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Autore: _montblanc_    25/07/2011    5 recensioni
«Mi sono risvegliata in mezzo alla foresta di Konoha e mi sono detta: ”Beh, non è un male, infondo è sempre stato il mio sogno”, ma poi l’Hokage mi aizzato contro un gruppetto di Anbu e tutto è degenerato...» stava sbraitando la ragazza, una certa isteria nel tono di voce.
~
«Vuoi unirti all’Akatsuki?» domandò di rimando lui, senza distogliere lo sguardo dal combattimento; si stava visibilmente spazientendo.
Vuoi unirti all’Akatsuki? VUOI UNIRTI ALL'AKATSUKI?! Certe cose non si chiedevano così! Non ci si poteva mettere un minimo di introduzione tipo “Ehi, ciao! Ma lo sai che anche se non sei una ninja e non sai un emerito cippolo di come ci si comporti in una battaglia, saresti un membro eccellente nell’Akatsuki? Eh? Che ne pensi?”.
Se lo faceva in modo così diretto e, sopratutto, ad una che non desidera altro nella vita - in mia difesa potevo solo dire che ognuno merita di avere le proprie ambizioni-, questa, poverina, rischiava l’infarto. Ed io non ero Kakuzu, a me ne bastava uno per rimanerci secca.
(Ho cominciato a scrivere questa storia veramente tanto tempo fa, quindi sto piano piano riscrivendo i vecchi capitoli nel disperato tentativo di renderli più leggibili)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Akatsuki, Altri, Deidara, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Capitolo 2
 
Era una giornata soleggiata a Konoha: il cielo, di un azzurro intenso, sovrastava le stradine del villaggio, che in quel momento sembrava brulicare di vita; il sole brillava alto, offuscato soltanto dalla presenza di qualche nuvola sporadica che, placidamente, galleggiava nell’aria.
Dei bambini si stavano rincorrendo lungo una via, ridendo e strillando parole senza senso, occupati in chissà quale gioco. Poco più in là alcuni ninja, coprifronte in bella vista, erano seduti in un chiosco e chiacchieravano animatamente fra loro riguardo l'esito di qualche missione. 
Nello stesso momento, poco lontano dal villaggio, camminavano a passo spedito due figure avvolte da dei mantelli neri, sui quali spiccavano dei disegni di nuvole rosse, il leggero suono di una campanella che accompagnava il loro passaggio.
«Quanto manca ancora, Danna?» domandò uno dei due, un pizzico di irritazione fra le sue parole dato che, per colpa di un imprevisto, erano stati costretti a dirigersi in fretta e furia verso il villaggio della Foglia. Inoltre, mentre fino a poco tempo prima erano riusciti a procedere piuttosto velocemente grazie ad una delle sue opere, una volta giunti in prossimità del villaggio erano stati costretti a muoversi a piedi, in modo da non attirare l’attenzione di possibili guardie nelle vicinanze; era stato ordinato loro di mantenere un basso profilo e questo non faceva che rendere tutto più noioso, almeno a parere dell’artista.
Nonostante non ricevette alcuna risposta, il biondo non si diede per vinto; infondo il suo partner non era mai stato un gran chiacchierone e si era ormai abituato ai silenzi tombali che spesso riceveva come risposta ai suoi tentativi di conversazione. 
«Mi sembra strano che tu sia uscito dalla tua marionetta per svolgere questa missione...» commentò lui, osservando il corpo del giovane ragazzo dai capelli rossi che camminava al suo fianco; nonostante fossero partner da diverso tempo, era la prima volta che vedeva il suo vero aspetto, solitamente celato all’interno della sua tetra marionetta.
Nuovamente Sasori si limitò ad ignorarlo. Ovviamente.
«Siamo molto loquaci stamattina, eh? C’è forse qualcosa che ti preoccupa?» lo punzecchiò Deidara, un sorrisetto divertito che gli increspava le labbra, perfettamente consapevole di star urtando i nervi del compagno di squadra. 
«Falla finita.» lo ammonì lapidario il rosso, che quel giorno sembrava avesse a disposizione persino meno pazienza del solito; non che, in condizioni normali, fosse l’incarnazione della socialità.
Da quando il loro leader gli aveva ordinato di lasciare Hiruko al covo per svolgere quella missione non aveva potuto fare a meno di insospettirsi; il capo dell’Akatsuki non aveva voluto rivelare il motivo della sua decisione e il continuo blaterare del proprio collega non lo aiutava a ragionare. Non riusciva proprio a capire la sua scelta: se avessero dovuto combattere sarebbe stato più avvantaggiato con la sua marionetta… c’era decisamente qualcosa di strano in quella storia.
 
Era appena l’alba quando vennero a svegliarmi.
Solitamente avrei ritenuto illegale anche la sola idea che qualcuno osasse chiamarmi ad un orario simile, ma quando mi ero ritrovata ai piedi del letto due energumeni con una stazza da far invidia all’armadio alle loro spalle, avevo saggiamente deciso di tenere per me le mie lamentele.
«Sono stata mandata per accompagnarla dalla signorina Tsunade» disse una voce femminile, facendomi sobbalzare.
Sulla soglia della porta, senza che mi fossi minimamente resa conto del suo arrivo, si trovava Shizune. Sì, Shizune, proprio lei, con il suo bel kimono e i corti capelli scuri; cominciava ad essere sempre più difficile imporre al mio cervello di rimanere con i piedi per terra…
Sentendo il mio stomaco protestare sonoramente mi resi conto che, effettivamente, era da quando ero arrivata in quel posto che non avevo toccato cibo. Forse era quello il motivo per cui per un attimo TonTon, il maialino rosa che stringeva la segretaria di Tsunade fra le braccia, mi apparve tremendamente invitante. La suddetta creatura dovette aver percepito i miei pensieri, perché si spinse maggiormente verso il petto della donna, rabbrividendo.
Speravo soltanto che avessero un McDonald o un Burger King da quella parti, necessitavo di cibo e di calorie poco salutari, nel più breve tempo possibile.
Pochi minuti più tardi lasciammo la piccola stanza d’ospedale, ormai diventata alquanto noiosa e claustrofobica per i miei gusti: ero chiusa lì dentro da decisamente troppe ore, senza poter fare altro che osservare le monotone pareti bianche della camera e contare fantomatiche pecorelle che saltellavano oltre altrettanto fantomatiche staccionate.
«Grazie per i vestiti comunque!» dissi dopo un po’ a Shizune, seguendola fuori dalla camera, mentre dietro di noi i due armadi – che per comodità chiameremo Pedro e Patrizio- procedevano silenziosi, mettendomi vagamente ansia con la loro aura intimidatoria, neanche ci trovassimo nel bel mezzo di una marcia funebre.
Purtroppo i miei indumenti, ormai sporchi e non più definibili come tali, erano ufficialmente passati a miglior vita; in compenso un’inserviente me ne aveva dati alcuni da utilizzare come ricambio: si trattava di una semplice maglia bianca, piuttosto lunga e non molto aderente e un paio di pantaloncini scuri. Era molto semplice, in effetti, ma mi piaceva: faceva molto ninja a modo suo. Non che avessi smesso di sospettare di quel posto, sia chiaro! O almeno era quello che continuavo a ripetermi.
La donna si limitò a fare un cenno con il capo, per poi richiudersi nel suo silenzio tombale, interrotto soltanto dai nostri passi lungo il corridoio. Mi sembrava di ricordarla vagamente più amichevole… forse anche lei, come me, non era una persona molto mattiniera e stava tentando con tutte le sue forze di non addormentarsi per strada in modo scomposto.
Quando, finalmente, uscimmo all’aperto, un’ondata di aria fresca mi travolse, insieme ad uno stupore tale da farmi spalancare letteralmente la bocca, neanche davanti a me fosse appena transitato Madara in bikini, ballando la polka.
Addio razionalità, è stato per poco tempo, ma è stato bello averti conosciuta, almeno per una volta nella vita
Fui travolta da così tanti sentimenti diversi allo stesso tempo, che fu estremamente difficile trattenermi dal mettermi a saltellare sul posto, eccitata quasi come una bambina a Natale di fronte ad un giocattolo nuovo e, per l’emozione, mi feci sfuggire un urletto strozzato, che fece sussultare leggermente Pedro e Patrizio; i due non sembrarono apprezzare particolarmente la cosa dato che mi guardarono come se avessi appena sputato e conseguentemente ballato sulle spoglie della loro amata nonna – insomma, non ne erano esattamente felici-.
In quel momento, però, tutti i neuroni del mio cervello erano troppo impegnati anche solo per poter fare caso all’espressione di morte e fastidio che avevano stampata in faccia: quella era Konoha! QUELLA ERA LA VERA KONOHA! Non era possibile ricreare in nessun modo uno scenario simile, soprattutto di tali dimensioni!
Il cuore aveva preso a battermi all’impazzata nel petto e centinaia di pensieri si agitavano confusamente nella mia mente - insieme ad una serie di scenari futuri con me nelle vesti di una ninja fantastica, dagli strabilianti poteri-, mentre mi guardavo intorno estasiata, continuando ad inciampare ad ogni passo sui miei stessi piedi.
Né Shizune né i nostri poco affabili accompagnatori sembrarono molto inclini ad assecondare il mio improvviso entusiasmo e Patrizio, per nulla intenzionato a lasciarmi gironzolare qua e là a mio piacimento, mi afferrò per un braccio, cominciando, senza tante cerimonie, a strattonarmi verso il palazzo dell’Hokage. A giudicare dalla sua faccia, in quel momento, stava mettendo in discussione tutte le sue scelte di vita, chiedendosi come fosse finito a trascinarsi, a mo’di cesta di arance, una ragazzina decerebrata per le strade del suo amato villaggio.
«Ma io voglio andare a mangiare il ramen!» pigolai per l'ennesima volta, cercando di divincolarmi dalla sua presa ferrea «Ho fame! Voglio vedere il villaggio! Questo è sequestro di persona, voglio il mio avvocato!» continuavo a blaterare, agitandomi qua e là come una foca impazzita; purtroppo io e la forza avevamo lo stesso rapporto che Hidan aveva con la stabilità mentale, perciò non ottenni molti risultati oltre quello di urtare i nervi delle persone che mi circondavano e di attirare lo sguardo curioso di qualche passante. Se mi fossi trovata nel mio mondo probabilmente qualcuno si sarebbe fatto un paio di domande vedendo una ragazzina trascinata via a forza da due loschissimi energumeni nel bel mezzo di una strada, ma lì nessuno sembrò porsi il minimo problema e continuarono a procedere tranquillamente con la loro vita. Molto utili, grazie mille, mi ricorderò di voi.
«Mi dispiace, ma prima di tutto dobbiamo scortarti dalla signorina Tsunade» mi spiegò irremovibile Shizune, che continuava a procedere a passo spedito di fronte a noi.
«Questo è abuso di potere…» borbottai ma, abbastanza sicura di non essere in grado di abbattere tre ninja addestrati avendo come unici oggetti contundenti a disposizione un paio di sandali – la situazione non sarebbe cambiata anche se avessi avuto fra le mani Excalibur-, cercai di darmi una calmata, tentando di ignorare le sonore proteste del mio stomaco che ormai era diventato praticamente la colonna sonora del mio personaggio. Avrei dovuto rassegnarmi e pensarci più tardi, magari soffermandomi su quesiti ben più importanti come "cosa accidenti ci faccio a Konoha?!".
Per queste ragioni non riuscii a vedere molto del villaggio, se non il tratto di strada che collegava l'ospedale al palazzo del Quinto Hokage: c’erano diverse bancarelle qua e là, in cui la gente si radunava a piccoli gruppi, venditori di cibo, case e decisamente troppa vegetazione per i miei gusti.
Diversamente da quello che mi aspettavo non c’era nulla di particolarmente diverso dal luogo in cui ero cresciuta, se non la mancanza di tecnologia e la presenza di persone che se ne andavano in giro con una scelta di abbigliamento, almeno a parer mio, piuttosto discutibile, alcune di esse con delle armi in bella mostra che sospettavo non fossero fatte di plastica. 
Come avevo già avuto modo di vedere nell'anime e anche nel manga, il luogo dove eravamo diretti si trovava al di sotto della parete rocciosa in cui erano scolpiti i volti degli Hokage di Konoha, dall’aspetto vagamente inquietante per chi, come me, li osservava dal basso. Mi ci sarei volentieri fatta una foto davanti, ma la mancanza di strumenti adatti e la situazione in cui mi trovavo mi impedirono di soffermarmi su quel pensiero per più di qualche secondo.
Una volta entrati nel palazzo ci trovammo di fronte ad un’immensa scalinata che portava verso i piani superiori. Deglutii a vuoto.
«Abbiamo appuntamento con l’Hokage qui sul pianerottolo vero?» nessuna risposta «Io allora vado con l’ascensor-».
Sospettai che non avessero nessun ascensore – o forse avevano semplicemente smesso di ascoltarmi dopo la duecentesima volta che li avevo implorati di lasciarmi mangiare qualcosa- dato che Patrizio procedette a passo spedito verso i gradini, trascinandosi dietro la mia povera persona; se non altro la presa ferrea che aveva sul mio braccio mi evitò di rompermi l’osso del collo verso metà scalinata, quando le mie gambe avevano deciso di smettere di svolgere il loro lavoro, facendomi inciampare più volte su una serie di gradini. Cominciavo finalmente a capire il motivo per cui Tsunade fosse dotata di polpacci marmorei spacca pavimenti, considerando che probabilmente era costretta a farsi quella scarpinata tutte le mattine – io al posto suo non ne avrei avuti nemmeno più, di polpacci-.
Arrivata finalmente in cima e con un paio di polmoni da sostituire – speravo soltanto fossero ancora in garanzia-, non ebbi nemmeno il tempo di pensare a riprendere fiato che mi condussero di fronte ad una grande porta dall’aspetto massiccio, che si rivelò essere l’entrata dell’ufficio della Godaime. Finalmente, speravo soltanto che non la tirasse tanto per le lunghe o le sarei morta sulle mattonelle per la fame e la stanchezza – non ero abituata a simili scatti di vitalità, sopratutto a quell’ora del mattino-.
Oltre la porta vi era una semplice stanza quadrata, con le pareti attraversate da grandi finestre e da delle enormi librerie piene di fogli e scartoffie, che probabilmente giacevano lì a marcire da secoli or sono. Al centro della stanza vi era posta una scrivania, ricoperta da altrettanti documenti, nella quale, in tutto il suo splendore - se così poteva essere definito-, risiedeva il Quinto Hokage, un'espressione decisamente più cupa rispetto a quella del giorno precedente - forse aveva appena perso tristemente tutti i suoi soldi in qualche losca scommessa. Sempre detto che il gioco d’azzardo faceva male-.
«… buongiorno!» esclamai dopo qualche secondo, rompendo l’atmosfera di silenzio che era scesa fra di noi, sperando di accelerare i tempi e di potermene andare finalmente a fare un giro per il villaggio.
«Buongiorno…» rispose lei, con un tono di voce così funereo che persino quello di Itachi, a confronto, sarebbe sembrato quello di una bambina iperattiva.
Teneva il mento sulle mani intrecciate, mentre i gomiti erano saldamente appoggiati alla scrivania. Quella posizione le dava un'aria piuttosto seria e tenebrosa, che non si addiceva molto all’idea che avevo del suo personaggio e la cosa non mi metteva esattamente a mio agio; beh, anche Pedro e Patrizio in piedi dietro di me ad alitarmi sulla testa contribuivano a farmi salire un pochino l’ansia.
«Perché sono qui?» tentai nuovamente, dato che non mi sembrava molto intenzionata a mandare avanti la conversazione. Eppure era stata lei a farmi portare lì in fretta e furia! Se non aveva niente da dirmi io avrei avuto molte altre cose da fare piuttosto che stare in quel posto a fissare la sua faccia afflitta.
La mia domanda in qualche modo parve sortire l’effetto desiderato, perché sembrò riscuotersi dallo stato di trance in cui si trovava fino a poco prima.
Posò i palmi sulla scrivania e si alzò dalla sedia, che gigolò fastidiosamente alle sue spalle, strisciando sul pavimento; raccolse un foglio e fece qualche passo verso di me.
«Ieri, dopo aver lasciato l’ospedale, ho controllato fra le liste dei ninja ricercati…» cominciò, continuando a rigirarsi il pezzo di carta fra le dita, rimirandolo.
«Quindi?» domandai io, tranquilla; considerando che fino al giorno prima io non esistevo nemmeno in quel mondo, sapevo che non poteva aver trovato qualcosa su di me.
Fece un altro passo in avanti, con un’espressione sempre più torva, come se si aspettasse che dovessi rivelargli chissà quale magica informazione. Che fosse un tentativo per mettermi sotto pressione e spingermi a confessare le mie malvagità, dato che le sue ricerche non avevano portato a nulla? Che strane tecniche contorte avevano a Konoha per ottenere informazioni dalla gente! Però dovevo ammettere che aveva un che di positivo il fatto che con lei non ci fosse Ibiki Morino in persona a dargli una mano.
Occhieggiai Tsunade, perplessa, in attesa che rinunciasse a qualsiasi cosa stesse tentando di fare, ma lei rimase immobile ad osservarmi con aspettativa.
Fino a prova contraria io non ero una ninja, non avevo mai avuto un villaggio da tradire e sicuramente non mi era mai capitato di andare in giro a commettere qualche reato – se non scaricare film illegalmente da internet ma suvvia, era una cosa che facevano tutti!-. 
«Quindi» fece lei, riprendendo le mie stesse parole «Cosa ne dici di questo?» fece, con tono di sfida, mettendomi davanti alla faccia quello che era il contenuto del foglio.
La prima cosa che attirò il mio sguardo fu la foto di una giovane ragazza, dall’aria altezzosa e sicura di sé; guardava l’obbiettivo quasi con sfida e sembrava essersi messa in posa per essere fotografata. Da quello che riuscivo a vedere era impegnata in un combattimento: tra le mani stringeva una grande falce con una catena, che stava usando per difendersi da un ninja, almeno due volte più grande di lei. I capelli biondi, leggermente mossi, erano schiacciati da un cappellino blu e ondeggiavano intorno a lei, dandogli tutto tranne che un’aria di pericolosità. 
Accanto alla foto erano appuntate diverse informazioni, ma non ero in grado di decifrarne la scrittura – cosa strana dato che parlavamo la stessa lingua-. L’unica cosa che riuscii a capire era che si trattava di una ninja traditrice di un qualche villaggio, anche se a giudicare dal suo aspetto sembrava una normalissima ragazzina dal volto infantile. Non ci si poteva proprio fidare di nessuno, in quel mondo.
«E… cosa c’entra questo come me? Non l’ho mai vista prima d’ora, quella» chiesi confusa, riportando lo sguardo verso l’Hokage.
Qual era il senso di mostrarmi qualcosa del genere? Sperava avessi informazioni su quella ninja? Per quale motivo pensava potessi conoscerla? Non l’avevo mai neanche vista nell’anime, probabilmente non era altro che un’inutile comparsa.
Di tutta risposta l’Hokage si limitò ad inarcare un sopracciglio, come se fosse qualcosa di ovvio, che avrei dovuto capire da sola. 
Corrugai leggermente la fronte, riportando lo sguardo sul foglio per capire se mi fossi persa qualcosa per strada; anche se fosse stato così ero abbastanza sicura di non riuscire a sbloccare magicamente l’abilità di leggere i loro ideogrammi.
«Non riesco a capire…» ripetei nuovamente, dopo quale minuto in cui avevo sperato che l’illuminazione mi cogliesse – invano-.
«Perché continuare a bluffare arrivati a questo punto?» mi incalzò Tsunade, facendo un altro passo verso di me.
Cominciavo ad avere il sospetto che ci fosse andata giù pesante con il sakè, quella mattina.
«Per quale motivo dovrei bluffare? Non ho la più pallida idea di chi sia quella tipa!» esclamai, perplessa, per poi sospirare profondamente «Ora, se non c’è altro, io me ne andrei volentieri a mangiar-» ma non feci in tempo a voltarmi che la Godaime aveva afferrato uno dei miei polsi con una mano, interrompendo il mio tentativo di uscire da quella situazione, della quale ci stavo capendo sempre molto meno. Alle mie spalle sentii Pedro e Patrizio portare una mano verso le loro armi, facendomi rabbrividire.
«Ahi, mi fa male!» squittii, sentendo la sua salda presa contro la mia pelle «Non ho davvero idea di cosa voglia, non c’è bisogno di mettersi a sfogare la sua rabbia su di me! Si compri una pallina anti-stress o qualcosa del genere!» le consigliai, con le lacrime agli occhi per il bruciore al polso – il manga non scherzava quando parlava della sua forza- e per l’improvvisa piega che avevano preso gli eventi.
Come diamine ero finita in quella situazione? Cosa avevo fatto di male? Per quale accidenti di motivo l’Hokage di Konoha si era messa in testa che fossi collegata a chissà quale ninja traditore?
Mugugnai qualche imprecazione, sentendo la presa stringersi maggiormente, così tanto che pensai che mi si stessero per sbriciolare le ossa.
«Hai intenzione di continuare a negare l’evidenza?» ruggì lei, irritata con me per delle ragioni che proprio non riuscivo a comprendere «Non so se si tratti di una qualche forma di amnesia o se tu stia solo fingendo, ma come capo di questo villaggio non posso ignorare i tuoi crimini!».
«Perché non ne discutiamo civilmente, per favore?!» mugugnai io, tirando il braccio verso di me, ma non riuscendo a liberare la mano.
«Il tempo delle discussioni è finito nel momento in cui hai tentato la fuga, Fuko Yamamoto» affermò lei irremovibile e alle mie spalle sentii la porta della stanza aprirsi, mentre dei ninja - tanti ninja, troppi ninja- facevano il loro ingresso, come se Pedro e Patrizio non fossero una presenza già abbastanza opprimente di loro.
Mi si gelò il sangue nelle vene quando vidi le maschere che indossavano: prima di allora non avevo mai pensato potessero risultare così spaventose - infondo vi era ritratto sopra il muso di un gatto- eppure l’aura omicida che le circondava le rendevano tutto tranne che piacevoli da ritrovarsi improvvisamente alle spalle.
Per quale diamine di motivo tutti quegli anbu si stavano avvicinando a me con delle spade affilate? Non è che avessi tentato chissà qualche fuga rocambolesca, poi! Che esagerati che erano a Konoha, avrei potuto fare ben di peggio - come colpire la Godaime con Patrizio, rovesciare la scrivania, per poi gettarmi dalla finestra con una risata malvagia, portandomi via tutte le sue scorte di sakè-.
Deglutii a vuoto, mentre cercavo di riordinare i miei pensieri, probabilmente gli ultimi se le cose fossero continuate in quel modo; l’Hokage si era rivolta a me con il nome di “Fuko Yamamoto”, probabilmente la nukenin di cui mi aveva appena mostrato la documentazione. Per quale motivo pensava fossimo la stessa persona? Eppure non ci assomigliavamo minimamente! Inoltre perché, se aveva intenzione di attaccarmi sin dall’inizio, si era sprecata a portarmi fino a lì? Temeva che se mi fossi trovata in mezzo alla gente mi sarebbe preso un raptus in stile Kakuzu e avrei fatto fuori qualche abitante del suo villaggio? Io?! Che l’unica cosa che avrei mai potuto eliminare sarebbe stata me stessa, cadendo nella doccia?
Accidenti, non andava affatto bene, persino io me ne rendevo conto. Dovevo trovare un modo per andarmene da lì, una qualche fuga intelligentissima e spettacolare… lo sapevo che mi sarei dovuta lanciare dalla finestra quando ne avevo ancora l’occasione!
L’ostacolo più grande era Tsunade: continuava a tenermi il braccio, impedendomi qualsiasi movimento con la sua forza disumana e io sicuramente non avevo intenzione di tranciarmelo o rompermelo in modo epico per liberarmi. Inoltre, anche nel caso fossi riuscita a divincolarmi dalla sua presa, ero piuttosto sicura che con le mie fantastiche doti da atleta non sarei riuscita a seminare uno squadrone di anbu addestrati. Che poi, con la forza che mi ritrovavo, una volta arrivata alla finestra probabilmente, invece di spaccarla e riuscire a lanciarmi di sotto, mi ci sarei spiaccicata sopra indegnamente, come una mosca.
Più ci pensavo e ci ripensavo, più ogni possibile scenario si concludeva con me, morta contro il pavimento, in una pozza di sangue. Era finita, lo sentivo… il mio secondo giorno a Konoha sarebbe stato anche l’ultimo, la mia solita fortuna!
Chiusi gli occhi, mostrando a tutto il mondo quello che era il mio grande coraggio. Sinceramente, in quel momento, l’impressione che avrei potuto dare agli altri era l’ultimo dei miei pensieri, stavo per essere uccis-
«Lasciatela.» ordinò qualcuno, la voce roca e profonda.
Spalancai gli occhi, voltandomi automaticamente verso la fonte di quelle parole. Sul davanzale della finestra, accovacciato come una tigre in attesa di balzare sulla propria preda – posizione che faceva molto ninja, a parer mio-, c’era un uomo che non avevo mai visto prima – un’altra inutile comparsa?-, avvolto da un mantello nero; i capelli corvini ricadevano in modo scomposto sulle sue spalle, mossi leggermente dal vento, lasciando intravedere una piccola cicatrice che gli percorreva lo zigomo. Gli occhi, viola – e probabilmente non stava indossando delle lenti a contatto-, brillavano minacciosamente, puntati verso l’Hokage, quasi come se volessero incenerirla. Era… un alleato? Sinceramente in quel momento avrei accettato volentieri anche la mano serpentosa di Orochimaru pur di uscire da casino in cui mi ero ritrovata.
Gli anbu si voltarono verso la direzione del nuovo arrivato, pronti all’attacco, mentre Pedro e Patrizio continuavano a puntare la spada contro la mia schiena.
«Chi sei tu?» tuonò Tsunade, che non appariva molto contenta da quell’interruzione, bloccando momentaneamente con un gesto della mano l’attacco dello squadrone.
Un sorriso divertito, ma allo stesso tempo inquietante, affiorò nel viso del nuovo arrivato.
L’uomo non rispose alla domanda, limitandosi a socchiudere gli occhi e, prima che potessi rendermi conto di quello che stava succedendo, mi ritrovai fra le sue braccia, il polso improvvisamente più leggero, libero dalla presa dell’Hokage.
Feci in tempo solamente a scorgere la figura della Godaime contro la scrivania e quella degli anbu che si accingevano ad ucciderci quando, con un rapido gesto delle mani, lasciò cadere nella stanza una specie di pallina di carta, che esplose in una nuvola di fumo densissima.
Minimamente turbato dalla mancanza di visibilità - e non prestando particolare attenzione al fatto che fossi in procinto di sputare a terra i miei stessi polmoni a causa di quella strana sostanza che aveva invaso la stanza- corse verso la finestra e, senza neanche avvertirmi, si lanciò oltre di essa.
Dopo un primo momento di confusione generale in cui tutto mi sembrò procedere a rallentatore venni investita da un terribile senso di vuoto, che mi fece accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco.
«I-io soffro di vertigini!» gli urlai nelle orecchie, lanciandogli le braccia al collo e piantandogli una testata molto poco gentile contro le clavicole, nel vano tentativo di non perdere l'equilibrio e spiaccicarmi malamente al suolo come dell'amabile sterco di piccione.
Dopo un istante di smarrimento, dovuto ai miei schiamazzi sconnessi e isterici, l’uomo riacquistò la sua stabilità e, con una grazia che non riuscivo a spiegarmi, cadde perfettamente in piedi, tranquillissimo, neanche fosse reduce da una passeggiata mattutina in mezzo ai fiori e alle farfalle.
«Direi che è il caso di andarsene» constatò pacato, lanciando un’occhiata agli anbu che si stavano precipitando verso di noi, in maniera molto poco amichevole.
L’uomo misterioso iniziò a correre, con una velocità che non credevo potesse essere raggiunta da un essere umano, tenendomi stretta fra le sue braccia - a cui mi ero arpionata come un gatto spaventato- e senza mostrare il minimo segno di fatica.
«D-dove stiamo…?» tentai di chiedere a fatica, a causa dell’aria che sferzava contro il mio viso per la rapidità con cui ci stavamo spostando, facendomi lacrimare gli occhi e trasformando i miei capelli – che in quel momento mi apparvero vagamente più chiari di quello che mi ricordavo, ma non avevo tempo per soffermarmi su un simile pensiero- in un nido di vespe indistinto.
«Per il momento, molto lontano da qui» rispose semplicemente lui, entrando all’interno di una foresta.
 
Nello stesso istante i due membri dell’Akatsuki erano giunti davanti al palazzo dell’Hokage, attirati dall’improvviso trambusto che aveva scosso il villaggio, giusto in tempo per scorgere un uomo correre via in tutta fretta, fra le sue braccia quello che pareva essere proprio il loro obbiettivo.
«A quanto pare siamo arrivati tardi, uhm» constatò Deidara, portando un dito all’apparecchio meccanico che copriva il suo occhio sinistro; questo gli permise di allargare il suo campo visivo, andando ad inquadrare perfettamente il viso della ragazza in questione. 
«E’ proprio lei, ”Fuko Yamamoto”» confermò al compagno di squadra «Insieme allo stesso tipo dell’altra volta. L’avevo detto che dovevamo farlo esplodere quando ne avevamo l’occasione, uhm» aggiunse, un sorrisetto che gli increspava il volto nel notare l’impazienza e la frustrazione del marionettista accanto a lui.
Il rosso aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, infastidito dalla piega che stava prendendo la loro missione: fino a che Fuko fosse stata da sola non ci sarebbero stati problemi, ma con l’arrivo di quel tipo la faccenda si faceva più seccante e loro erano già in ritardo sul piano di marcia; e lui odiava far aspettare le persone…
«Che facciamo, Danna?»  domandò allora il biondino, portando le mani verso le borse fissate saldamente ai suoi fianchi «Il leader non sarà molto contento che il suo prezioso obbiettivo ci sia stato portato via sotto il naso, sopratutto dopo tutta la fatica che ha fatto per farlo arrivare qui».
«Sbrighiamoci a seguirli» rispose brusco l’altro, voltando lo sguardo nella sua direzione «Non dobbiamo lasciare che si allontanino troppo, lei è troppo instabile e non possiamo permettere che il suo contenitore venga danneggiato».
«Ricevuto» si limitò a dire Deidara con un sorrisetto, lanciando davanti a sé una scultura a forma di uccello; dopo aver composto un sigillo con le mani essa si ingigantì, pronta per trasportarli; non avevano più tempo di pensare al non dare nell’occhio.
«Andiamo a riprendercela, uhm» affermò il biondo, salendo assieme al compagno con un balzo sulla sua opera, che sbatté le grandi ali, spiccando il volo.
  
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