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Autore: Ofelia20    25/07/2011    3 recensioni
Sequel di "Change".
Clelia è tornata in Italia da ormai sei mesi, piena di rimpianti e rimorsi. La sua vita sta andando in pezzi e le paure che pensava di aver perso in America cominciano a riaffiorare. La speranza di poter tornare finalmente a sorridere risplende quando il Dottor Ried approda in Italia.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Se un giorno mai...'
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Sentiva Lo scricchiolio dell’erba sotto i suoi piedi intervallato dal rumore sdrucciolo delle sue converse al contatto con l’asfalto riscaldato dal sole primaverile, Aveva dimenticato ciò che le stava intorno, e correva e correva, sempre di più, riusciva ad ascoltare solo il battito del suo cuore pulsare nelle orecchie e il ritmo veloce del suo respiro. Più volte il suo analista le aveva consigliato, soprattutto in quel periodo, di correre fino a quando quelle benedette endorfine si fossero liberate e l’avessero riempita di energia, ma più volte lei aveva rifiutato il suo invito. Ma quel giorno, c’era qualcosa di molto più importante delle endorfine in ballo, che avrebbe ridato felicità a Clelia, e per questo stava correndo per le strade di Milano.

Si maledisse più volte quel giorno, di non avere abbastanza coraggio per portare una maledettissima macchina, e adesso, in quella mattina che aveva atteso per sei mesi, lei stava per arrivare tardi.

Avendo perso qualsiasi mezzo in grado di portarla all’Aeroporto, decise che l’unico modo era andarci a piedi e correre.  La fronte madida di sudore, le guance arrossate e il respiro più che affannato, in quarantacinque minuti arrivò all’aeroporto.  Appena oltrepassata la porta a vetri della struttura si piegò in due, poggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprende fiato.  Quando finalmente, il respiro riprese il suo normale ritmo vitale si avviò a passo incerto per via del dolore alle gambe, stressate da quella corsa mattutina inaspettata, verso l’enorme tabellone appeso in alto. Sul tabellone nero le scritte bianche che continuavano a cambiare alternandosi e segnalando diversi ritardi, gli occhi blu cobalto di Clelia incontrarono finalmente la segnalazione del Suo volo. Sarebbe arrivato tra meno di un quarto d’ora, ce l’aveva fatta! In quel momento il cuore ricominciò a battere forte, a picchiare contro il suo petto come un matto, riuscì a sentire di nuove quelle strane sensazioni che ormai da mesi non provava più. Di nuovo quella sensazione allo stomaco, quel leggero solletico, quelle farfalle che svolazzavano. Sentendosi le gambe cedere si avviò verso una panchina e vi si sedette, in attesa di vederlo finalmente arrivare verso di lei.

Furono forse i quindici minuti più lunghi della sua vita, ogni secondo che batteva l’orologio sembra un anno. E ad ogni minuto il cuore aumentava i battiti e le farfalle diventavano sempre di più. Prese un piccolo volantino che qualcuno aveva lasciato sulla panchina accanto a lei e cercò di farsi aria sventolandolo ritmicamente, cercando di riacquistare quella calma apparente di cui lei era sempre dotata. Quando finalmente un voce femminile annunciò in varie lingue che il volo da Washington era appena atterrato e che i passeggeri stavano sbarcando, Clelia si alzò velocemente e estrasse dalla tasca della salopette di Jeans un foglietto A4 che aveva accuratamente ripiegato in quattro, su cui la mattina aveva scritto con un pennarello nero: DOTTOR REID, e con quello in bella visto andò a piazzarsi davanti al corridoio di sbarco, con il cuore che non si decideva a rallentare.

 

Il suo aereo era appena atterrato. Per tutte le lunghe ore di viaggio aveva pensato a cosa dirle, a come comportarsi  per cercare di non sembrare il solito ragazzino imbranato. Era felice di rivederla, ma più volte durante il viaggio si era chiesto se fosse veramente la cosa giusta da fare. In fondo c’era sempre l’oceano a dividerli, e malgrado tra loro fosse rimasta una forte amicizia a legarli erano comunque passati sei mesi, sei lunghi mesi, senza di lei.  Cosa poteva aspettarsi? Credeva davvero che Clelia lo stesse aspettando, o che provasse le stesse cose che provava lui? la sua mente pragmatica gli aveva detto diverse volte che sarebbe stato meglio chiudere la faccenda molto prima di arrivare a quel punto, così da evitare in qualsiasi modo di soffrire. Ma ormai non c’era più nulla da fare, ormai stava muovendo i suoi primi passi sul suolo italiano. Si diresse a prendere la sua valigia con le gambe intorpidite dal viaggio che si muovevano lente e incerte, e si diresse verso il corridoio di sbarco impaziente di incontrare di nuovo quei meravigliosi occhi blu.

Continuava a guardarsi intorno cercando di vedere quel cespuglio di ricci rossi spiccare tra la folla di italiani che come lei aspettavano qualcuno. Quando girò lo sguardo verso destra finalmente la vide.  Indossava una simpatica salopette di jeans con una maglietta rossa sotto, e un paio di converse; era così diversa da come l’aveva vista in America nei suoi vestiti classici ed eleganti, ma questa versione di lei gli piaceva, anzi gli piaceva molto di più. I capelli come al solito ribelli si muovevano seguendo il ritmo della sua testa che si muoveva cercandolo tra la folla. Quando finalmente anche lei lo vide la sua bocca di aprì in un immenso sorriso e la mano libera dal cartello cominciò a sventolare in aria. In quel momento Spencer capì che quella che aveva fatto era la scelta giusta, che era proprio lì che doveva trovarsi in quel momento.

Sorridendole di rimando, si diresse verso di lei a grandi falcate, quando la raggiunse lasciò cadere la valigia a terra e la strinse a sé. Un abbraccio, nulla di più, ma in quell’ istante entrambi ricominciarono a vivere.

Una volta sciolto l’abbraccio, Clelia alzò lo sguardo per incontrare i caldi occhi nocciola del ragazzo, gli stessi occhi che cercavano i brillanti lapislazzuli nei suoi. Cercando di rompere il silenzio,allontanandosi da lui disse:

“Benvenuto in Italia Dottor Reid!”

Grazie rispose lui in italiano ma con un marcato accento americano.

“Wow, hai preso lezioni di italiano vedo!” gli disse la ragazza senza smettere di sorridergli.

“Si ho letto qualcosa in aereo” rispose con naturalezza lui recuperando da dentro la sua tracolla un dizionario inglese - italiano.

“AH dimentico sempre che sto parlando con un genio” disse lei battendo con una mano sulla fronte e poi ridacchiando. “Comunque, dai sbrighiamoci o perderemo l’auto, di nuovo!”

“Di nuovo?” chiese il ragazzo recuperando la valigia e seguendo la ragazza verso l’uscita.

“si, diciamo che per venire qui a prenderti mi è toccata fare una bella corsetta!” tagliò corto Clelia, cercando di dimenticare la brutta avventura della mattina.

Una volta saliti sull’autobus, che li avrebbe portati fino a casa di Clelia. Seduti vicini, gli sguardi dei due ragazzi erano puntati in due punti diversi, e il silenzio era imbarazzante. La prima a romperlo come sempre fu Clelia:

“Vedo che hai tagliato i capelli” disse la prima cosa che le venne in mente.

“Oh si” rispose il ragazzo portandosi automaticamente una mano tra i capelli castani.

“Stavi meglio prima!” ammise Clelia ma con il sorriso stampato sul viso.

“Vedo che non sei cambiata molto! Sei sempre l’odiosa Clelia che ricordavo!” scherzò il ragazzo, per niente offeso dal commento della ragazza.

“Oh no credimi! Sono peggiorata!” rise la rossa.

“Senti, comunque, davvero posso stare in albergo, non voglio darti troppo fastidio” cominciò Spencer, cambiando dirscorso.

“No! Ne abbiamo già parlato! Te l’ho detto che ho traslocato. Nella mia nuova casa c’è una camera in più e puoi stare lì. Perché fai tante storie?! Cosa c’è hai paura che ti violenti nel sonno?” rispose la ragazza fingendosi seccata.

“Tranquilla, d’accordo, starò con te! Non spararmi però!” si arrese in ragazzo, per poi scoppiare entrambi a ridere.

“ L’importante è che tu non mi faccia arrabbiare. Ah, a proposito, hai qualche problema con i gatti?”

“No, o almeno no più di quanti ne abbia con tutti gli esseri viventi!” rispose il ragazzo.

“Benissimo, credo che andrai d’accordo con Mefistofele!” disse la ragazza battendo su la sua mano e sorridendogli.

“Chi è Mefistofele?” chiese lui strabuzzando gli occhi.

“Oh lui è il mio gatto! Me l’hanno regalato le mie due nuove vicine, vedrai ti piaceranno anche loro!” rispose con tranquillità la ragazza.

“Mefistofele? Non puoi chiamare un gatto così? Ma sai cosa rappresenta quel nome?” domandò il giovane genio, ancora scosso dal assurdo nome che la ragazza aveva dato al gatto.

“Ma certo che lo so! Ma credimi è perfetto per lui! ma non lasciarti spaventare dal nome, sa essere molto dolce quando vuole!” disse la ragazza ridendo per la reazione esagerata avuta da Spencer.

“Oh ecco siamo arrivati! Vedrai ti divertirai con me!” concluse la rossa prima di alzarsi dal sedile e scendere, dirigendosi verso casa seguita da Spencer.

   
 
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