Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: WilKia    27/07/2011    3 recensioni
Che cavolo ci faceva in quel posto dimenticato da Dio?
Ah, già.. non ho un posto migliore in cui andare.
Ricordò con una smorfia autoironica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Santana Lopez, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rieccomi.
Le solite due paroline introduttive.
I primi due capitoli erano scritti dal punto di vista di Rain
Questo invece è dal punto di vista di San.
Penso che manterrò questa alternanza per tutta la storia,
non so se lo farò in modo regolare o meno..
entrambe le fanciulle vogliono dire la loro
ed hanno un bel caratterino,
perciò lascio che se la vedano tra loro
per decidere chi delle due deve parlare..
Enjoy
WilKia >.<
p.s. quasi dimenticavo.. le due canzoni,
i cui titoli sono uno il titolo del capitolo stesso,
mentre l’altro ve lo dice San,
appartengono entrambe al repertorio del
gruppo preferito di Rain..
avete indovinato qual è?
 
 
Ogre Battle
 
Una lama di sole s’insinuò tra le imposte malandate.
La luce strisciò sul pavimento polveroso, fino a inondare il volto della ragazza placidamente addormentata nel grande letto al centro della stanza.
Santana corrugò la fronte con disappunto sentendo quel calore indesiderato sugli occhi irritati e con un gesto di stizza si voltò dall’altra parte.
Un invitante aroma di caffè si diffuse nella stanza attraverso la porta spalancata, seguito in pochi istanti dalle note di una canzone dei Queen.
Senza minimamente pensare di aprire gli occhi, la mora si grattò una tempia.
“Dragon Attack.”
Pensò con un sorriso riconoscendo il giro di basso della canzone.
Strano, in casa sono l’unica che ascolta musica.
A quel pensiero i suoi occhi neri si spalancarono, e presero a guardarsi intorno spaesati e vagamente intimoriti nel non riconoscere il luogo.
Si trovava in una stanza spoglia e decrepita.
Le pareti sudice erano rivestite da della carta da parati che un tempo doveva essere stata azzurro cielo, ma che ora pendeva tristemente dai muri, ingiallita e strappata in più punti.
Oltre al letto su cui si trovava, l’unico elemento d’arredo a occupare il pavimento di assi di legno sconnesse, era un grande armadio a muro, con le ante scardinate e sforacchiate dai tarli.
Accanto al letto, su una vecchia sedia con una gamba più corta delle altre erano ripiegati una felpa blu e un paio di pantaloni di una tuta grigia.
Sotto la sedia era abbandonato un borsone verde militare.
Non appena lo vide, i ricordi della notte le invasero la mente.
La strada che scorreva sotto i suoi piedi.
Il cielo che si faceva sempre più buio, senza che lei se ne accorgesse, la mente rapita da pensieri e ricordi vorticanti.
No!
Strinse gli occhi per un momento per chiudere fuori quel pensiero.
 
 
 
Quello che l’aveva fatta uscire di casa sbattendo la porta, facendola camminare per chilometri senza fermarsi, senza sapere, né curarsi di dove stava andando.
Finché la notte l’aveva sorpresa davanti a quel bar.
Era entrata più che altro perché l’umidità della notte le si stava appiccicando alla pelle, facendola rabbrividire.
E poi i suoi pensieri erano talmente rumorosi che sentiva il bisogno fisico di aver dei suoni reali intorno a sé, e non solo il silenzio assordante della notte.
Un jukebox scassato diffondeva le note di una malinconica canzone country nel locale squallido e semi-deserto.
Madre de Dios! Ma che diavolo ci trova la gente in questa musica?!
Come aveva messo piede nel locale era partita una salva di fischi e urla alludenti e sconce dal tavolo centrale, circondato da una mezza dozzina di Neanderthal.
Oltre al gruppo di cavernicoli il bar era popolato dalla tipica fauna di Lima, operai e impiegatuccoli che si sbronzavano prima di tornare a casa.
Una ragazza solitaria e dall’aria malinconica sedeva al bancone sorseggiando quella che sembrava Tequila.
Buona idea.
Aveva pensato avviandosi al bancone per ordinare la stessa cosa, pronta a sfoderare il suo documento falso.
Aveva fatto solo pochi passi, quando uno dei cavernicoli si alzò dal tavolo e le bloccò il passaggio.
“Ehi, bellezza – l’apostrofò rivolgendole un sorriso lascivo – perché non vieni a sederti con noi?”
Perfecto! ¿Qué mejor manera para completar este día de mierda?!
Si lasciò affiorare sul volto la sua migliore espressione da stronza.
“Grazie dell’offerta Nendy.. ma ho di meglio da fare!”
Fece per aggirarlo, ma una mano la trattenne afferrandola per il polso.
Un altro troglodita si era alzato per dare manforte al suo compare.
“Dai, non fare la difficile.. vedrai che ci divertiamo.”
Il tizio la squadrò dall’alto in basso e ritorno, radiografandola con occhi ingordi.
“Senti, non è proprio giornata, quindi fai un favore a te stesso e lasciami andare prima di farti male sul serio.”
Soffiò liberandosi dalla sua stretta con uno strattone.
Si levò un coro di risa sguaiate, mentre il resto del branco si disponeva intorno a lei.
“Bene, bene – commentò il primo – a quanto pare questa gattina sexy ha gli artigli affilati. Attenta, anche io ho un’arma letale da sfoderare.. vuoi vedere?”
Santana cominciava a preoccuparsi, uno dopo l’altro gli altri avventori del bar si erano dati alla macchia, lasciandola in balia di quegli energumeni.
“Sì ho gli artigli e so bene come usarli! Non credo invece, che tu sappia come usare quel lombrico che chiami arma letale.”
“Come ti permetti, puttanella insolente! - sbraitò quello avanzando minaccioso verso di lei – ora ti faccio vedere io come ci si deve comportare!”
L’aveva ormai raggiunta, ma una mano si posò decisa sulla sua spalla, bloccandolo.
Lo sguardo di Santana si posò sulla proprietaria della mano.
Poco più alta di lei, indossava un paio di jeans sdruciti e una maglietta decisamente troppo grande per lei sulla quale campeggiava un teschio ghignante, circondato da schizzi di sangue che formavano la scritta “She takes no prisoners”.
L’abbigliamento era completato da una consunta giacca di pelle nera e da un paio di anfibi dello stesso colore, che le arrivavano poco oltre la caviglia.
Eccetto una coppia di treccine che le si appoggiavano sul lato destro del petto, i capelli castano scuro le arrivavano poco sopra le spalle, incorniciando un paio di occhi decisi, dal colore indefinibile nella fioca luce del bar.
La sua espressione era rimasta impassibile, mentre il bestione le urlava in faccia di farsi i cazzi suoi.
Senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, si sporse oltre la sua spalla, fissando quegli occhi calmi nei suoi.
“Questi tizi ti stanno dando fastidio?”
Le chiese con una voce calda e rassicurante.
Santana la squadrò, esitando.
Dopo tutto, non sapeva niente di quella tizia.
E lei non era certo il tipo da chiedere aiuto. Lei era Santana Lopez, il terrore del McKinley. Sua maestà stronzaggine in persona.
Era la migliore in assoluto quando si trattava di demolire qualcuno a parole, e certamente non si tirava indietro nemmeno quando c’era da menare le mani.
Ma un recente scontro con il grande rinoceronte bianco le aveva insegnato che forse doveva imparare a scegliersi le battaglie.
E quei tizi erano parecchio più grossi di lei, oltre a essere in netta superiorità numerica.
La guardò negli occhi e fu pervasa da uno strano senso di calma.
Annuì in silenzio.
La ragazza tornò a rivolgere la sua attenzione al Neanderthal e in quella frazione di secondo la sua espressione cambiò completamente.
Se per lei i suoi occhi avevano assunto un tono rassicurante, lo sguardo che rivolse all’energumeno che le si parava davanti era minaccia allo stato puro.
Sto osservando una maestra all’opera.
Pensò la latina con un misto di ammirazione e disappunto.
La sconosciuta si stava avvicinando a lei, ma il troglodita non voleva saperne di arrendersi e la bloccò prendendola per una spalla e costringendola a voltarsi ancora nella sua direzione.
Lei se lo scrollò di dosso con indifferenza e gli voltò di nuovo le spalle.
Fu a quel punto che partì l’attacco.
Prima che Santana potesse capire cosa stesse accadendo, il tizio era volato a terra sollevando una nuvola di polvere.
La sconosciuta gli aveva rivolto uno sguardo vagamente disgustato.
“Fossi in te, rimarrei giù.”
Aveva detto con quella voce tranquilla.
Ma il tizio non aveva seguito il consiglio.
Livido di rabbia per l’umiliazione di essere stato atterrato da una donna, si era alzato sbraitando.
“Prendetele, maledizione!”
La ragazza si parò davanti a lei bloccando il primo pugno in arrivo come se stesse scacciando una mosca.
Santana rimase a bocca aperta a fissare la scena.
Le mani di quella tizia sembravano essere ovunque, non appena colpiva un avversario, era già pronta per parare il colpo di un altro e quindi contrattaccare.
In men che non si dica tutti e cinque i bestioni erano stesi a terra in posizioni più o meno scomposte.
La sconosciuta li aveva osservati scuotendo la testa e poi si era girata verso di lei, ma un rumore di passi l’aveva fatta voltare verso il retro del locale, dove altri 7 Neanderthal avevano appena fatto il loro ingresso.
7 paia di occhi si erano puntate prima sulla strana ragazza al centro del bar e poi a turno sui tizi stesi doloranti sul pavimento.
La sconosciuta si fiondò a recuperare il suo borsone, poi corse verso la porta, afferrandola per una mano senza troppe cerimonie e trascinandola con sé all’esterno.
Mentre veniva scaraventata in strada sentì un tonfo e il tintinnare di vetri infranti.
Poi una mano calda e forte si serrò di nuovo sulla sua, trascinandola in un vicolo dietro il locale.
“Sali!”
La incitò la sconosciuta, mentre si gettava al volante di un’auto.
Santana prese velocemente posto sul sedile accanto.
Non aveva ancora chiuso la portiera che già l’auto sfrecciava per la strada.
Con una mossa degna di un film d’azione la sconosciuta aveva atterrato tutti i loro inseguitori, per poi imboccare una curva sbandando.
Dopo i primi momenti concitati il viaggio era stato.. interessante.
Come interessante era il nome con cui la ragazza si era presentata: Rain
“È il tuo vero nome?”
“È l’unico nome in cui mi identifico.”
Aveva risposto lei enigmatica, mentre scendeva dall’auto.
Osservando la casa davanti cui si erano fermate, la latina aveva pensato che forse, dopo tutto non aveva avuto poi una grande idea a chiederle se poteva fermarsi a dormire.. quella casa era un disastro.
“Wow.. la versione horror della stamberga strillante!”
Commentò scendendo dalla macchina e squadrando la casa con le sopracciglia inarcate e le labbra contratte nella sua tipica espressione di disgusto.
“Non avrei potuto trovare parole migliori..”
Rispose Rain che guardava l’edificio con le braccia appoggiate al tetto dell’auto e un’espressione accigliata dipinta sul viso.
Dopo alcuni minuti d’indecisione silenziosa, Rain si era gettata il borsone su una spalla e si era incamminata lungo il vialetto infestato dalle erbacce.
La donna sparì pochi minuti nello scantinato per poi riemergerne starnutendo a causa della polvere, ma con un’espressione trionfante sul volto.
“Sono riuscita a rimettere in funzione l’impianto elettrico, almeno non dovremo muoverci lì dentro al buio.”
Esclamò precedendola sui gradini scricchiolanti del portico.
Se l’esterno le aveva dato l’impressione di arrivare direttamente da un film horror, l’interno le confermò che era veramente così.
Quella casa era rimasta deserta per anni.
Quando Rain le aveva comunicato l’indirizzo, la latina non l’aveva collegato alla catapecchia abbandonata, dove lei e i suoi amichetti andavano a fare le prove di coraggio quando era bambina.
Gli stivali dell’ex soldato avevano lasciato profonde orme nello spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento.
Il soffitto e i pochi mobili, anch’essi ricoperti di polvere, erano tappezzati di ragnatele, che dondolavano pigramente al loro passaggio.
Avevano esplorato la casa muovendosi lentamente per sollevare meno polvere possibile.
Salendo le scale si erano imbattute nella camera da letto e in un bagno trasandato, ma che, polvere a parte non era poi così sudicio.
Rain aveva osservato il lavandino con aria critica prima di avvicinarsi e girare tentativamente la manopola dell’acqua.
Santana sussultò quando le tubature presero a gemere indignate.
Dopo alcuni istanti uno zampillo d’acqua rossastra era sgorgato dal rubinetto spazzando via la polvere accumulata nel lavandino.
Alcuni minuti dopo, l’acqua aveva assunto un più rassicurante aspetto trasparente.
Setacciando l’armadio nella camera, avevano trovato delle lenzuola decorose e un paio di coperte.
“Allora, tu occupati di fare il letto – aveva disposto la donna - io vedrò di dare una ripulita al bagno, in modo da non prenderci il tetano nel caso avessimo bisogno di usarlo.”
La latina aveva annuito ringraziandola dentro di sé in tutte le lingue che conosceva (e anche in quelle sconosciute) per come aveva suddiviso i compiti.
In pochi minuti l’ispanica aveva raccolto la polvere sul pavimento in un angolo della stanza, con una scopa malandata che Rain aveva rinvenuto nel sottoscala, quindi si era occupata del letto.
Quando ebbe finito, andò a vedere come se la cavava l’ex-soldato.
Anche nel bagno la polvere era stata eliminata dalla maggior parte delle superfici.
Rain era china su un secchio e le sue mani avvolte in guanti di plastica strizzavano uno straccio consunto.
Si era sollevata il collo della maglietta fin sopra il naso.
Evidentemente l’aveva sentita arrivare, perché come entrò dalla porta, la donna alzò lo sguardo su di lei.
“Ehi – la salutò – allora, com’è messa la camera?”
La latina non riuscì a trattenere una smorfia sarcastica.
“Continua a essere una topaia, ma diciamo che se è solo per una notte dovremmo sopravvivere. Tu  a che punto sei? Posso darti una mano?”
Rain scosse la testa.
“Non mi manca molto ed è meglio che solo una di noi respiri i vapori tossici di questa roba.”
Disse indicando il secchio.
“Inoltre, quelli che ho messo sono gli unici guanti che ho trovato e ho paura che questa roba sia corrosiva..”
“C’è qualcos’altro che potrei fare?”
“A dire il vero, sì.”
Rispose l’ex-soldato dopo essere rimasta pensierosa per un momento.
“Torna in camera e infilati sotto le coperte, hai l’aria di una che ha avuto una giornataccia, episodio del bar escluso, e che avrebbe bisogno di farsi una bella dormita.”
Santana incrociò le braccia sul petto.
“Come fai a dirlo?”
“Intuito? Spirito d’osservazione? Chiamalo pure come vuoi, ci sono vari di sinonimi.”
“Immagino che vorrai metterti più comoda per dormire. – continuò poi togliendosi i guanti e dirigendosi in camera – ecco, questa dovrebbe essere abbastanza lunga da farti da camicia da notte.”
Le porse una maglia nera sulla quale era riportato “L’Urlo” di Munch circondato dalla frase “Can’t break the silence, it’s breaking me.”
“Non è la frase di una canzone?”
Chiese.
“Indovinato, sai anche dirmi di chi?”
Santana ci pensò un momento frugando nel suo vasto repertorio musicale.
“Evanescence?”
“E abbiamo una vincitrice, signori!”
Esclamò la ragazza con un sorriso.
“Ti lascio il bagno per cambiarti, finirò dopo. Poi mi andrò a spalmare su quella specie di divano che ho visto di sotto.”
“Cosa? Vorresti andare a dormire ad Acaropoli?”
Esclamò l’ispanica con una smorfia.
L’altra scrollò le spalle con indifferenza.
“Non se ne parla neanche! Il letto è abbastanza grande, ci stiamo tutte e due. Ci mancherebbe solo che dopo tutto quello che hai fatto stasera ti lascio dormire a Polverolandia!”
L’ex-soldato sogghignò.
“Perché non dici la verità e non ammetti che l’idea di dormire da sola in questa casa ti mette i brividi..”
La latina assunse la sua migliore espressione da stronza e sollevò l’indice della mano sinistra all’altezza del volto della ragazza.
“Ora ascoltami e fallo attentamente, perché non mi ripeterò.”
Rain la guardò sollevando le sopracciglia con aria interessata e divertita.
“Io sono Santana Lopez. – esclamò facendo un piccolo scatto laterale con la testa -  e per tua norma e regola Santana Lopez non ha paura di niente.”
Schioccò le dita e le voltò le spalle facendo ondeggiare i lunghi capelli neri, per poi chiuderle la porta del bagno in faccia.
Pochi istanti dopo la sentì scoppiare a ridere dietro la porta e a sua volta non riuscì a trattenere un sorriso.
“Ahahaha! Sei forte, ragazzina, mi piaci!”
 
 
 
Angolo della pazza
Hellooooo!! Is it me you’re lookin’ for?
Ok chiedo scusa, ma sono esattamente le 2.33 di mattina, mentre sto scrivendo ciò.
Siate comprensivi, già faccio fatica da sveglia..
Questo capitolo doveva essere diverso all’inizio, ma poi come sapete, ho perso il file originale e l’ho dovuto riscrivere, e a volte le storie prendono direzioni inaspettate e quello che doveva essere un capitolo dedicato al risveglio, si è trasformato in un lungo flashback di Santana..
È che la storia mi sembrava incompleta, dovevo dirvi quale era stata la prima impressione che la nostra chica latina aveva avuto sulla mia Rain, no?!
Spero abbiate colto il riferimento all’episodio 2x12.. se così non fosse, che aspettate? Correte a vedervelo :D
 
Risposta all’indovinello dell’introduzione:
il gruppo preferito di Rain sono i mitici Queen.
Dai, era facile, non ditemi che non ci eravate arrivati.
 
Bene vedremo cosa il mio PC sputerà fuori nel prossimo capitolo.
Grazie di aver letto, grazie a chi mi ha lasciato due paroline per i capitoli precedenti, grazie se ne vorrete lasciare due per questo.
E GRAZIE MILLE alla mia fratellina adorata che ha la pazienza di sopportare le mie paturnie e legge in anticipo.
Hasta luego!!
>.< 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: WilKia