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Autore: lar185    26/07/2011    2 recensioni
L’assurdità dei nostri incontri e la sua enigmaticità mi mettevano tremendamente a disagio, considerando anche il fatto che io non sapevo nulla di Federico. Già, non sapevo nulla di lui. Che tipo di vita conduceva, che persone frequentava. E soprattutto, che cosa stesse cercando in me, dai nostri discorsi, dai nostri sguardi. Era solo un semplice passatempo? Non mi pareva vero che mi stessi chiedendo una cosa del genere. Cosa m’importava di Federico? Cos’era lui per me, se non un inutile aggancio al mio passato? Avevo paura di quello che era successo, di quello che sarebbe successo. Mi chiedevo perché si ostinava a volermi vedere, già, perché voleva vedermi? E soprattutto, perché non aveva mai fatto riferimento a lui? Questa era una domanda che fino a quel momento non m’era mai venuto in mente di farmi. In definitiva, io e Federico eravamo stati legati soltanto da lui. Ma adesso lui non c’era, e tutto si ribaltava. Tutto era cambiato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fatto che a diciassette anni le ragazze fingano di non avere ormoni è la cosa più stupida del pianeta. Trattano ogni ragazzo che manifestamente dice belle tutte le fanciulle che passano per strada come un pervertito, senza pensare che all’interno del loro cervello i pensieri sono esattamente gli stessi. La questione, molto più profonda, è da fare sul significato che questa cosa ha: per le ragazze è vergognoso pensare di essere state… ehm, diciamo accecate dal sesso opposto. Loro sono quasi sempre impeccabili, quasi sempre corrette.
Quello che invece pensai io senza farmi troppi scrupoli era che Federico era bello, punto. La cosa che mi preoccupava era che io non mi ero mai seriamente accorta della sua bellezza. Il mio animo da ragazza fidanzata aveva per così tanto tempo abbagliato i miei sensi tanto da non farmi neanche rendere conto della presenza di un ragazzo bello davanti a me? O era stata la freddezza con la quale io e Federico ci eravamo sempre trattati?
Lasciai perdere quel pensiero e ne misi in tavola un altro: che cosa avrebbe detto adesso Federico a lui? Di sicuro la cosa sarebbe saltata fuori e Federico gli avrebbe detto di avermi vista e di aver parlato con me. Cosa gli avrebbe detto?
Mi guardai allo specchio cercando di capire che impressione davo, ma non riuscendoci affatto corsi da Giada.

  • Ehi Giada, guardami un momento- le dissi, irrompendo nella nostra camera dove la mia sorellina era intenta a leggere un libro sdraiata sul suo letto.
Giada mi rivolse un’occhiata distratta.
  • Si?- chiese.
  • Come ti sembro?-
  • Eh?-
  • Cosa diresti di me, se mi incontrassi per la strada?-
Giada arricciò il naso mentre mi lanciava un’occhiata lentamente più attenta.
  • Che sei mia sorella. E che ti sei messa la mia maglia!-
  • Oh, lascia perdere questo! Intendo: se tu non mi vedessi da più di un anno, cosa penseresti di me, vedendomi diciamo, insomma…oggi?-
Giada chiuse il libro e si alzò come invasata. Mi guardò negli occhi.
  • Hai incontrato lui!- buttò fuori.
Risi, accompagnandomi con un movimento del capo.
  • No, cosa dici?-
  • E perché mi fai questa domanda?-
  • Non ho incontrato lui. Ma Federico -
Giada alzò le sopracciglia, parve delusa.
  • Oh. E adesso hai paura di quello che potrà dire a lui-
Era impressionante quanto mia sorella mi conoscesse bene.
  • No, per niente, - negai, - è solo che…-
  • Non perdere tempo ad inventare scuse, Clarice -, Giada si allontanò per sdraiarsi nuovamente sul letto, - con me non attacca-
Sbuffai, poi la raggiunsi sul letto.
  • Okay, c’ho pensato un po’-
  • Ma eravamo d’accordo che a lui non c’avresti più pensato. Tu stessa mi hai riempito la testa di “sto bene” e adesso incontri Federico e vai in tilt?- disse diplomatica, con un tono che ricordava tanto un medico che rimproverava il suo paziente per non aver preso le pillole.
  • Non sono andata in tilt, - mi difesi, alzando il tono della voce, - davvero, Giada, devi credermi. È stato solo un banale pensiero passeggero. E non penso a lui-
Abbassai un po’ la voce sull’ultima frase, Giada mi guardò con la coda dell’occhio.
  • Beh, vuoi sapere come ti vedo?-
  • Si-
  • Sinceramente?-
  • Si-
  • Pallida, dimagrita, con le occhiaie. E non hai più lo smalto sulle unghie, né tutti quegli orecchini che ti piacevano tanto, e indossi le magliette di tua sorella. Credi sia abbastanza?-
Sospirai prima di chiedermi come avessi fatto a non notare tutte quelle cose allo specchio.
  • Questa maglia mi piace, - iniziai, in tono di scuse, - e gli orecchini mi appesantiscono le orecchie, non mi va di portarli. Lo smalto mi rende le unghie fragili e non sono mica pallida…!- mi sporsi verso lo specchio che si trovava sulla scrivania non molto distante, Giada scosse il capo; - e poi sono dimagrita solo di qualche chilo. Ho passato l’inverno sui libri, sono stressata!-
  • Sei stressata nel profondo, Clarice. E lo sappiamo tutte e due che sei caduta in crisi da quando tu e lui avete rotto-
Non potevo darle torto. Tutti i miei problemi erano iniziati quando lui sen’era andato, quel giorno, lasciandomi da sola per strada. Ma come avrei potuto spiegare a Giada che i miei problemi erano diversi da quelli che immaginava lei? Le notti insonni che avevo passato non erano state spese in futili pensieri e canzoni d’amore, ma in ragionamenti filosofici sul comportamento assurdo del mio inconscio! Non m’ero lasciata andare, mi ero solo concentrata sulla scuola e sugli impegni dell’inverno per non pensare a quello che avevo dentro e mi ero dedicata molto al riposo, si, in effetti, ero andata a poche feste, non ero uscita molto spesso con gli amici…
D’improvviso tutto mi fu chiaro.
Era stato per questo che tutti i miei amici e mia sorella si erano così concentrati su di me per i precedenti mesi. Credevano che io stessi male per lui. Oh.
Oh, non avrebbero mai capito qual era il vero problema.

  • Giada, ascolta-, iniziai, - lo so che potrebbe sembrare così, ma non lo è. Io non sento la sua mancanza-
Giada alzò le spalle.
  • Beh se ne sei convinta, va bene-
Stavo per aggiungere qualcosa, ma Giada continuò:
  • Oh dimenticavo, ti ha chiamata Candida. Dovresti chiamarla-
  • D’accordo-
Mi alzai dal letto di Giada sentendomi un po’ in colpa per non averle mai raccontato sul serio cosa stesse succedendo in quel periodo, ma in un secondo quel pensiero passò. No, non avrei potuto mai e poi mai raccontare a qualcuno questi pensieri. Come avrei giustificato la mia mancanza di sentimenti?
Fui pervasa da una stranissima sensazione, ma feci del mio meglio per non badarci.
L’immagine di Federico mi riaffiorò alla mente nel momento in cui presi il telefono in mano per chiamare la mia amica.
Avevo un rapporto per niente confidenziale con le emozioni.
 
 
 

 
 
 
Candida era quello che potrebbe definirsi una migliore amica. In realtà non lo era poiché era Giada la mia migliore amica\sorella, ma in mancanza di lei c’era Candida, che rispetto a Giada aveva il vantaggio di essere più grande, di frequentare la scuola con me e di bazzicare le mie stesse amicizie. Era intraprendente, diplomatica e sicura di se.
In pratica, il mio opposto.
Al telefono le raccontai della mia giornata omettendo il particolare Federico pensando che se ne avessi parlato anche con lei non mi avrebbe detto niente di diverso da quello che mi ero sentita dire da Giada. Le persone alle volte sanno essere davvero ripetitive.

  • Ti aiuto io a comprare il regalo per Giada- si offrì Candida. Riconobbi la dolcezza del suo tono nonostante il telefono rendesse la voce metallica.
  • Se ti va-
  • Certo che mi va. E poi cosa ho da fare in casa? È arrivata l’estate e sai che mi viene la depressione dopo il secondo giorno. Dai, ci vediamo domani? Un giretto in centro e vedrai che troviamo il regalo adatto per Giada-
Sorrisi istintivamente anche se lei non poteva vedermi.
L’atteggiamento di Candida era diventato così mieloso da quando io avevo rotto con lui. Prima riuscivo a vivere una vita tranquilla senza sentirmi sempre gli occhi addosso, mentre adesso tutti mi riservavano attenzioni oserei dire maniacali, quasi fossi una bambina o un cagnolino abbandonato. In mia presenza si facevano solo discorsi allegri e le mie amiche fidanzate evitavano di parlare dei loro partners.
Pensavano davvero che fossi messa male.

  • D’accordo, Candida, ti ringrazio. A domani-
La salutai tentando di sembrare il più allegra possibile, cercando di impegnare i miei pensieri sebbene niente in quel momento sembrava essere più urgente del pensiero di Federico.
La sola sua vista mi aveva provocato una serie di problemi esistenziali che urgevano di soluzione. Il primo era in assoluto quello del mio aspetto (ricordando le parole di Giada “pallida e smagrita”), che spiegava in parte i comportamenti delle persone che mi circondavano; il secondo era cercare di far uscire dalla mia testa lui e tutti i pensieri relativi al passato che stavano affiorando; il terzo era cercare di capire perché Federico fosse bello.
Ci pensai ovviamente quella notte fissando il soffitto, com’era mio solito.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta che non passavo una notte insonne, mi venne quasi da ridere.
Beh, il primo problema sembrava il più facile da risolvere. Con i ragionamenti ero una vera bomba, mi ero esercitata moltissimo negli ultimi mesi.
Ad ogni modo, il mio tentativo di capire i miei problemi dell’inconscio si era rivelato evidentemente agli occhi degli altri una depressione lancinante a causa della rottura con lui. Il mio trascurarmi fisicamente era parso ai miei amici una sorta di abbandono, come se mi fossi arresa di fronte alla vita. Il bello era che la deduzione dei miei amici non era del tutto sbagliata, in quanto era vero che tutto era partito da quella rottura, ma era pressoché impossibile che avessero colto quale fosse il vero problema. Si può davvero stare male perché non si sta male? Era un paradosso, un assurdo. Eppure a me era successo proprio quello, roba da non crederci!
Ma ormai era passato molto tempo da quel dannato giorno e non potevo certo prendere da parte tutte le persone che facevano parte della mia vita e renderli partecipi di una straziante verità sull’evanescenza dei miei sentimenti. Mi avrebbero presa per pazza, o peggio ancora, non mi avrebbero presa sul serio. Quindi questo problema dovevo lasciarlo da parte e farlo camminare con le sue gambe come aveva fatto fino a quel momento: far credere a tutti di star male per lui. Dopotutto era una soluzione meno dolorosa per me e anche per gli altri: non mi costringeva a dire la verità e non costringeva gli altri a dover sopportare un fardello inutile.
Okay, secondo problema.
Tutto era derivato ovviamente da Federico. Se dopo tre o quattro mesi dalla nostra rottura avevo ripreso a dormire di notte, adesso mi ritrovavo di nuovo con l’insonnia. Avevo ripreso a pensare a lui in maniera ossessiva e riflessiva insieme. Mi chiedevo della sua importanza per il mio cervello (non per il cuore) e del tempo che era passato. Mi sarebbe piaciuto chiedergli cosa aveva pensato durante quei mesi riguardo a noi, se anche lui aveva capito che vivere senza di me era assolutamente uguale. Se esisteva una sola persona al mondo alla quale avrei raccontato i problemi del mio inconscio quello era lui. Gli avevo sempre detto tutto, lui era sempre stato tutto. Incredibile come qualcuno può esserti indispensabile ed indifferente insieme.
Dunque, visto che non conoscevo altra terapia per quel problema, dovevo far passare del tempo e aspettare che mi rivenisse sonno. Magari con una camomilla.
Il problema numero tre era pericoloso.
Mi sentivo come una bambina che imparava a camminare, a correre, a saltare. O come un cieco che per miracolo riacquista la vista e riprende a vedere i colori. Rivedere Federico era stato come sentire un fuoco all’interno del mio corpo, un fuoco sconosciuto. E pensare che per molto e molto tempo io e lui avevamo condiviso giornate normalissime insieme, ci eravamo comportati come conoscenti-quasi-amici. E d’improvviso lui mi offriva un caffè e io pensavo che fosse bellissimo.
Non avevo mai pensato di qualcuno che fosse bellissimo, e non sapevo riconoscere la differenza tra il pensiero razionale e l’emozione, perché dopo averla elaborata, anche l’emozione si trasforma in pensiero. La mia era stata un’emozione o un pensiero?
Rivedere Federico.
Oh no, io non avevo rivisto Federico.
Io l’avevo visto. Punto.
 
 
 

 
 
 
 
 
La giornata di sole che incombeva sulle nostre vite era meravigliosa e straziante insieme. Io e Candida camminavamo per le strade che avevo percorso da sola cercando nuovamente un regalo per Giada. Faceva più caldo del giorno prima ed io ero assolutamente più presentabile. Mi ero messa gli orecchini e avevo ripescato delle t-shirt che non mettevo da un po’. Prima di uscire di casa Giada mi aveva lanciato un’occhiata obliqua tentando di decifrare i miei pensieri, ma non ci era riuscita. Evidentemente non lo davo a vedere, ma tentavo di recuperarmi. Insomma, nonostante la sera precedente avessi deciso che andava bene che tutti pensassero al mio prossimo suicidio per lui, non bisognava esagerare. E poi gli orecchini mi erano mancati.

  • Cosa piace a tua sorella?- chiese Candida.
  • Boh. Le piace leggere-
  • E?-
  • E adora Snoopy-
  • E?
  • E non lo so. Sono completamente senza fantasia-
Candida sospirò, scosse la testa e avanzò un pochino il passo.
  • Facciamo un giro in qualche libreria. Non sono mai stata d’accordo a regalare libri per i compleanni, ma tua sorella mi sa tanto di intellettualoide. Potrebbe apprezzare!-
In effetti Candida non sbagliava. Giada era una di quelle ragazze che per avere quasi quindici anni era assai matura e forse avrebbe apprezzato molto di più un libro che una banale borsa.
Entrammo nella prima Fnac che ci capitò sotto tiro e respirai a fondo l’aria condizionata che c’era nel locale. Candida si legò i capelli ricci e biondi e con il sorriso stampato sulla faccia mi intimò di seguirla.
Adoravo i libri ed entrare in una libreria era per me come entrare in un tempio. Mi guardavo attorno cercando di cogliere i titoli della narrativa che mi erano ancora ignoti, mentre sussultavo di gioia quando leggevo il titolo di qualcosa che mi era particolarmente piaciuto.
Mi fermai di fronte ai libri di Paulo Coelho per ammirare i titoli dei suoi romanzi, Candida invece fissava un punto indefinito alla sua destra con aria interessata.

  • Che c’è?- le chiesi d’improvviso.
  • Oh, aspetta qui! Quello è Alessandro! Devo andare a salutarlo!-
Per un momento mi chiesi chi era Alessandro, poi ricordai fulmineamente che era l’ultima cotta di Candida.
  • Ma non dovevamo vedere il regalo per…?-
Non mi fece neanche finire le frase che esclamò:
  • Non posso crederci è davvero lui! Come sto? Ho il rossetto sbavato, i capelli sono a posto?-
Arricciai il naso.
  • No, sei perfetta-
  • Sicura? Oh santo cielo me lo ritrovo ovunque…ti dispiace Clarice? Ci metto un attimo!-
Certo, conoscevo gli attimi di Candida. Se non andavo a riprendermela per i capelli era capace di lasciarmi ore in libreria da sola.
  • Si, ma…-
  • Grazie!-
  • Ehi, Candida, aspetta…-
Troppo tardi. Mi aveva lasciata sola con le copertine lisce e quasi luminose dei libri di Coelho.
Sbuffai (o sospirai rumorosamente?); ma fatto stava che ero di nuovo sola come il giorno prima a cercare il regalo per mia sorella.
Calai gli occhi sul libri di Coelho cercando di trovarne qualcuno che potesse interessare a Giada, presi tra le mani la copertina bianca di “Undici Minuti” e lo voltai per leggere quello che c’era scritto dietro.
“Se non penserò all’amore…”

  • Se non penserò all’amore, non sarò niente-
Saltai dalla sorpresa quando qualcuno alle mie spalle lesse la frase che avevo tra le mani (o la conosceva a memoria?).
Mi voltai con il viso in fiamme e gli occhi spalancati, strinsi istintivamente il libro al petto.
Federico mi guardava divertito.

  • Ti ho spaventata, Ris?-
Santo Cielo, si!
  • Oh, no, per niente, in realtà io…-
Federico rise, poi lentamente mi sfilò il libro dalle braccia.
  • Questo è un gran romanzo. Te lo consiglio-
  • Io l’ho già letto, è per Giada- spiegai abbassando la voce.
  • Oh, sei di nuovo in cerca del suo regalo?-
  • Mmh, si-
Sorrisi, ma non era un sorriso spontaneo.
Federico mi guardava con tenerezza, maneggiò ancora per qualche secondo il romanzo con quelle sue mani che adesso mi parevano le cose più belle esistenti al mondo e poi lo ripose lì dove era il suo posto.

  • Tua sorella deve assomigliarti molto, se le piace leggere - commentò ad occhi bassi.
Non era un commento sincero, era una frase che aveva buttato giù lì tanto per continuare la conversazione.
Ma cosa gli importava di continuare la conversazione con me? Tutto quello che avremmo potuto avere da dirci l’avevamo esaurito il giorno precedente, al tavolino di quel bar.
Volevo andare via, stranamente la sua bellezza mi metteva a disagio.

  • Si, abbastanza. Io e lei siamo molto unite, sai com’è, vorrei comprarle qualcosa di significativo, non un libro a caso, così, insomma, mi capisci, non sarebbe reale…-
Parlavo velocemente accompagnandomi con i movimenti delle mani, Federico mi guardava ridendo sotto i baffi.
  • Che strano incontrarti ti nuovo- disse, contro ogni mia aspettativa.
Mi costrinse a guardarlo negli occhi, come se mi avesse incatenato.
Gli occhi erano azzurri, cristallini e limpidi, quasi sembravano sorridere su quel volto roseo e delicato; i capelli erano lunghi sul collo e castani, un castano ramato, quasi nel biondo, e il modo in cui respirava sembrava far muovere ogni singolo muscolo del suo corpo. Era alto e possente, mi sentivo piccola di fronte al suo sguardo e al suo sorrisetto disarmante.
Le sue parole avevano fatto cessare il flusso di sangue nelle mie vene e io non me ne spiegavo il motivo.

  • Già, alquanto strano- precisai.
  • Chissà, tu ci credi nel destino?-
  • No-
  • Neanche io, ma per questa volta farò un’eccezione. E se il destino volesse che oggi sia tu ad offrirmi il caffè?-
  • Scordatelo. Non ti offro nessun caffè -
Federico sostenne il mio sguardo serio per un secondo, poi scoppiò a ridere.
Perché rideva adesso?

  • Che hai da ridere?- sbuffai, senza riuscire a trattenere un sorrisino.
  • Non ti ricordavo così scorbutica-
  • Non sono scorbutica!-
  • Allora offrimi un caffè-
  • No-
  • Comprerò io il libro per Giada se tu mi offri un caffè -
  • Vuoi spendere i soldi per un libro e non per un caffè?-
  • Già-
  • Sei strano-
  • Si, me l’hanno già detto-
D’improvviso fui assalita da un qualcosa chiamato dubbio. In effetti, destino o non destino, ci eravamo incontrati di nuovo, ed era una cosa relativamente fantastica, ma perché insisteva tanto per il caffè?
Stavo ragionando troppo e Federico mi fissava.

  • Allora, me lo offri questo caffè?-
Stavo per rispondergli che gli avrei offerto tutto il bar se la smetteva di fare quella voce da imbecille, ma da lontano intravidi la figura di Candida che stava magicamente tornando.
No, impossibile. Non poteva star già tornando, non erano passati neanche dieci minuti! Non poteva vedere Federico, e non poteva vedere me con Federico. Il cervello tentava di dirmi che non stavamo facendo niente di male, stavamo solo parlando, ma mi sentii ugualmente colpevole. Se Federico nel mio cervello era la fantasia più bella che esistesse, era lì che doveva restare, e non ci sarebbe certo restato se Candida ci avesse visto.
Sbiancai.

  • Certo! Ovvio! Ma sono certa che ora devi andare!-
Lo spinsi via con uno strattone delicato tenendo lo sguardo sempre fisso sul punto dove avevo visto Candida tornare.
  • Ehi ma che succede?- si lamentò lui.
  • Niente! È solo che adesso non si può parlare, ehm, ci vediamo, okay?-
  • No, per niente! Cosa sta succedendo?-
  • Niente! Non hai prove da fare?-
  • No, oggi non ne ho…-
Continuavo a muovermi tra gli scaffali della libreria spingendo via Federico.
  • Beh e invece dovresti. Sai cosa succede se in una delle tue serate sbagli un accordo? Va tutto a monte. E questo perché? Perché sei a perder tempo da Fnac -
  • In realtà vorrei un caffè. E vorrei sapere cosa ti sta succedendo-
  • Ma ti ho detto, niente!-
  • Ris…-
  • Lo vuoi questo caffè oppure no?-
  • Si, ma…-
  • Tra un’ora-
  • Cosa?-
  • Tra un’ora, lì dove ci siamo incontrati ieri. Non un secondo di ritardo, o niente caffè -
Federico smise di opporre resistenza e mi guardò stralunato.
  • Tu sei pazza-
  • Niente affatto. E adesso vai-
  • Ma dopo mi spiegherai cosa…-
  • Ciao Federico -
Federico mi guardò di sbieco, un’occhiata insieme profonda e introspettiva.
Poi d’improvviso sorrise.
Perché sorrideva? Cosa c’entrava quel sorriso, adesso?
Stavo arrossendo.

  • Okay, a dopo Ris -
Senza aggiungere altro si voltò e andò via.
Mi voltai di scatto dall’altra parte per non rimanere imbambolata a fissare il vuoto che qualche secondo prima aveva occupato e auto convincendomi di essermi liberata di lui in maniera magistrale tornai dai libri di Coelho, dove di sicuro mi aspettava Candida.
Poi, ripercorrendo velocemente il nostro dialogo, mi resi conto che non mi ero affatto liberata di lui.
Dannato caffè.
 
 
 
 

 
 
Anche quel giorno finii per non comprare nessun regalo a Giada. Certo, se avessi avuto la testa sul collo forse avrei anche avuto la possibilità di pensarci con calma, ma non era quello il caso. Finsi un mal di testa e dissi a Candida di voler tornare a casa, così ci lasciammo davanti alla fermata dell’autobus esattamente trentadue minuti dopo il mio simpatico teatrino in libreria con Federico.
Mancavano ancora ventotto minuti al mio incontro con Federico e mi sentivo una stupida.
Stavo mentendo alla mia migliore amica, a mia sorella e a me stessa. Quale delle tre cose era più grave?
Camminai per il centro sperando che quei ventotto minuti non passassero mai, mi sudavano le mani e cosa ancora più assurda, non capivo perché mi sentissi così agitata. Che mi importava di lui e del suo stupido caffè?
Purtroppo per me, quei ventotto minuti passarono in fretta.
Mi recai all’angolo di strada dove l’avevo incontrato il giorno prima sperando che non mi avesse presa in parola e che non fosse lì, ma ahimè, era già lì, con la schiena poggiata contro il muro, a fissare i passanti.
Lo raggiunsi lentamente, guardandolo fisso in volto.

  • Ris!- esclamò vedendomi, con una punta di ironia nella voce.
  • Su, andiamo a prendere questo caffè e facciamola finita-
Il mio tono era grave e antipatico ma non riuscivo a spiegarmi perché, Federico non ci fece caso e alzò le spalle sorridendo amabilmente.
  • Allora, mi spieghi cosa è successo prima?- disse, perseverando con la sua aria divertita.
Gli lanciai uno sguardo infiammato e non risposi.
  • Oh avanti, Ris. Non dirmi che era tutto normale!-
  • Certo che lo era-
  • Mi hai buttato fuori dalla libreria- disse con tono gentile, come si fa quando si vuole spiegare ad un bambino piccolo di aver fatto una cattiva azione.
Evitai i suoi occhi sentendomi un tantino colpevole. Non l’avevo buttato fuori dalla libreria, più che altro avevo tentato di buttarlo fuori dalla mia vita.
  • Avevo da fare-
  • C’era qualcuno con te?-
  • No-
  • Davvero?-
  • La smetti con l’interrogatorio?-
Federico scoppiò a ridere. Iniziava a darmi sui nervi. Se solo i miei occhi si fossero stancati della sua bellezza, avrei anche potuto smettere di guardarlo.
Ci fermammo davanti al bar della piazza e con un gesto della mano lo invitai ad entrare. Lui entrò e mi seguì con lo sguardo quasi come se volesse assicurarsi che non fuggissi via.
Ma non avrei mai potuto.
Come il giorno prima ci sedemmo ad un tavolino, stavolta senza la sua chitarra a fare da testimone ai nostri discorsi.
Ci guardammo negli occhi per una frazione di secondo che valse come anni di silenzio, Federico stese le mani sul tavolino e io ritirai le mie istintivamente.
Mi sentivo in imbarazzo.

  • Cosa hai comprato per Giada?- chiese d’improvviso.
  • Niente. Non riesco a trovare in regalo adatto-
  • Forse dovresti chiederglielo-
  • Cosa?-
  • Cosa desidera per il suo compleanno-
  • Non se ne parla neanche. Un regalo deve essere una sorpresa- spiegai risoluta.
Federico piegò la testa da un lato riducendo gli occhi a due fessure.
  • Tra quanto tempo compie gli anni?- domandò cambiando inspiegabilmente tono alla voce.
  • Tra qualche settimana-
  • Santo Cielo Ris, sei in tremendo anticipo-
  • Lo so. Ma non ho fantasia, dunque meglio anticiparsi-
  • Dovresti sorprenderla-
Aveva scandito le parole guardandomi negli occhi intensamente.
Non conoscevo il motivo per il quale stava facendo tutto quello, ma se lo faceva per farmi impazzire ci stava riuscendo perfettamente.

  • Non so come si fa- biascicai, incapace di dare colore alle mie parole.
Federico curvò gli angoli della bocca creando un sorriso obliquo.
  • Ti insegno io- si offrì, abbassando il tono della voce come se non volesse essere ascoltato da nessun altro all’infuori di me.
Lo fissai silenziosa per una manciata di secondi.
  • Come dici?-
Federico si tirò indietro poggiando la schiena allo schienale, i tratti del viso si rilassarono.
  • Ti insegno io, se vuoi- ripeté, stavolta con meno enfasi, - non dovrebbe essere difficile imparare-
  • E come potresti insegnarmi? Esistono delle regole per sorprendere?- chiesi, sicura di aver giocato una buona carta.
Federico rise, abbassò gli occhi per poi rialzarli subito dopo.
  • Oh no, non ci sono regole-
  • E come farai allora?-
  • Sorprendendoti-
Intrecciò le dita delle mani sul grembo, mi guardava tranquillo e sicuro di se.
Lo guardai di sbieco, sentivo di star sbiancando e arrossendo nello stesso momento.
Risi tentando di apparire divertita, ma quello che riuscii ad ottenere fu solo una risata isterica.

  • Non dire sciocchezze- lo ammonii, abbassando gli occhi.
  • Perché dovrei dire sciocchezze? Ecco, prendi oggi ad esempio: ti saresti mai sognata di incontrarmi di nuovo? Suppongo di no. Eppure ero lì, alle tue spalle, completando la frase di Coelho-, si accompagnava con movimenti del capo e delle mani che rendevano credibile ogni sua sillaba, - vedi Ris, anche questa è una forma di sorpresa. La sorpresa è quella che non ci fa essere stanchi delle cose o delle persone. Per quanto mi concerne, aggiungerei anche che la sorpresa rende particolarmente evidente ogni possibile sfaccettatura di persone e cose: si avanza in una continua ricerca, un continuo sentimento, una continua rivelazione. Ed è emozionante. Sul serio-
Non c’era dubbio, era un ottimo oratore.
  • Ti ringrazio della lezioncina, Fede, ma non credo mi serva-
  • Hai detto tu di non essere brava a sorprendere-
  • Già, ma non ho detto di volerlo fare-
  • E non vuoi?-
  • Beh, potrei non volerlo-
  • Questo poco importa. Il limite tra il volere e il non volere è assai labile-
  • Il mio è ben marcato-
  • Lasciami provare, Ris -
  • Questo tuo parlare mi sorprende già alquanto. Bravo, mi hai sorpreso. Ti ringrazio per le lezioni, ora so esattamente cosa fare-  dissi sarcastica, cercando di demolire il suo entusiasmo.
Stava per dire qualcosa, quando il gentiluomo vestito da cameriere arrivò al nostro tavolo portandoci i caffè.
  • Ecco a voi- disse, poggiandoceli davanti.
  • Grazie- rispondemmo in coro io e Federico.
Quando l’omino fu andato via, Federico sorseggiò il caffè lentamente, poi, quando ebbe posato la tazzina sul piatto, sorridendo disse:
  • Ascolta, non devi acconsentire o meno. Tanto ho già deciso-
  • Ma nessuno ti ha chiesto di farlo-
  • Voglio solo aiutarti-
  • Oh, se la metti così, beh… no-
Federico rise, bevve ancora un po’ di caffè.
  • Credevo che noi fossimo amici, Ris-
  • Questo non c’entra-
  • Avevo ragione prima. Sei altamente scorbutica-
  • Chiunque ti dice di no è scorbutico?-
  • Solo tu mi dici no, Ris-
  • Abituatici-
  • Scorbutica e sarcastica, anche-
Mi bruciava il cervello.
  • Fa’ come ti pare, allora-
  • Mi stai dando il permesso?-
  • No, ma a quanto pare farai comunque quello che hai nel cervello, dunque tanto vale auto convincermi di aver acconsentito-
  • Saggia decisione-
Bevvi con decisione il mio caffè tutto d’un sorso, sospirai e poggiai le monetine sul tavolo.
  • Ecco, questo dovrebbe essere il conto- dissi con decisione.
Federico contò le monetine e si alzò con un sorriso.
  • Aspettami fuori, vado a pagare-
Troppo stanca di controbattere, mi alzai e a passi lenti uscii dal bar. Il sole stava calando e l’aria si stava rinfrescando.
Federico uscì qualche momento dopo, mi arrivò accanto e mi poggiò nella mano le mie monetine.

  • Eccoti i soldini- disse, divertito.
Passai lo sguardo dalle monete a Federico per circa una quindicina di secondi senza capire cosa stesse succedendo.
  • Che significa?-
  • Ho pagato io-
  • Ma sei scemo?-
  • No, no-
  • Non capisco, mi hai riempito la testa perché ti pagassi il caffè e adesso…-
  • L’ho fatto per sorprenderti-
Lo guardai negli occhi senza sapere cosa dire.
  • Sei totalmente fuori di testa- commentai, mentre tenevo ancora in mano le monetine.
  • Già, già, pensala come vuoi, ma se vuoi un consiglio dovresti appuntartele queste cose. O non imparerai-
Mi venne da ridere, ma non potevo permettermi un fallo del genere. Ero ancora troppo confusa.
  • Beh, adesso sarà meglio che vada- dissi, riponendo le monete in borsa.
  • Oh, d’accordo. Ci vediamo in questi giorni- disse lui.
  • Si certo, come no-
  • Ti sto proprio antipatico eh?-
Caspita no, è che mi mandi fuori di testa!
  • No, Federico, no. È solo che…-
  • Lascia perdere. Me lo spiegherai la prossima volta-
  • E se non dovessimo incontrarci più per i prossimi dodici mesi?-
  • Tranquilla, non accadrà-
  • Potrebbe accadere-
  • Tu lascia fare a me-
Si chinò per baciarmi le guance e senza aggiungere altro ( e senza lasciarmi il tempo di dire altro) andò via.
Mi sentivo contemporaneamente nervosa, felice, arrabbiata, confusa e sorpresa.
Non sapevo se era più alogico il fatto che Federico mi stesse perseguitando o la mia reazione a questa cosa.
Stordita, trovai la via di casa, convinta a fare di tutto per distrarmi dall’assurdo pomeriggio.
  
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