Un’angelica
melodia”
Hogwarts
non è mai stata più silenziosa come in questa
piovigginosa mattinata primaverile.
L’acqua
del Lago Nero, le foglie del parco, le radici degli alberi,
l’interno del castello, tutto sembra giacere inerme, vicino e
lontano dal tempo in cui la spensieratezza e la serenità
avevano reso caratteristico questo paesaggio inglese.
Da
lontano si scorge qualche rara figura che entra ed esce dal castello,
il tutto sempre circondato da un’atmosfera silenziosa e
vagamente malinconica.
Solo
da un’alta finestra situata nella parte sud del maniero, si
può intravedere una fioca luce accesa da qualcuno, un
qualcuno forse spinto da un desiderio di ribellione al tetro paesaggio
dell’esterno.
E’
proprio da questa finestra che proviene un leggero motivetto, una
melodia angelica e delicata, ma allo stesso tempo intrisa della
malinconia che regna padrona a Hogwarts.
Se
volessimo avvicinarci a quel suono, attraverseremmo il parco, e
osserveremmo da vicino come la mestizia si è addentrata in
ogni singola particella del paesaggio, nella corteccia degli alberi,
nelle venature delle foglie, nell’infante polline annaffiato
sui primi fiori di primavera, nella terra sotto i nostri piedi, nei
piccoli granelli di polvere svolazzanti nell’aria umida.
Il
richiamo di questo suono aumenta ad ogni passo, la spettacolare melodia
inebria le membra, è un qualcosa che difficilmente si prova
nella vita quotidiana, ma d’altronde l’esistenza
è colma di doni che dobbiamo solo imparare a cogliere al
momento giusto.
L’interno
del castello non presenta la solita atmosfera gioiosa, non
c’è nessuno studente in giro, segno che le lezioni
sono state sospese, come comprensibile. Il torneo Tremaghi è
terminato da poco, ma ciò che ha portato con sé
molto difficilmente sarà presto dimenticato
all’interno del maniero.
Ad
uno sguardo più attento, però, qualcuno
avrà notato che una figura in movimento c’
è nei corridoi, vestita di un pesante mantello scuro,
facilmente mimetizzabile con i muri e gli emblemi neri distribuiti nel
castello.
Neville
Paciock si muove speditamente, un piccolo abbozzo di goffaggine che
nonostante il miglioramento con l’età, lo
caratterizza sempre; il viso solcato da una lieve ruga di espressione
in fronte. Celermente continua il suo cammino per le scale
dell’imponente castello.
E’
preso anche lui da questa melodia, sempre più percepibile
all’avvicinarsi all’alta finestra illuminata; la
musica sembra provenire da uno strumento a corde, a giudicare dalla
grande amplificazione del suono.
Neville
continua ad avanzare fino a che la melodia acquista il massimo del
volume: essa proviene da una stanza probabilmente in disuso, lasciata
socchiusa dall’ignoto musicista.
La
voglia di scoprire l’artefice di quel profondo suono,
così angelico ma così dannatamente malinconico,
è forte, ma il bisogno di sedersi, chiudere le pupille e
ascoltare unicamente il canto è ancora più
intenso.
La
musica scorre inesorabile, come se quel dolce suono avesse il potere di
cancellare tutto il dolore che in quei giorni si è
addentrato nei cuori di troppe persone, ma allo stesso tempo lo
raddoppiasse crudelmente.
Neville
non riesce a dare un nome ai contrastanti sentimenti che si agitano nel
suo cuore, ma dentro di sé sa che, una volta scoperta questa
unica melodia, non riuscirà più a farne a meno.
La
musica sembra essere interpretata dai pianti, dai dolori, dalle pene,
dalle ingiustizie di quei giorni o forse più in generale
dalla vita stessa, che si addentrano prepotentemente nelle membra di
chiunque sia dotato di cuore e sentimenti, alternandosi a ricordi
felici, creando una confusione tra illusione e realtà, ed
insieme ti fanno cadere e rialzare, cadere e rialzare e di nuovo cadere.
Improvvisamente
la musica cessa e Neville sembra riscuotersi, sopraggiunto da un
sentimento di smarrimento, come se quella musica lo avesse fatto
estraniare dal mondo per un lasso di tempo, che fosse di qualche
minuto, un’ora, un giorno o più e perdere quella
tranquillità gli avesse tolto l’equilibrio per
affrontare la realtà che circonda lui e i suoi compagni.
Ora
che la musica non ha più nessun potere, Neville decide di
occhieggiare nella stanza, bramoso di scoprire l’artefice di
quel magico suono.
Si
sporge silenziosamente e intravede un antico pianoforte; davanti ad
esso, seduta, c’è una ragazza con lunghi e lisci
capelli neri, che infondono una deliziosa sensazione di morbidezza.
Neville
non distingue chi è la ragazza, ma forse
l’identità non è poi così
importante come l’improvviso ed inspiegabile bisogno di
parlare con lei.
La
ragazza si muove impercettibilmente, destata dalla sua quiete forse da
un piccolo spostamento d’aria o dalla sensazione di avere un
pubblico.
Neville
rimane sull’uscio della porta, in attesa forse di qualcosa
che neanche lui sa definire, ma, forse è il destino che
l’ha voluto, sbatte leggermente la gamba contro lo stipite
dell’entrata, provocando un sommesso rumore.
Vede
la ragazza muoversi, questa volta percettibilmente, emettendo un lieve
sussurro di sorpresa, ma nonostante ciò non si gira del
tutto verso il nuovo arrivato.
“Ti
prego, scusami, non volevo spaventarti…” pronuncia
Neville leggermente rosso in faccia per l’ennesima figuraccia.
La
ragazza dai capelli neri stringe le braccia attorno al corpo, come se
volesse proteggersi da qualcosa, è spaventata ma
è lieta che ci sia qualcuno lì con lei.
Deluso
dal non aver ricevuto una risposta dalla giovane, Neville decide di
andarsene, forse non doveva neanche arrivarci fin quassù, ma
è fermato dalla delicata voce di lei.
“Non
andartene… Per favore...” un suono debole, un
silenzioso grido di aiuto, emesso dalle labbra della ragazza che ha il
potere di colpire Neville.
“Non
volevo disturbarti, solo che ho sentito la tua musica e… Non
ho saputo resistere, sei bravissima…”.
Neville
non può saperlo, ma un debole rossore si è
diffuso sul viso troppo pallido della ragazza.
“Grazie,
prima d’ora nessuno mi aveva mai sentito suonare,
tranne…” la voce della ragazza s’incrina
improvvisamente, a quel ricordo.
“Tranne
chi?” chiede il ragazzo, troppo sprovveduto per capire il
dolore che la risposta le avrebbe portato.
“Lui…ecco,
lui non c’è più…”
un piccolo singhiozzo esce dalle sue labbra, troppo presa da quel
ricordo, per accorgersi della perdita di controllo davanti ad un
estraneo.
“Accidenti,
scusami di nuovo, non avrei dovuto chiedertelo, potevo
immaginare…” un impacciato Neville borbotta
sentite parole di perdono, per non avere riflettuto prima di parlare.
“Non
scusarti, come potevi sapere… Solo una cosa ti chiedo, per
favore… Non iniziare a trattarmi compassionevolmente, non
potrei sopportarlo… Questi giorni ho già dovuto
accettare la commiserazione di amici, professori che vorrebbero solo
aiutarmi, ma non sanno che così sto solo peggio… Il
fatto è che lui mi manca
terribilmente…”.
Questa
volta la ragazza inizia a piangere veramente, per la prima volta da
quando il destino le ha portato via la persona che le ha cambiato la
vita.
E’
un pianto liberatorio, le lacrime scendono copiosamente, felici di
abbandonare quegli occhi tristi, dove erano rimaste segregate per
troppo tempo, incapaci di uscire.
[ Come la pioggia che finalmente
scende in terra, dopo giorni e giorni di tempo freddo e nuvoloso]
Un
pianto desiderato, col quale finalmente Cho Chang manifesta per la
prima volta tutto il dolore che la perdita di Cedric Diggory le ha
arrecato.
Ora
lei sente di stare meglio, meravigliandosi che sia stato un semplice
sconosciuto a riuscire a farle tirare fuori tutte quelle emozioni ed il
dolore intrisi in ogni sua particella, quando invece neanche la sua
migliore amica ce l’aveva fatta.
Una
sensazione di svuotamento impadronisce il corpo di Cho, ora il dolore
sembra più sopportabile.
]Finalmente le
nuvole possono sentirsi libere, per la prima volta dopo tanto.]
Lacrima
dopo lacrima.
[Goccia
dopo
goccia]
Neville
è semplicemente stregato da questa misteriosa ragazza.
Dalla
sua voce, dai suoi capelli, dalla sua melodia, perfino dal suo pianto,
dal quale si percepisce la delicatezza con la quale
l’orientale affronta il proprio dolore.
Un
pianto troppo silenzioso, potrebbe dire qualcuno, rispetto al grande
strazio di Cho, di una ragazza che è stata privata
dell’amante troppo presto.
“
Scusami” ripete Neville, con voce bassa, meravigliato di come
si sente partecipe del dolore di quella sconosciuta “ so come
ci si sente…” farfuglia, come se stesse parlando
più a se stesso che con lei.
“Come
puoi?” una domanda diretta, imbarazzante, dolorosa, ma
ciò che sta succedendo ai due in questo momento va oltre i
confini dell’immaginabile.
Si
è creata una sorta di sintonia, tra due persone giovanissime
alle prese con un qualcosa di troppo grande per loro.
“Io…
Ecco… I miei genitori… Non sono morti
ma… Non posso più avere contatti con
loro…”. Neville chiude gli occhi.
“Cos’è
successo?” soffia la ragazza, sorpresa di voler davvero
sapere della sorte dei genitori di quel ragazzo, che forse tanto
sconosciuto non lo è più.
“Loro…
Sono stati torturati da una Mangiamorte…”.
La voce di Neville si incrina per un attimo, il volto
leggermente rosso per contrastare le varie emozioni che si stanno
ribellando dentro di lui, ansiose di uscire allo scoperto. “
Hanno perso il senno, e non l’hanno più
recuperato… Sono ricoverati al San Mungo e quando il
professor Silente mi da il permesso vado a trovarli anche durante
l’orario scolastico…” finisce il
ragazzo, meravigliandosi di non sentire l’imbarazzo come si
aspettava invece succedesse.
“
Mi… Mi dispiace. A volte sono così presa dal mio
dolore che divento così egoista da non capire che questa
guerra sta facendo del male a tutti…” risponde
tristemente Cho Chang.
Cade
il silenzio tra di loro. Non è uno di quelli imbarazzanti,
nei quali ciascuno cerca disperatamente qualcosa da dire ; il
silenzio, anzi, sembra perfetto in un momento come quello.
Come
se servisse ad imprimere meglio nella mente le ultime parole della
ragazza, fin troppo vere.
“Io…
Ho paura…” sussurra Cho.
“
Anch’io… Ho paura che altre disgrazie piombino su
di me, sulle persone a me care… Su tutti noi, protagonisti
di questa realtà che non abbiamo
deciso…” si lascia andare Neville, ormai in
completa confidenza con la giovane orientale, che ora ha smesso di
piangere.
“
Io temo tutte le notti ciò che potrei trovare al mattino, ho
paura di cosa potrebbe accadere ancora nella mia vita, dopo essere
stata privata di lui… Ho paura, paura per i miei genitori,
lontani ma terribilmente in pericolo. Siamo tutti in
pericolo…”. Un ultimo singhiozzo esce dalle labbra
di lei.
I
due giovani non si sono ancora guardati in viso, non ne hanno bisogno,
semplicemente si stanno rassicurando inconsciamente con le loro voci.
“
Spero solo di avere una possibilità di poter scendere in
campo, battermi con colui che ha ammazzato una persona buona,
coraggiosa, che non se lo meritava. Spero che il suo cuore, sempre
ammesso che lo abbia ancora, provi presto l’atroce sofferenza
della morte. Solo in quel momento lui
sarà vendicato” conclude la ragazza,
conoscendo per la prima volta la fase della rabbia, dopo aver appreso
quella dello smarrimento e del dolore.
“
Tutto ciò che speri, che tutti noi speriamo,
avverrà. Te lo prometto. Ci sarà la pace, un
giorno, in questo mondo ora distrutto, ma combatterò,
combatteremo tutti insieme per permettere ai nostri figli di vivere
felici, lontano da tutto questo”.
Neville
sembra acquistare un coraggio mai avuto prima: forse l’essere
qui, insieme a questa sconosciuta, gli ha fatto capire che non bisogna
permettere al male di penetrare crudelmente nelle anime, come fosse un
segno di rassegnazione di una vita ormai distrutta, ma bisogna invece
combatterlo.
“Nessuno
ha il potere di farci abbattere, prepotentemente, senza reagire. Dobbiamo
solo avere la forza di provare a costruire un mondo migliore, per noi,
per i nostri figli”.
Questo
fu quello che Neville Paciock e Cho Chang scoprirono quella mattina
piovigginosa di primavera.
Due
sconosciuti, che decisero di rimanere tali.
In
fondo non è così importante
l’identità di chi, seppur per qualche minuto, ti
fa tornare a sorridere, a vivere.
E questo, Neville e Cho non l’avrebbero mai dimenticato.
È
la vita con cui abbiamo a che fare. Non la morte. Colui che vede la
luce e la conosce, vivrà.
(Bob Marley)