quelli scuri di lei che lo guardavano con un’intensità che non aveva mai notato prima di allora. Cercò di decifrare lo sguardo, ma senza successo: la sua mente era affollata di pensieri strani e di sensazioni nuove ed esaltanti, mai provate prima di allora. Sentì che Ginny si spostava e si sporgeva verso di lui, per baciarlo. Gli baciò piano il lato del collo, spostandosi dietro l’orecchio. Catene di brividi gli corsero su per la schiena, mentre la piccola mano di lei non accennava a volersi fermare.

Gli sembrava che improvvisamente non ci fosse più aria sufficiente per respirare. Ginny continuò a baciarlo e le sue labbra calde scivolarono sul suo viso, con lentezza, fino a posarsi sulle sue. Harry era talmente sconvolto che fino ad allora non aveva quasi mosso un muscolo, ma quel contatto così familiare sembrò risvegliare la sua mente assopita. La strinse fra le braccia e scivolò di lato, sdraiandosi sulla schiena, fra l’erba profumata. Ginny si appoggiò su un gomito, restando per metà sopra al suo corpo, e continuò a baciarlo e ad accarezzarlo piano.

“Oh, Ginny, per Merlino…” sussurrò Harry, ancora con gli occhi chiusi. Aveva il respiro affannoso e riusciva a malapena ad articolare le parole. “Se continui così io… io…”

“E’ quello che voglio…” mormorò lei, parlandogli all’orecchio. “E’ quello che voglio, Harry… rilassati…”

Harry sentì che si scostava un po’ da lui, e che smetteva di accarezzarlo. Sollevò leggermente le palpebre e la guardò mentre, appoggiata di fianco sul gomito, con la mano libera si sfilava le mutandine da sotto la gonna scozzese della divisa. Prima che le gettasse nell’erba poco lontano, ne ebbe una visione fugace: erano bianche, di cotone. Mutandine semplici, da ragazzina. Quello che lei era. Quello che erano tutti loro, anche se gli avvenimenti più recenti avevano fatto dimenticare a chiunque cosa volesse dire vivere un’adolescenza spensierata.

Ginny tornò più vicino, e riprese a baciarlo piano sul viso. Poi, senza preavviso, gli scivolò sopra, aprendo leggermente le gambe. Harry trattenne bruscamente il fiato a quel contatto così nuovo, così strano. Le teneva le braccia intorno al corpo, e provò improvvisamente un bisogno irresistibile di stringerla di più.

Ginny gli si accoccolò contro il petto nudo.

“Ti prego, Harry…” sussurrò. La sua voce era strana, diversa dal solito. Sembrava quasi che fosse sull’orlo delle lacrime, ed era assurdo, perché Ginny non piangeva quasi mai.

Nonostante quello sfregare umido fra le gambe, talmente piacevole che minacciava di fargli perdere la testa, Harry si impose di riprendere il controllo. Le prese il viso fra le mani e glielo fece alzare verso il suo, per guardarla in faccia. Non stava piangendo, no… ma i suoi occhi erano lucidi, e immensamente tristi.

“Che ti succede?” le chiese, preoccupato. “Ginny, che cosa…”

“Ti prego…” lo interruppe lei, sempre con quella voce diversa, che non era la sua. “Ti prego, Harry, toccami…”

La richiesta lo colse totalmente impreparato. Non aveva mai fatto niente del genere, ovviamente: la sua relazione con Cho, l’unica parvenza di storia che avesse avuto prima di Ginny, non si era certo spinta così in là da vederlo impegnato in carezze intime. I suoi pensieri dovettero riflettersi sul suo viso, perché Ginny abbozzò un sorriso.

“Ti prego” ripeté, sottovoce.

Harry le passò una mano fra i lunghi capelli ramati, scrutando il suo voltò con intensità. La mano di lei era di nuovo scivolata ad accarezzarlo fra le gambe, e il peso del suo corpo era tornato a premere su di lui soltanto di lato. La attirò a sé e la baciò a lungo sulle labbra, tenendo gli occhi chiusi.

“Mostrami come…” mormorò, con voce tremante.

Ginny aprì lentamente gli occhi, e il modo in cui lo guardò gli accese un fuoco dentro. La vide distendersi sulla schiena, al suo fianco, e questo lo indusse a tirarsi su e ad appoggiarsi sul gomito, nella stessa identica posizione in cui era lei fino a poco prima. Ginny gli prese la mano destra e la portò sulla propria gamba, senza smettere di fissarlo. Harry chiuse le dita intorno alla pelle morbida e vellutata della sua coscia e, dopo un attimo di esitazione e uno sguardo particolare che si scambiarono, cominciò a salire piano verso l’alto.

Ginny lo attirò a sé con un braccio, e si baciarono mentre la mano di lui continuava a spostarsi. La pelle di Ginny era calda, invitante. Harry sentiva la testa ronzargli in modo strano, e sembrava che tutto il resto non contasse più niente: non c’erano più gli uccelli che cantavano fra i rami degli alberi, i rumori lontani del Castello, le voci degli altri studenti nel Parco, il suono leggero dell’acqua che la piovra gigante spostava dolcemente con i suoi enormi tentacoli. L’unica cosa che sentiva era il respiro di Ginny, che cresceva e si faceva più affannoso. La baciò piano sul collo, inspirando il suo profumo delicato di fiori. Sentì le dita di lei infilarsi fra i capelli, sulla nuca, e accarezzarlo piano. Le sue dita continuarono a salire e arrivarono fra le gambe di Ginny, che le allargò impercettibilmente, per facilitargli i movimenti.

Il contatto con la sua pelle umida lo fece quasi trasalire, ma si impose di non darlo a vedere. Non sapeva esattamente quello che doveva fare, ma non ebbe tempo di preoccuparsene a lungo: appena la toccò in quel punto, Ginny trattenne bruscamente il fiato, e gli coprì la mano con la sua, stringendogliela forte. Harry lo interpretò come un tentativo di fermarlo, e si bloccò all’istante.

“No!” esclamò Ginny, sottovoce, con un sorriso a metà fra l’urgente e il divertito. “Non ti fermare, Harry, ti prego…”

Irresistibilmente, anche lui sorrise. “D’accordo…” sussurrò. “Ma spiegami…” disse, tornando a baciarla sulle labbra e mordicchiandogliele piano. “Spiegami come devo fare…”

Ginny gli strinse la mano, e la portò più in alto, finché lui non sentì qualcosa di piccolo e duro sfiorargli la punta delle dita.

“Qui…” mormorò lei, la voce che tremava un po’.

Harry cominciò ad accarezzarla piano, guidato esclusivamente dall’istinto, e la osservò con attenzione mentre si abbandonava al suo tocco, gli occhi chiusi. Sembrava che le piacesse quello che faceva. Quasi inavvertitamente, il dito gli scivolò più in basso, e toccò l’entrata della piccola fessura che poco prima aveva solo sfiorato. Ginny gemette piano, e Harry capì quello che doveva fare: lasciò che il dito scivolasse un po’ dentro, in quell’umidore caldo e invitante. Lei trattenne di nuovo il fiato, e aprì gli occhi per guardarlo. La sua espressione lo stupì un po’: sembrava intimorita, ma anche decisa ad ottenere quello che desiderava. Improvvisamente, Harry capì che quello che stavano facendo non sarebbe bastato... Ginny avrebbe voluto di più, e l’erezione dolorosa che gli pulsava fra le gambe era della sua stessa opinione.

“Ginny, io non…” cominciò a dirle, con dolcezza, senza smettere di toccarla piano. Non avrebbe avuto esitazioni, se si fosse trattato di lui e basta: non aveva mai fatto l’amore con una ragazza, è vero, ma era abbastanza certo che se la sarebbe cavata comunque, in qualche modo… in fondo, pensò sorridendo fra sé, era riuscito a districarsi al meglio in situazioni decisamente meno piacevoli. Quello che lo preoccupava era Ginny, e il motivo per cui avesse deciso di fare l’amore con lui. Ricordò le parole che la signora Weasley aveva pronunciato pochi mesi prima, mentre erano alla Tana e parlavano del fidanzamento fra Bill e Fleur Delacour: la guerra gioca strani scherzi alla mente e al cuore delle persone, perché la precarietà della vita in certe circostanze induce a vedere e sentire le cose in modo diverso. La signora Weasley si era chiaramente sbagliata sul conto di suo figlio e della sua ragazza, visto che la coppia era più unita che mai nonostante la disgrazia capitata a Bill, ma quelle parole non potevano non farlo riflettere.

“E’ quello che voglio, Harry” ripeté Ginny per l’ennesima volta, e la stretta sulla mano di lui si fece più urgente.

“No, aspetta… aspetta un attimo” insistette Harry. Dovette fare uno sforzo sovrumano per impedirsi di assecondarla.

Lei lo guardò con aria interrogativa, ma non sembrava arrabbiata… solo un po’ sorpresa.

“Ecco, io…” cominciò Harry. Ma scoprì che era maledettamente difficile dire quello che doveva dire se continuava a guardarlo in quel modo. Non aveva intenzione di ferirla.

“Cosa?” sussurrò Ginny, senza capire.

Harry scosse brevemente la testa, e sorrise fra sé.

“Penserai che sono uno stupido” disse, sottovoce. “E che rovino tutto perché penso troppo.”

“Tu non sei mai stato famoso perché pensi troppo” ribatté lei, divertita.

“E’ vero” ammise Harry, sorridendo. “Diciamo che allora lo faccio nei momenti sbagliati, forse…”

Le dita di Ginny strinsero le sue, ancora appoggiate fra le sue gambe. “Niente di quello che fai o dici è sbagliato” mormorò, con dolcezza. “Ti ascolto.”

Harry la guardò, grato della comprensione, e abbassò il viso verso il suo. La voglia di baciarla era troppo forte, addirittura irresistibile.

“Non voglio che tu debba pentirti di niente, se un giorno guarderai indietro… se un giorno non ci sarò più” le disse, in un sussurro. La baciò piano sulla fronte, e poi sulle labbra, per zittire dolcemente le sue proteste. “Aspetta, lasciami finire” disse, sorridendo. Improvvisamente, sentiva che le parole che doveva dire l’avrebbero fatto sentire meglio. Almeno un po’. “Non so che cosa succederà, come andranno le cose, e non voglio che tu faccia qualcosa che non desideri veramente solo perché spinta da… da…”

“Dal fatto che c’è la guerra?” finì lei, inarcando un sopracciglio.

“Già.” Harry sospirò. “Non sarebbe giusto. Non potrei mai perdonarmelo se…”

“Non sei tu a dover decidere per me, Harry.” La voce di Ginny era decisa, come la stretta delle sue dita intorno a quelle di lui. “E ad ogni modo… sai benissimo che la guerra non c’entra niente con quello che provo per te.”

“Non ho detto questo, ma…”

“Ho sempre voluto te” lo interruppe Ginny, appassionata. I suoi occhi scuri brillavano alla luce morente del crepuscolo. “Sempre e soltanto te, Harry. Tutti gli altri sono stati…” esitò, cercando con cura la parola giusta, prima di proseguire, ma non la trovò. “Non sono stati importanti. Mentre tu… con te è diverso.”

Harry scosse la testa. “Non parlavo di questo, Ginny.”

“So quello che voglio” insistette lei, attirandogli il viso più vicino. “Voglio te. Voglio fare l’amore con te, perché ti amo… non perché domani potremmo essere tutti morti.”

La guardò a lungo, e sentì rafforzarsi dentro quel sentimento così forte, così profondo che negli ultimi mesi – e soprattutto in quelle poche settimane in cui la loro relazione si era fatta più importante – aveva sentito crescergli costantemente dentro.

“Anch’io ti amo, Ginny” le disse piano, senza pensarci. Sembrò così naturale dirlo, così giusto.

Ginny sorrise. “Lo so, Harry.”

“Oh.” Lui ricambiò il sorriso. “Quindi ho parlato troppo anche questa volta, è così?”

“No…” Ginny scosse piano la testa, divertita, e lo attirò più vicino. “Mi piaci quando parli, Harry. Mi piace ogni cosa di te.”

Harry la baciò, e il bacio divenne sempre più profondo, più coinvolgente. Le sue mani cominciarono a muoversi da sole, come guidate da una forza incontrastabile. Ricominciò ad accarezzare Ginny e, sospirando, lei fece lo stesso con lui. I loro respiri si fusero insieme, e la coscienza di Harry cominciò ad annebbiarsi, a svanire come fumo. Sentì che Ginny lo tirava per i vestiti, e si sdraiò su di lei, sostenendosi sui gomiti per non gravarle troppo addosso con il suo peso. Le sollevò la gonna scozzese, che finì per arrotolarsi intorno alla sua vita, e Ginny gli fece scivolare le mani aperte sulla schiena, accarezzandogli la pelle nuda sotto la camicia. Sentì che cercava di scostargli i pantaloni, senza successo, e la aiutò con una mano. Le piccole dita di lei si strinsero sul suo sedere, e lo schiacciarono contro il proprio bacino. Harry voltò la testa di lato e aprì gli occhi. Ormai era caduto il buio, e il cielo restava vagamente luminoso soltanto verso ovest, dove il sole era tramontato; il lago brillava di una luminescenza strana, quasi irreale, e l’acqua era appena increspata dal vento.

E’ tardi, pensò, incoerentemente. Dovremmo essere già rientrati al Castello…

Ginny si mosse piano, sotto di lui, e tornò a spostare gli occhi sul suo viso. Nella semioscurità, ormai riusciva a distinguere appena i suoi lineamenti, ma era come se non ci fosse bisogno di guardarla per riuscire a vederla davvero. Scivolò piano su di lei e le entrò dentro, con delicatezza, stando attento a non farle troppo male. Ginny sospirò, e si aggrappò alle sue spalle. Gettò la testa indietro e Harry chiuse gli occhi, la baciò sul collo, sulla gola, mentre quella sensazione travolgente, mai provata prima, si impossessava implacabile del suo corpo, centimetro dopo centimetro.

Ginny gemette piano quando lui arrivò in fondo. Rimasero così per diversi secondi, uniti nel modo più profondo e più intimo che conoscessero, e si strinsero forte.

“Ho sempre voluto soltanto te” ripeté Ginny, con voce flebile. “Soltanto te, Harry. Ti amo… e sono felice che sia tu, qui, adesso.”

Non trovò le parole adatte per risponderle. Non sarebbe riuscito a spiegarle a voce quanto era importante, e quanto contava nella sua vita. Cominciò a muoversi dentro di lei, e la sentì aggrapparsi più forte, e soffocare i gemiti contro la sua spalla.

“Ti faccio male…?” le chiese, con dolcezza.

“Sì… ma non ti fermare, non ti fermare…” gli rispose, sottovoce.

Non sarebbe più riuscito a fermarsi neanche se ci avesse provato con tutte le sue forze, probabilmente. Ripensò alle parole di Silente, alla sua convinzione che il potere che lo distingueva così tanto da Voldemort fosse la capacità di amare… e si chiese se Voldemort avesse mai provato quello che stava sentendo lui in quegli istanti. Probabilmente no.

Ginny cominciò a mormorare il suo nome, ancora e ancora, mentre entrava e usciva da lei più dolcemente possibile. Le loro gambe si erano avvinghiate strette, e i loro respiri si confondevano nell’oscurità. Harry trovò la bocca di lei e la baciò a lungo. Gli sembrò di sentire le guance bagnarsi, e ci mise un bel po’ a capire che quelle lacrime non erano di Ginny, ma sue.

 

Più tardi, molto più tardi, tornarono insieme verso il Castello, attraversando i prati bagnati dalla prima rugiada che aveva cominciato a cadere. Le stelle brillavano nel cielo scuro, e la superficie del lago, appena increspata dalla brezza fresca, rifletteva la luce della luna.

Non parlarono molto. Ginny si strinse le braccia intorno al corpo, scossa da un improvviso brivido di freddo, e Harry la cinse per le spalle, attirandola a sé. Anche nel buio, riuscì a cogliere il sorriso fuggevole che comparve sulle labbra di lei, dopo quel gesto così semplice.

Il silenzio era strano, fra loro. Non pesante, perché avevano ormai raggiunto quella confidenza profonda che rende possibile restare muti per minuti o ore in reciproca compagnia senza provare disagio… semplicemente strano, ecco. Carico di significato, come le sue lacrime mentre facevano l’amore. Ginny non aveva chiesto alcuna spiegazione, tanto che Harry a tutta prima aveva pensato che nell’intensità di quei momenti non si fosse accorta di nulla. Ma era impossibile che non avesse sentito le guance bagnarsi, e gli sembrava di ricordare le sue dita che gli asciugavano dolcemente gli occhi, dopo che avevano finito di fare l’amore e giacevano sdraiati l’uno accanto all’altra, abbracciati. Forse aveva semplicemente pensato che fosse stata l’emozione a farlo commuovere, oppure il timore per quel futuro così nebuloso e incerto che lo aspettava. Harry aveva apprezzato il suo tatto, la sua capacità di non fare domande su un argomento che poteva risultare sgradevole o addirittura penoso. Se gli avesse chiesto il perché di quelle lacrime, non era sicuro che sarebbe riuscito a mentirle e a non dirle che piangeva perché sapeva già che fra loro non avrebbe potuto durare per sempre. Glielo avrebbe detto… e le avrebbe spezzato il cuore.

Prima o poi, comunque, avrebbe dovuto dirglielo. Mentre la stringeva di più a sé, sui gradini di pietra del Castello, il pensiero lo colpì più duramente che mai. Non serviva a nulla rimandare quel momento, lo capiva, ma quando abbassò gli occhi sul viso di lei, i contorni appena percettibili nell’oscurità, gli sembrò di riuscire a vedere perfettamente quegli occhi scuri che lo guardavano come nessuno, prima di allora, aveva mai fatto. E sentì che non poteva… non poteva dirglielo. Non ancora. Non quella notte.

Si sforzò di sorriderle, quando si fermarono davanti al massiccio portone di quercia.

“Speriamo che Gazza non stia pattugliando i corridoi” sussurrò, passandole una mano fra i capelli.

Ginny si avvicinò e sentì il suo respiro sul viso, le labbra sfiorare le sue. Sorrideva.

“Vieni” gli disse, piano. “Forse conosco qualche passaggio segreto che persino tu ignori.”

Harry si lasciò prendere per mano e condurre oltre la soglia, nella Sala di Ingresso illuminata solo dalla luce incerta delle torce. Seguì Ginny su per la scalinata, docile. Dubitava che lei avesse in mente qualche passaggio di cui lui non fosse già a conoscenza – la Mappa del Malandrino era un’ottima fonte di vie alternative a quelle principali per girare indisturbati nel Castello – ma non disse niente. Voleva soltanto stare con lei, e sentirla parlare, vederla sorridere, ascoltare il suono della sua risata come se da quello dipendesse la sua vita.

“Allora” disse Ginny, mentre salivano lungo una scalinata stretta e pericolante, che lui aveva percorso mille altre volte in passato. Sotto di loro c’era il vuoto, il buio più totale: camminare su quei gradini dava sempre l’impressione di essere in pericolo, di poter cadere da un momento all’altro per precipitare in un abisso senza fine. Era un po’ come essere innamorati, pensò Harry. “Eri mai stato in un posto del genere prima d’ora?”

Harry abbozzò un sorriso, e scosse la testa.

“No” mormorò, ed era assolutamente sincero. “Mai, prima che mi ci portassi tu.”

Non si era mai sentito in quel modo. Non era sicuro che lei capisse quello che aveva dentro, o che provasse gli stessi identici sentimenti, ma di una cosa era certo: non si sarebbe mai più sentito così per il resto della vita, che fosse durata duecento anni o soltanto un altro giorno.

 

  
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