Sentiva Lo
scricchiolio dell’erba sotto i suoi piedi intervallato dal rumore sdrucciolo
delle sue converse al contatto con l’asfalto riscaldato dal sole primaverile,
Aveva dimenticato ciò che le stava intorno, e correva e correva, sempre di più,
riusciva ad ascoltare solo il battito del suo cuore pulsare nelle orecchie e il
ritmo veloce del suo respiro. Più volte il suo analista le aveva consigliato,
soprattutto in quel periodo, di correre fino a quando quelle benedette
endorfine si fossero liberate e l’avessero riempita di energia, ma più volte
lei aveva rifiutato il suo invito. Ma quel giorno, c’era qualcosa di molto più
importante delle endorfine in ballo, che avrebbe ridato felicità a Clelia, e
per questo stava correndo per le strade di Milano.
Si maledisse
più volte quel giorno, di non avere abbastanza coraggio per portare una
maledettissima macchina, e adesso, in quella mattina che aveva atteso per sei
mesi, lei stava per arrivare tardi.
Avendo perso
qualsiasi mezzo in grado di portarla all’Aeroporto, decise che l’unico modo era
andarci a piedi e correre. La fronte
madida di sudore, le guance arrossate e il respiro più che affannato, in
quarantacinque minuti arrivò all’aeroporto.
Appena oltrepassata la porta a vetri della struttura si piegò in due,
poggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprende fiato. Quando finalmente, il respiro riprese il suo
normale ritmo vitale si avviò a passo incerto per via del dolore alle gambe,
stressate da quella corsa mattutina inaspettata, verso l’enorme tabellone appeso
in alto. Sul tabellone nero le scritte bianche che continuavano a cambiare
alternandosi e segnalando diversi ritardi, gli occhi blu cobalto di Clelia
incontrarono finalmente la segnalazione del Suo volo. Sarebbe arrivato tra meno
di un quarto d’ora, ce l’aveva fatta! In quel momento il cuore ricominciò a
battere forte, a picchiare contro il suo petto come un matto, riuscì a sentire
di nuove quelle strane sensazioni che ormai da mesi non provava più. Di nuovo
quella sensazione allo stomaco, quel leggero solletico, quelle farfalle che
svolazzavano. Sentendosi le gambe cedere si avviò verso una panchina e vi si
sedette, in attesa di vederlo finalmente arrivare verso di lei.
Furono forse
i quindici minuti più lunghi della sua vita, ogni secondo che batteva l’orologio
sembra un anno. E ad ogni minuto il cuore aumentava i battiti e le farfalle
diventavano sempre di più. Prese un piccolo volantino che qualcuno aveva
lasciato sulla panchina accanto a lei e cercò di farsi aria sventolandolo
ritmicamente, cercando di riacquistare quella calma apparente di cui lei era
sempre dotata. Quando finalmente un voce femminile annunciò in varie lingue che
il volo da Washington era appena atterrato e che i passeggeri stavano
sbarcando, Clelia si alzò velocemente e estrasse dalla tasca della salopette di
Jeans un foglietto A4 che aveva accuratamente ripiegato in quattro, su cui la
mattina aveva scritto con un pennarello nero: DOTTOR REID, e con quello in
bella visto andò a piazzarsi davanti al corridoio di sbarco, con il cuore che
non si decideva a rallentare.
Il suo aereo
era appena atterrato. Per tutte le lunghe ore di viaggio aveva pensato a cosa
dirle, a come comportarsi per cercare di
non sembrare il solito ragazzino imbranato. Era felice di rivederla, ma più
volte durante il viaggio si era chiesto se fosse veramente la cosa giusta da
fare. In fondo c’era sempre l’oceano a dividerli, e malgrado tra loro fosse
rimasta una forte amicizia a legarli erano comunque passati sei mesi, sei
lunghi mesi, senza di lei. Cosa poteva
aspettarsi? Credeva davvero che Clelia lo stesse aspettando, o che provasse le
stesse cose che provava lui? la sua mente pragmatica gli aveva detto diverse
volte che sarebbe stato meglio chiudere la faccenda molto prima di arrivare a
quel punto, così da evitare in qualsiasi modo di soffrire. Ma ormai non c’era
più nulla da fare, ormai stava muovendo i suoi primi passi sul suolo italiano.
Si diresse a prendere la sua valigia con le gambe intorpidite dal viaggio che
si muovevano lente e incerte, e si diresse verso il corridoio di sbarco
impaziente di incontrare di nuovo quei meravigliosi occhi blu.
Continuava a
guardarsi intorno cercando di vedere quel cespuglio di ricci rossi spiccare tra
la folla di italiani che come lei aspettavano qualcuno. Quando girò lo sguardo
verso destra finalmente la vide.
Indossava una simpatica salopette di jeans con una maglietta rossa
sotto, e un paio di converse; era così diversa da come l’aveva vista in America
nei suoi vestiti classici ed eleganti, ma questa versione di lei gli piaceva,
anzi gli piaceva molto di più. I capelli come al solito ribelli si muovevano
seguendo il ritmo della sua testa che si muoveva cercandolo tra la folla. Quando
finalmente anche lei lo vide la sua bocca di aprì in un immenso sorriso e la
mano libera dal cartello cominciò a sventolare in aria. In quel momento Spencer
capì che quella che aveva fatto era la scelta giusta, che era proprio lì che
doveva trovarsi in quel momento.
Sorridendole
di rimando, si diresse verso di lei a grandi falcate, quando la raggiunse
lasciò cadere la valigia a terra e la strinse a sé. Un abbraccio, nulla di più,
ma in quell’ istante entrambi ricominciarono a vivere.
Una volta
sciolto l’abbraccio, Clelia alzò lo sguardo per incontrare i caldi occhi
nocciola del ragazzo, gli stessi occhi che cercavano i brillanti lapislazzuli
nei suoi. Cercando di rompere il silenzio,allontanandosi da lui disse:
“Benvenuto
in Italia Dottor Reid!”
“Grazie
” rispose
lui in italiano ma con un marcato accento americano.
“Wow, hai
preso lezioni di italiano vedo!” gli disse la ragazza senza smettere di
sorridergli.
“Si ho letto
qualcosa in aereo” rispose con naturalezza lui recuperando da dentro la sua
tracolla un dizionario inglese - italiano.
“AH
dimentico sempre che sto parlando con un genio” disse lei battendo con una mano
sulla fronte e poi ridacchiando. “Comunque, dai sbrighiamoci o perderemo l’auto,
di nuovo!”
“Di nuovo?”
chiese il ragazzo recuperando la valigia e seguendo la ragazza verso l’uscita.
“si, diciamo
che per venire qui a prenderti mi è toccata fare una bella corsetta!” tagliò
corto Clelia, cercando di dimenticare la brutta avventura della mattina.
Una volta
saliti sull’autobus, che li avrebbe portati fino a casa di Clelia. Seduti
vicini, gli sguardi dei due ragazzi erano puntati in due punti diversi, e il
silenzio era imbarazzante. La prima a romperlo come sempre fu Clelia:
“Vedo che
hai tagliato i capelli” disse la prima cosa che le venne in mente.
“Oh si”
rispose il ragazzo portandosi automaticamente una mano tra i capelli castani.
“Stavi
meglio prima!” ammise Clelia ma con il sorriso stampato sul viso.
“Vedo che
non sei cambiata molto! Sei sempre l’odiosa Clelia che ricordavo!” scherzò il
ragazzo, per niente offeso dal commento della ragazza.
“Oh no
credimi! Sono peggiorata!” rise la rossa.
“Senti,
comunque, davvero posso stare in albergo, non voglio darti troppo fastidio”
cominciò Spencer, cambiando dirscorso.
“No! Ne
abbiamo già parlato! Te l’ho detto che ho traslocato. Nella mia nuova casa c’è
una camera in più e puoi stare lì. Perché fai tante storie?! Cosa c’è hai paura
che ti violenti nel sonno?” rispose la ragazza fingendosi seccata.
“Tranquilla,
d’accordo, starò con te! Non spararmi però!” si arrese in ragazzo, per poi
scoppiare entrambi a ridere.
“
L’importante è che tu non mi faccia arrabbiare. Ah, a proposito, hai qualche
problema con i gatti?”
“No, o
almeno no più di quanti ne abbia con tutti gli esseri viventi!” rispose il
ragazzo.
“Benissimo,
credo che andrai d’accordo con Mefistofele!” disse la ragazza battendo su la
sua mano e sorridendogli.
“Chi è
Mefistofele?” chiese lui strabuzzando gli occhi.
“Oh lui è il
mio gatto! Me l’hanno regalato le mie due nuove vicine, vedrai ti piaceranno
anche loro!” rispose con tranquillità la ragazza.
“Mefistofele?
Non puoi chiamare un gatto così? Ma sai cosa rappresenta quel nome?” domandò il
giovane genio, ancora scosso dal assurdo nome che la ragazza aveva dato al
gatto.
“Ma certo
che lo so! Ma credimi è perfetto per lui! ma non lasciarti spaventare dal nome,
sa essere molto dolce quando vuole!” disse la ragazza ridendo per la reazione
esagerata avuta da Spencer.
“Oh ecco
siamo arrivati! Vedrai ti divertirai con me!” concluse la rossa prima di
alzarsi dal sedile e scendere, dirigendosi verso casa seguita da Spencer.