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Autore: elans    28/07/2011    1 recensioni
La Dama Grigia è ormai quasi un fantasma. Nessuno sa a che pensa, dove guarda, cosa vede. Ma tutti intimamente tremiamo al pensiero di cosa può averle tolto la vita, Ofelia mancata alla morte, troppo stanca per annegare: il suo amato le ha parlato dell'aspra libertà, che incendia ciò che tocca e gela chi non l'ha, che aspetta un passo prima della felicità.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cielo! Amore! Libertà! Che sogno, mia povera folle!
Tu ti scioglievi a lui come neve al sole:
grandi visioni ti strozzavan la parola
- Smarrì il terribile infinito il tuo occhio viola!
Arthur Rimbaud, Ofelia

 
 Ma insomma, chi è dunque lei che a volte la mattina appare, e va per strada e tace?
Lei è la dama grigia. Cammina per strada come un’ombra la mattina, a volte si volta, ti guarda e non ti vede, ti vede e non ti parla. È fredda come un fiore dalla neve cristallizzato, troppo perfetta per essere bella, bellezza depravata da un gelo inusitato, immagine di un pianto indicibile e di un rimorso mai colmato.
Un tempo era così dolce e spensierata che gli steli dei fiori si chinavano quando passava. C’era chi diceva che sua madre fosse un cigno una ninfa una dea, perché madre non ne aveva.
Quel che è certo è che un giorno trovò un uomo, e se ne innamorò. Quando si seppe, tutto il paese si domandò chi fosse mai riuscito a prendere il suo cuore. È un principe, dissero. È un mago, che le ha dato un filtro d’amore. È un avventuriero che la irretisce con le sue storie. Non è un mortale. Forse lo incontrò per strada, mentre correva con il suo cavallo nero attraverso i campi colorati; o forse nel laghetto dove si tuffava, vestita di luce, per riemergere con i capelli bagnati e gli occhi due ninfee; o forse al piccolo cimitero del paese, dove andava a piedi nudi a lasciare un fiore su ogni tomba: nessuno di loro è mia madre, diceva, allora lo sono tutti. Lui le parlava del mare immenso che rende tutto possibile, di praterie inondate di luce, di tramonti rossi come se il sole stesso si fosse pugnalato, di montagne, savane, isole esotiche piene di indigeni dalle collane di fiori e i gonnellini di palme.
Se ne innamorò e dovette lavare e lavare il suo vestito bianco perché delle macchie rosse non restasse traccia. Ma le macchie non se ne andarono mai del tutto, neanche quando il suo amato se ne andò, un giorno all’alba, e tutti noi vedemmo solo la sua schiena  scomparire nella nebbia.
Quella mattina lei non era tra noi (non lo era stata mai). Quando uscì di casa quasi non la riconoscemmo, e quando la riconoscemmo non trovammo le parole per dirle: ma lei sapeva già, era evidente, sapeva certo molto più di noi, e quel che sapeva non ce lo disse mai. Qualcosa di orribilmente irrimediabilmente maligno aveva spento la luce nei suoi occhi, torto il suo sorriso, incurvato le sue spalle.
La Dama Grigia è ormai quasi un fantasma. Il dolore ha assorbito tutta la sua carne, si è mangiato la sua voce, ha sparato sul suo cuore. È bianca e gelida come un fiore cristallizzato nella neve. Nessuno sa a che pensa, dove guarda, cosa vede. Ma tutti, nelle due strade di quest’angusta minuscola città da cui è impossibile staccarsi e fuggire e pensare, intimamente tremiamo al pensiero di cosa può averle tolto la vita, Ofelia mancata alla morte, troppo stanca per annegare, e che potrebbe toglierla a noi, se solo osassimo cedere, lasciarci trascinare: il suo amato le ha parlato dell’aspra libertà, che incendia ciò che tocca e congela chi non l’ha, che aspetta un passo prima della felicità.
   
 
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