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Autore: Susie    26/07/2011    0 recensioni
Questa storia è ispirata alla canzone dei The Script, "Nothing".
Tra mancanze di fiducia e alcool due ragazze cercano di andare avanti, una ci riesce l'altra viene tirata in basso dagli alcolici. La aiuteranno a dimenticare? A mettere a posto le cose?
Genere: Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! ^^
Questa non è la mia prima fan fiction, ma è la prima song fic yuri, spero vi piaccia :3
Susie.


 


Farei meglio ad essere morta?
Sarei migliore se mi arrendessi?


 
Stava camminando per le vie della città ormai buie, i tacchi che si impigliavano nei ciottoli della strada del centro, il vestito troppo corto e una bottiglia in mano, passata da chissà quale delle decine di persone che aveva incontrato quella sera.
 
-Dai che ti divertirai, ormai sai come si fa, da quando non c’è più lei…-.
 
Usciva tutte le sere con quella frase in testa, da quando non c’era lei più lei usciva sempre.
Da quando non c’era più lei gli altri dicevano che si lasciava andare.
Da quando non c’era più lei e diceva che non si divertiva, gli altri la chiamavano pazza.
Da quando non c’era più lei, la sua ragazza era la bottiglia.
 
Da quando non c’era più lei…No, da quando l’aveva persa.
Si sedette sulle scale di un portone davanti al pub, se si appoggiava al legno e chiudeva gli occhi poteva sentire ancora quello di casa sua sbattere, sbattere così forte da far tremare i vetri alle finestre e il suo cuore.
Se teneva gli occhi ancora chiusi poteva sentire la musica del pub, le piaceva, le dava carica alla notte insieme all’alcool, ma riappoggiandosi alla parete poteva ancora sentire le urla di chi aveva perso, poteva sentire gli insulti, tutte quelle parole pesanti che pensandoci non sarebbero mai potute uscire dalla bocca di  una ragazza così dolce.
Si alzò barcollante trascinata dalla compagnia che ormai era arrivata davanti all’entrata, si lasciava portare ovunque comandata dalla parolina magica “dimenticare”.
 
Entrò e le luci colorate le confusero la vista, non vedeva bene, i ricordi le dicevano che vedeva appannato come quella sera mentre seguiva la figura della sua ragazza sparire dietro a quella porta tra le lacrime.
Si tolse il cappotto, la gente che la circondava o forse gli alcolici che aveva in corpo le avevano fatto venire caldo. Rimase un attimo ad un divanetto per sistemarsi il vestito troppo corto, a metà coscia, ma poi pensò che non le importava.
Lei non le avrebbe mai permesso di mettersi quell’abito, ma lei dov’era?
 
A volte si dimenticava di averla persa per causa sua, dentro di se amore e odio facevano a pugni, l’amore dava la colpa a lei, mentre l’odio dava la colpa all’altra ragazza.
 
Si ritrovò al bar tra bicchieri, urla di gioia di chi ormai era ubriaco e una ragazza che l’aveva presa per mano per chissà quale strano motivo che nella confusione non aveva capito, in quel momento capì solo che la stava trascinando in fondo alla sala dove le luci colorate arrivavano soffuse lasciando spazio al buio quasi completo.
Non vedeva quasi niente, sentiva la musica che rimbombava in quel piccolo spazio e la ragazza che la fissava, che la spingeva contro al muro e cercava le sue labbra, la fine del suo vestito.
Chiuse gli occhi e in quell’istante nella sua mente fece capolino il viso di quella che era la sua dolce metà, allontanò la mano della ragazza e il peso che la intrappolava contro la parete per poi correre fuori dal locale.
 
L’amica che l’aveva accompagnata la raggiunse dandole il cappotto.
-Devo andare…-. Disse infilandoselo e mollando la bottiglia per terra, si infranse.
Non capì cosa rispose l’amica, ogni cosa quella sera le ricordava la sua ragazza, quel rumore di vetro infranto le ricordava i cuori spazzati di quella notte.
-Mi ascolti?! Dove cazzo vai ubriaca?!-.
-Vado…e basta.-.
Si incamminò a passi veloci verso la via.
-Vai da lei?-.
Annuì mentre camminava e l’amica si fermò.
-Non ti vorrà, ti aspetto qua.-.
-Mi vorrà.-.
 
Non si fermò, camminò per un po’ lungo le vie buie di quella notte che sembrava non finire mai.
Raggiunse un portone, lo aprì e salì le scale, tutto quell’ambiente era fin troppo familiare, dopo tre anni che era stata con lei si ricordava tutti i dettagli di quel posto dal pavimento in legno, alla porta del suo vecchio appartamento coperta di colore, alla buca delle lettere sopra al campanello che ormai era vecchia e rotta.
Suonò e il campanello fece il classico e fastidiosissimo rumore che si spargeva per tutto il piano del vecchio palazzo.
Il cuore batteva così forte una volta che la porta si aprì facendo apparire una ragazza con i capelli spettinati, l’aria confusa e una coperta avvolta addosso per coprire l’imbarazzante pigiama da bambina.
Gli occhi si incontrarono e rimasero a fissarsi.
-Amore…-.
-Non chiamarmi così.-. il tono era duro e deciso a non far entrare nessuno nell’appartamento.
L’alcool la stava mandando in confusione così decise di dire quelle parole che le passavano per la mente da tanto.
-Sarà…la millesima volta che…cerco di farmi perdonare.-.
-Sei ubriaca?-.
-Fammi finire per favore…-.
-Sei ubriaca stronza, non ti ascolto più…Non mi fidavo delle tue parole da sobria, figuriamoci da ubriaca-. stava per chiudere la porta, mentre il viso così dolce e bello si contraeva in smorfie, stava per scoppiare a piangere.
-Ti amo.-.
E la ragazza dell’appartamento questa volta non disse nulla, le lacrime invasero le sue guance colorate di un rosso tenue, le labbra rosee venivano morse a sangue e un urlo di rabbia si sparse nel corridoio prima che la porta si chiuse ancora facendo tremare i vetri, facendo tremare il cuore ormai a pezzi per i tentativi falliti.
 
-Cosa ti ha detto?-. chiese l’amica davanti al pub con l’aria di chi sta per sfottere.
-Lei non ha detto niente, volevo delle parole, ma non ha detto niente…-.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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