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Autore: Una Certa Ragazza    25/07/2011    3 recensioni
Quando il Generale Maggiore Roy Mustang subisce un attentato, a Riza Hawkeye non resta altro da fare se non vendicarlo. Ma chi si nasconde davvero dietro all'organizzazione terroristica che semina distruzione in tutto il paese? Nonostante le premesse non è una storia tragica. Royai con meno fluff possibile. Longfic, post-brotherhood e manga. Giallo per precauzione.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*spunta da una nuvola di mefistofelico fumo nero* Salve a tutti, eccomi di nuovo!
Probailmente questo capitolo contiene alti tassi di nulla assoluto, ma è indispensabile ai fini della storia. XD
Anche questa volta inserisco delle note, che si chiameranno - pensate un po' - note.
NOTE: Come mi è stato fatto notare in una recensione (Roy: "Non fare la scrittrice vissuta, è stata l'unica recensione" Autrice:"Zitto tu, che al momento sei fuori scena!") non si capisce come mai Riza sappia che Grumman è suo nonno. In verità, in verità vi dico, nel manga non è mai stato specificato se Riza fosse a conoscenza o meno della parentela. Io ho deciso per il sì. Non hanno mai detto niente a nessuno perchè tutti avrebbero potuto pensare che Riza e Roy avessero fatto strada nell'esercito solo grazie ai favoritismi, e questo sarebbe stato controproducente per il loro obiettivo. Non hanno mai nascosto niente a nessuno, semplicemete si sono comportati come se niente fosse.
Le cose sarebbero continuate così, non fosse che tutta Amestris è venuta a sapere di questo fatto non appena Grumman è diventato fuhrer.
Ho spiegato il perchè e il per come di questa vicenda in un'altra long fiction che sto scrivendo. Non chiedetemi perchè ho pubblicato prima questa, che è posteriore in ordine cronologico a tutte le altre cose che sto scrivendo, perchè non sono sicura di saperlo nemmeno io.
In teoria non è necessario conoscere le altre storie per capire questa, i riferimenti sono minimi. Se non capite qualcosa, comunque, chiedete pure!
Ho scritto in un carattere leggermente più grosso, questa volta.
Sono apprezzati consigli e critiche. 

 






In this world you tried
Not leaving me alone behind
There's no other way
I'll pray to the gods: let him stay.
[...]
All of my memories
Keep you near
In silent moments
Imagine you'd be here
All of my memories
Keep you near
The silent whispers, silent tears.”
                                      “Memories”, Within Temptation
 
 
Quando i Tenenti Havoc e Breda parlarono dell’accaduto tempo dopo, giurarono di non aver mai visto una scena più spaventosa di quella che si trovarono davanti quando entrarono nell’ufficio. E forse non avevano partecipato alla Guerra di Ishbal, ma la loro fetta di battaglie l’avevano avuta.
Riza Hawkeye, quella Riza Hawkeye, era inginocchiata sul pavimento della stanza come una marionetta cui avevano tagliato i fili, accanto ad un ricevitore che pendeva dal tavolo e circondata da un’aureola di fogli sparsi.
Le sue mani giacevano abbandonate ai lati delle gambe e la sua bocca era leggermente aperta in un’espressione quasi di sconcerto. La cosa più terribile però erano gli occhi, spalancati e fissi su chissà cosa.
Sicuramente, non un qualcosa che appartenesse a questo mondo.
«Maggiore? Maggiore, che succede?!»
Breda la prese per le spalle e la scrollò, e ogni secondo che passava senza che lei rispondesse era una goccia di terrore in più.
C’era una sola cosa che poteva ridurre così Riza Hawkeye, e lui sapeva fin troppo bene quale fosse.
Havoc nel frattempo aveva preso in mano la cornetta. Dall’altro capo del filo qualcuno continuava a chiamare il Maggiore.
«Comandante supremo, è lei?» chiese il Tenente biondo, sorpreso, mentre la sigaretta che aveva in bocca scivolava a terra. Ebbe ugualmente la presenza di spirito di spegnerla, mentre il Fuhrer gli comunicava la notizia che non avrebbe mai voluto sentire.
Scacco matto.
Havoc si mise una mano sul volto, e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì scambiò uno sguardo con Breda e capì che aveva capito quando l’altro chinò la testa e circondò goffamente le spalle del Maggiore in un abbraccio che cercava conforto più che realmente darlo.
Riza non si muoveva.
Havoc le rivolse un’occhiata che era un misto di tristezza, comprensione e preoccupazione, continuando a parlare al telefono con il Comandante Supremo.
«Capisco.» disse «Sì, certo, l’identificazione... bruciato?» gli uscì dalla bocca una specie di singhiozzo strozzato.
Pausa.
«Possiamo venire anche noi, Signore?»
Pausa. Altra occhiata al Maggiore.
«Sì, ha ragione, è meglio che rimanga qui. Forse quando starà meglio...» si interruppe.
Riza non sarebbe mai stata meglio.
«Molto bene. A più tardi, Signore.»
Havoc fece un cenno con la testa a Breda e si avviò verso la porta.
Prima di andare bisognava trovare qualcuno che stesse con Hawkeye, o rischiavano di non trovarla più quando fossero tornati, anche se forse, pensò Havoc guardandola un’ultima volta mentre chiudeva la porta, sarebbe stato meglio così.
Il battente non fece tempo a chiudersi che Breda iniziò a desiderare che Havoc tornasse indietro.
Come faceva a respirare tutto quel dolore da solo?
Si sentiva ancora intontito. Non aveva mai preso in considerazione l’idea che Roy Mustang fosse mortale, men che meno che potesse andarsene in tempo di pace.
Sempre ammesso che un’esplosione al tribunale militare potesse considerarsi pace, ecco.
Spaesato, cercò di focalizzarsi su quello che avrebbe fatto di lì in poi, o meglio, su quello che avrebbero fatto, perché di qualsiasi cosa si trattasse l’avrebbero fatto assieme, almeno questo.
Solo che non c’era più il Generale, ed era sempre stato lui a dare loro un obbiettivo.
Guardò Riza. Ma certo, una cosa da fare c’era.
«Troveremo quei bastardi e li porteremo da lei, Maggiore. È una promessa.»
In quel momento Havoc rientrò, seguito da Fuery.
Il giovane Maresciallo non era riuscito a trattenere le lacrime, e anche se si era asciugato la faccia con una manica aveva gli occhi rossi.
Quando vide la donna al centro della stanza, un’espressione di orrore attraversò il suo volto e il suo sguardo cercò quello dei suoi compagni più anziani.
Havoc gli mise una mano sulla spalla, poi si rivolse all’altro Tenente «Breda, andiamo.»
Breda si alzò con il cuore pesante, ma quando si mosse qualcosa lo trattenne.
Riza Hawkeye aveva afferrato il bordo della sua giacca e non sembrava intenzionata a lasciarlo andare. Teneva gli occhi e il volto rivolti al pavimento.
«Fatemelo vedere.» la sua voce era bassa, ma tagliò l’aria dell’ufficio come un coltello. Gli uomini si guardarono.
«Non credo che sia il caso, Maggiore.» disse lentamente Havoc.
«Fatemelo vedere.» urlò Riza, sollevando bruscamente la testa. Stava piangendo, chissà quando aveva iniziato. «È un ordine, soldati!»
 
Riza Hawkeye alternava momenti di lucidità a istanti in cui la ragione sembrava averla abbandonata del tutto. Questi ultimi assomigliavano a grandi spazi bianchi in cui il suo cervello si spegneva, si staccava completamente dal mondo come se quello che la circondava non la riguardasse più e le scivolasse addosso. Rimanevano solo pensieri sconnessi, sottili nastri che le attraversavano la mente e poi sparivano.
Frammenti di discorso, parole, frasi, immagini che forse erano esistiti o forse non erano nemmeno mai stati.
Il legame di Riza con la realtà era come una linea disturbata, ogni tanto c’era e ogni tanto no, il momento prima era nell’ufficio e l’attimo dopo si ritrovava in macchina senza sapere come ci fosse arrivata. Non che la cosa le importasse.
“Non può essere morto.” diceva la Riza lucida, o almeno quella che si comportava come se lo fosse “Non può essere stato questo ad ucciderlo, non dopo tutto quello che abbiamo passato.”
L’altra Riza, quella sola nel suo limbo, canticchiava tra sé e sé il valzer che avevano suonato alla prima festa dell’esercito a cui lui l’aveva costretta a partecipare.
“Non può essersene andato senza di me. No...no!” i pensieri della Riza che ancora rimaneva diventavano frenetici, finchè non scivolavano di nuovo nel nulla.
Quella Riza che non era più di un’ombra sulla terra sembrava trovare la pistola che aveva nella fondina particolarmente interessante...
“No.” si impose Riza “Non puoi farlo, non adesso. Cosa succede se il Generale è vivo è tu ti uccidi? Conoscendolo, penserà che è tutta colpa sua... e poi” si disse, trattenendo un singhiozzo e cercando di mettere a tacere l’altra Riza, che adesso citava brani di qualche libro che avevano letto entrambi e ricordava stralci di conversazioni avvenute a Ishbal così tanti anni prima “se davvero è morto, poi... vuol dire che c’è qualcuno che me l’ha portato via. E prima di morire bisogna che mi prenda cura di loro.”
Con questo fece definitivamente ammutolire l’altra parte di sé. Almeno per un po’.
 
Il Tenente Jean Havoc guidava la macchina. Era sempre stato il terzo in comando e adesso, con il Maggiore ridotto in quello stato e il Generale... beh, il Generale come si sapeva, si sentiva in dovere di gestire la situazione meglio che poteva, anche se aveva solo voglia di andare in un bar a ubriacarsi e magari scivolare sotto un tavolo e svenire.
Per le strade c’era una gran confusione, probabilmente proprio a causa dell’esplosione.
Metà della gente guidava nella corsia opposta, a giudicare dalle facce con grande ansia, come se pensasse che se c’era stata un’esplosione al tribunale militare sicuramente ce ne sarebbe stata un’altra e che fosse il caso di allontanarsi. L’altra metà andava ad intasare la via di Havoc, probabilmente col desiderio di andare a curiosare sul luogo dell’incidente.
Jean avrebbe voluto tirare fuori una mitraglietta e toglierli tutti di mezzo. Non che avesse fretta di arrivare laggiù o volesse guadagnare qualche minuto, solo che aveva l’aria di essere una cosa che dopo che l’hai fatta ti fa sentire meglio.
“Magari il Generale non è morto.” pensava, mentre cercava febbrilmente di accendersi una sigaretta con una manovra abbastanza pericolosa per la stabilità dell’auto “Forse è tutto un errore. Un gigantesco, fottutissimo errore che farò rimpiangere a chiunque l’ha fatto. Forse stamattina non mi sono ancora svegliato.”
Senza neanche rendersene conto mollò un pugno al volante.
«Havoc, vuoi che guidi io?» si offrì Breda, che era seduto accanto a lui e aveva notato l’espressione dell’amico.
«Tranquillo. Non hai una faccia migliore della mia, te lo assicuro. Piuttosto, il Maggiore come sta?»
Breda si voltò verso il sedile posteriore: «E come vuoi che stia... sta lì. Almeno fisicamente, intendo.» poi realizzò qualcosa «Fuery» disse, rivolto al Maresciallo seduto dietro «Togli le pistole al Maggiore, è meglio.»
Fuery lanciò uno sguardo preoccupato alla donna.
«Sono d’accordo.» disse. Tuttavia deglutì.
«Signora...eh» disse esitante, tendendo una mano verso Riza «potrebbe consegnarmi, cortesemente, le sue armi?»
Riza gli lanciò uno sguardo che arrivava da molto lontano, tirò fuori la pistola ma, ben lungi dal consegnargliela, gliela puntò contro.
«Quello che deciderò di fare con questa» disse «è un problema mio.»
Nell’auto calò un silenzio anche peggiore di quello che c’era prima, mentre Riza abbassava lentamente l’arma, la rimetteva al suo posto e si voltava di nuovo verso il finestrino, appoggiandocisi con la fronte come se sperasse di passarci attraverso e finire in un altro mondo.
Silenzio. Troppo, doloroso silenzio.
«Qualcuno ha avvertito Falman?» domandò Breda, dopo un po’.
«Perché avvertirlo?» per una volta il Maresciallo Fuery sembrava arrabbiato «Forse il Generale non è morto, magari si sono sbagliati. Perché dovremmo... perché...» l’indignazione iniziale aveva lasciato il posto allo smarrimento, e adesso il giovane non sapeva più come continuare. Non sapeva neppure più cosa pensare.
«Hai ragione» concordò Havoc, col massimo di gentilezza che gli era possibile in quel momento «ma credo che Falman vorrebbe saperlo lo stesso, non credi?»
«Bisognerà dirlo anche ad Acciaio. Ho sentito dire che sarebbe arrivato in città oggi.» borbottò Breda.
«Ed è qui?» domandò Havoc, lievemente sorpreso.
«A quanto pare sì. Lo hanno chiamato per una consulenza su non so quale esperimento.»
Havoc divenne se possibile ancora più cupo, pensando al ragazzo. Edward non si meritava anche questa.
Per fortuna il tribunale militare era poco lontano, perché nessuno di loro avrebbe sopportato oltre quel viaggio.
 
Il danno causato dall’incidente era evidente già da una certa distanza.
Quasi un’intera ala del tribunale era stata disintegrata dall’esplosione, e tutto ciò che ne rimaneva era una montagna di macerie, una specie di monumento funebre che si allargava per decine di metri. La zona circostante era stata evacuata e le transenne delimitavano uno spazio più ampio di un isolato.
Due soldati di guardia al perimetro li fermarono.
«Tenente Jean Havoc.» si identificò il giovane alla guida quando li vide «Credo che il Fuhrer sappia che siamo qui.»
I due eseguirono il saluto militare e uno di loro annuì, indicando un punto poco oltre: «Il Comandante Supremo è laggiù, signore.»
«Grazie.»
Attorno all’edificio si stava muovendo una gran quantità di persone. I più facevano parte di squadre di soccorso intente a scavare tra le macerie con l’aiuto dei cani. Avevano già estratto cinque cadaveri ma non disperavano di trovare qualcuno ancora vivo, dunque lavoravano con estrema rapidità.
Accanto ad una delle salme, allineate a terra e coperte con un lenzuolo, stava il Comandante Supremo Grumman con i suoi uomini.
Le sue guardie avevano tentato di dissuaderlo dall’andare sul posto, ma il vecchio non aveva voluto sentire ragioni, e così eccolo lì, a convincersi che c’erano poche, davvero poche possibilità che il suo amico e collega Roy Mustang, cui voleva bene come a un figlio, fosse scampato alla morte e che quello che aveva davanti fosse il cadavere di qualcun altro con addosso la sua uniforme.
Quando la macchina si fermò a pochi metri da lui si riscosse, e vedendo Havoc e Breda scendere dalla vettura e salutare sospirò. Sarebbe riuscito a parlare? Al momento non si fidava della propria voce.
Tuttavia non fece tempo a proferir parola, perché una voce di donna ruggì dall’interno della vettura: «Fuery, fammi uscire di qui immediatamente.»
«E così sei qui, Riza.» mormorò il Fuhrer, incupendosi.
Uno dei soldati di Grumman alzò uno sguardo preoccupato e lucido.
“Rebecca?” pensò Havoc, confuso “Beh, avrei dovuto aspettarmelo, è uno degli assistenti personali del Comandante.”
«Ci scusi, Eccellenza.» disse Breda «Non siamo riusciti ad impedirle di venire. E abbiamo pensato fosse meglio...non insistere troppo.»
Riza riuscì alla fine ad aprire la portiera della macchina, nonostante le resistenze del Maresciallo, che si ostinava a far scattare la sicura ogni volta che lei tirava giù la maniglia.
La donna abbracciò con un solo sguardo tutto quello che aveva attorno, poi vide quello che stava cercando.
Si mosse verso il corpo senza affrettarsi, con estrema dignità, e nessuno ebbe il coraggio di trattenerla, poi, non appena gli fu accanto, cadde in ginocchio e sollevò il lenzuolo.
Tutti si sentirono in dovere di distogliere lo sguardo.
L’urlo belluino attraversò l’aria innaturalmente silenziosa: «Levatevi di mezzo!» quasi tutti lì conoscevano quella voce, anche perché quando urlava tendeva all’acuto e tornava un po’bambina.
«Signor Elric, la prego, non mi costringa a... AHHH!»
Pochi secondi dopo, Edward Elric raggiunse come un tornado i soldati davanti alle macerie.
Fuery notò in lontananza, con la coda dell’occhio, uno degli uomini che avevano superato poco prima saltellare tenendosi in mano il piede destro, che Edward doveva avergli pestato. Con la gamba d’acciaio, probabilmente.
Edward, si rese conto Havoc, era cresciuto moltissimo durante quell’anno passato in giro per l’occidente. Tuttavia in quel momento sembrava solo un ragazzino spaventato che si nascondeva dentro un’espressione dura, come la prima volta che l’aveva visto al Quartier Generale dell’Est.
«Allora è vero.» disse il ragazzo, quando vide il corpo e il Maggiore accanto ad esso. Abbassò la testa. Voleva piangere, sentiva troppo dolore per non piangere, ma le lacrime non ne volevano sapere di uscire e si erano inceppate assieme ad uno degli ingranaggi fondamentali dell’universo.
Il Generale non poteva essere morto.
Mosse un passo in direzione della salma, ma Havoc lo bloccò, scuotendo la testa. Prima bisognava aspettare il Maggiore.
Solo in quel momento Edward riuscì a vedere il cadavere. Era – se ne rese conto con un grido soffocato – quasi completamente bruciato. L’unico elemento che permetteva un’identificazione era una delle due mostrine, meno malconcia del resto dell’uniforme, che lo certificava come Generale Maggiore. E naturalmente l’orologio da alchimista di stato, che Riza aveva preso in mano e che scuoteva nel suo palmo, meccanicamente.
«Come fate a sapere che è lui?» domandò Edward, furibondo «Non è lui, lo vedete?»
«Ed» disse Havoc, paziente e triste «Quanti altri Generali Maggiori e alchimisti di stato pensi che ci fossero oggi al tribunale militare? Comunque arriverà il dottor Knox, penso. Allora sapremo se...» la voce gli morì in gola.
«Bastardo, me l’avevi promesso!» urlò Edward, mentre gli occhi gli diventavano lucidi e le lacrime iniziavano a cadere «Me l’avevi promesso che non saresti morto!» si sedette su un grosso frammento di muro che l’esplosione aveva scagliato fin lì, tenendosi la testa tra le mani.
«Me l’avevi promesso.» mormorò.
Il Maggiore prese una delle mani del cadavere – o almeno quello che ne rimaneva – e la strinse, guardandola.
Un singhiozzo le salì in gola, ma lo trattenne con i denti.
Senza preavviso, si alzò e scattò verso l’auto con cui era arrivata, gridando con voce spezzata: «È lui.»
Saltò a bordo della vettura prima che qualcuno processasse il fatto che forse bisognava fermarla, bloccò le porte e mise in moto, mentre gli altri la circondavano. Qualcuno provò a sfondare i finestrini, ma il vetro rinforzato glielo impedì.
«Riza, aspetta!»
«Scenda di lì!»
«La prego, Maggiore...»
Prima che la donna premesse l’acceleratore, il suo sguardo incrociò quello di Edward.
«Maggiore Hawkeye!» la chiamò il ragazzo, disperato.
Teneva le mani premute sul finestrino, ma non fece niente per aprire la portiera con la forza. Non aveva il diritto di costringere la donna a scendere dalla macchina, e tuttavia avrebbe tanto voluto che lo facesse.
Riza si concentrò sul volante e, senza curarsi di tutti quelli che attorniavano il veicolo, partì sgommando.
«Seguila, presto!» esclamò il Fuhrer, scambiandosi uno sguardo con Rebecca.
«Havoc, vieni anche tu.» ordinò la donna, precipitandosi a bordo di una delle auto della scorta del Comandante.
Non fecero in tempo ad accendere il motore che Edward era già salito in macchina.
«Vengo anch’io.» disse semplicemente.
Gli altri li guardarono allontanarsi, e persino quelli che non conoscevano personalmente il Generale né il Maggiore si accorsero, stupefatti, di avere un groppo alla gola.
«Signore, posso parlare?» domandò Breda, dopo parecchi minuti di silenzio.
«Certo.» rispose stancamente Grumman, passandosi una mano sul volto.
«Crede davvero che riusciranno a riportarla indietro?»
Il Comandante tacque per molto tempo. Non  si era mai sentito così anziano in vita sua.
«Non lo so.» disse alla fine con voce roca «Ma sicuramente le daranno una mano, poi...dipende tutto da lei.» il Fuhrer si mise il berretto sulla testa, nascondendo il volto «Sono troppo vecchio per veder morire le persone a me care prima di me.»
«Signore...» si fece avanti un uomo della scorta, preoccupato.
«Sto bene! Sto bene...» si rivolse a Breda e a Fuery «Anche noi abbiamo del lavoro da sbrigare. Non possiamo lasciare che faccia tutto Riza.»
«Sissignore!»
Il Comandante Supremo e la sua scorta se ne andarono.
Gli ultimi a lasciare il luogo della tragedia furono il Tenente e il Maresciallo, che avevano gentilmente rifiutato un posto nella macchina di ordinanza. Sarebbero andati a piedi.
Quando oltrepassarono il perimetro, uno degli uomini di guardia domandò a Breda, imbarazzato ma senza nascondere la curiosità: «Signore, mi scusi, posso chiederle chi fosse quella donna che è corsa via in auto? Ha sollevato un bel parapiglia...»
«Quella» rispose Breda, con lo sguardo distante «era Riza Hawkeye, e chiunque abbia ucciso il Generale Mustang da questo momento è un morto che cammina.»
   
 
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