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Autore: Deirdre_Alton    26/07/2011    1 recensioni
C'è un piccolo ragno di nome Agravain che tesse la propria tela, nella sua trama saranno in molti a cadere. Sarà l'imprevisto però a far crollare il suo mondo.
C'è un'altra tela, grande, immensa, tessuta da Dio e dalla Dea. Questa trama si espande, oltre il mare, chi ne rimarrà impigliato?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agravaine, Gawain, Mordred, Morgana, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 26

Scoprii che gesticolando ed aiutandomi con il latino, i paggi del castello erano in grado di capire quello che desideravo. Volevo sistemare i capelli, non volevo che Galahad si vergognasse di me durante l'incoronazione.
Mi sedetti su di una sedia vicino alle finestre della mia camera e attesi impassibile che il barbiere operasse sulla mia capigliatura. Galahad aveva tenuto la mia nuova ciocca? Dove la teneva? Che fine aveva fatto la prima che gli avevo dato... forse era volata via su Camelot disperdendosi. Oppure era stata usata in qualche modo oscuro come prova della mia morte.
Cosa pensava mio padre di me? Ero fuggito. Sperai che Kay avesse saputo usare un minimo di tatto nel dargli la notizia. Stranamente avevo incominciato a pensare in modo positivo nei confronti di Kay. Forse avevo preso troppo sole, la testa non mi funzionava bene.
Quella sera cenammo assieme ad Abdel Haqq, agli altri quattro consiglieri ed ai pari del regno nella sala dei banchetti. Il soffitto a volta era altissimo, le pareti erano ricoperte di arazzi con lo sfondo rosso con scene di caccia, il tutto dava un senso di calore e protezione.
Fecero sedere Galahad al centro di una lunga tavola posta parallelamente al lato corto della sala, era visibilmente imbarazzato. Io ero troppo distante da lui, non feci che sorseggiare il buon vino rosso che mi veniva offerto appena svuotavo il calice e questo era sopportabile, sebbene dovessi sentire nelle orecchie la perpetua voce di Dindrane che metteva tutto il suo impegno per fare da traduttore.
Immaginai che quel marmocchio sarebbe rimasto con noi sull'isola a meno che non dovesse tornarsene a Nord con quella misteriosa nave. Studiai un po' le persone presenti alla cena, non erano omogenee, erano di varie razze. Si potevano trovare pelli scure come pelli chiare, capelli neri come la notte e capelli color del miele. Mi chiesi se loro avrebbero mai accettato un re che come compagno aveva un uomo, 0vvero un essere come me. Una persona che non aveva sopportato di essere un bastardo non voluto alla corte di suo padre ed era di quel re il suo unico erede. Ma ero una macchia sulla suo coscienza, come Artù non mi accettava, nemmeno io non mi accettavo. Io non volevo essere re, io volevo vivere come un pescatore, non avevo abbastanza spirito di sacrificio per dedicarmi al bene degli altri, figuriamoci di un regno. Io ero un codardo, insensibile, avido. Meritavo i sentimenti di Galahad?
Proprio mentre macinavo quei pensieri lui si alzò e venne da me, era buio fuori dalle alte finestre, la luce delle candele mi appariva offuscata. Mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò all'orecchio. «Vuoi uscire un po'? Vorrei prendere congedo. Sono un po' stanco di parlare.» Io annuii e alzandomi cercai di non barcollare.
Mentre uscivamo percorrendo in lunghezza la sala, i futuri sudditi di Galahad si alzavano dalle loro sedie e si inchinavano, lui alzò la mano in segno di saluto con un sorriso sereno e rassicurante.
Camminammo sulle mura e giunti nella zona a strapiombo sul mare dovetti fermarmi aggrappandomi al parapetto. Poggiai la testa sulla pietra fredda e rimasi ad ascoltare il rumore delle onde che sotto di noi si infrangevano sulla roccia.
Galahad rimase in silenzio, sentivo il suo sguardo su di me, come ad accusarmi di aver bevuto troppo. Attesi la sua ramanzina per vari minuti ma non arrivò.
«Non mi fai la predica?» Dissi con voce impastata.
Lui rimase in silenzio. Pensai che non mi avesse sentito o che avessi biascicato troppo le parole. Ripetei. «Non mi fai la predica?»
«Ti sei ubriacato apposta, cosa dovrei dirti?» La sua voce era piena di amarezza, alzai stupito la testa, misi a fuoco e lo guardai aggrottando la fronte.
«Cosa?! Ho bevuto perchè non avevo nessuno con cui parlare, ammesso che qualcuno avesse voluto parlare con una persona indegna come me, che è arrivata qui senza meritarlo! Tu te ne stavi lì con il caro Dindrane... sono sicuro che si farebbe volentieri una bella cavalcata con te.»
«Ti sei ubriacato perchè sapevi che questa notte sarei venuto da te, così hai la scusa per non volermi! Stupido!» Era arrabbiato. Era molto in collera con me. Ma cosa andava a pensare, cosa dovevo fare per dimostrargli che lo desideravo ed amavo ma non volevo forzarlo in alcun modo?
Non riuscii a dire nulla perchè staccandomi dal parapetto fui preso dalle vertigini e caddi a terra. Galahad si abbassò e mi tastò la testa preoccupato. L'ultima cosa che volevo al mondo in quel momento era vomitargli addosso. «Galahad, ti conviene starmi lontano, non vorrei insozzare il futuro re.» Feci una smorfia. «Vorrei però che tu capissi che ho bevuto solo per amarezza-» Deglutii e lui si decise di accompagnarmi in camera.
Non fece commenti, mi lasciò da solo dopo essersi assicurato che l'avrei chiamato in caso di bisogno. Riuscii a tornare in me dopo aver vomitato anche l'anima, ammesso che io ne avessi mai avuta una, incominciai a sentirmi un po' meglio. Non volevo che Galahad andasse a dormire con quegli strani pensieri in testa, dovevo tentare di fargli capire... cosa? Perchè aveva bisogno di altre certezze?
Bussai piano alla sua porta, lui aprì immediatamente, come se fosse stato tutto quel tempo lì dietro in attesa di un mio segnale.
Mi guardò ansioso. «Sì, lo so, ho una pessima cera. Posso entrare?» Lui si fece da parte, il letto non era stato toccato, le tende della camera non erano state tirate ma dalle finestre aperte spirava una fresca brezza di mare.
Mi accomodai senza fare tanti complimenti su uno scranno vicino al caminetto spento. Lui si sedette di fronte e me. Mi morsicai le labbra indeciso sul cosa dire.
«Mordred.» Disse lui poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Tu vuoi andartene da qui?»
Aprii la bocca stupito. «Che-che diamine stai dicendo? Chi ti ha messo questa storia in testa?»
«Tu hai... tuo padre che ti aspetta a casa-»
«Io non ho nessun padre, sei tu quello che ha i propri genitori in ansia che lo attendono.»
«Mio padre e mia madre erano pronti a questo, sapevano che era il volere di Dio, quindi non attendono il mio ritorno. Ma tu? Mi chiedo ancora come abbia fatto il Sommo Re a lasciarti andare. Sei l'erede della Britannia.»
Il punto era che io non avevo proprio detto nulla a mio padre.
«Ho rinunciato a Camelot, al Regno, alla Britannia, a quella dannata isola per venire con te Galahad.»
Era esattamente così, l'avevo fatto in modo poco appariscente, senza dare fastidio a nessuno, ma fuggendo avevo risolto molti problemi, a tanti.
Gawain era l'erede perfetto.
Io no.
«Mordred... tu…»
«Non voglio più parlarne, Galahad. Per me quel mondo che mi sono lasciato alle spalle ha rappresentato solo sofferenza. Sono un bastardo nato da un incesto. Cosa pensi che dicessero gli altri di me? Quale cavaliere avrebbe mai lasciato suo figlio giocare, giostrare o parlare con me? Solo tu, ti sei spinto oltre le convenzioni di Camelot, di questo ti sono grato. Ma non è per gratitudine che sono partito. Sono con te perchè tu sei casa mia, dove sei tu, io sono a casa e in pace con me stesso.»
Rimase di sasso. Lo rimasi anch'io. Da dove se ne venivano fuori tutto questo ardore e poesia?
Lui si alzò rigido come un pezzo di legno, fece un passo e si abbassò per baciarmi, non lasciai che andasse troppo oltre. Mi scostai e lui ci rimase male. Gli presi i polsi. «Galahad, ho un gusto terrificante in bocca, non ti consiglio di tentare oltre per questa sera.»
Lui si rasserenò un poco. Mi alzai e feci per andare nella mia camera ma lui mi fermò.
«Mordred non puoi rimanere qui con me?» La luce delle candele era bassa ma fui sicuro che fosse arrossito. Gli era costato una buona dose di coraggio pormi quella domanda.
«Domani hai una giornata pesante, meglio che ti lasci dormire in pace.»
«Sì, intendevo... dormire.» Tossì a disagio. «Mi sento lo stomaco come quando eravamo in mare, per favore resta qui.»
Sperai che i fumi del vino fossero ancora in grado di limitare la mia capacità di agire, ovvero che mi impedissero di fare con Galahad quello che davvero desideravo. Non dissi nulla, mi tolsi la tunica e gli stivali e mi stesi sotto le coperte girandomi su un fianco. Lo sentii tirare le tende, chiudere le finestre, soffiare per spegnere le candele e poi scivolare vicino a me, dietro la mia schiena. Allungai una mano all'indietro fino a toccarlo, lui si avvicinò e ben presto sentii il suo respiro farsi calmo.

   
 
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