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Autore: Querthe    27/03/2006    2 recensioni
Ho deciso di riunire vari racconti fantasy, tutti ambientati su un mondo che ho spesso utilizzato come sfondo dei miei giochi di ruolo. Spero vi piacciano.Ogni capitolo è una storia autoconclusiva, ma alcune hanno un seguito (Cap2+Cap4, Cap5+Cap6+Cap7)La ff non è volutamente finita visto che ogni volta che scriverò un'altro raccontino finirà come nuovo capitolo qui dentro.Cap 1: Due cacciatori di mostri, una maledizione e un vampiro.Cap 2: Un mago e un guerriero in una gita per aspiranti stregoni ad una cava di mostri.Cap 3: Quello che una madre può fare per suo figlio è incredibile. Se la madre è una negromante, poi...Cap 4: Dove la magia non può, può l'amore.Cap 5: Attenzione ai viaggi organizzati da vostro marito, si potrebbe appoggiare all'agenzia sbagliata...Cap 6: Un nano e un'elfa non potranno mai andare d'accordo. O no?Cap 7: Un tesoro, un drago, e un nano un po' fuori dalle righe (e anche dai quadretti..)Cap 8: Una persona speciale, sotto tanti punti di vista. E un contratto dove a volte i cavilli servono proprio per salvarsi la vita.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Mita annusò l’aria attirata da uno strano profumo che le giungeva lieve alle narici. Lo riconobbe quasi subito, ma attese un momento per controllare se anche Ulrich lo avesse sentito. Non vedendo nessuna reazione, uggiolò tranquilla per attirare al sua attenzione.
- Cosa c’è? - chiese il giovane fermandosi e osservando lo splendido lupo ramiadiano color argento che lo affiancava.
L’animale abbaiò festoso e mosse alcuni passi alla loro destra, per poi voltarsi e scodinzolare con la lingua penzoloni.
- Ho capito. Anch’io sono affamato, e non mi spiacerebbe un bel letto comodo, anche se come al solito ci dormirai tu. Forza, guida tu. La sera si sta avvicinando e voglio arrivare alla locanda prima del calare della notte.
Il cacciatore di non morti seguì la sua compagna per una ventina di minuti lungo la strada che stavano percorrendo da vari giorni, senza un motivo preciso, finché il profumo e una luce soffusa che si stava accentuando con il calare del sole lo fecero deviare dalla via principale che collegava Mirial alla Città del Fuoco per imboccare una malmessa strada sterrata e giungere così ad una costruzione che tutto aveva tranne che della taverna o dell’ostello. Piccola, dai muri scrostati dove non ricoperti da erbacce e muschi infestanti, aveva solo un piano di legno sopra quello di pietre e calcinacci. Una porta segnata dagli anni e desiderosa di andare in pensione faceva a gara con un’insegna ormai stinta dal tempo e dalle piogge a chi aveva più tarli all’interno.
- Certo che hai stile nel scegliere i locali! - Ironizzò il ragazzo, ignorando il ringhio della lupa, che mostrò lunghi e affilati denti per un istante. - Va bene, va bene… Forza, entriamo. Anche se l’aspetto non è dei migliori, il mio naso mi dice che sono degli ottimi cuochi.
Aprendo la porta Ulrich fu assalito dall’aroma di stufato e di fumo di pipa che da tanto tempo non assaporava. I ricordi di una vita ormai trascorsa lo colpirono come un maglio nanesco, mentre istintivamente si dava un’occhiata in giro per controllare che tipo di persone frequentassero il posto. Come aveva previsto c’erano pochi contadini, che si stavano riprendendo da una dura giornata di lavoro nei campi che aveva intravisto ai bordi della strada con l’aiuto di un boccale di birra o di un bicchiere di liquore. Chiuse la porta alle sue spalle stando attento a non fare più rumore del necessario, e se non fosse stato per l’allegro abbaiare, anche se della durata di un paio di secondi, di Mita, nessuno si sarebbe voltato nella sua direzione, alzando gli stanchi occhi dalle bevande che lentamente si scaldavano appoggiate sui rozzi tavoli di legno, accompagnati da sgabelli ancora più semplicemente ricavati da tronchi di deriano, che cresceva abbondante nella zona. Sebbene un paio di persone soffermò lo sguardo su di lui finché non fu raggiunto dall’oste, gli altri abbassarono gli occhi e tornarono a borbottare del tempo e delle sventure della zona. Il proprietario della locanda era un omone grande e grosso, dallo sguardo truce infilato su un volto rubizzo e tondo, che strinse la mano a Ulrich con una forza tale da fargli credere di aver infilato le dita tra l’incudine e il martello di qualche semidio dei nani.
- Benvenuto, straniero! - Esordì l’uomo, mostrandogli un tavolo libero poco lontano dalla finestra, da cui filtrava il buio ormai calante. - E’ strano vedere giovani da queste parti, e ancora meno accompagnati da una bestia così poderosa. Sei un cacciatore, o sbaglio?
Il ragazzo annuì lentamente.
- Oh, non ti preoccupare, ho fatto per decenni il mercenario, e ti posso assicurare che posso riconoscere il mestiere di una persona da pochi indizi. Tu sei un cacciatore, e credo nemmeno il primo della tua famiglia…
- Come…?
- Le incisioni dell’elsa della tua lama sono antiche e sono certo che si usavano una volta per identificare una compagnia di cacciatori molto famosa. Nelle Oltreterre, la zona della Mezza bestia…
- Non ricominciare con le tue vecchie storie, e pensa piuttosto a servire il signore. Non vedi che è stanco? - Lo redarguì una voce femminile possente come un tuono, proveniente dal bancone alla destra dei due. - La stanza sopra la cucina è libera, ed è abbastanza comoda, se sai accontentarti, figliolo. - sorrise al giovane una donna sui cinquanta, dalle braccia forti come quelle di un guerriero, intenta ad asciugare, anche se sarebbe stato più corretto dire torturando, un bicchiere.
- Moglie, non imparerai mai a tacere quando due uomini stanno parlando! Comunque hai detto una cosa giusta. Sistemati, che nel frattempo troverai al tuo tavolo la cena preparata.
- Grazie, ma pensavo solo di ingoiare alcuni bocconi e ripartire, visto che sono diretto lontano.
- Non se ne parla nemmeno. Non si esce dopo il calare della notte da queste parti. Vorrei evitare di doverti piantare dei paletti ne cuore la prossima volta che ci vedremo…
- Paletti? Vampiri? - chiese stupito il cacciatore.
Alla sola parola un silenzio calò innaturale nella stanza. Solo i respiri tesi degli avventori rompeva il vuoto lasciato dal basso ma costante brontolio che c’era fino a pochi istanti prima.
- Esatto! Ma non preoccuparti, qui non entrano. Hanno troppo paura di me! - scherzò l’oste, dandogli una manata sulle spalle che quasi fece perdere l’equilibrio al ragazzo, ancora intabarrato in un nero mantello liso dal tempo e che copriva a malapena l’armatura di cuoio e la spada alla cintura.
- Diciamo che per adesso si accontentano di uccidere alcuni animali e di divertirsi poco lontano da qui. Ma quando si saranno stufati? - sospirò la moglie dell’oste, portando una birra ad un tavolo e ricevendo la moneta d’argento che la pagava assieme alla cena.
Il proprietario stava per controbattere, ma lo sguardo di lei lo fece desistere.
- Credo allora che mi fermerò. Tra poco dovrebbe giungere una donna. Qualunque cosa avesse bisogno mettetelo in conto a me. Questo dovrebbe pagare la stanza per entrambi e le due cene oltre a qualcosa d’altro… - disse serio Ulrich mettendo in mano al grasso uomo una manciata di monete dorate.
- Con queste ci compri mezza locanda. Sei il mio benefattore, giovane cacciatore. - Si voltò verso la porta che probabilmente dava alla cucina. - Nando, testa vuota d’un figlio, un piatto abbondante al tavolo della finestra, e subito! - Urlò come un sergente ai suoi uomini, quindi melenso accompagnò il suo ospite alla stanza.
Ulrich ne uscì pochi minuti dopo senza il suo mantello e senza l’arma al fianco. Si sedette al tavolo dove fu subito servito assieme a un boccale di birra, per l’occasione non allungata. Mentre mangiava, controllò con la coda dell’occhio che Mita non si cacciasse nei guai, ma subito si tranquillizzò notando che si stava godendo le coccole di alcuni ragazzi e ragazze che erano da poco entrati e che avevano salutato allegramente i presenti, chiamandoli con ogni genere di appellativo parentale, da padre a zio di ottavo grado passando per tutti gli stadi intermedi. Finì il suo pasto velocemente, quasi azzannando il cibo e trangugiando la birra come se dovesse placare un incendio interno, quindi si alzò di scatto e si diresse alle scale, dove gli era stato indicato il suo alloggio. Senza che facesse un richiamo, senza un gesto particolare, anche se gli voltava le spalle al momento, la lupa si mosse e lo raggiunse, precedendolo alla stanza salendo gli scalini a quattro a quattro con eleganti balzi. La porta si richiuse lentamente, silente, e tutto tornò nella locanda come se quello straniero non fosse mai giunto.

 

La notte aveva ormai raggiunto anche la locanda, ma gli avventori non accennavano ad andarsene, sapendo, o sperando, che anche quella sera non sarebbe successo nulla a loro, ma che la mattina dopo avrebbero trovato una mucca, o alcune galline, sgozzate e completamente prosciugate dal sangue. La porta della locanda si aprì improvvisamente, facendo sussultare i presenti, ormai timorosi anche della loro ombra, incerti se le loro collane di aglio o i loro entavir tagliati rozzamente nel legno di deriano sarebbero stati di sufficiente scudo ai malefici poteri dei vampiri. Una figura minuta, avvolta in un mantello grigio chiaro, quasi argenteo, avanzò e richiuse silenziosamente la porta alle sue spalle. Un’ombra nera ed enorme si mosse fino al fuoco e li si accoccolò, mostrandosi come un gigantesco lupo dal manto lucido e corvino. Le persone più vicine si ritrassero spaventate.
- Non preoccupatevi. E’ innocuo se no lo aizzo io. - Li rassicurò la voce della sconosciuta. Era melodica, ma aveva qualcosa di strano, come di animalesco. - Ur non è cattivo, anche se lo sembra…
Come tentando di avvalorare le parole della padrona la bestia scodinzolò e mostrò la lingua come il più indifeso dei cucciolotti, ma nel farlo spianò inavvertitamente i lunghi canini e una dentatura invidiabile, che sortì l’effetto opposto.
- Credo che lei sia la persona che mi è stato detto che sarebbe giunta. Si senta libera di ordinare tutto quello che vuole, tutto è stato già pagato. - esclamò l’oste mostrandole con la mano il tavolo che poco prima era stato occupato da Ulrich.
- Grazie. Penso che un buon pasto e un boccale di latte saranno sufficienti.
La sconosciuta si tolse il fermaglio in oro che chiudeva il mantello e calò dal capo il cappuccio ampio e monacale che le copriva il viso, rivelando una cascata di capelli lisci, dal color biondo cenere, quasi argentei, che assieme alle fattezze esotiche degli occhi, vagamente allungati, e ai movimenti aggraziati della figura anche in un atto semplice come sedersi a tavola le conferivano un aspetto da animale da preda. Sebbene il padrone della locanda aveva visto quasi tutte le Terre conosciute, non riuscì a capire da che zona potesse provenire quella ragazza, che non mostrava più di venticinque, ventisei anni.
Mentre la giovane, che si presentò all’oste con il nome di Mirilita la Cacciatrice, consumava lentamente il suo pasto, il grosso lupo si stava conquistando la fiducia dei giovani che avevano trovato in lui il passatempo che avevano perso con la scomparsa dell’altro animale, chiuso da quasi un’ora nella stanza occupata dallo straniero di cui non conoscevano nemmeno il nome. Ur sembrava gradire particolarmente le grattate dietro le orecchie e lungo la schiena, e mostrava il suo piacere muovendo la coda scompostamente, spazzando il polveroso pavimento. Ogni tanto si fermava, e come spinto da un richiamo che solo lui poteva udire, si dirigeva a orecchie basse fino dalla padrona, che ricambiava il suo sguardo triste con un altro ancora più traboccante di malinconia.
- Dopodomani… - mormorava ogni volta, cosa che faceva tornare uggiolante il cane vicino alla decina di giovani, che iniziavano a osservare la sconosciuta con l’interesse tipico dei ragazzi adolescenti che non avevano mai visto nulla oltre il loro piccolo paese.
Uno di loro andò a chiedere all’oste se sapesse chi era e come mai era capitata nella locanda proprio dopo l’arrivo di quell’altro straniero, ma ricevette come unica risposta una sberla affettuosa sul capo.
- Non mi faccio gli affari dei miei clienti! - Gli gridò il locandiere rosso in volto, ma curioso anche lui, tanto che sfruttò l’involontario urlo per far partire un raffazzonato piano che gli era frullato in testa in quel momento. Alzò quanto più poté la voce - Se ci tieni tanto a saperlo, perché non glielo chiedi tu stesso? La lingua non ti manca di sicuro…
Sentendosi tirata in causa, Mirilita si alzò dal tavolo e si lisciò l’abito dalle lunghe maniche, che sembrava uno di quelli che indossano le dame di alto rango, fatto da uno stretto corpetto scollato e da un’ampia gonna a pieghe, come se dovesse presentarsi a qualcuno di molto importante. Il tenue violetto dell’abito si sposava perfettamente con l’incarnato pallido di lei e con i suoi capelli. Si avvicinò al giovane che ancora si stava massaggiando la testa per lo scapaccione e si inchinò sinuosamente.
- Mirilita, al suo servizio, messere.
- Giacomo, al suo, mia signora. - Si affrettò a rispondere il ragazzo, arrossendo. - Mi spiace essere stato tanto sgarbato, nel non chiederglielo di persona, ma si vedono tante poche persone straniere da queste parti che uno non sa come comportarsi…
- Esattamente come uno si comporta durante il resto della sua vita, non trovi? - gli rispose lei con un sorriso sornione.
Il colore del volto del giovane virò a un rosso rubino che fece scoppiare a ridere i suoi amici e le sue amiche al tavolo vicino. Anche il lupo stava osservando, quasi divertito, la scena.
- Vedo che avete degli strumenti con voi, siete forse suonatori? - chiese maliziosamente la cacciatrice.
- No, no. Siamo di ritorno da una festa, e senza musica non ci si diverte…
- Vero. Che ne direste di suonare qualcosa? Anche se fuori è buio e dai paramenti di aglio che ho visto in giro direi che ci sono i vampiri vicini, non credo che stare in silenzio e tristi aiuti a scacciarli…
Nessuno avrebbe mai accettato un proposta del genere detta da un’altra persona, ma qualcosa in quella ragazza, qualcosa nel suo modo di parlare, di porsi, convinse i presenti che forse della musica sarebbe stata un modo come un altro per dimenticare per qualche minuto le loro preoccupazioni. Lentamente le note sorsero dai flauti e dalla fisarmonica, mentre la giovane iniziava a muoversi tra i tavoli seguendo un’oscura danza che si sposava con il ritmo dei giovani, ma a tutti era chiaro che era solo una coincidenza, e che lei stava ascoltando una melodia che solo lei poteva sentire. Il suo incedere, il suo incessante girare tra i tavoli pestando i leggerissimi piedi sul pavimento senza alzare un filo di polvere, il suo vorticare alzando con una cadenza quasi ipnotica gli orli della gonna indussero tutti i presenti a seguire i suoi movimenti e a segnare il tempo con le mani, che picchiarono pesanti sulle assi di legno del bancone e dei tavoli. Ad un tratto la sua voce si alzò leggera sopra la musica, che si era adeguata a lei, e iniziò ad abbellirla con strane e sconosciute parole, che si susseguivano veloci come onde in un mare in tempesta, come cavalli selvaggi lanciati al galoppo, come un branco di lupi che insegue la sua preda sotto la luce pallida di una luna che non vorrebbe mai smettere di essere piena per non rompere il loro correre sull’erba. Ur si unì al suo canto con degli ululati profondi e lenti, fondendo la sua voce animalesca con quella gentile, seppure non meno selvatica, della sua padrona. Poi all’improvviso, la danza si spense, il ritmo si fece rotto e svanì, lasciando tutti in preda a una strana sensazione, come se fossero stati testimoni di qualcosa che nessun essere umano avrebbe potuto vedere altrimenti. L’oste si mosse, e con le lacrime agli occhi mise in mano alla ragazza le monete che prima Ulrich gli aveva dato.
- Non voglio nulla. Quello che hai fatto ci ripaga di qualunque cosa. Ci hai allontanato dal nostro paese per vedere posti sconosciuti e liberi, e questo non ha prezzo. Dillo tu al tuo amico…
- Grazie, ma era solo una vecchia canzone che il mio… popolo si tramanda di generazione in generazione. Dobbiamo comunque sdebitarci. Domani mattina diteci dove si trovano i vampiri che tanto vi infastidiscono, e ve ne libereremo…
- Non posso. Morireste, tu e il tuo amico.
- No. Siamo cacciatori di non morti, e questo è quello per cui viviamo. Abbiamo dei motivi personali per volerli sterminati…

 

La mattina seguente l’oste si sorprese di vedere il giovane cacciatore già in piedi, seduto tranquillamente al tavolo che ieri gli era stato assegnato e intento a lucidare una spada di metallo azzurrognolo con un panno nero e ricamato di strani simboli. Ai suoi piedi Mita stava sbadigliando ostentatamente, mostrando delle zanne formidabili. L’uomo, dopo essersi accorto che i canini superiori dell’animale spuntavano dalle labbra di almeno due o tre centimetri, cosa che non aveva notato la sera prima, tossì piano, attirando l’attenzione del ragazzo, che mise via il panno, rinfoderò la spada, che il locandiere aveva riconosciuto essere di murlio, il metallo magico che brillava di luce propria, e si rialzò.
- Ho saputo che non avete voluto i miei soldi…
- Quello che la sua… amica ha fatto ieri sera ha ripagato tutti noi con qualcosa che non può essere comprata: la gioia e la serenità. Mi ha detto che siete entrambi cacciatori di non morti. Non ne avevo visti mai di così giovani…
- C’è sempre da imparare a questo mondo, non trova? - Disse sibillino Ulrich sfoderando un mezzo sorriso che illuminò il volto in cui si stava insinuando una barba folta e scura come la notte. Quindi si fece serio. - Mi dica dove credete si trovino quei mostri, così possiamo andare a dare un’occhiata.
- Sono nella vecchia cappella abbandonata che si trova a circa mezza giornata da qui, andando a piedi. Credo che ci sia un solo essere, ed è per questo che nessuno ha osato avvicinarsi, per evitare di infoltire le fila di quel mostro.
- Ottima idea. Oggi andrò a fare un sopralluogo, e se tutto va bene, domani sera il vampiro, o i vampiri, dovranno dire addio a questa valle di lacrime… - Borbottò le ultime parole quasi tra sé e sé, abbassando lo sguardo, che incrociò quello del suo animale, che sembrava stranamente irrequieto. Quindi si rivolse di nuovo all’oste. - Può fornirmi delle provviste e tenermi la stanza? Ritornerò entro sera.
- Certamente. Mi dia una decina di minuti e le porterò quanto di meglio ho a disposizione. Due porzioni, giusto?
- Una, Mirilita è già uscita e mi sta aspettando… la fuori. Lei preferisce cacciarselo, il suo pranzo.
- Strana ragazza. - Pensò l’uomo avviandosi alla cucina. - Sembrerebbe una belva non del tutto addomesticata, più che un essere umano…
Dopo che l’oste fornì il necessario, il cacciatore e il suo compagno si avviarono nella direzione che era stata loro indicata, e presto sparirono dietro a un gruppo di alberi che fiancheggiava la strada. L’oste, ma soprattutto sua moglie, spesso si affacciavano alla porta sperando di vederli tornare, ma fu solo all’avvicinarsi del tramonto, e dopo molte domande di Giacomo su quando e se la cacciatrice sarebbe tornata, che il giovane dal mantello nero fece la sua comparsa nello stesso punto in cui era scomparso alla vista. Accanto a lui non c’era la lupa, cosa che sconvolse non poco il locandiere, che conosceva i cacciatori abbastanza da sapere che se si separavano dal loro animale era solo per un motivo, ovvero la sua morte.
- Per Ral, speriamo che non sia accaduto nulla a Mita… - sussurrò con gli occhi tristi, ma non aprì più bocca finché Ulrich non fu entrato e poi ridisceso dalla sua stanza dopo essersi rinfrescato.
Accolto da uno sguardo tranquillo e da un fresco boccale di birra chiara, il giovane si accasciò sulla sedia come morto la barba sfatta della mattina era cresciuta molto.
- Grazie. Non credevo che fosse così lontana quella cappella… - mormorò sorseggiando la bevanda, che gli lasciò dei baffi di schiuma bianca che si leccò via soddisfatto e facendo schioccare la lingua.
- E la giovane Mirilita?
- Oste, non preoccuparti per lei. Mirilita è in giro, ma tornerà presto, penso poco dopo la calata del sole. So che sei preoccupato anche per Mita, ma non ti rattristare, l’ho lasciata di guardia alla cappella, così se questa sera il vampiro decidesse di arrivare fino da voi mi potrebbe avvertire. Corre molto più velocemente di qualsiasi non morto, la mia Miri… - si bloccò di colpo, osservò il boccale mezzo vuoto e sospirò. - E’ veloce la mia Mita. Non scomodare Ral per lei, ha cose più importanti da fare, il nostro supremo Dragone.
Capendo che era meglio lasciarlo solo, l’uomo si allontanò e pregò anche la moglie di evitare di disturbarlo per un po’. Aveva un sospetto, dettato dalle allusioni del giovane a quanto lui aveva detto, ma era troppo sciocco per considerarlo. Gli servì il pasto, una zuppa di pesce con delle patate e altre verdure, quando già imbruniva, e come la sera precedente il ragazzo divorò tutto con foga, annaffiando la cena con abbondante acqua, che chiese a più riprese. Quindi, ripetendo la scena, si alzò di scatto e svanì nella sua stanza, dove si sentirono dei tonfi sordi, come se fosse caduto in ginocchio, quindi un lamento attutito, poi il nulla. L’oste stava per salire a controllare, ma l’improvvisa comparsa di Mirilita alla porta, che velocemente salì senza dire una parola nella stanza, per poi ridiscendere una manciata di secondi dopo, lo bloccò.
- Iniziavo a temere per la sua salute… - Borbottò l’uomo, tentando di non incrociare lo sguardo con quello di lei. - Non è bene che una ragazza giri da sola da queste parti, anche se è una cacciatrice.
- Sa che non deve aver paura per me. Comunque è bello sapere che c’è qualcuno a preoccuparsi della mia salute. Siete stati molto gentili, pur non conoscendoci…
- Mia signora, anche se siamo in un paese piccolo, sappiamo forse meglio delle grandi città riconoscere il pericolo o la sincerità quando ci capita di vederla. Voi siete qualcosa che raramente si vede, e sono stato sciocco molte volte, ma non questa volta. Anche se alcuni di noi stanno già pensando che l’arrivo del vampiro e vostro non sia una coincidenza, e vi credono in combutta con lui, io non sono tra di essi.
L’oste fu certo che un moto di rabbia attraverso il volto enigmatico della ragazza che gli stava di fronte, ma subito quello svanì per lasciar posto ad un sorriso disarmante.
- Coincidenze, coincidenze. Siamo diretti dovunque ci portino i nostri piedi, e capitare qui è stato un caso…
Dalla porta ancora aperta entrò Ur, che parve alla moglie del locandiere, giunta in quel momento dalla cucina avendo udito una voce femminile, ancora più grosso e dall’aspetto ancora più truce. I canini superiori scendevano ben oltre la mascella, dandogli un’espressione minacciosa che non riusciva a essere equilibrata dalla coda che sventolava felice mentre si sdraiava accanto al fuoco.
- Ho sentito prima un tonfo nella vostra camera. Cosa è caduto?
- Niente di preoccupante, signora. Ulrich era così stanco che non ha visto la sedia accanto al letto e l’ha fatta cadere. Ora dorme tranquillo, e credo che dopo un buon boccale di latte lo seguirò. Domani sera sarà il grande giorno. Finalmente potremo… - Si bloccò, notando che i due presenti la stavano osservando, incuriositi dalla foga con cui aveva espresso la frase. - Potremo finirla con quel vampiro da quattro soldi. - concluse a bassa voce.
- Già… - Commentò l’oste, mentre la moglie si affrettava a portarle al tavolo quanto aveva richiesto, non perdendola però di vista. - Vuole anche mangiare qualche cosa? Sarà affamata…
- No, grazie. Ho già cenato. I conigli da queste parti sono molto pasciuti. E’ un territorio ideale di caccia per dei lupi, se ce ne fossero in zona più di quei due o tre che ho sentito.
Costringendo il marito a seguirla in cucina, la robusta donna si versò un bicchiere di liquore per riprendere un po’ di colore.
- Hai visto i suoi occhi? - gli sussurrò con lo sguardo sbarrato.
- Donna, cosa hanno i suoi occhi che non vanno? - senza accorgersi, anche lui tenne la voce bassa.
- Sono diventati gialli per un istante, come quelli dei lupi. E le sue unghie sono cresciute rispetto a ieri. Sembrano quasi degli… artigli!
- Sei sicura di non aver assaggiato troppo il liquore, oggi? - le chiese ironico, sebbene avesse notato anche lui la cosa, ma non voleva dividere i suoi sospetti con la moglie. Era una brava donna, ma troppo semplice per alcune cose.
- Certo. Inizio ad aver paura di loro. E perché non si fanno vedere mai assieme? E quella canzone di ieri? Cos’era? Forse una magia?
- Donna, non metterti in testa strane idee, o finirai per credere che gli asini possano volare! - chiuse il discorso sussurrato l’uomo, allontanandosi per controllare che i suoi avventori, che aveva sentito entrare, non dovessero aspettare troppo per essere serviti dal figlio, che era rimasto dietro il bancone.
Con somma pace del locandiere e della moglie, la serata trascorse tranquilla, sebbene Giacomo tentò in ogni modo di far colpo sulla cacciatrice, che stava seduta in disparte sorseggiando piano il suo latte. Ur fu mandato fuori dalla locanda, essendo troppo nervoso. Mirilita diede la colpa all’avvicinarsi della luna piena, che si sarebbe mostrata l’indomani sera, e si scusò se aveva disturbato. Solo a tarda notte fu fatto rientrare, quando la giovane andò a dormire nella stessa stanza di Ulrich, dopo aver costretto i padroni a prendere almeno una moneta d’oro per pagamento del vitto e dell’alloggio.
- Secondo voi sono sposati? - chiese Giacomo all’oste.
- E che ne so? Non farti strane idee… Comunque credo che siano fratello e sorella, o parenti in qualche modo.
Il ragazzo, un ventenne dalla pelle abbronzata e dalle mani già callose per il lavoro nei campi, sospirò felice e ordinò un bicchiere di liquore per festeggiare.
- Non ti conviene tentarci con lei. E’ una cacciatrice, una persona raminga, che ama solo il suo lavoro e il suo lupo…
- Oste, per lei diventerei anche un lupo, o un cane o qualsiasi altra cosa. E’ una persona che si incontra una sola volta nella vita, e se te la lasci scappare non torna di certo indietro.
- Già… - Bofonchiò l’uomo, versandosi da bere anche lui e facendo tintinnare il bicchiere con quello del ragazzo. - Ma sei giovane, non decidere che quella è la persona giusta solo perché ha un aspetto diverso.
- Non è solo quello. Ha qualcosa di… di…
L’oste trangugiò il latte di manticora e stappò nuovamente la bottiglia per un secondo giro.
- Di selvaggio? Come un puledro mai addomesticato del tutto? - chiese mentre versava sia a lui che al ragazzo.
- Esatto. Quale uomo potrebbe resistere ad una bellezza così?
- La domanda esatta è che cosa succede all’uomo che soccombe ad una bellezza così. - si chiese il locandiere, fissando la porta chiusa oltre la quale stava Mirilita e il suo compagno.

 

Uscita molto prima dell’alba, Mirilita aveva lasciato un biglietto all’oste in cui diceva che sarebbero tornata dopo due giorni, e di non preoccuparsi di nulla. Un postscriptum lo fece impallidire, anche se confermava almeno in parte le sue supposizioni.
- Fidati che anche gli asini possono volare. - stava scritto in fondo al biglietto, firmato da una calligrafia tremante, di una mano poco avvezza a impugnare lo stilo.
La sera giunse presto, e con essa i soliti avventori si radunarono nella locanda, certi che, come ogni mattina, uno dei sempre più radi animali sarebbe stato trovato morto, dissanguato dal vampiro, che proprio in quel momento si stava svegliando dal suo lugubre sonno simile alla morte e sollevava senza sforzo la pesante lastra di granito che copriva la tomba che aveva adibito a letto.
- Questa sera è luna piena. - Pensò il mostro sorridendo. - Non sarebbe la notte adatta per uscire, se fossi un umano. Troppi mostri in giro, quando lo Specchio è lucido. Ma non essendolo io, o non essendolo più, credo che questa sera mi avvicinerò alle case che ho visto quando sono arrivato, varie notti fa. Forse qualche stolto si è dimenticato di mettere tutte quelle collane di odioso aglio… Sono stufo di animali!
Si incamminò lentamente, maestoso, lungo gli scalini che conducevano dalla sua cripta segreta all’uscita della cappella, che sotto un misero aspetto nascondeva un dedalo di catacombe che avrebbero fatto la gioia di qualunque non morto. Eppure quella notte qualcosa di fastidioso, che gli faceva prudere gli occhi, che avrebbero lacrimato se avessero potuto, lo costrinse a fermarsi proprio davanti alla parete che di solito avrebbe fatto scivolare su segreti e oliati cardini per giungere al corridoio principale.
- Cosa… Come è possibile che quegli stolti siano riusciti a mettere dell’aglio davanti alla mia uscita? Non sono tanto coraggiosi, o tanto sciocchi! - ruggì il mostro, avvolgendosi nel suo nero mantello e tramutandosi in un grande e scuro pipistrello, che si insinuò in una delle tante bocche di ventilazione della cripta e sbucò così all’aperto, appena dietro al cappella, che era stata ricoperta letteralmente di simboli sacri e di qualunque altra cosa adatta a far arrabbiare un non morto come lui.
Cosa che riuscì perfettamente, in quanto il volatile si posò a terra ritornando ad avere aspetto umano, e con occhi assetati di sangue e rossi nella notte ancora senza luna per le nuvole che la coprivano iniziò a guardarsi attorno alla ricerca del folle che lo aveva costretto a quella trasformazione fuori programma. Dietro di sé sentì il respiro caldo di un animale, e immediatamente si voltò, non trovandosi davanti che il vuoto buio del bosco, che lambiva le quattro lapidi del vecchio cimitero dietro la cappella. Dietro quegli alberi sentì l’ululato di un lupo, e la cosa gli scosse i nervi, se ancora ne aveva in corpo.
- Sto diventando vecchio, anche per un vampiro, se mi spavento per dei lupi e il buio. E poi, inizierò a tremare davanti agli scheletri viventi? - si chiese a mezza voce ironico, quasi dimentico di cosa volesse dire non avere la situazione totalmente sotto controllo.
Delle frasche mosse alla sua destra lo fecero voltare, attento al minimo rumore, e fulmineo corse nel bosco, solo per stringere delle ombre e un ramo spezzato di fresco da un grosso animale, o da un uomo corpulento.
- Un cacciatore di non morti! - Sibilò mostrando i lunghi e affilati canini. Si rivolse al bosco, alzando il più possibile la voce, che rotolò come tuono. - Sempre a caccia di avventure, miserabili umani? Vedremo chi sarà preda, e chi cacciatore!
Iniziò a cercare ovunque, utilizzando il suo udito fine come quello di un cane, trapassando con lo sguardo furente ogni cosa, ma non trovò altro che impronte di animali e le poche tracce umane avevano l’odore di qualcosa di strano, di qualcosa di non completamente normale. Credette di aver trovato la soluzione, intuendo che il suo misterioso cacciatore avesse con sé un serpente urlatore, uno di quegli strani incroci magici che tanto amavano fare gli stregoni con la passione della zoologia, quando una fitta alla gamba lo costrinse a fermarsi e a schiumare di rabbia.
- La mia tomba! - Gridò trasformandosi nuovamente in pipistrello e dirigendosi al suo giaciglio, che era stato intaccato. - Devo arrivare prima che lo distrugga del tutto, o per me è la fine. Ogni colpo che tira è come dell’aglio nelle mie vene!
Giunse alla cripta e si trasformò in volo, atterrando pesantemente accanto al suo feretro, in parte sgretolato da potenti unghiate.
- Non è umano! - esclamò il vampiro.
- Nemmeno io lo sono! - ruggì una voce che solo lontanamente era quella di un uomo.
Il mostro si voltò e i suoi occhi, potendo vedere al buio come in piena luce, videro un essere che solo vagamente ricordava poter esistere. Alto più di due metri, dalle fattezze umane ma dotato di volto canino, il lupo mannaro lo stava osservando con enormi occhi rossi senza pupille, mentre dalla sua bocca colava una bava scurastra, ma non nera come il suo pelo. Gli artigli risplendevano di luce propria, come animati dalla volontà di distruggere il nemico.
- Tu, un lupo mannaro, contro di me? Che storia è questa? Abbiamo delle regole, la nostra comunità e la tua. C’è la tregua da secoli…
- Io non sono membro di nessuna comunità. Sono un cacciatore di non morti, e tu tra poco passerai nella categoria dei morti del tutto! - ululò il licantropo gettandosi su di lui e ferendolo alla spalla mentre il mostro si spostava fulmineo dalla traiettoria mortale.
- Tregua o no, finirai i tuoi giorni ai miei ordini, lupastro! Servi, a me! - gridò, sicuro che nel giro di pochi secondi gli scheletri animati e le altre creature che aveva rianimato dal cimitero avrebbero annunciato il loro risveglio con macabri suoni.
Nulla accadde. Nulla ruppe il silenzio della cappella a parte un ridere convulso del licantropo, che si stava godendo lo sguardo disperato del nemico.
- Aspetta e spera. I tuoi amichetti sono letteralmente a pezzi dopo che mi sono divertito con loro, mentre dormivi il tuo sonno questo pomeriggio. Ammetto che alcuni di loro erano particolarmente in carne, ma avevo abbastanza appetito. Devo dire che mi hanno dato una mano, anzi anche più di una, visto quante ne ho staccate…
Vedendo che si trovava in difficoltà, soprattutto in uno spazio angusto come quello, il vampiro si decise a fuggire all’aperto, ignorando le collane davanti all’entrata. Sapeva di non potersi trasformare, o il tempo necessario sarebbe bastato al suo nemico per colpirlo mortalmente, quindi strinse i denti e si diresse fulmineo lungo la scala che poco prima aveva percorso così maestosamente. Un conato di vomito gli attanagliò lo stomaco mentre superava lo sbarramento di entavir e di altri oggetti a lui odiosi, ma appena ebbe richiuso la parete segreta sorrise, sapendo che anche per un licantropo abbattere quella parete avrebbe richiesto un certo tempo, abbastanza per permettergli di raggiungere l’altro suo rifugio e farlo diventare la sua residenza. A quel punto, che si accanisse pure su quelle pietre senza valore, lui sarebbe stato di nuovo sicuro. Il corridoio era buio e lungo, ma velocemente il mostro si avvicinò all’uscita, ridendo all’udire le urla di rabbia che il lupo mannaro lanciava. Eppure dietro di lui sentì avvicinarsi un suono come di un enorme animale in corsa, ma non vide nulla che lo stesse inseguendo, finché non fu troppo tardi e si accorse che il licantropo si era liberato molto in fretta e si stava avvicinando come un forsennato. Si preparò a reagire, sicuro che se avesse agito nel modo giusto lo avrebbe scansato facendolo finire per terra e dandogli così il tempo per morderlo alla gola e finire quel ridicolo combattimento tra mostri. A pochi metri da lui l’animale rallentò e sorrise, facendo dubitare il vampiro della sanità mentale del suo avversario, ma i suoi pensieri furono interrotti da una tremenda zampata che lo gettò a terra, una spalla inutilizzabile e parte del viso deturpata. Sopra di lui, giunta dal soffitto che aveva artigliato con le possenti unghie, c’era la figura di un altro lupo mannaro, dal pelo argenteo e dai lunghi capelli dello stesso colore che lo aveva raggiunto e colpito correndo dalla parte opposta a quello che aveva combattuto fino a quel momento.
- Come è possibile? - riuscì a domandarsi prima che le fauci dei due mostri facessero scempio del suo corpo finché di lui non rimasero che poche ossa rotte, che si sciolsero velocemente bagnate dall’acqua benedetta dai sacerdoti di Zniar che era contenuta in una boccetta che il lupo chiaro, una femmina, portava nascosta nei rimasugli del vestito violetto che indossava.

 

I due mostri uscirono all’aperto e si lanciarono in un ululato di rabbia che fece innervosire ogni animale domestico nel raggio di miglia, e a cui presto si unirono altri ululati, provenienti dai cani e dai pochi lupi della zona.
- Mi spiace, Ulrich, nemmeno questo era il vampiro giusto! - ringhiò triste la lupa, leccando dolcemente il muso del compagno, che stava ringhiando sommessamente.
- Io ti ho coinvolta in questa storia, io dovrei dispiacermi! - rispose il maschio, sospirando e mostrandosi in tutta la sua possente altezza.
Gli artigli dei piedi affondarono nel terreno mentre un ennesimo ululato, lungo e triste, uscì dal petto del mostro. Un suono soffocato, come di un pianto, attrasse l’attenzione della femmina, che fulminea si avventò in un vicino cespuglio e ne estrasse il tremante corpo di Giacomo.
- Il ragazzo della locanda! - esclamò sorpreso Ulrich, che si stupì di vederlo in quel luogo ma ancora di più dello sguardo di odio che stava lanciando alla sua compagna.
- Tanto mi ucciderai, quindi posso tranquillamente dirti che un giorno o l’altro pagherai per aver mangiato Mirilita, schifoso mostro! - singhiozzò il giovane, la voce rotta dalla rabbia.
La licantropa si volse verso il compagno, come cercando conforto e spiegazioni. Per tutta risposta il mostro dal manto nero alzò le braccia al cielo in segno di resa e si voltò.
- Questa te la sbrighi da sola… Io vado a cercare un coniglio. Ho un certo appetito… - le disse allontanandosi nel folto del bosco.
L’essere depose il ragazzo ai suoi piedi e si sedette su una roccia poco lontana, tentando di sistemarsi la gonna, troppo corta per lei e a brandelli, non essendo stata progettata per artigli e gambe possenti come quelle che aveva. Giacomo aveva raccolto da terra una pietra e si stava apprestando a lanciarla.
- Lascia perdere, Giacomo. Una pietra mi farebbe venire solo un grande mal di testa. Mi spieghi perché sei qui?
- Assassina, sei un’assassina! Hai ucciso Mirilita, e osi anche indossare i suoi vestiti…
- La vogliamo piantare?! Mi sei sembrato un ragazzo con del sale in zucca, quella sera alla locanda…
- La stavi spiando. Già allora volevi mangiarla! - gridò il contadino lanciando senza decisione la pietra, che fu presa al volo dalla femmina, che la rilanciò ben oltre il centinaio di metri apparentemente senza sforzo.
- Non ho mangiato proprio nessuno, a meno che non consideri una gamba e quasi tutto il torace del vampiro che infestava la vostra zona. Sono una cacciatrice di non morti, e anche se non li passo a fil di spada, credo che una volta morti non faccia differenza come li ho uccisi…
- Una… cacciatrice? Anche… Mirilita era…
- Lo sono ancora, una cacciatrice.
- Tu… lei…
- Pensi che entro la prossima luna piena ci sarà arrivato, o dobbiamo fargli un corso accelerato? - lo schernì Ulrich, pulendosi il muso sporco di sangue ancora caldo di coniglio con il braccio peloso e muscolosissimo.
- Non essere presuntuoso. Accettare la cosa non è facile…
- Mirilita, non dobbiamo spiegazioni a nessuno. Andiamocene e tanti saluti. Lo prenderanno per pazzo per qualche giorno, ma poi tutto verrà dimenticato, come è sempre accaduto negli altri posti in cui ci hanno scoperto.
- Questa volta è diverso. Lui prova qualcosa per me, non è vero? Lo sento dall’odore. E devo ammettere che anche io…
- Lo sai che non è possibile. Lo hai accettato quando ti ho tolto dalla tua forma animale facendoti diventare una donna mannara. Io non ho potuto fare altrimenti, la maledizione di quel vampiro mi ha colpito senza pietà, ma tu hai deciso volontariamente.
- E non me ne pento. Poterti stare vicino in questi secoli è stata la cosa più bella che mi sia capitata. Mi sono resa conto fin da quando ero solo una lupa di Ramiad che accettando di condividere il tuo fato, sebbene con modalità leggermente diverse, sarebbe stata la mia benedizione e la mia maledizione, ma questo non toglie che io possa provare dell’amore per qualcuno.
- Dimenticati dell’amore! - ringhiò il mannaro nero, stringendo i pugni con forza. - Esseri come noi non potranno conoscere mai l’amore se non con dei simili. Credi che per me sia stato facile non amare per questi anni niente altro che i miei ricordi? Siamo come fratello e sorella. Non potrei sopportare di vederti triste. Fareste male, entrambi.
La femmina si volse verso il ragazzo, impietrito da quanto aveva sentito, incapace di chiudere la bocca, rimasta spalancata dallo stupore. Si avvicinò e con tutta la gentilezza del mondo gliela chiuse. Accarezzandogli i capelli, senza volerlo lo ferì leggermente alla nuca, cosa che lo riscosse dal suo torpore, facendolo indietreggiare di un paio di passi.
- Lo vedi, Mirilita? Gli umani sono fragili, si rompono come giocattoli di porcellana.
- Giacomo... - Iniziò lei sussurrando. - Tu dicesti all’oste che saresti stato disposto a diventare anche un lupo per venire con me. Io ti propongo di diventare come me. Basterebbe un mio morso questa sera e tu diventeresti come me e Ulrich. Di giorno saresti un uomo, di notte un lupo, e la notte di luna piena un licantropo. Non invecchieresti, non moriresti se non per mano dell’argento, ma dovresti rinunciare a tutto e a tutti solo per amor mio. Lo vuoi ancora?
Il giovane scosse la testa lentamente, mentre lacrime gli rigarono il volto, brucianti più del fuoco. Qualcosa nel suo cuore si spezzò, e lui si lanciò verso la femmina, cingendola con le braccia e piangendo disperato.
- Non voglio lasciarti, Mirilita, ma non riesco a rinunciare alla mia vita! - singhiozzò, mentre la licantropa lo accarezzava gentile, stando ben attenta a usare solo il dorso delle sue enormi zampe per non ferirlo.
- lo so, lo so. - Singhiozzò lei mostrando alla luna i candidi denti che si spalancarono per emettere uno straziante ululo. Staccò lentamente il ragazzo da lei e o guardò fisso negli occhi. - Ora fuggi a casa, e di che il vampiro è morto, e che noi siamo andati via, e che non torneremo più.
- Non…
- Vai, prima che mi venga fame e che cambi idea sul tuo conto! - ringhiò Mirilita.
Giacomo la guardò, quindi si volse e corse via, sparendo velocemente nel buio del bosco, diretto verso il suo villaggio, dove la mattina dopo avrebbe raccontato quello che aveva visto, e tranne l’oste, tutti gli altri lo derisero e lo considerarono solo un ragazzo che aveva alzato troppo il gomito con il latte di manticora dopo aver scoperto che il vampiro era stato distrutto.
Mirilita si volse verso Ulrich e gli si gettò nelle forti e pelose braccia, piangendo profusamente.
- Perché? Perché? - singhiozzò.
La luna si nascose ai loro occhi senza pupille e non tornò a mostrarsi più quella sera, rispettando il dolore e la muta rabbia di una lupa che non poteva essere donna e di un uomo che era costretto a diventare lupo a metà.
   
 
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