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Autore: Daydreamer    25/07/2011    9 recensioni
Sono passati tre anni dall'avventura nel Labirinto. Ora Sarah frequenta un collegio prestigioso e vive serena la sua vita di normale adolescente con i suoi amici. Finchè un giorno strani incubi cominciano a turbare il suo sonno.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17

Capitolo 18

 

“Sarah…Sarah…” una voce giunge lontana alle mie orecchie.

 

E’ insistente, ma io non riesco ad aprire gli occhi; mi sento le palpebre pesanti, la mente è ancora annebbiata dal sonno. So che dovrei svegliarmi, ma mi sembra uno sforzo impossibile.

 

“Sarah, svegliati!” la voce è più urgente, più autoritaria e io finalmente spalanco gli occhi.

 

La luce del primo mattino mi arriva diretta in viso e io faccio una smorfia di dolore. Mi alzo a sedere, la testa mi rimbomba e comincio ad essere irritata verso chi continua a disturbarmi, ma mi avvicino alla porta chiusa e faccio scattare la serratura.

 

Mi ritrovo davanti Amy e Natalie, quest’ultima ancora con il braccio alzato, pronta a bussare.

 

“Ancora in pigiama?!” esclama lei, “Sarah sono quasi le otto, farai tardi a lezione!”

 

“Le otto? Lezione…?”

 

Fatico a comprendere quello che la mia amica sta dicendo, mi sento distrutta, come se qualcuno si fosse divertito a usarmi come un pallone da calcio per tutta la notte.

 

“Se sapevo che non reggevi il vino, io e Charlie non avremmo rubato quella bottiglia di champagne per te!” continua Natalie.

 

Le sue parole lentamente mi fanno ricordare. Ieri sera abbiamo festeggiato il mio compleanno al Pensatoio. Abbiamo bevuto lo champagne del nonno dei gemelli e, in effetti, mi ero sentita un po’ strana quando ero tornata in stanza; ma non pensavo di essermi ubriacata! Però, a pensarci bene, il mal di testa, le ossa rotte, sono tutti sintomi di un bel post sbornia, ero fortunata a non avere lo stomaco sottosopra, però di certo non avevo voglia di mangiare.

 

“Sei sicura di sentirti bene?” mi chiede Amy, “se vuoi ti giustifichiamo noi con la prof della prima ora…”

 

“Si grazie…” dico io, “credo di aver bisogno di una bella doccia per riprendermi, sono ancora tutta addormentata.”

 

“Ok, Sarah, non c’è problema. Ma se non ti vediamo per la seconda ora andiamo ti veniamo a prendere per le orecchie!” scherza Natalie.

 

******

 

La doccia per fortuna mi aiuta a svegliarmi. Dopo un bel quarto d’ora sotto l’acqua bollente mi sento decisamente meglio e pronta per affrontare le due ore di matematica che mi aspettano. Purtroppo però, la mensa è ormai chiusa e, per quanto non sia affamata, so che se non mangio nulla sarà una tortura arrivare fino all’ora di pranzo.

 

E’ tempo di ricorrere alle scorte di emergenza che ho in camera, apro il cassetto della mia scrivania e sospiro. La mia camera a casa era l’immagine della precisione. Tutti i miei pupazzi, le mie statuine, i miei trucchi e costumi erano posizionati secondo un ordine preciso noto solo a me e mi dava davvero fastidio se qualcuno toccava le mie cose.

 

Ricordo ancora che una volta feci una scenata a mio padre e Karen, solo perché avevano messo Lancillotto nella culla di mio fratello. E pensare che ora il mio vecchio orsacchiotto è il pupazzo preferito di Toby! Quando mi sono trasferita qui alla Prescott ho lasciato quasi tutte le mie cose lì, vivendo questo passaggio come un lasciarsi indietro le cose dell’infanzia; e devo dire che non me ne sono pentita.

 

Certo, mi sono portata alcuni dei miei ricordi più cari, ma non li ho messi in bella mostra per tutta la mia stanza come avrei fatto da bambina, li ho messi tutti nel cassetto che ho appena aperto; cassetto che, ahimè, è davvero disordinato!

 

Sposto il vecchio carillon con la ballerina che mi regalò mia nonna, il pupazzo di un elfo biondo che mi piaceva immaginare fosse il principe azzurro delle mie favole e finalmente trovo i biscotti che avevo comprato l’ultima volta che ero andata al supermercato con gli altri.

 

Mentre mangio approfitto per mettere a posto i miei ricordi. Mi mette malinconia riguardarli, quando ero piccola, mi piaceva immaginare che le storie che leggevo e che inventavo fossero vere. Mi piaceva immaginare di essere una principessa, un eroina, qualcuno abbastanza forte da poter decidere della sua vita. E mi immaginavo un principe azzurro, un re fatato, che mi venisse a salvare da una vita che non mi piaceva più.

 

Povera Karen, mi ritrovo a pensare, la consideravo la matrigna delle favole e ero davvero insopportabile, volevo la mia vecchia vita, con mio padre e mia madre ancora sposati e volevo che qualcuno mi portasse via dalla nuova famiglia in cui  non ero più io il centro del mondo di mio padre, ma in cui un nuovo fratellino aveva preso il mio posto.

 

Mi vergogno un po’ a pensare che mi piaceva fantasticare di come qualcuno rapisse Toby per farlo sparire per sempre, magari dei folletti o dei goblin che con la magia lo portassero via e facessero dimenticare a mio padre di aver mai avuto un figlio. 

 

Per fortuna ora le cose non erano più così; Karen non è affatto malvagia, anzi è più attenta ai miei bisogni di quanto la mia vera madre, la famosa attrice Linda Williams, sia mai stata. E Toby, beh, Toby è la mia adorabile piccola peste.

 

*******

 

“Come vanno i tuoi mal di testa, Sarah?” mi chiede Natalie.

 

Io alzo gli occhi dal libro che sto studiando con una smorfia.

 

“Non troppo bene, purtroppo, ma ormai ho imparato a conviverci.”

 

Dalla mattina dopo il giorno del mio compleanno, ormai tre mesi fa, ho cominciato a dormire male e a soffrire di lancinanti mal di testa che, alle volte, mi impedivano addirittura di seguire le lezioni.

 

All’inizio avevo minimizzato, adducendo il mio malessere alla stanchezza, allo stress dovuto al fatto che questo era il nostro ultimo anno di scuola e quindi dovevamo impegnarci di più, o a qualche malanno di stagione.

 

Ma purtroppo non accennavo a migliorare, tanto che il medico che seguiva noi ragazzi della scuola aveva invitato mio padre a farmi fare delle analisi più approfondite; non era risultato nulla di grave, per fortuna, ero solo un po’ anemica e debilitata e quindi mi avevano prescritto vitamine e qualche integratore che mi avrebbero fatto sentire meglio. In effetti ero migliorata, non mi sentivo più così priva di energie come all’inizio, ma i mal di testa continuavano ad apparire nei momenti più impensati.

 

Poggio il libro “Simboli nell’arte nei secoli” e premo i palmi delle mani sugli occhi per alleviare un po’ la sofferenza. La nostra professoressa di storia dell’arte ci aveva dato una relazione sugli elementi simbolici che ricorrono nelle opere d’arte e noi Topi ci eravamo andati a nozze, affascinati dalle leggende come siamo.

 

L’argomento che ho scelto io “Il Labirinto come simbolo di iniziazione e di scelta” mi piace un sacco; ma purtroppo, ogni volta che inizio a lavorare sulla mia ricerca, mi scoppia il mal di testa. I gemelli mi prendono in giro, Charlie dice che il Labirinto non vuole che io scopra i suoi segreti, ma la sua battuta mi inquieta invece che farmi divertire.

 

Forse il motivo sta nei miei sogni, sogni in cui mi ritrovo a vagare senza meta in un dedalo sconosciuto; sento che sto cercando qualcuno, ma non so chi e non so nemmeno dove trovarlo, spesso sono circondata da una fitta nebbia, altre volte c’è una soffusa luce dorata che avvolge tutto, ma in entrambi i casi sento uno strano senso di vuoto e nostalgia che mi accompagna fino al risveglio. Ma come posso sentire la mancanza di un luogo così tetro?

 

“Ragazzi, che ne dite se facciamo una pausa?” dice Amy alzando gli occhi dalla sua relazione.

 

I margini dei suoi fogli sono pieni di ninfe, fatine e chissà cos’altro disegnato la sua mente fantasiosa e quello è un chiaro segnale che anche la diligente Amy Bloomfield non ne può più di studiare.

 

“E’ un’ottima idea!” esclama Natalie chiudendo di scatto i suoi appunti e stiracchiandosi, “stavo giusto aspettando che qualcuno lo dicesse! E, visto che siamo in pausa, approfitto per farvi una proposta per sabato.”

 

“Che cosa?”  chiede Danny cauto, non si può mai sapere che ha in mente la nostra amica.

 

“Visto che tra poco è Halloween e visto che la scuola organizza la solita festa…che dite di andare a cercare i nostri costumi?”

 

“Ottima idea!” esclama Amy entusiasta.

 

In genere è più calma e pacata di Nat ma quando si tratta di costumi e maschere anche lei diventa super eccitata. Non c’è cosa che appaghi di più il suo senso artistico di una maschera ben realizzata. Beh, in di certo non posso darle torto, visto che –fino a qualche anno fa- indossavo maschere anche nei giorni normali, per recitare nel parco dietro casa.

 

“Sono d’accordo anch’io” dico allora con un sorriso, l’idea di passare un pomeriggio a provare costumi e fingere di essere qualcun altro mi alletta.

 

“Perfetto!” continua la nostra bionda amica, “e voi, ragazzi, venite con noi?” chiede a Danny e Charlie.

 

Loro sono decisamente meno entusiasti di noi dall’idea, ma alla fine accettano. Credo perché temono di finire in calzamaglia come l’anno scorso. Devo ammettere che non stavano affatto male, ma loro due –poveretti –erano rimasti in imbarazzo tutta la sera; dopotutto ci vuole una personalità piuttosto forte e sfacciata per andare in giro con dei pantaloni così stretti!

 

“D’accordo sorella,”dice Charlie, “ma quest’anno niente calzamaglia!”

 

“Uff…d’accordo,” mette il broncio lei, “ma in ogni caso dobbiamo vestirci uguali, o almeno a coppie, l’anno scorso eravamo fichissimi tutti vestiti da cavalieri e dame medioevali.”

 

“Per quello che mi importa dalle festa di quest’anno…” borbotta a mezza bocca Charlie.

 

La sua fidanzata, un dolce ragazza dai capelli rossi di nome Meg, non frequenta la Prescott e quindi lui non poteva portarla al ballo della nostra scuola.

 

“Dai Charlie, non fare il guastafeste, Meg la puoi vedere sempre dopo. Intanto vieni alla festa con noi. Tu puoi andare con Sarah, tanto lei non ce l’hai un accompagnatore, vero?”

 

In effetti era vero, non ce l’avevo un accompagnatore per la festa; e nemmeno l’avevo cercato a dire la verità. Sebbene mi piacessero le storie romantiche, nella vita di tutti i giorni non riuscivo ad interessarmi ai ragazzi intorno a me. Non che non li sentissi alla mia altezza o chissà che cosa, è solo che dentro di me ero convinta che ci fosse qualcuno di diverso per me. Ma chissà, forse le mie erano solo sciocche fantasie e, se non mi fossi data una svegliata, mi sarei ritrovata come una di quelle vecchie zitelle che leggono romanzi d’amore in case piene di gatti.

 

“Charlie, per me non c’è problema, se vuoi vengo io con te.” Ecco questo era proprio da zitella, fare la sostituta per un amico che non può portare la fidanzata.

 

“Ok Sarah, grazie, però cerca di non trovare un costume troppo assurdo, eh?” scherza lui.

 

“Bene! Tutto è risolto allora,” sorride Natalie, “Charlie va con Sarah, Amy e Danny vanno insieme e io invece andrò al ballo con quel fico stratosferico di Jimmy Walsh!”

 

“Jimmy Walsh?!” esclamiamo io e Amy stupite. 

 

Era il ragazzo più popolare del nostro anno, il classico bello e tenebroso, il ribelle che fa sospirare tutte le ragazze; ma – per quanto fosse amico di Danny e Charlie- mi era sempre sembrato un tipo abbastanza solitario, come dimostrava il fatto che nessuna delle Splendide, nonostante tutti i loro sforzi, era riuscito ad accalappiarselo. E invece la nostra Natalie c’era riuscita, beh… almeno per il ballo.

 

“Jimmy? E come mai io non ne so nulla?” chiede Charlie

 

Jimmy era  loro compagno nella squadra di pallacanestro e, il fatto che lui era all’oscuro di un suo appuntamento con sua sorella, evidentemente non gli piaceva molto.

 

“Io non sono tenuta a dirti con chi esco, Charles William Prescott,” esclama allora Natalie con le mani sui fianchi, pronta a dare battaglia. “Si da il caso che Jimmy mi trovi carina e interessante ed abbia deciso di uscire con me, c’è qualche problema in questo?”

 

Davanti ai feroci occhi nocciola della sorella, Charlie non ha il coraggio di ribattere e così viene  stabilito che sabato saremo andati a cercare i nostri costumi.

 

*******

 

“Stai benissimo Nat” esclama Amy quando la nostra amica esce dal camerino e, in effetti, ha ragione. Con i suoi corti capelli biondi e la sua espressione sbarazzina, Nat è una perfetta Tinker Bell.

 

Fa un giro su se stessa, mostrandoci le ali fissate al corto abitino verde che indossa. Eh si, è proprio deliziosa.

 

“Il problema è che ora dovrò convincere Jimmy Walsh a mettersi una calzamaglia per fare Peter Pan,” dice un po’ scoraggiata.

 

“Beh…potresti chiedergli di vestirsi da Capitan Uncino invece che da Peter Pan, non credi?” suggerisce Amy.

 

“Già, hai ragione! Come ho fatto a non pensarci!”

 

Mentre loro due si mettono a discutere su quale sia il costume migliore da proporre all’accompagnatore di Natalie, io mi allontano a dare un’occhiata agli altri costumi.

 

Quel negozio, uno dei nostri preferiti, non vende semplici maschere di Halloween; è un’enorme magazzino pieno di costumi di scena dimessi, abiti d’epoca e vestiti ‘vintage’ che le solerti proprietarie avevano scovato chissà dove. Fare un giro li dentro significava catapultarsi in mondi ed epoche diverse, bastava fare qualche passo e ti trovavi di fronte a corti abitini pieni di frange anni ‘20, a casacche cappelli da cowboy e copricapo piumati perfetti per girare film western, e poi ali d’angelo e di fata, vestiti degni della corte del Re Sole, nasi finti, trucchi di scena e accessori di tutti i tipi.

 

Mi piaceva girare lì dentro; ormai non recitavo quasi più ma, guardando quei vestiti, potevo immaginare di indossarli e interpretare Ofelia, Giulietta, l’intensa Nora di ‘Casa di Bambola’ e, perché no, la soprano Christine del Fantasma dell’Opera o l’eroina di una tragedia greca. Avevo smesso di coltivare il mio sogno di attrice, ma questo non mi impediva di sognare ancora, di tanto in tanto.

 

Ad un tratto scorgo un abito di un verde pallido molto delicato, ha ampie maniche lunghe, in stile medioevale. Lo tiro fuori per ammirarlo, mi ricorda tanto l’abito che ho a casa, quello che usavo per recitare la parte della principessa. C’era stato un periodo che ero cosi fissata con quell’abito, lo indossavo quasi tutti i giorni e passavo i miei pomeriggi al parco a recitare.

 

Cerco di ricordare la storia che mi ero inventata; era qualcosa a cui tenevo molto, non era un’opera teatrale, era piuttosto un libro, un libro che raccontava le vicende di una ragazza a cui mi sentivo molto vicina…aggrotto le sopracciglia. Come è possibile che mi sia dimenticata di quella storia? L’avevo imparata a memoria! Era su un piccolo taccuino, no su un libretto…chissà che fine aveva fatto quel libro? L’avevo forse lasciato nella mia vecchia camera?

 

Sento il mal di testa cominciare a montare, la pressione pulsare dietro ai miei occhi, così lascio andare la manica verde, frustrata. Ricomincio a camminare tra gli abiti con la mente soprappensiero, cosicché quando mi trovo davanti un viso grottesco faccio un salto indietro, spaventata.

 

E’ solo una maschera; sembra quella di un folletto o di un fauno, non si capisce bene. E’ di fattura raffinata, mi fa venire in mente le maschere che qualche nobile…qualche Cortigiano… dei tempi passati avrebbe potuto indossare in una festa in costume. Do un’occhiata intorno a me, gli scaffali sono pieni di quelle maschere, alcune coprono solo gli occhi, altre tutto il viso. Hanno espressioni maliziose, ghigni più o meno rassicuranti, alcune hanno anche delle corna, altre nasi grotteschi o orecchie a punta.

 

Sento il cuore che comincia a battermi forte, senza motivo, è come se quelle maschere mi stessero guardando, mi immagino di sentire risatine sommesse. Scuoto la testa, oddio, da quando sono diventata così suggestionabile?

 

Mi allontano da quell’angolo…è meglio che ritorni dalle altre e faccia qualcosa di utile come cercare il mio costume, invece che perdermi dietro le mie fantasie.

 

In quel momento lo vedo.

 

Un abito bianco e argento, dalle maniche a sbuffo e dall’ampia gonna. E’ ingombrante, eccessivo, sembra l’abito della mia ballerina del carillon, un abito che avrei indossato se da ragazzina mi avessero chiesto di mascherarmi da principessa. Eppure non posso fare a meno di continuare a fissarlo. Il cuore comincia a battere, perché? Perché mi sto emozionando così davanti a uno stupido vestito che sembra uscito da un film fantasy degli anni ottanta?

 

Che mi sta succedendo? C’è davvero qualcosa che non va nella mia testa!

 

Ritorno velocemente dalle mie amiche. Natalie ha deciso di comprare il costume da Tinker Bell, mentre Amy si sta provando un peplo. Con i suoi riccioli scuri starebbe benissimo vestita da antica romana, e sono sicura che –per amor suo- Danny sarebbe anche disposto a mettersi una corta tunica e starsene a gambe nude.

 

“Ehi Sarah, dov’eri finita?” mi chiede Nat, “Amy sta proprio bene vestita così, eh?”

 

Io annuisco e cerco di concentrarmi su quello che mi dicono le mie amiche, ma il mio cuore è stretto da un magone inspiegabile.

 

Alla fine usciamo dal negozio, io ho comprato un costume da cantante da night anni ’30 non è quello che avrei scelto di solito ma almeno da a Charlie la possibilità di indossare un completo da gangster davvero elegante e quindi di fare un figurone con la sua Meg.

 

Quando, alla fine della giornata, mi trascino in stanza sono abbastanza distrutta e il mal di testa è tornato a farsi sentire. Per quanto tentassi di pensare ad altro, il pensiero di quella storia che non ricordavo più continua a tormentarmi. Non era il semplice fastidio di non ricordarsi il titolo di un vecchio film che ti era piaciuto o il titolo di una canzone che ti è entrata in testa, era qualcosa di più profondo. Era stupido, ma sentivo che il ricordarsi quel libro e quella storia fosse una cosa di vitale importanza.

 

Mi butto sul letto e fisso il soffitto, nella penombra della stanza il quadro di Escher che ho appeso alla parete vicino alla testiera sembra risucchiarmi dentro si se. Mi ritrovo a percorrere con lo sguardo quelle scale senza senso, quelle porte che si aprono sul vuoto, finchè sono costretta a distogliere lo sguardo. Per una che ha l’emicrania un quadro come quello non è certo l’ideale!

 

Eppure sono attratta da esso, così come ero stata attratta da quell’abito nel negozio…allo stesso modo in cui ho sentito il bisogno di tirar fuori dal mio cassetto il mio vecchio pupazzo del principe elfo e di metterlo vicino al comodino.

 

Lo afferro e me lo porto vicino al viso, per guardare da vicino i suoi lineamenti affilati e i suoi occhi azzurri. Adesso che ci penso è affascinante e inquietante nello stesso tempo; non è il classico Ken e non credo sia molto adatto come giocattolo per una bambina, eppure mi ero sempre rifiutata di farmi comprare il classico bambolotto della Barbie, preferendo di gran lunga il mio originale principe degli elfi.

 

“Principe, sei tu a farmi questo?” chiedo guardandolo fissa. ‘Oddio, ora mi metto a parlare con le bambole ora!’ penso tra me e me, però continuo.

 

“Aspetta, tu non sei un principe vero? Tu sei…tu sei un re! Tu sei il re dei…goblin. Tu sei…”

 

Nella mia mente si forma l’immagine nebulosa di un sorriso felino e di stranissimi occhi azzurri, di una massa di capelli biondo argento e di sfere di cristallo.

 

“Tu sei Jareth!” esclamo infine trionfante. “Tu sei Jareth, il protagonista della mia favola!”

 

Come un palloncino che scoppia sento un po’ della tensione che era cresciuta nella mia testa svanire. Mi accoccolo sotto le coperte e poggio Jareth sul cuscino vicino a me. “Tu sei Jareth, il Re dei Goblin, il mio innamorato nei miei sogni da ragazzina.”

 

Sorrido come una sciocca, ma mi sento felice che quel ricordo mi sia finalmente tornata alla mente. Ancora non ricordo nulla della mia storia inventata, ma il mio inspiegabile magone era passato. Non voglio concentrarmi adesso su quanto sia assurdo che il mio stato d’animo sia così influenzabile da qualcosa che non è reale; invece mi godo la sensazione di soddisfazione e serenità e, per la prima volta in tanto tempo, mi addormento serena.

 

******

 

“L’avete sentito?” il nano chiede alla donna vicino a lui.

 

“Si, l’ho sentito Hoggle, Sarah ha pronunciato il suo nome.”

 

Hoggle e Tearlag si voltano verso la figura supina stesa vicino a loro, molte altre creature si trovano lì, circondando quel corpo esanime in una veglia silenziosa. Si trovava sul quel giaciglio, nel giardino al centro del Labirinto, dalla sconfitta di Wysa.

 

Ma quando la voce di Sarah che pronuncia il nome di Jareth riecheggia nel giardino. Il Re dei Goblin finalmente apre gli occhi.

 

To be continued…

 

Tadaann! Potete odiarmi per questo capitolo vi capirò. Come al solito vi lascio con un colpo di scena e non rispondo a nessuno degli interrogativi che vi siete fatte l’ultima volta. E’ solo che questo capitolo si è allungato più del previsto e quindi ho deciso di posticipare la fine della mia storia ancora un altro po’!

Ah...per il vestito di Sarah mi sono ispirata a questo:  http://ilybridal.blogspot.com/2011/04/easy-virtue-retro-dresses-that-inspired.html

So che centra poco con il personaggio ma penso che Sarah starebbe molto bene vestita così!

 

 

  
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