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Autore: Dira_    26/07/2011    7 recensioni
Violet Parkinson-Goyle si definisce il genere di persona che pensa tredici volte prima di parlare. E poi ti taglia in due con la sua lingua affilata.
Dominique Weasley ha l'aria di una che non pensa mai. Ma dice sempre la cosa giusta.
Due ragazze tanto diverse possono far collidere i rispettivi, opposti, universi? Ben sette anni per scoprirlo.
[Spin-off di Ab Umbra Lumen]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Dominique Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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On a parcouru les chemins, on a tenu la distance

Je te hais de tout mon corps, mais je t'adore

(Le Chemin, Kyo)
 


La Collisione del Quarto Anno.

 
A quattordici anni quando si litiga può essere un cataclisma. E lo è.
Perlomeno Violet la pensava così, alla ricerca di un posto dove piangere tutte le sue lacrime.
Non capiva.
La realtà era che non capiva, e questo la frustrava: quindi affilava la lingua e teneva tutti a distanza, il suo ragazzo in testa. Che poi, era lui il nocciolo del problema.
Mathieu Allard era il fidanzato perfetto: ricco, sufficientemente carino e affabile da suscitare invidia e ammirazione nelle altre ragazze del loro anno ed oltre.
Finita la scuola avrebbe studiato Magisprudenza, ed era un ottimo sportivo.
Eppure.
Eppure Violet non riusciva ad innamorarsi di lui. Mal di poco, avrebbe commentato sua madre: l’amore è un accessorio. Può esserci, ed è carino ci sia, ma non è necessario per un futuro buon matrimonio. Per lei era stato così, avrebbe dovuto essere diverso per sua figlia? Lo sperava, ma non era necessario.
 
‘Gli Allard sono una famiglia molto in vista. Certo, sei ancora una bambina, certo… ma non c’è nulla di male a frequentarsi. E sono più tranquilla se lui veglia su di te. E poi Mathieu ti piace, no?’
 
Piacerle.
Mathieu dietro le sue maniere che facevano sciogliere gli adulti, sua madre in testa, era un prepotente. Era cattivo: con gli amici si divertiva a tormentare le matricole, ed una volta l’aveva visto affatturare gravemente un ragazzo del Secondo solo perché aveva osato rispondergli male.
Mathieu era crudele, e quando la prendeva per mano era solo per portarla in un angolo riparato. Quando la baciava era come sentirsi attaccati. I morsi sulle labbra non se ne andavano per ore.
 Sophie aveva scherzato dicendo che invidiava la loro passionalità; Violet non sapeva se quella fosse passione, ma le faceva venire il voltastomaco. Le faceva schifo come il suo ragazzo le divorava le labbra, come le passava le mani sulle gambe.
Riusciva sempre ad allontanarsi con una scusa e allora l’altro rideva è la chiamava puritaine.
Ogni volta aveva intenzione di ribattergli, ma poi lasciava perdere: che senso avrebbe avuto? Dopotutto non che avesse tutti i torti. Molte delle sue amiche trovavano normali quei contatti.
Ma non era così che si era immaginata il suo principe azzurro. Sapeva fosse stupido, sapeva che il cavaliere dal bianco destriero era solo carta e inchiostro.
Eppure, dannazione. È sempre così?
Jenny, forse la più intelligente del loro gruppo dietro l’aspetto ordinario, l’aveva capita. Li aveva capiti.

 
‘Se non ti piace, perché non lo lasci? Ci sono un sacco di bei ragazzi a scuola, e di ottima famiglia che sarebbero felici di stare con te. Così tua madre non si arrabbierebbe se facessi saltare gli accordi con gli Allard, no?’
 
Certo, avrebbe potuto trovare un sostituto.
Sostituto…
Ma era squallido, e stupido, perché di quei ragazzi non le piaceva nessuno. Li trovava volgari, con i loro lazzi, le occhiate e quei corpi pieni di strana energia repressa.
Ma le altre non la pensavano come lei. Le altre li trovavano carini, belli, stupendi.
Forse sono io che ho un gusto troppo elaborato?
La lite si era proprio originata da quello: Sophie aveva cominciato a lodare il suo rapporto con Mathieu e lei, ricordando l’assalto del proprio ragazzo di quel pomeriggio le aveva ribattuto qualcosa di caustico – non ricordava neanche cosa. Avevano finito per litigare, e lei si era ritrovata fuori dal dormitorio dei Fiordalisi in un batter d’occhio.
 
“Piggie!”

Violet era consapevole che immersa nei propri pensieri tendeva a dimenticarsi di dove fosse, trovandosi spesso in ale del castello in cui non avrebbe dovuto trovarsi: per fortuna la spilla da Préfet fino a quel momento le aveva risparmiato non pochi grattacapi.

Naturalmente non poteva risparmiarle di imbattersi in Dominique Weasley, altrettanto munita di spilla.
Tirò fuori la sua migliore espressione fredda, sperando che nella penombra del corridoio non si notassero i suoi occhi rossi.
“Weasley.” La salutò appiattendo il tono in vaga noia.
Dominique Weasley ormai sembrava la ragazza che in effetti era: le sembrava assurdo – e imbarazzante – che tre anni prima l’avesse scambiata per un maschio.  
Almeno non ero l’unica…
Avrebbe potuto posare per qualche rivista di moda, la sciattona. Se, appunto, non fosse stata irrimediabilmente conciata come un maschio.
Aveva intuito che si vestisse in quel modo per praticità: era infatti sempre nella Foresta, quando non giocava a Quidditch. La loro graziosa uniforme doveva essere scomoda in quei contesti.
Ciò non toglie che si veste in modo orribile. Forse è per questo che i ragazzi la cercano solo per fare cose da ragazzi. Non la considerano neanche una donna!
Ad ogni buon conto, Dominique Weasley era una ragazza statuaria e con il sorriso sempre sulle labbra. Era lei il genere di persona che avrebbe avuto il principe azzurro perfetto, a differenza sua.
La detestava così tanto che aveva sempre le palpitazioni in sua presenza.
“Che ci fai qui? Questo è il territorio dei Bleu!¹” La apostrofò in inglese. Era raro che tra loro si parlassero in francese.  
“Non chiamarlo territorio. Non siamo animali.” Ribatté incrociando confortevolmente le braccia al petto. “Hai intenzione di darmi una nota?” Cosa che avrebbe dovuto fare, in quanto Préfet. 
“No, perché?” Replicò con un’alzata di spalle. “Ti ho chiamata perché mi sembrava ti fossi persa.”  
“Come faccio a perdermi in un palazzo che conosco? Le mie migliori amiche sono Fiordalisi, come te.”
La innervosiva, la Weasley. Sempre. E odiava avere le guance rosse dopo ogni loro battibecco.
Litigare con lei non era come litigare con qualunque altra loro coetanea: con le altre aveva sempre presa sulla situazione. Ne usciva sempre vincitrice. Ormai a scuola si sapeva che era meglio non infastidirla.
Ma la Weasley se ne fregava.
“Okay, non ti sei persa…” Convenne intanto l’altra. “Allora che ci fai ancora qui?”
“Sei la solita zotica!” La apostrofò nel panico. “Stavo solo riflettendo.”
“In un corridoio buio?” Ghignò, poi a sorpresa le afferrò la mano. Non fece in tempo a scostarsi, e neppure a tentare, perché la presa era incredibilmente salda. Non forte, non dolorosa come quella di Mathieu. Semplicemente aveva il potere di trattenerla lì.

“Lasciami.” Le ordinò, perché in compenso la bocca non gliel’aveva chiusa.
“Ti va di vedere il mio posto segreto?” Fu la sconcertante replica. Violet rimase senza parole e l’altra si arrogò il diritto di prenderlo come un assenso. “Dai, andiamo!”
“Aspetta!” Sibilò, perché urlare non era un’idea felice nel cuore del coprifuoco. “Dovresti fare il giro di ispezione!”
“Per stasera lascerò le coppiette a godersi la loro intimità.” Fu la replica imperturbabile. Violet tentò di liberarsi, ma era impossibile a meno di non far male ad entrambe con uno strattone brusco.

La maledetta doveva saperlo, dall’occhiata divertita che le lanciò sopra le spalle.
“Puoi anche evitare di tenermi per mano come una bambina!” Tentò perché sentiva il cuore arrivarle alla gola per la furia. Perché era furiosa. Era quello. Di sicuro.
“Se ti lascio, scappi. È una regola base nel mondo animale.”
“Non siamo nella foresta, razza di selvaggia!” Sbottò incredula, ma si sgonfiò come un palloncino quando vide che l’altra esibiva una calma serafica.  

“Anche gli esseri umani sono animali, Violet.” Chiamarla per nome fu un colpo basso. Non lo faceva mai, e quindi l’effetto era stato… sconcertante.
“Tu di sicuro sei l’anello di congiunzione trai due mondi.” Ritorse, facendola ridacchiare a bassa voce. Arrivarono nei pressi delle cucine e l’altra estrasse la bacchetta e mormorò qualcosa a mezza voce. La porta si aprì senza che nessun’allarme suonasse.
Non dev’essere la prima volta che sgattaiola via dopo il coprifuoco.
La seguì nella cucina e poi fuori, dalla porta di servizio: a quel punto voleva vedere quello stupido rifugio segreto. L’avrebbe schernita, e poi sarebbe andata a riferire tutto alla Preside.
Certamente avrebbe fatto così; a Beaux-Batons andava avanti solo chi sapeva approfittare dei momenti di debolezza altrui. Non per tutti, ma per lei funzionava così.
Non poteva permettersi debolezze quando la conosciuta defezione dalla terra natia dei suoi genitori già gettavano voci e sospetti sul suo cognome.
Non ci sono state molte famiglie purosangue ad andarsene, dopo la guerra. E quelle che l’hanno fatto…
Ma non voleva pensare a quello, perché era qualcosa che non la riguardava.
Ad ogni buon conto, il Rifugio Segreto si rivelò essere in mezzo alla Foresta Incantata, che anche di notte riluceva di un tenue lucore magico. Era uno spettacolo che spesso Violet osservava, dalla finestra della sua camera.
A distanza appunto.
“Non vorrai andare lì dentro? È piena di…”
“Creature magiche. Già.” Fece spallucce. “Di che hai paura?”
“Sei stupida o cosa? Ci è proibito entrarci non accompagnate da un professore!”

Dominique batté le palpebre. Per un attimo sembro volersi mettere a ridere – l’avrebbe uccisa – ma poi le sorrise e ogni anelito omicida crollò. “Di che ti preoccupi? Ci sono io. Non ti succederà niente!”
Era la frase più stupida che avesse mai sentito pronunciarle – e ne aveva sentite tante da quella boccaccia.

Eppure.
“Se vuoi puoi tornare indietro.” Le suggerì con l’aria di chi non l’avrebbe accompagnata.
Violet inspirò: non voleva tornare. Non veramente: non voleva andare a letto e pensare al litigio con Sophie né alle mani di Mathieu che tentavano di sollevarle la gonna.
Quindi la seguì, benché si premurò di non sembrare affatto eccitata da quella piccola fuga notturna.
“Allora.” Esordì sostenuta dopo dieci minuti di cammino notturno. “Manca molto?”
“Siamo arrivate.” Le comunicò scostando una fronda di felce e facendole cenno di passare.  
Violet fece una smorfia, obbedendole: era in mezzo ad un bosco e si stava infangando da capo a piedi. Non mi lascio certo impressiona…
Spalancò la bocca come tanto odiava fare – sentì infatti Dominique ridacchiare alle sue spalle.
Il Posto Segreto era il pascolo segreto degli unicorni. Se ne vociferava come leggenda all’interno della scuola: c’erano ben due branchi all’interno del bosco, ma raramente era possibile vederli dato che si nascondevano nel folto della foresta. 
Eppure la Weasley li aveva non solo trovati, ma era anche riuscita a farsi accettare da come si stava muovendo con sicurezza all’interno della radura.
“Vieni!” La invitò allegramente.  Violet voleva, ma conosceva la razza dai racconti d’infanzia – come qualsiasi bambina del Mondo Magico del resto.
“Scapperanno…” Mormorò. Le bastava vederli da lontano: le figure eleganti, le movenze aggraziate, i manti lucidi come argento che richiamavano i riflessi del ruscello che scorreva quieto in mezzo alla radura…
Quello era davvero il posto più bello che avesse mai visto.
“Non scapperanno.” Insistette. “Andiamo, fidati di me!”
La Weasley usava parole grosse. Parole che avevano un peso, e che lei non avrebbe mai pronunciato con quella leggerezza.

Eppure.
Le obbedì ancora una volta. Gli unicorni al suo arrivo alzarono immediatamente la testa per guardarla. Esitò, quasi inciampando. Dominique, muovendosi tranquillamente, la prese per mano e le fece cenno di imitarla. “Niente movimenti bruschi. A parte questo, hanno una voglia matta di capire chi sei. Sono curiosi.” Senza che potesse fare nulla, le prese una mano e la tese nell’aria. Con sua enorme sorpresa, uno degli unicorni si staccò dal branco e si avvicinò loro.
“Che… che sta…?” Balbettò, sentendosi assolutamente inadeguata a quella situazione. Odiava sentirsi in quel modo; e naturalmente le succedeva molto più spesso di quanto non volesse.
“Non essere nervosa. Non sono l’unica a sentirti tesa, sai?” Le sorrise Dominique: in quel momento sembrava più adulta di lei. E non c’entrava che fosse più alta o altro.
Quello il vero ambiente a cui quella bislacca bionda apparteneva. Non un’aula, né tantomeno una cena di gala. E capì anche che, per qualche assurda ragione, aveva permesso a lei di farne parte.
Sentì un lieve tocco umido sulla mano e si voltò sbigottita. Stava toccando un unicorno, o meglio, l’unicorno aveva posato il muso sul suo palmo.
“Mi…” Esordì intelligentemente e Dominique ridacchiò.
“Te l’avevo detto che sono curiosi, no? Appena ti conoscono diventano super-appiccicosi!”
“Posso?” Chiese ma non a lei.
Le fu data una gentile pacca sulla spalla “E chi ti ferma?”
Violet perse la cognizione del tempo, ad accarezzare e vezzeggiare gli unicorni che le si erano avvicinati. Sarebbe potuto anche sorgere il sole, e non se ne sarebbe accorta. Dopo un po’ si accorse però che Dominique era sparita dal suo fianco: la trovò stesa vicino al ruscello con le mani intrecciate dietro la nuca, talmente rilassata che sembrava fosse nel mondo dei sogni.
Si è mai sentita a disagio?
Probabilmente no. Si allontanò dal branco per raggiungerla. “Stai dormendo?” Le chiese esitante. Il magone era completamente scomparso e persino le labbra le facevano meno male di prima. Non si sentiva esattamente di buon’umore, ma c’era vicina.
Era bizzarro. Si sentiva … tranquilla.
“Sono sveglia.” Dominique socchiuse gli occhi  per guardarla. “Mi godo l’atmosfera, no? Gli unicorni non vengono qui per caso… penso sia il posto migliore di tutto il bosco.” Concluse, battendo poi significativamente lo spazio erboso accanto a sé.
Violet esitò, poi decise che era tardi ed era stanca. Si accomodò, ben attenta a non toccare punti troppo pieni di terriccio che avrebbero potuto riempirle di chiazze la gonna chiara. “È un bel rifugio.” Ammise. “Come hai fatto a scoprirlo?”
“Sai, sono una selvaggia…” Ghignò quella disimpegnata. Poi aprì gli occhi, fissando lei… e le sue labbra.

Avvampò. “Weasley, che c’è?”
“Sei caduta di faccia?”

Violet alzò gli occhi al cielo: solo lei se ne sarebbe potuta uscire con un’ipotesi del genere.
 “Non so quanto sai dei rapporti maschio-femmina, ma questi sarebbero gli effetti di un bacio.” Spiegò fissando il branco di unicorni che pascolava placidamente. Era grazie a loro che si sentiva bene dopo ore?
Dominique si voltò con un gran fruscio di foglie dalla sua parte. Lei non aveva paura di sporcarsi, visto che si era praticamente rotolata per mettersi di fianco. “L’ultima volta che ho controllato, i baci non erano morsi.” Le fece notare.
Violet sentì un peso in fondo allo stomaco. “E cosa ne sai?” Sbottò aggressiva. “Hai mai baciato un ragazzo?”
“No.” Fu la quieta risposta. “Ma delle tue amichette fornite di … come lo chiamate? Spasimante, solo tu sei ferita.”
“Non sono ferita.” La Weasley e le sue sparate. L’inglese non doveva saperlo poi così bene. “E comunque non capisco perché ti interessi. Non siamo amiche.”

Quella per tutta risposta fece una delle sue irritanti scrollate di spalle. “Sì, ma anche gli estranei si possono preoccupare. Si chiama empatia, ce l’hanno anche gli animali.” Il tono era disinvolto, ma Violet notò che si stava mordicchiando le unghie.
Mamma mi dice sempre che è un gesto orribile, e grida debolezza da tutti i pori.
“Scusa.” Le uscì spontaneo e se ne meravigliò per prima. Ma c’erano dei momenti in cui si poteva scoprire il fianco. Dominique l’aveva fatto per prima dopotutto. “… mi hai portata qui, e penso tu l’abbia fatto per…” Si fermò, perché non sapeva cosa dire. La guardò e notò che anche Dominique guardava lei.
“Stavi piangendo.” Rispose di rimando come se quello spiegasse tutto. “E non per farmi i fatti tuoi, ma se Allard ti fa del male forse dovresti mandarlo a quel paese.”
“Non mi fa male.” C’era di peggio, pensò. Si convinse. “È solo… appassionato.” Sophie sarebbe stata felice che avesse usato la sua definizione. “A volte i ragazzi sono un po’ irruenti, ma è normale.”
“Conosco i maschi.” Fu la replica. “E se qualcuno tentasse di mordermi, gli darei un pugno.”
“Questo è perché sei una primitiva.” Sbuffò. “I ragazzi sono fatti così… poi crescono e migliorano.” Era ciò di cui erano convinte le sue amiche. Forse era vero. Probabilmente lo era.

Non lo sopporto. Mi fa schifo. E so che non deve essere così. Che può essere meglio.
Deve, giusto?
“Io non credo che un bacio dovrebbe far male.” Disse lentamente Dominique. Era la prima volta che stavano così vicine, rifletté imbarazzata Violet. Si era seduta a pochi centimetri da lei, e ora il ginocchio dell’altra le sfiorava il bordo della gonna. 
Non avrei dovuto sedermi così vicina.
Erano ragazze, ma… Dominique non era una ragazza normale. Sotto molti punti di vista.  
Notò con la coda dell’occhio che non aveva più le labbra screpolate. Sembravano… morbide.
“Tu non hai idea di come sia … l’hai detto tu che non hai mai baciato un ragazzo.” Mormorò, perché le sembrava il caso di mormorare. Non bisognava disturbare gli unicorni.
“Vero.” Fu la serena ammissione. Perché diavolo continuava a guardarla quando in giro c’erano cose sicuramente più interessanti?
Tipo, gli unicorni. Va bene che è la regina della foresta, però…
“Non si fissa la gente, Weasley.” Tentò e non gli uscì affatto gelido come aveva preventivato. Anzi, le tremava la voce.
“Perché? Ti fa sentire a disagio?” Odiava quando aveva quel tono di presa in giro. Oh, se lo odiava.
“Ovviamente.” Sibilò. “Credo sia il caso di rientrare.” Sbloccò la situazione, sentendo che andava fatto. Doveva rompere quella strana atmosfera creatasi. Doveva…
Si sentì di nuovo afferrare, ma stavolta Dominique non le toccò la mano, ma la base del collo. Violet ebbe l’impulso di voltarsi e chiedere cosa diavolo stesse facendo. Lo fece.
E si baciarono.

Dominique si era alzata a sedere, portando il viso alla sua stessa altezza e quindi la collisione era stata inevitabile. E del tutto voluta.
Violet tentò subito di ritrarsi, mentre in un angolo della sua testa suonavano milioni di campanelli d’allarme.
È una ragazza! Non va bene! È una…
Dominique la prese per le spalle, tenendola ferma dov’era. Non c’era nessuna violenza, solo decisione. La tensione le scivolò via come un abito troppo largo. Smise di opporsi. E rispose al bacio.
Dominique sapeva di terra, foglie e qualcosa di pulito che non riusciva ad identificare… era un buon’odore, era fresco. Violet chiuse gli occhi abbandonandosi a quel contatto.
È così che deve essere – pensò di getto senza riuscire a vergognarsene.
Poi Dominique si ritrasse. “Questo è un bacio, Piggie.” Disse.
 
Non andò a denunciare le uscite segrete di Dominique, né quel giorno, né i seguenti.
 
Un Quinto Estivo e una Realizzazione.
 
“Domi!” Una pausa, poi una seconda esclamazione che aveva attraversato l’aria cristallina di un mattino estivo. “Domi, dove sei?”
Dominique non si era voltata al richiamo. Aveva continuato a spazzolare il dorso lucido del proprio cavallo alato. Proprio suo, di sua proprietà. Glielo aveva comprato suo padre dopo il suo primo anno a Beaux-Batons. In teoria, per festeggiare i suoi buoni voti.
In realtà, perché non me ne sono scappata in sella ad un Abraxas…
Arod non aveva la stessa stazza dei cavalli della scuola, essendo un Granian² dal lucido dorso grigio. Ma proprio per questo gli mancava da morire durante il periodo scolastico: cavalcarlo era come avere sotto di sé la potenza di dieci Firebolt.
Magari era banale, ma amava visceralmente l’estate. Per Arod, perché poteva rivedere suo fratello, perché poteva passare tutti i giorni nella tenuta sterminata di famiglia – i Delacour avevano terreni consistenti in Provenza - senza dover rendere conto a nessuna stupida regola. Per molti motivi non c’era momento migliore dell’anno per lei.

Certo, la maggior parte delle vacanze erano scivolate via, ma gli restava ancora tre settimane, ed aveva intenzione di succhiarle come avrebbe fatto con un frutto maturo. Con soddisfazione.
“Domi! Rispondere mai, eh?” La apostrofò Victoire, appoggiandosi alla staccionata del recinto dove tenevano Arod.
“Oh-oh. Madamoiselle Vic è tornata dalla sua piccola fuga d’amore!” La canzonò.  
Molte persone che le conoscevano pensavano, dato le indoli profondamente diverse, che dovessero detestarsi e tirarsi i capelli da sempre, come genetica prevedeva.
In realtà Dominique sapeva di essere l’unica di cui la sorella maggiore tollerasse i pareri, e viceversa, Vic era la sola che riuscisse a darle qualche consiglio sul suo aspetto senza farsi ridere in faccia.
Victoire si soffiò una ciocca di capelli via dal viso. “Quale fuga? Quest’anno non siamo ancora partiti.”
“Dove stavolta? Italia?” Diede una manciata di mosche morte all’animale, che le inghiottì golosamente sotto lo sguardo inorridito di Vic.

“Ci siamo stati l’anno scorso… in realtà sto cercando di convincerlo a lasciare l’Europa. Peccato appena senta parlare di altri continenti vada nel panico. Non riesce ad allontanarsi troppo dall’Inghilterra…” Sbuffò. “Ma lo convincerò.”
“Oh, nessun dubbio su questo.” Le strizzò l’occhio, saltando la staccionata e pulendosi le mani sulla maglietta.

Vic a quel gesto alzò gli occhi al cielo. “Morgana, Domi, la parola femminilità comincia a dirti qualcosa? Finalmente?”
“Impossibile. Una certa smorfiosa l’ha rubata da tutti gli scaffali prima che nascessi. Ne sono geneticamente mancante.” Le fece una linguaccia, alla quale Vic replicò con una tirata d’orecchie affettuosa; Vic era l’unica che poteva farla sentire una quindicenne e passarla liscia.

“Dov’è Louis?” Le chiese guardandosi attorno.
“Da qualche nostro vicino di casa con delle bambine. Lo sai com’è fatto, è l’idolo delle infanti par suo.” Disse, facendola ridere in una cascata di suoni argentini.
Vic era… perfetta.
No, sul serio.
Persino se ficcasse la testa in una gabbia di Schiopodi ne uscirebbe più bella di prima.
Dominique lo ammetteva solo a sé stessa, che certo non voleva gonfiare l’ego già spropositato dell’altra.
Qualcuno deve pur non cascare ai suoi piedi in adorazione.
Una persona diversa sarebbe cresciuta a pane e complessi di fronte ad un paragone del genere. Lei si era fatta furba: era diventata antitetica. Aveva funzionato? Alla grande.
Victoire la prese sottobraccio con noncuranza. “Che hai fatto ai capelli? Con questo taglio sembri uno spaventapasseri. Sono troppo corti!” La accusò scherzosamente facendola virare in direzione casa. “Dovrò metterci le mani.”
“Altolà sorella!” La apostrofò puntandole il dito contro, visto che sapeva quanto la infastidisse. “Sono fatta a modo mio. E ti dirò, sono ormai vicina alla perfezione.”

Victoire glielo scacciò via infastidita. “Sei impossibile! Stai facendo impazzire maman…”
Dominique sbuffò con quindicenne scoramento: la vera antagonista nella sua famiglia non era la sua incantevole sorella maggiore. Ma la sua stupefacente madre: assistente del Ministro della Magia, eroina di guerra ma anche incarnazione della femminilità e del buon gusto, magico e non.

Praticamente è la Donna Copertina di Francia.
Tutte quelle caratteristiche sarebbero state motivo di orgoglio traslato, se non avessero reso Fleur Weasley una donna estremamente esigente con i suoi tre figli. Certo, suo padre mediava, e piuttosto efficacemente, ma Madame Fleur era una donna cocciuta.
E non le piace che mi rotoli nel fango, indossi sempre gli stessi vestiti e passi la mia estate in sella a Arod o ad un manico di scopa.
Maman è una rompiboccini.” Sentenziò soddisfatta, mentre la sorella scuoteva la testa rassegnata.
“Perché non provi a capirla? Vorrebbe solo che tu ti comportassi…”
“Come una ragazza? Io sono una ragazza. Non è il mio comportamento che mi dà un paio di tette.”

Quello non riusciva a capire della madre: in pubblico non faceva adorarla, ma in privato era una critica continua su un aspetto del suo carattere che non voleva e soprattutto, poteva cambiare.
Non sarò mai tipa da pizzi e trine, cazzo.
Vic diceva che cercava solo di darle dei consigli che credeva le fossero utili. E che in pubblico la elogiava perché lo pensava sempre.
Forse. Ma preferirei non avesse ‘sto andamento schizofrenico.
Victoire intanto fece una smorfietta. “Davvero Domi, a volte sembri farlo apposta. Arrivare a tavola trascinandoti dietro una scia di fango come l’ultima volta? Dai, era voluto.”
“Nah.” Scrollò le spalle. “E poi a papà non dà fastidio.”
“Che zucca dura che hai!” Le tirò un pizzicotto sulla guancia. “A volte mi sembra di avere a che fare con un monello di strada e non con mia sorella!”
“Potresti scoprire che sono la stessa persona.” La informò seria, prima di afferrarla per un braccio e lasciarle cinque dita di polvere e terra sulla camicetta leggera.

Domi!
Rise mentre correva dentro casa inseguita dall’altra che aveva abbandonato l’aria da principessa per tentare di mozzarle la testa a suon di incantesimi. Dovette stopparsi di colpo all’ingresso del salotto buono perché Ted ne era appena uscito.
“Collisione evitata!” Esclamò mentre il ragazzo quasi si faceva indietro con un salto. “Ciao, petit prince!”
“Ciao Domi…” Sorrise il ragazzo lanciando un’occhiata perplessa alla fidanzata. “Che succede?”
“La peste continua a comportarsi come quando aveva cinque anni! Merlino, persino Lou ha più maturità di lei!” Si lamentò l’altra, rinfoderando come se nulla fosse la bacchetta. “Teddy, dille qualcosa!”

“Io…” 
Dominique rise, perché sapeva che l’indignazione della sorella sarebbe passata presto come sapeva che Ted invece sarebbe andato in crisi per ore. 

La strana coppia.
La abbracciò di slancio, stampandole un bacio sulla guancia e mollandola prima che tentasse un coppino sulla testa. “Sai che sei la mia ragazza preferita!” Sghignazzò prima di filare al piano di sopra.
In bagno trovò suo fratello di nove anni intento a lavarsi le mani con precisione chirurgica.
“Ecco qua il damerino!” Lo afferrò da sotto le braccia facendogli il solletico, ma diversamente da Victoire, il piccoletto, fiero poil de carotte, scoppiò a ridere.
“Lascia, Domi!” Ridacchiò divincolandosi senza la vera intenzione di allontanarsi. Tentò di tirarle un morso sul braccio, rendendola orgogliosa.
“Allora, oggi quale piccolo cuore hai spezzato?”
“Julie.” Rispose con nonchalance. “Non capisce che a me piace Josephine. Mi piacciono bionde e lei è mora. Ma non è mica colpa mia. Anche se sono sorelle, sono diverse.” La informò.
“Beh sai, capita.” Gli arruffò i capelli. “Ti immagini ad avere in casa due Vic?”
“O due Domi.” Replicò il furbetto asciugandosi le mani. “Mi prendi sulle spalle?”

“Mi hai appena offeso e vuoi che ti prenda sulle spalle?” Aggrottò le sopracciglia con intenzione, mentre l’altro ghignava, minimamente impressionato. 
“Eddai! Dai, Domi… dai, per favore!” Cantilenò poi con grandi occhi tondi, tirandole la maglietta per farla scendere alla sua altezza.

Dominique adorava stare in famiglia non perché stesse male in altri posti. Semplicemente… perché era la sua famiglia, e per quanto tutti virassero a sentirsi dei super-maghi, lei compresa, era l’unico posto dove non si sentisse osservata. Certo, con simpatia.
Ma pur sempre osservata.
L’unica persona in tutta la scuola che au contraire la guardava con aperto e critico astio era Violet.
Detta anche Violet-sparisco-ogni-volta-che-appari.
Tornò in salotto con il fratellino che canticchiava seduto comodamente sulle spalle.
“Dominique, potevi almeno cambiarti!” Esordì sua madre, con un vestito di cotone immacolato e dal taglio perfetto, reggendo una teglia di fumanti cibarie tra le mani.
Sì, Signori della Giuria, è perfetta anche come casalinga.
No-o!” Cantilenò imitando il tono di Louis solo per vederla spazientirsi.
Suo padre, grazie a Merlino vestito come se non dovesse accogliere ospiti, le fece invece quel sorriso che tutti dicevano avesse ereditato da lui. “Lavarti le mani possiamo chiedertelo invece?” Le chiese calmo.
“Massì.” Concesse facendo smontare Louis, che andò subito ad infastidire un sollevatissimo Ted.

 
Seduti a tavola, sua madre sganciò la bomba, ovvero il motivo per cui li aveva voluti tutti lì riuniti.
“Questo fine settimana è il compleanno del Ministro Colbert. Siamo tutti invitati.”
La prima reazione fu un discreto strozzarsi di Ted con il succo di zucca. Sua madre non lo degnò di un’occhiata, sapendo bene che era l’unica obiezione che il ragazzo avrebbe formulato.

Maman, ma io e Teddy partiamo per…” Victoire esitò.
“So che non avete ancora deciso la meta, tesoro.” Sorrise allegramente sua madre. La furbizia non era solo Weasley sotto quel tetto. “È un piccolo evento, e dovete ammetterlo, non vi ho mai coinvolti se non quando è stato strettamente necessario.”
Sfortunatamente sua madre aveva ragione. Victoire infatti annuì rassegnata: per quanto fosse strano, quelle cene non le piacevano.
No, non è strano. Sono piene di vecchiacci che la guardano come se volessero farle fare la danza dei Sette Veli. E Teddy non se ne accorge neanche. Una noia mortale.
Suo padre doveva essere già informato, perché le lanciò un’occhiata di avvertimento.
Che ovviamente, sentendosi l’adolescenza fuoriuscire dalle vene, disattese.
“Io non ci vengo.” Esordì a viso aperto.
“Dominique.” Replicò sua madre. “Posso sapere almeno il perché?”
“Perché non mi faccio due boccini così per un’intera serata. A queste cene è un miracolo se si arriva alla fine senza affogarsi nella vasca del punch.” Spiegò serenamente mentre Louis rideva nascondendo il viso tra le mani e suo padre aveva un leggero spasmo ilare alla mascella. Sentì una risata trattenuta persino dalle parti di sua sorella. Solo Ted fissava il piatto con l’aria di chi voleva trovarsi da tutt’altra parte.
So che non ti diverti, Dominique. Non si diverte nessuno a questo genere di eventi.” Sua madre era una maestra nel controllo della propria esasperazione. “È un favore quello che vi chiedo.”

E via con i sensi di colpa. Dominique li percepiva, com’era ovvio, ma l’idea di doversi stringere in un corpetto le faceva venir voglia di sfondare una finestra per scappare nei boschi.
Forse Piggie un po’ ha ragione. Dev’essere il mio lato selvatico-Veela. O forse qualcosa preso da papà, visto che è un proto-licantropo…
Piggie: quella sì che era una tipa da eventi del genere.
Probabilmente si emozionerebbe tutta all’idea di indossare un vestito color rosa polvere e stringere le mani a funzionari leccaculo.
Piggie: la ragazza che da sei mesi le sfuggiva come se avesse una muta di Crup inferociti alle calcagna. Non che avesse smesso di guardarla male. Quello continuava a farlo. Ma da lontano.
Dominique non era così stordita da non capire perché lo stesse facendo: ma le sembrava inutilmente melodrammatica.
… come sua madre, che in quel momento la guardava con lo sguardo accigliato delle grandi occasioni.
“Sarà solo per una serata. Ti prego, non mettermi in difficoltà.”
Dominique capitolò, come del resto faceva ogni volta; sua madre aveva un lavoro stressante, importante e suo glielo ricordò con un’occhiata: dopotutto il loro sostegno è l’unica cosa che chiedeva sua madre.

Beh… io userei il verbo pretendere. Ma comunque.
“Va bene, vengo.” Fece una pausa. “Ma ci andrò…” Gongolò vedendo che tutti attendevano con il fiato sospeso la fine della frase. “… nuda!”
 
… naturalmente al ricevimento non ci andò nuda.
Ci andò invece con un vestito scelto appositamente da sua sorella. Color giallo pastello.
Al momento aveva solo voglia di strapparsi i vestiti di dosso, correre nuda e gettarsi nella vasca del punch. Era già passata un’ora, ma gliene restavano il doppio. Come minimo.
Sua cugina Rose era convinta che incubasse da anni il gene della follia.
Se non me ne vado di qui, stasera si scatenerà in tutta la sua folle magnificenza.
Lanciò un’occhiata a sua sorella, che le sorrise incoraggiante. Trattenne un ghignetto ai capelli color melanzana di Ted coordinati volutamente al suo sfarzoso abito da cerimonia.
Sanno tutti che li odia…
Gli unici due che sembravano perfettamente a suo agio erano suo fratello, che puntava il tavolo delle cibarie come qualsiasi bambino e suo padre, che esibiva la solita aria di maschia calma.
E naturalmente sua madre, la Prèmiere dame della serata che, appena calcato il piede sul tappeto rosso della sala, si era impadronita dell’intero ambiente. Persino il Ministro sembrava passare in secondo piano in sua presenza.
Cheeeee palleeee…
Victoire le si avvicinò, toccandole il gomito. “Cerca di fare la brava.” La esortò.
Uh, la raccomandazione della mia vita.
“Cosa ci guadagno?” Replicò fissando con astio gli stivaletti che l’altra le aveva fatto indossare a forza.
Sapeva di essere figa: non facevano che ripeterglielo a scuola, oltre ad essere una consapevolezza interiore. Ma con un vestito svolazzante e degli stivaletti di camoscio morbido…
… si sentiva un idiota.
“Lo facciamo per maman. Non pensare che mi stia divertendo…”
“Balle. A te piace ‘sta roba.” Le ritorse contro. Victoire sin da bambina era stata la principessa delle lunghe serate pubbliche britanniche.

Io quella che si nascondeva sotto i tavoli con Jamie e Freddy.
“Solo quando ci sono persone che hanno ancora tutti i capelli in testa.” Replicò Vic sorridendo amabile ad un vecchio membro del Consiglio Legislativo. Dominique sghignazzò, accettando la diversione.
“Vic… vuoi che ti vada a prendere qualcosa dal tavolo delle bevande?” Tentò Teddy con aria infelice.
Vic gli baciò la guancia distratta. “Certo tesoro. E porta con te Lou, ti spiace?”
Quando Ted si fu allontanato con un entusiasta Louis alla mano, Dominique fece una panoramica della grande sala addobbata. I suoi genitori erano impegnati in una conversazione con  Signor Vattelappesca Pezzo grosso.

Eccellente…   
Doveva solo liberarsi di Vicky, poi sarebbe stata libera di nascondersi fino alla fine della serata.
“Non provarci.” Sillabò questa, intuendo i suoi pensieri. Non per niente, era stata una Corvonero.
“Provare a far cosa? Devo solo andare in bagno.”
“Bugiarda.”
“No, è vero! Non mi sono lavata i denti. Potrei rischiare di sputare pezzi di cibo in faccia…” Si fermò, perché l’altra aveva già raggiunto la soglia limite del coppino feroce.

“Morgana, dammi la forza…” Inspirò infatti. “Va bene, vai. Ma torna. Subito. Se maman scopre che ti sei imboscata come l’ultima volta…”
“Suvvia sorella, ormai ho quindici anni! Non lo farei mai.” Mentì con disinvoltura, prima di virare verso l’uscita.
Non fu facile raggiungere un punto deserto, dato che la gigantesca villa del Ministro era un dedalo di corridoi dove trotterellavano Elfi domestici ben lieti di indicarle la via del ritorno.
Alla fine riuscì a trovare il giardino.
Libertà!
Amava la sua famiglia, ma non riusciva a sopportare quegli eventi di socializzazione forzata.
Non aveva idea di come i suoi cugini ci riuscissero.
E loro di sicuro stanno messi peggio. In fondo in Francia è tutto in seconda battuta. Ma in Inghilterra…
Era uno dei motivi per cui sua madre aveva accettato senza troppi indugi il posto di assistente personale del Ministro. Allontanarsi da Londra era stata una boccata d’aria fresca. Persino Vic alla fine li aveva raggiunti.
Trovò la fontana centrale, immancabile in ogni giardino da ricconi. Quella aveva Maridi dall’espressione languida scolpiti in nuda pietra, che si abbarbicavano attorno al corpo centrale spruzzando acqua.
Sono piuttosto sicura che i Maridi non abbiano quell’espressione adorante in faccia…
Si tolse gli stupidi stivaletti ed immerse i piedi doloranti nell’acqua gelata.
Mooolto meglio!
Passò un po’ di tempo – parecchio – a sciabordare i piedi nell’acqua quando all’improvviso sentì rumore di tacchi sul selciato.
Si nascose, nel caso in cui Vic fosse venuta a cercarla. Non esattamente: a pochi metri da lei c’era Violet Parkinson-Goyle. Non si era accorta di lei, dato che la fontana la nascondeva.
Sembrava infelice.
Non l’aveva mai vista triste. Sdegnata, sprezzante o gelida, quello sì. Piggie era una maestra nelle smorfie di disappunto.   
A Dominique a volte ricordava un canarino chiuso in gabbia: il suo istinto, appena aperta la porticina, diceva lui di di volare via.
Però è stato in cattività tanto di quel tempo che appena fuori, muore. Non si adatta.  
Piggie era così: la troppa cattività non le avrebbe mai permesso di vivere libera. Ma non essendo un canarino, questo lo sapeva bene.
E così rimane chiusa nella sua bella gabbietta…
Ma l’istinto. L’istinto le faceva lampeggiare a volte nello sguardo qualcosa di doloroso, di frustrato.
Come in quel momento.
La vide scostarsi una ciocca di riccioli dalla pettinatura elaborata e chiudere gli occhi, rilasciando un lieve sospiro.
Dopo un po’ che la osservava, l’altra finalmente si accorse della sua presenza.
 
Quella festa non era diversa dalle altre a cui aveva atteso durante tutta l’estate.
Un copione talmente identico di volta in volta che erano quasi diventate una routine.
Vestirsi bene, pettinarsi tra le mani esperte della sua Elfa, aspettare la carrozza degli Allard, salire sulla carrozza degli Allard con l’aiuto della mano di Mathieu, baciare le guance della madre di Mathieu e quelle  di qualche parente invitato per l’occasione. Stare vicino a sua madre e sorridere, sorridere, sorridere.
L’estate per lei era il periodo peggiore dell’anno. Tornare da sua madre significava essere continuamente messa sotto analisi, pesato in ogni suo gesto. Giudicata.
Sua madre le voleva bene. Era la sua unica figlia, e dopo la morte di suo padre era rimasta sola, con lei di pochi mesi. Si era sacrificata per lei. Non si era mai risposata, per non installare un estraneo nella loro vita. Doveva esserle grata, e lo era. Lo sarebbe sempre stata.
Ma voleva tornare a scuola, dove nessuno era pericoloso quanto Pansy Parkinson, vedova Goyle.
Neppure la Weasley.
Quasi l’avesse chiamata dagli Inferi stessi, Dominique apparve. O meglio, la vide guardarla da oltre l’orribile e pacchiana fontana centrale del giardino.
Aveva i piedi nella vasca, il vestito sollevato fin sopra le ginocchia e i capelli ancora più corti di prima.
Ovviamente sembra una selvaggia.
Si fissarono per un attimo in sbigottito silenzio. O meglio, lei lo fece. La Weasley aveva già cominciato a ghignare. “Buonasera Piggie!” La apostrofò.
Avrebbe voluto affogarla.
Ciao un corno! Hai idea di che razza di fine semestre ho passato per colpa tua?
Era successa quella cosa. Quella cosa di cui non riusciva a capacitarsi.
Naturalmente non l’aveva detto ad anima viva. Era un segreto tremendo che doveva mantenere fino alla tomba. Non riusciva a capacitarsi di aver baciato Dominique Weasley. E non un bacetto a stampo, un momento di follia. Non era stato affatto un momento.
Il solo ricordo le valse una brusca tachicardia.
“Si può sapere cosa ci fai qui?”
“Mia madre è l’assistente del festeggiato. Fleur Weasley?”

Violet inspirò: sapeva bene chi fosse Madame Weasley. Quanto fosse potente, e quanto sua madre la detestasse. Non si era stupita quando l’aveva vista quella sera. Non era la prima volta che la incontrava.
“La conosco. Di solito non si porta dietro tutta la famiglia.” Ribatté in sua difesa.
“Sì, ma stavolta è riuscita a trascinarci tutti.” Si strinse nelle spalle. “Avrai visto mia sorella.”
Violet arrossì: certo che l’aveva vista. Era la ragazza più bella della sala, e Mathieu non le aveva tolto gli occhi di dosso per mezzo secondo.
Lei neppure.
“Perché non sei dentro?”
Dominique la guardò come se avesse appena detto una scemenza. “Secondo te?” Si indicò. “Guarda come sono vestita!”
Violet tentò di trattenere il sorriso divertito che le affiorò alle labbra. “Come si deve, per una volta?”
“No, come una cretina.” Sbuffò, dondolandosi sul bordo. “È già una tortura rimanere dentro questo affare. Figurati rimanerci con tanto di tacchi ad ascoltare qualche vecchia cariatide.”

“Capisco…”
Rimasero in silenzio, mentre Violet si sentiva sempre più a disagio. Quella cosa aleggiava tra di loro, e la irritava il fatto che l’altra sembrasse non rendersene conto.

Il giorno dopo mi ha salutato come se niente fosse successo! È successo invece!
Era riuscita anche a smettere di pensarci in quei mesi estivi. Dominique era tornata un puntino ininfluente nella linea che era la sua vita. Ma di notte, a difese abbassate, le cose non restavano le stesse.
Sognava altri baci, baci che non erano di Mathieu. Non erano direttamente di un ragazzo.
Aveva cercato di convincersi che quella sua fissazione fosse dovuta all’androginia di Dominique. Dopotutto aveva i capelli corti e l’aria dinoccolata di un ragazzo, no?
Certo. Con molta fantasia, al buio e con una benda sugli occhi posso anche pensarlo…
In quel momento ricordò il seno piccolo dell’altra che le premeva sul petto e le sue dita che giocavano con la stretta treccia che usava a scuola.
Ispirò bruscamente, distogliendo lo sguardo.
 
Dominique ricordò com’era stato il bacio con Violet nel momento in cui la vide arrossire.
Era stato un bel bacio. Non che avesse molta esperienza, ma sentiva che era stato così.
Non aveva mai pensato a baciare nessuno prima di quel momento nella foresta. Ma poi le era venuto in mente, di colpo e aveva pensato, ‘perché no?’.
Certo, avrei dovuto chiedermi anche ‘perché sì?’. Ma al diavolo.
Ormai era andata. E le era piaciuto. Era piaciuto ad entrambe, visto la risposta dell’altra.
Quindi non poteva essere stato sbagliato.
E lo pensava anche adesso, guardandola tormentarsi la ciocca arricciata di capelli.
“Non ho voglia di rientrare.” Le disse. “Mi fai compagnia?”
Violet avvampò peggio di prima. “N-no.” Borbottò, facendo persino un passo indietro. “Devo andare. Ero solo venuta a prendere una boccata d’aria.”
“Perché mi eviti?” Beh, visto che erano lì entrambe e per la prima volta dopo mesi Piggie le rivolgeva la parola, tanto valeva capire cosa diavolo le stesse prendendo.

“Non ti…” Fece una pausa. “Tu non…” Inspirò. “Tu non capisci proprio, vero?”
 
Era ovvio che non capisse. Era una sottospecie di selvaggia cresciuta nei boschi. Parentele notevoli a parte. Forse neanche ci arrivava.
“Devo andare. Mathieu e mia madre si staranno chiedendo dove sono.” Ripeté, e fece per andarsene. Naturalmente l’altra fu più svelta di lei e la acchiappò per un braccio.
“Abbiamo un problema?” Le chiese. “Io e te intendo.”
“No!” Esclamò con più forza di quanto fosse educato. “Cioè… sì!”
Dominique inarcò le sopracciglia divertita. “Sì o no?”
“Dannazione, Weasley!” Sbottò sentendo la collera aumentare assieme ai battiti del cuore. “Certo che abbiamo un problema! Tu mi hai…” Non riuscì a dirlo. Ammetterlo ad alta voce era diverso dal ripeterselo nel cuore della notte.

“Baciata.” Terminò per lei. “E allora?”
L’avrebbe affogata. Seriamente, avrebbe preso quella testa platinata e…

La cosa peggiore era la sua aria tranquilla. Come se non fosse stato niente.
“Per te baciare ragazze è normale? Cosa da tutti i giorni?” Cercò di indagare. Doveva sapere.
Non che cambierebbe nulla. Ma perlomeno mi servirebbe ad accantonare tutta questa storia.  
“No.” Si risedette sul bordo della vasca, ma stavolta nella sua direzione. “A parte te non ho mai baciato nessuno.”
 
Ecco cosa ci si guadagnava ad essere sinceri. Violet la stava guardando quasi avesse detto una cosa priva di senso.
“E perché hai baciato me?”
Ah, la teoria del Primo Bacio. Dominique sapeva che per certe ragazze era importante. Non per lei.

Dopotutto c’è sempre un inizio, no? Per me è più importante la fine.
Tipo, chi bacerai per il resto della tua vita. Non che mi interessi, ma credo sia più importante questo.
Violet aveva un’aria strana in quel momento. Non sembrava più arrabbiata, sembrava invece aspettarsi qualcosa. Aveva persino abbandonato quella posa da sto-per-tirarti-un-pugno-non-ti-avvicinare che aveva sempre in sua presenza. 
Dominique pensò che adesso avrebbe potuto avvicinarsi e toccarla, ma non lo fece. Perché non sapeva cosa stava succedendo per la prima volta in vita sua.
“Forse…” Esitò l’altra, umettandosi le labbra. Dom ricordò che erano morbide, e sapevano di frutta. Anche i suoi capelli profumavano di qualche balsamo a lunga durata, roba da purosangue che compravano solo in botteghe specializzate. “… forse ti piaccio?”
Batté le palpebre. Era quello, dunque?
Non aveva mai pensato che Piggie le piacesse. Certo, le piaceva stuzzicarla e farla arrabbiare. E sì, le dispiaceva che avesse un fidanzato stronzo. E quando l’aveva guardata giocare con gli unicorni aveva pensato che fosse molto più carina con quell’espressione gentile e sorridente.
Ma non voleva poi dire molto. Supponeva.
“No, non credo.” Rispose infatti. “L’ho fatto perché mi andava.”
Dominique era davvero convinta che la sincerità pagasse. Non era colpa sua se gli altri la pensavano in modo diverso. Vic diceva sempre che fosse troppo brutale. Che non riuscisse ad empatizzare.

Doveva essere vero, perché Violet la guardò come se le avesse tirato uno schiaffo.
Ti odio!” Le urlò in faccia, di colpo e ad un volume che non aveva usato neanche nelle liti più furiose con le sue amichette fotocopia. “Ti odio, Merlino, ti odio così tanto Weasley!”
“Woh, calmati! Cosa…” Voleva fermarla, ma le sembrava inutile come tentare di frenare una slavina con le mani. Impossibile.
“Perché mi hai baciata?! Perché hai fatto una cosa del genere!?” Continuava ad urlarle, serrando i pugni, mentre gli occhi scuri le si allargavano, inghiottendo l’iride nella pupilla.
Fermare una slavina con le mani… anche pericoloso.
“Non avresti dovuto, non avevi il diritto di avvicinarti a me!”
Quella doveva essere la vera Violet. Non la bambolina composta che vedeva tutti i giorni a Beaux-Batons.
Quella e la ragazza che sorrideva agli unicorni.
Dominique capì d’improvviso perché l’aveva baciata. 
Le si avvicinò e l’altra immediatamente fece un passo indietro. “Non ti azzardare!”
“Non sto facendo niente.”

“Non osare toccarmi!”
“E invece voglio farlo.” Mai fare movimenti bruschi, era quello il segreto della vita. Tese la mano e solo quando si rese conto che Violet non si sarebbe scostata, gliela fece scivolare sulla spalla.
“No…” Sussurrò con la voce che le tremava. “Non farlo…”
 
“Violet, cosa stai facendo?”

Vide l’altra immobilizzarsi come se le fosse stato appena fatto un incantesimo di pastoia.

Dietro di loro c’era una donna, avvolta in un vestito nero e sontuoso. I lineamenti anglosassoni, duri e appesantiti erano pura superbia. Ma Dominique riconobbe gli occhi: erano gli stessi di Violet, grandi e scuri, sebbene non accesi dalla stessa scintilla espressiva. Sembravano invece due pezzi di vetro.
“Io… niente mamma.” Violet sembrò sgonfiarsi come un palloncino. Chinò la testa e si morse le labbra, facendo un immediato passo indietro.
La terribile vedova Parkinson-Goyle.
Ne aveva sentito parlare dai suoi amici, Mael in testa, che le aveva assicurato fosse un autentico spauracchio della società francese.
Adesso capiva perché Violet ne fosse così succube. Quella donna riusciva a mettere a disagio persino lei.
“Lo spero. Non abbiamo tempo da perdere con persone del genere…”  
“Ehi! Persone come?” Non riusciva a rimanere in silenzio quando percepiva un’offesa. Era il suo sangue anglosassone, secondo sua madre.
La strega la trafisse con un’occhiata. Una coltellata. Dominique sapeva che anche lei doveva essere stata una quindicenne, come loro. Eppure…
“Mia figlia non perde tempo con gli animali.” Stillò dalle labbra, come un serpente avrebbe sgocciolato veleno. “Andiamo tesoro. I nostri amici si stanno chiedendo dove tu sia finita.”
Violet seguì la madre senza guardarsi indietro neppure una volta.
 
 
Due giorni dopo…
 
Victoire sarebbe dovuta partire alla volta del Belgio, per una breve fuga romantica con il proprio fidanzato, che aveva organizzato tutto per farsi perdonare della scarsa performance sociale al compleanno del Ministro.
Ma non era ancora partita.
Il motivo era uno solo, e si chiamava Dominique.
La sua sorellina quindicenne era un concentrato di scarsa empatia, incapacità di valutare il pericolo e autogenerante ironia. Separatamente, erano difetti micidiali. Concentrati davano… Domi.
Victoire sapeva che se non avesse condiviso nome e geni probabilmente l’avrebbe messa all’angolo della sua visuale e lì dimenticata.
Ma essendo sua sorella, era suo preciso dovere preoccuparsi.
Specialmente quando per due giorni si rifiuta di uscire da camera sua e persino di accudire quel suo maledetto serraglio di creature magiche …
I suoi genitori erano perplessi, Louis girava per la casa come un’anima in pena.
Vic sapeva di dover far qualcosa. Quindi disincantò la serratura della porta ed entrò.
Dominique era stesa sul letto e fissava il nulla cosmico. Primo sintomo inquietante: l’inattività non era parte del suo corredo genetico. Un loro parente babbano, medico, quando l’aveva conosciuta aveva ventilato l’ipotesi soffrisse di disturbi dell’attenzione.
Il secondo sintomo inquietante era la presenza di musica. Dominique aveva la sensibilità artistica di un fondo di calderone e non distingueva un jingle pubblicitario da una ballata sentimentale.  
Il caos nella camera e i vestiti buttati ovunque senza nessun criterio invece erano perfettamente normali.
“Domi?” Chiamò tranquillamente.
“Ohi V.” La apostrofò lanciandole un’occhiata. “La porta non era chiusa?”
Era.” Convenne con un sorriso, dandole una pacchetta sul ginocchio per farla spostare. Con uno sbuffo l’altra obbedì, semi rotolando dall’altra parte del letto.  

Dominique era la persona più equilibrata che conoscesse: non soffriva dei tipici complessi adolescenziali sul proprio aspetto fisico – lì non avrebbe comunque potuto – o sulla sua inadeguatezza sociale. Dominique era fiera di essere com’era. Si adorava, ma senza esagerare. Se aveva un difetto, ci rideva su.
In quel momento invece sembrava l’avesse investita un camion di pare adolescenziali, dall’espressione.
È colpa della festa? Forse ho esagerato ad usare l’incantesimo di Pastoia per infilarle scarpe e vestito…
“Che ti succede?” Le chiese: con lei bisognava sempre esser diretti. Girare attorno al problema la confondeva e basta.
“Uhm.” Emise. “Vic… come si capisce che ti piace qualcuno?”
Victoire dopo l’iniziale meraviglia, sorrise sollevata: dunque era quello. Semplici problemi sentimentali.
Era ora. Mi chiedevo se non avrebbe fatto la fine di zio Charlie, sposato ai suoi draghi.
“Beh, prima di tutto se si pensa a questa persona più del normale… e poi…” Diete un’occhiata all’impianto stereo. Non era settato sull’opzione radio. C’era dentro un cd.
 
She screams in silence
a sullen riot penetrating through her mind
Waiting for a sign
To smash the silence with the brick of self-control
 
“È un mix che mi ha fatto Gogo ere fa.” Spiegò alla sua espressione. “E poi?” La riportò sul discorso.
Victoire le tirò una ciocca di capelli che si ergeva più dritta delle altre. “E poi tutte le canzoni d’amore improvvisamente hanno senso³.”
Dominique spalancò appena la bocca. “Ah.” Disse, aggrottando le sopracciglia. “Questo è un po’ vero.”
Victoire la guardò divertita. Era raro vedere sua sorella con quell’espressione pensierosa sul viso.
“Chi è?”
“Si chiama Violet.”
Seguì un lungo silenzio imbarazzante. Da parte sua, che Dominique invece la fissava incuriosita.

“… Violet è un nome da ragazza.” Mormorò, cercando di capire se avesse capito bene.
“Sì, lo so.” Annuì.
“Domi, ti piacciono le ragazze?”
La quindicenne si strinse nelle spalle, tirandosi su e incrociando le gambe. “Non lo so. Non so neanche se mi piace sul serio lei.”
“Beh, immagino dovresti… parlarle.”
“Vale averla baciata?”
Victoire per un folle momento ebbe il desiderio, decisamente non nella sua indole, di infilarsi le mani nei capelli. Ma Dominique era sempre stata così: prima agiva, poi notificava.

“Immagino…” Esordì controllando il tono di voce e cercando di non mettersi a ridere istericamente. “… immagino di sì. E a lei? Tu piaci?”
“Sì, credo di sì.” Stranamente lo sguardo della sorella si adombrò di colpo. “Ma è questo che non mi piace.”
Victoire la fissò confusa. Okay, adesso aveva perso la presa sul filo del discorso. “Non ti piace che a lei tu piaccia?”
“No,” Scosse la testa. Prese a mordicchiarsi un’unghia. “Vabbeh, te lo dico” Sbottò alla fine.

 
Sua sorella sembrava sempre una specie di principessina snob, ma la realtà era che non scorreva solo sangue Delacour dentro quella graziosa personcina.
“Quella vecchia, grassa vacca ti ha detto cosa?!” Urlò saltando in piedi come una molla. Una molla comunque molto aggraziata.  
Secondo me Teddy dovrebbe aver paura per le sue palle.
“Senti, non è così grave…” Tentò, ma sua sorella non sembrò neanche ascoltarla.
“Dovrebbe stare ad Azkaban invece di infestare per i salotti bene della nostra Francia!” Ruggì, cominciando a fare avanti e indietro sul pavimento. “Ha osato dire a mia sorella … ha osato offenderci tutti quando quella famiglia è marcia fino al midollo!”
“Vicky?” Tentò di nuovo, sentendosi sollevata. Era sempre divertente vedere sua sorella in modalità berserker. “Dai, non è come se mi avesse maledetto.”
“Avrebbe potuto. Quella troia mangiamorte.” Sibilò con grazia, al di là del vocabolario. “… se maman sapesse…”
“No!” Esclamò di colpo. “Maman non saprà un tubo! Se la mettiamo in mezzo ci scappa un casino di proporzioni epiche!”

“Non sarebbe poi così brutta come soluzione. Certa feccia non dovrebbe avere il coraggio di alzare la testa in quel modo, insultando te, poi.”
Dominique si morse le labbra. Okay, le faceva piacere che la sua di solito altezzosa sorella sbraitasse in sua difesa. Però c’era il fatto Violet: sapeva della sua famiglia. A scuola lo sapevano tutti.

E penso che sia così stronza anche per pararsi le spalle dagli stronzi.
“Così però ci rimette Pi… Violet, e non è giusto. Non è mica colpa sua, se i suoi genitori fanno schifo. Mica li ha scelti.” Obbiettò ragionevole. Poteva non capire cosa accidenti provasse per Piggie, ma di sicuro non voleva metterla nei guai quando il massimo che aveva fatto era stato darle una volta della sporca mezzosangue quando avevano undici anni.
Con una madre del genere, è un miracolo che non mi ci chiami in continuazione.
Victoire le lanciò un’occhiata, poi sbuffò, sedendosi di nuovo sul ciglio del letto. “Hai ragione.” Un’altra occhiata, strana stavolta. “Ascolta… con te non funziona proibirti qualcosa. Però davvero, dovresti lasciar perdere quella ragazza. Sua madre è peggio di un Lethifold. Non voglio che tu rimanga ferita.”
“Ferita?” Sbuffò incredula. “Non è come se potesse lanciarmi una maledizione!”
Victoire le accarezzò inaspettatamente la guancia. “Non parlavo di ferite fisiche. Sei tosta, Domi. Ma guarda una mezza parola come ti ha fatto sentire per due giorni.”

Dominique si trovò a corto di obiezioni. Perché era vero. Violet le dava in continuazione della selvaggia e della zotica, ma non faceva mai male.  
Ma le parole di Madame Parkison in Goyle…
Fece una smorfia. “Tanto non è come se avessimo un rapporto o che. È stato solo un bacio.”
Pensò all’espressione atterrita e remissiva di Violet. Di come fosse sparita dalla sua testa non appena era arrivata sua madre.
Col cazzo. Io non sono seconda a nessuno.
“È okay. Accetterò il consiglio per stavolta, Vic.” Disse infine.
L’altra le arruffò i capelli. “Ti passerà Domi…” Le assicurò, alzandosi e baciandole la fronte. “Fidati.”
“Massì.” Convenne. “Ora sciò! Non è che puoi entrare nei miei spazi vitali come e per quanto vuoi, sorella.”

Victoire alzò gli occhi al cielo e disse qualcosa su Teddy e la vacanza rimandata per colpa sua che ascoltò a metà.  
La mia soglia di attenzione è già calata. Boom.
Quando Vic se ne fu andata, Dominique rilasciò un lungo sospiro di sollievo: parlare di sentimenti era sfiancante.
Si ributtò sul letto e lanciò un’occhiata allo stereo babbano. Era la prima volta che lo usava.
Sarebbe anche stata l’ultima.   
 
Are you locked up in a world
Thats been planned out for you
Are you feeling like a social tool without an use
Scream at me until my ears bleed, I'm taking heed just for you…
 
Dominique lo spense.
 
 
****
 
Note:


E il Quarto e Quinto sono andati! Rimangono gli ultimi due, e quindi un capitolo. ;D
Qui la prima canzone. Qua la seconda nel testo. Attenti al significato della canzone. Per me è piuttosto adatto a ‘ste due.
1. Bleu: contrazione per bleuets, ovvero fiordalisi in francese.
2. Granian: razza di cavalli alati. Dal manto grigio, hanno la stazza di un cavallo normale. Particolarmente veloci. Qui per maggior informazioni.
3. Citazione da Castle.
  
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