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Autore: Daequan    25/07/2011    0 recensioni
"...e quel gol non sarebbe il gol d'un padre che prende i sonagli del suo bimbo: sarebbe il gol d'un padre che, i sonagli, li raccoglie da terra, dove il bimbo non può arrivare, e, ripulitili con amore, glieli restituisce. Quello non è il mondiale di Crapanzano, e, paradosso, proprio per questo è lui, e nessun altro, chi lo deve salvare."
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gocce di sudore.
 
Sono 7: due sulla fronte, spinte dal vento e dai pochi capelli; due sulla schiena, gelide tracce; ben 3 sulle cosce doloranti.
 
E quella palla rotonda gira. Gira, gira, febbrile.
 
Perché quello di Crapanzano Evaristo, maglia numero 8, è un tiro ad effetto, di quelli che non faceva da un po'.
L'ultimo risaliva ad un freddo Genoa-Milan di 10 inverni addietro, quando l'allora 26enne promessa del calcio italiano sembrava sì una promessa a pieno titolo, ma fatta da un marinaio, "malidetto!", livornese di quelli che vedeva tornando a casa da piccino, via di corsa dal campetto col borsone a forza sulle spalle. Il calciomercato invernale lo avrebbe spedito in B, ché quel Crapanzano lì non aveva combinato un fico secco. Altro che stella, altro che "segna semper lu": un egoista che non sapeva giocare per gli altri.
Santo Dio, altri tempi. In Nazionale c'era tornato a 35 anni, l'anno precedente i Mondiali che ora andava disputando, lui e quel pallone roteante da farsi scoppiar la testa. Non era più un "numero 10" con "propensione offensiva". La lezione d'altruismo l'aveva ben appresa, pur soffrendo. Ora era un centrale di centrocampo, e se la squadra aveva lavorato lo si doveva vedere dalla sua maglietta. Sudata quella, lavoratrice la squadra. Se no, par di balle e via ad allenarsi. Ancora meglio. Ancora di più.
Ora stava in una squadretta di metà classifica, si spaccava in 4 e si sudava il posto. Forse troppo, per un 36enne. Ma eran gli ultimi sforzi: giocar, s'era giocato; guadagnare un poco, s'era guadagnato pure di più d'un poco. Bene così, via col ritiro. Ci s'è divertiti.
 
Ora quella è una delle ultime palle che avrà da muovere, e di certo l'ultima che gli uscirà così a giro, bellina. Ma serve. Siamo uno a zero, ottavi di finale dei Mondiali, cazzo, l'Argentina viene a prendersi la qualificazione con gli azzurri, privi della loro grande e giovane stella.
Alvaro Simonetto. 22 anni, tocco felpato dei grandi, maglia piccola ma cuore grande, in campo come fuori. 
 
 
Omosessuale.
 

E dichiarato, per di più.
I tifosi, oddio, l'avevan presa male, ma la maglia color cielo aveva la precedenza, se non davi la precedenza, appunto, al cielo in sé.
E molti fondamentalisti del week-end l'avevan fatto, pensando al pallone. E di forma sferica erano anche le pallette di naftalina che molti dovettero smettere per rispolverare lo "spirito cattolico" di chi gli omosessuali li tollerava e "c'era già da ringraziare", ma in uno sport di "uomini" proprio no.
"Almeno nel calcio non si vedan di certe scene!", strepitavano, quelli sì "malidetti!".
Particolarmente inquietante fu il discorso pronunciato da una bella ragazza di "sani principi" sulla "magia frocia" insita nel calcio di Simonetto.
Toccò sentirlo non a Crapanzano, che aveva altro a cui pensare, ma a Marco, un giovane sbarbato che, alla Snai, dettava all'amico Ale il rituale del risultato su cui bisognava incontrovertibilmente scommettere.
Ale spostava i capelli ricci dalla faccia e rideva, con un occhio mezzo chiuso, per le stronzate che scappavan di lingua ai due ad ogni casella. Poi Italia-Argentina, e Marco posò per resistere al "patriottico" impulso di mettere la Beneamata come vincitrice fissa, meglio se in larghezza. La posa gli uscì quasi soldatesca, e Ale rise pure di più, chiudendo l'occhio sinistro quasi del tutto in una smorfia. Marco lo vide, sorrise, lisciò il pizzetto e i capelli spettinati, ma non potè dire "Argentina" che lo interruppe, come si diceva prima, la ragazza, con quel discorso che è pure meglio non ripetere. "Questi vogliono tutto", "almeno non far la stella, stai nascosto!", "Dio ha deciso di far infortunare la Simonetta, povera cara!, giusto per gli ottavi, ché tanto pure se guarisce, come dovrebbe, il giorno dopo, è troppo tardi, perché l'Italia senza di lui è spacciata". Parole. Ma tutto ciò svanì, per Marco, un attimo dopo. Bollò il tutto con un sommesso "oh, Jesus!" e un cenno sconsolato, e disse "Bene, sai cosa? Vince l'Italia!".
 
La ragazza, ora che quella palla gira, è ancora in nutrita compagnia, purtroppo, e l'Italia pare condannata. Uno a zero per i Sudamericani strafavoriti, Italia in dieci, senza forze, morta. E' l'88esimo, e Crapanzano dovrebbe passare la palla, come sempre. Invece mi parte di scatto, con le ultime energie supera un avversario di netto e, dal limite, che fa?
 
Tira.
 
Gocce di sudore.
Sono ancora 7: le due sulla fronte, quell'altre due stronzissime sulla schiena che "rinfrescano", Gesuccristo!, e le 3 sulle cosce che sono ancora doloranti.
E quella palla rotonda gira.
Gira in faccia al portiere Valdez con gli occhi sgranati dallo sforzo, gira in faccia a Marco e Ale davanti allo schermo, gira in faccia al giornalista con la pipa che guarda il match e capisce tutto, come sempre, un po' in anticipo.
Diranno che l'Italia è pazza, prende botte per 80 minuti e rotti, va sotto di un gol e d'un uomo, finisce le forze e muore. E poi non si sa perché, ma un vecchio con la maglia sdrucita decide che non è finito un cazzo finché c'è un mondiale da regalare ad Alvaro, che il ragazzo deve poter giocare i quarti, le semifinali e la Diocristo di finale come merita, togliere quella maglia piccola e metterne una grande e bella, che non dico tenga tutto il suo grande cuore d'uomo innamorato e d'atleta, ma almeno non sfiguri, dovesse fallire nel tentativo.
Tanto Crapanzano si ritira, non ha nulla di più da chiedere. Non per sé.
Perché non chiedere dunque a Dio, o a chi per lui, sottovoce, che quel ragazzo che batterà tutti possa avere la sua chance e metterla in...beh, s'è inteso!, a tutti quelli che non hanno imparato ad amare?
Crapanzano ha ricevuto, e imparato a dare.
E quel gol non sarebbe il gol d'un padre che prende i sonagli del suo bimbo: sarebbe il gol d'un padre che, i sonagli, li raccoglie da terra, dove il bimbo non può arrivare, e, ripulitili con amore, glieli restituisce. Quello non è il mondiale di Crapanzano, e, paradosso, proprio per questo è lui, e nessun altro, a doverlo salvare.
 
 
Argentina-Italia.
Argentina (3-3-1-3): Valdez - Scaroni (81' Marcelo), Guzman, Bonifaci - H. Pineda, Mendez, Arribia - P. Pineda (62' Castro) - Ortolani, Chevalier (92' Benitez), Piazza.
A disposizione: Sirga, Fuentes, Hec. Almiron, Germani, Her. Almiron, Ursoli, Savard, Richela, Moria.
All. Mihailov.
Italia (5-4-1): Arrighetti - Liang (82' Grandi), Gutierrez, Palese (44' Brunner), Roccaumbra, Bonaventura - Riccardi, Avaidiu (58' Sanfilippo), Crapanzano, El Shaabir - Russo.
A disposizione: Crodi, Guarnieri, Setolaro, Ovidiu, Cuglietta, Rudkov, Rossi, Di Lauro, Simonetto (inf.).
All. D'Antoni.
Ammoniti: P.Pineda, Piazza, Guzman, Roccaumbra.
Espulso: Roccaumbra, 57' (doppia ammonizione).
 
Reti: 81' Chevalier, 88' Crapanzano, 90' Gutierrez.
   
 
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