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Autore: thefung    28/07/2011    2 recensioni
Storia a 4 mani scritta da me e mia sorella per tutte le amanti di Suspian come noi. Cosa succederebbe se Aslan desse una possibilità a Caspian? Se fosse lui a ricevere la tanto attesa chiamata e ad entrare nel mondo degli umani, per raggiungere Susan? Tutto si aggiusterebbe, certo, vivrebbero la loro storia felici e contenti, tornando anche a Narnia magari. Purtroppo però la Strega Bianca ancora una volta è in agguato e proprio mentre Caspian arriva nel nuovo mondo perde d'un tratto la memoria. Non si ricorda di Narnia, di Susan, di Aslan... nulla. Cosa faranno allora i nostri eroi? Cosa succederà? Riusciranno a coronare il loro amore una volta per tutte? Per scoprirlo, non vi resta che leggere!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 17: Need
 
 
POV Peter
“Avanti  il prossimo! Veloci, mettetevi in fila, ordinati! Su, su!”
Le urla dei sergenti che si occupavano della distribuzione del cibo mi costrinsero a voltare la testa, appoggiata sul sottile cuscino di cotone.
Odiavo i cuscini cuciti in quel modo, non riuscivano a conciliarmi il sonno.
Avrei dato qualsiasi cosa per avere uno di quei bei cuscini colorati, magari rosso, il mio colore preferito, uno di quei soffici cuscini di lana che amavo stritolare e abbracciare durante la notte.  Prima, forse.
Prima, quando ancora non riuscivo a comprendere appieno cosa fosse veramente importante nella vita e cosa rappresentasse, invece, solo un bene fugace, effimero, un bene destinato a diventare polvere e a disperdersi nella mia memoria.
Prima, mi sarei lamentato con il comandante per quella scomoda sistemazione, per quei cuscini ridicoli, per la totale mancanza di organizzazione nella gestione di una tanto delicata e complessa situazione. Prima, mi sarei comportato in modo diverso.
Si cambia nella vita, e avrei dovuto saperlo bene.
Io stesso ero cambiato più volte e in modo radicale.
Ma, in quel momento, non avrei voluto cambiare ancora.
Non così.
Non in quel modo, non dopo quello.
Oh sì, non riuscivo nemmeno a nominarlo, il terribile evento che mi aveva strappato via la mia sorellina.
La mia sorellina.
Una delle persone più preziose che il mondo mi aveva regalato. E io l’avevo persa.
Per sempre.
E non avevo fatto nulla, non avevo fatto nulla per impedire che ciò non succedesse.
Avevo semplicemente affidato il compito di ritrovarla ai soldati, coloro che erano incaricati di portare in salvo gli eventuali superstiti. E avevo sbagliato, ancora una volta.
Non avrei mai dovuto lasciarla. Nemmeno un minuto. Avrei dovuto tenerla sempre accanto a me, il suo esile corpicino che cercava sempre protezione nel mio, robusto e possente, la sua mano piccola e morbida come una pesca intrappolata nella mia, dalla presa ferma e forte.
Non avrei mai potuto farcela, non avrei potuto sopravvivere con quei ricordi che mi assalivano come un esercito all’attacco ogni volta che mi perdevo a riflettere.
Qualcosa di bagnato rigò come una dolce carezza la mia mano. Sapevo da dove proveniva, anche se mi ostinavo a non crederci.
E immaginavo solo che si trattasse di una lacrima della mia piccola Lucy, che era finalmente tornata a casa, da Susan, da Edmund, da me.
Quante volte era corsa tra le mie braccia, per sfogarsi e per piangere? Quante volte mi aveva abbracciato solo per il semplice motivo che voleva condividere con me la sua tristezza, la sua rabbia, la sua gioia?
Non sarei potuto sopravvivere senza quei piccoli gesti quotidiani, nemmeno per un attimo.
Di questo ne ero sicuro.
Caspian ci predicava continuamente di avere speranza nel futuro, che Lucy sarebbe rimasta sempre nel nostro cuore e dovevamo essere felici per questo.
Io avrei voluto sputargli in un occhio, ma mi limitavo a ridergli in faccia e a dargli le spalle. Lui non poteva capire.
Si assurgeva ad esperto “so tutto io”, credeva di essere un maestro di vita, sì, ecco di cosa era convinto. Che le sue parole sarebbero bastate a risollevarci dopo un così tremendo colpo che ci aveva dilaniato il cuore.
Illuso.
Una seconda goccia salata percorse con una lentezza esasperante la guancia, dolorosa come una lama di metallo ardente che viene passata sulla pelle.
Una lacrima dettata dalla rabbia, quella volta. E dalla perdita di speranza.
In quel momento, mi venne in mente il nome che mi era stato affibbiato al momento dell’incoronazione - sembravano passati secoli da quel memorabile evento.
Il Magnifico.
Provai improvvisamente ribrezzo per quel titolo che in passato avevo tanto amato.
Il Magnifico.
Mi vergognavo di me stesso.
Percepivo una nausea ripugnante verso il mondo che mi circondava.
Avrei voluto ritirarmi, andare lontano, lontano da Londra, lontano da Narnia, lontano da tutti.
Fuggire, ma da solo.
Anche se sapevo che sarei soltanto stato
Avevo ribrezzo per me stesso.
Passai in modo del tutto distratto e casuale la mano sotto il cuscino, sperando con quel gesto di ritornare all’abituale posizione in cui mi addormentavo, molto tempo prima.
Nell’atto di sistemarmi meglio, però, la mia mano venne a contatto con una sottilissima superficie, fredda e leggermente rugosa.
Le mie dita erano intorpidite dall’estrema inattività di quei giorni e dalla stanchezza fisica e psicologica che avevano seguito il terremoto, perciò, soltanto a fatica riuscii a portare davanti ai miei occhi quello che avevo l’impressione fosse un semplice foglietto di carta.
Sbattei pianissimo le palpebre, mentre la mano era ancora intenta a recuperare il misterioso oggetto. Con apatia mi costrinsi ad aprirli definitivamente mentre sollevavo il busto dalla brandina, poggiando i gomiti sul mal ridotto materasso, il foglietto dalle piccole dimensioni finalmente collocato distrattamente sul guanciale, tutto sgualcito.
Per il Magnifico
In un raptus, lette quelle tre parole finemente vergate sullo sporco pezzo di carta, afferrai con un urlo simile ad un grido di battaglia quell’insulso foglietto, cercando di allontanarlo il più possibile da me.
Il mio gesto di evidente rabbia – rabbia, rancore che erano esplosi come una bomba in quell’acuta esclamazione – catturò l’attenzione di alcuni soldati, che si premurarono di accertarsi delle mie condizioni mentali, imponendomi di mantenere un atteggiamento dignitoso e soprattutto di restare calmo.
A fatica riuscii a tenere a bada lo spirito guerriero che si dibatteva dentro di me. Avrei voluto scaraventarmi addosso a quegli uomini in divisa, scaricare tutta la tensione che era arrivata a livelli inauditi e liberarmi di quel macigno insopportabile che mi impediva di vivere. Stavo per andare ad affrontare quegli uomini che avevano avuto la malsana idea di parlarmi anche soltanto per un attimo, certo che non sarei riuscito a mantenere nemmeno un briciolo di controllo, quando un guizzo improvviso, una sinapsi nervosa nel mio cervello mi impose di concentrare la mia attenzione su altro, piuttosto che su una lotta corpo a corpo con quei sergenti.
Nel foglietto c’era scritto “Magnifico”.
Solo a Narnia venivo chiamato così.
Mi alzai bruscamente dal letto, sotto gli sguardi di Caspian e Edmund, che si scambiavano occhiate cariche di perplessità e preoccupazione per il mio comportamento alquanto… strambo.
“Dov’è?!” domandai, il tono di voce non troppo moderato.
Il volto di Edmund mi si parò davanti interrogativo, gli occhi, quegli occhi marroni grandi e profondi, che mi ordinavano di stare calmo. Era a dir poco impressionante quanto quei pozzi scuri fossero espressivi. 
Lo scansai non troppo gentilmente, proseguendo. Aveva pur ragione, ma io dovevo trovare quel biglietto.
Per fortuna, il fatto che si trattasse di un misero pezzo di carta giocò in mio favore: era leggero, non poteva essere andato troppo lontano in quella manciata di secondi.
Lo ritrovai, infatti, a pochi centimetri dal letto di Caspian, la parte che dava all’esterno recante la scritta che mi aveva tanto alterato. Lo afferrai con foga, aprendolo velocemente, una bramosia di conoscerne il contenuto che mi pervadeva corpo e anima.
Non impiegai che pochi istanti per divorare le semplici righe che vi si trovavano vergate, ma mi ci volle molto più tempo per comprendere appieno il messaggio che volevano comunicarmi.
Mi sedetti con molta più calma sulla brandina di Caspian, un’espressione perplessa e sconvolta dipinta sul volto.
Non …
“Peter, si può sapere che succede?”, il tono di Edmund era molto scocciato quando mi pose quella domanda.
“Leggi” dissi semplicemente, senza guardarlo negli occhi, mentre il mio sguardo vacuo rimaneva focalizzato su un punto indefinito.
Intercorsero dei secondi di silenzio che mi parvero interminabili, ma alla fine mi decisi ad incrociare gli occhi marroni di Edmund, e mi sentii invaso da un attimo di sollievo quando lessi nel suo sguardo lo stesso sbigottimento e la stessa paura che, contemporaneamente, mi attanagliavano come un animale in gabbia.
Solo in quell’istante mi resi conto di un’altra presenza che osservava la scena.
Il predicatore ci squadrava interrogativo, studiando le occhiate che scambiavo con mio fratello e provando a comprendere un minimo di quanto stava succedendo. Doveva aver capito che la reazione che avevo avuto era legata a quel foglietto sgualcito, perché il suo sguardo si soffermava prevalentemente su di esso, ancora tra le mani di Edmund.
Nessuno si decideva ad aprir bocca, finché finalmente mio fratello prese parola, intento a rivelare a Caspian quanto appena letto.
“Questo foglietto… “ esordì, voltandosi a cercare i miei occhi. Annuii, incitandolo a proseguire.
“In questo foglietto…”, ripeté, “c’è scritto che Lucy, Lucy… “ la voce del Pevensie si era incrinata non appena aveva pronunciato quel nome.
“.. Lucy?” lo spronò il Re di Narnia, impaziente.
“… non è morta.” concluse Ed, tutto ad un fiato, terminando il discorso con il respiro ancora accelerato.
Caspian sbatté leggermente le palpebre, la bocca contorta in una smorfia indecifrabile. Era allibito, forse. O, semplicemente, stentava a credere a quanto aveva appena udito.
“Chiede anche se siamo disposti a tutto pur di riaverla e, in caso di risposta affermativa, di seguire il segnale che ci condurrà da lei. “ aggiunsi, mentre mi passavo la mano destra fra i capelli, per poi riappoggiarla sulle ginocchia, in meditazione.
Il moro questa volta cominciò ad annuire distrattamente, la sua mente visibilmente persa in altri pensieri.
“E’firmato? Il foglietto, intendo… “ domandò, sedendosi anche lui sulla brandina opposta alla mia.
“No, ovviamente”, gli risposi, passandogli il biglietto affinché potesse leggerlo con i suoi occhi.
Misi nuovamente la testa fra le mani, sospirando pesantemente e cercando di mettere luce sulla situazione molto, molto complicata.
Che fare?Fu la domanda che mi balenò in testa dopo aver atteso qualche istante.
Crederci? Non crederci?
Forse Lucy era un ostaggio …
Forse ciò che stava succedendo aveva a che fare con la Strega Bianca …  
Magari … magari non era vero, forse si trattava solo di un espediente per catturare la nostra attenzione e portarci da lei.
Sospirai pesantemente per l’ennesima volta, chiudendo gli occhi.
L’autore del messaggio chiedeva se fossimo disposti a fare qualsiasi cosa pur di riaverla.
I ricordi legati a Lucy riaffiorarono ancora una volta alla mente: la sua risata cristallina, i suoi occhi vispi e vivaci, il suo amabile sorriso, la sua dolcezza e la sua ilarità.
Avrei potuto riaverli.
Dovevo riaverli.
Avevo detto che sarei tornato indietro pur di salvarla. Avevo detto a me stesso che avrei dato la mia anima per avere una seconda possibilità.
Non sapevo se fosse vero o no, non sapevo se quanto leggevo fosse la verità o meno. Sapevo solo che valeva la pena rischiare, per una causa simile.
Mi alzai dalla brandina in modo composto e solenne.
Sapevo cosa dovevo fare.
Lucy, sto arrivando.
 
POV SUSAN
 
“NO!”
“Susan, ma senti quello che stai dicendo? Ti stai rifiutando di andare in soccorso a tua sorella, a Lucy!”
Chiusi gli occhi, la voce infervorata di Peter che mi ronzava ancora nelle orecchie.
“Peter, la smetti di comportarti come un bambino? Lo vuoi capire che è impossibile o no?”, mi premurai di scandire bene la terz’ultima parola, affinché il concetto gli risultasse più chiaro.
Non- era- possibile. Non c’era altro da aggiungere.
Mi sedetti nuovamente sulla brandina dove stavo giacendo mezza assopita prima che il trio mi svegliasse per comunicarmi quanto avevano appena appreso.
Non si aspettavano che avrei avuto una reazione tanto decisa, forse. Non si immaginavano che non avrei creduto alla possibilità di salvare Lucy. Erano convinti che sarei stata perplessa, così come era successo a loro, ma erano sicuri, erano certi che avrei subito riconosciuto che si poteva fare.
E invece no.
Semplicemente perché era stato il comandante dei soldati a comunicarci della morte di Lucy. Semplicemente perché Lucy era davvero morta e semplicemente perché quel messaggio ambiguo e anonimo era uno stratagemma adottato da Jadis per farci cadere in trappola.
Non a caso lo aveva indirizzato a Peter. Quella strega malefica, infatti, era consapevole del fatto che per lui non ci sarebbero stati limiti pur di salvare la sua sorellina. Sapeva che lui non avrebbe esitato a sacrificarsi per lei.
“Susan” esordì il Magnifico, gli occhi accesi che a stento trattenevano la rabbia che provava nei miei confronti.
“… è forse possibile che tu non voglia fare nulla per aiutare tua sorella? Per riportarla da noi? Non ti sei forse resa conto che se non interveniamo non ci sarà mai più? O forse la cosa non ti rattrista abbastanza? Preferisci rimanere qui comoda comoda fra le braccia del tua amato, certamente, ma io no!” sbottò.
Avrei giurato che vi erano fiamme di fuoco nei suoi occhi mentre mi rivolgeva quelle parole con quel tono sprezzante, parole che mi si conficcarono nel cuore con la forza di una spada affilata.
E quando qualcosa di così doloroso distrugge il cuore, non si può far altro che riversare tutta la sofferenza nel pianto. Lacrime furono infatti quelle che iniziarono a sgorgare dai miei occhi, scivolando copiose sulle guance, mentre guardavo Peter riprendere un minimo di autocontrollo.
“Io le voglio un bene che nemmeno immagini e non hai idea di quanto abbia sofferto, tu non lo puoi sapere!” urlai, prima di correre via, lontano da mio fratello.
“Lasciami stare!” gridai poi a Edmund, che cercò invano di trattenermi.
Sapevo che non era un comportamento da persona matura, quello di prorompere in lacrime e di evitare di affrontare la questione faccia a faccia con il mio avversario, tuttavia le parole di Peter erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Dopo il breve sfogo che aveva immediatamente seguito la notizia riportataci da Peter, non avevo versato più una lacrima.
Ma avevo pianto tutto il tempo dentro di me, ritirata in un silenzio tombale e nella solitudine più totale.
Rifiutavo qualsiasi contatto umano, il cibo, stentavo a dormire.
Volevo soltanto essere lasciata da sola, a pensare.  
Peter era convinto che per questo non soffrissi della perdita di Lu.
Non aveva nemmeno la minima idea del baratro di angoscia e rancore in cui il mio cuore stava sprofondando in quei giorni così strazianti.
Non poteva lontanamente immaginare come si stava logorando quell’organo pulsante, come una roccia erosa in continuazione dal mare.
In quel momento, non ero riuscita più a trattenermi, non ero stata capace di rinchiudere il dolore atroce soltanto dentro di me: avevo avuto bisogno di sfogarmi, di piangere.
Rannicchiata in un angolo come un cucciolo abbandonato, che però rifiuta di essere adottato e aiutato dagli umani, le ginocchia al petto e i capelli che mi coprivano il viso, piangevo senza contegno, piangevo singhiozzi carichi di dolore e di sofferenza, piangevo perché, alla fine, mi ero reso conta che tutti dovessero sapere, tutti dovessero prendere parte al mio lutto.
“Susan”
Riuscii a sentire quel mormorio nonostante i gemiti e i singulti: ero ormai abituata a sentire quel nome nell’ultima settimana, quando ogni singola mattina Caspian mi chiamava e cercava di consolarmi, sperando di potermi recare un minimo conforto. L’avevo sempre rifiutato.
Ma quella volta il sussurro proveniva da una persona diversa. E anche questa la conoscevo bene.
“Ed” sbiascicai piangendo, decisa a non osservare negli occhi il mio interlocutore.
Sentii la sua mano passare dolcemente fra i miei capelli, partendo dalla nuca fino ad arrivare alle ciocche umide che mi coprivano il volto. Mio fratello si premurò, posizionatosi davanti a me, di scostarle una per una, per poi sollevarmi il mento, affinché lo potessi guardare negli occhi.
Inizialmente, mi sottrassi a quel contatto, ma quando Edmund con più fermezza prese nuovamente il mio volto fra le mani, sapevo che non sarei potuta più sfuggirgli.
“So come ti senti, credimi”, incominciò, con un tono di voce conciliante e melodioso, che raramente aveva usato. A pensarci bene, aveva uno splendido timbro di voce quando voleva.
“Sì, ma Peter no.” , brontolai come una bambina, una smorfia infantile sulle labbra che fece sorridere il ragazzo.
“Lo capirà, ha solo bisogno dei suoi tempi, dovresti saperlo ormai…”, sembrava quasi un rimprovero la sua affermazione, ed ero pronta per ribattergli qualcosa, ma Ed era chiaramente propenso a proseguire senza alcuna sosta la sua arringa.
“Tornando a noi due. Susan, io so che in questi giorni tu hai sofferto molto, moltissimo, anche se magari non l’hai voluto dare a vedere. Ma sono certo, certissimo che ti sei logorata dentro e che forse questo è stato anche peggio… Però non posso che comprenderti perfettamente, perché anche io ho fatto così… Ma adesso, Sue”, proseguì convinto, prima di fare una breve pausa giusto per assicurarsi che lo stessi guardando bene negli occhi. “… Sue, forse hai ragione a sostenere che è una trappola di Jadis, ma… Secondo me vale la pena provarci. Tentiamo, cerchiamo. Magari verremo catturati anche noi e finiremo come ostaggi di quella malefica creatura, però almeno non ci saremo arresi davanti all’ostacolo che ci si era presentato davanti. Susan, lo dobbiamo fare per Lucy.”, concluse.
Riuscii a notare che aveva gli occhi leggermente umidi mentre pronunciava questo toccante discorso ed anche io smisi di singhiozzare, lasciando il posto, invece, a delle lacrime dettate dalla commozione e dalla consapevolezza che non dovevamo perdere così la speranza. Lucy non avrebbe voluto che lo facessimo, ed era giusto che rischiassimo per lei. Edmund aveva ragione, dovevamo solo provare.
Dopo qualche minuto di silenzio, presi ad annuire, mentre un timido sorriso faceva capolino sulle mie labbra, come un piccolo bucaneve che spunta sotto la soffice neve, il primo dopo un lungo periodo di buio totale e di sofferenza. Un flebile sorriso che però testimoniava che, in fondo, la fiammella di speranza non si era del tutto spenta.
Edmund sorrise a sua volta, visibilmente felice e sollevato di essere riuscito a smuovere la mia scorza gelida e a farmi aprire in un – seppur timido – sorriso. Aprì la sua mano, prima stretta in pugno, e la allungò dolcemente verso la mia, con fare paterno e protettivo.
Non potei fare a meno che accettare quella mano che sembrava rassicurante e una volta che i nostri due palmi furono vicini, mi gettai in un caloroso abbraccio verso Ed, che, stranamente, non si oppose al mio scambio di affetto.
Restammo in quella posizione per diversi minuti, non avevo alcuna intenzione di lasciare la presa di mio fratello – sapeva essere tanto protettivo quando voleva! Alla fine, però, fu lui a staccarsi da me, facendomi capire che era ora di andare.
Avevamo una missione da portare a termine.
 
 
***
 
L’idea di corrompere il sergente per farci evadere dal campo dove eravamo sistemati non mi piaceva proprio, ma, a detta di Peter, era l’unico modo che ci avrebbe permesso di farci scappare senza essere troppo notati. Nemmeno Caspian, a dirla tutta, era entusiasta, ma solo il fatto che avesse mostrato un’espressione perplessa e non del tutto convinta a mio fratello per esprimere il suo punto di vista non del tutto favorevole mi aveva in qualche modo fatto piacere.
Era già la seconda volta in meno di due settimane che mi comportavo male con lui ed ero in qualche modo sollevata che non fosse ancora tanto arrabbiato con me… certo, da quando ero ritornata accanto ad Edmund non mi aveva rivolto la parola, ma riuscivo a capirlo. Aveva tutte le ragioni del mondo per aver agito in quel modo.
Con riluttanza, alla fine, ho dovuto cedere – non avevo nemmeno molta intenzione di rimettermi a litigare con Peter, che, comunque, non mi aveva ancora del tutto perdonata per il mio atteggiamento che avevo avuto nei suoi confronti – e sono partita alla volta di un alto sergente baffuto che si trovava proprio di fronte all’ingresso, per sorvegliare che nessuno dei superstiti vi uscisse. “E’un ordine del Ministro” aveva sostenuto, quando la prima volta Caspian era andato a interrogarlo sulla remota – lui l’aveva presentata così – possibilità di uscire da quel campo.
Mi sistemai il meglio che riuscii, anche se non ero affatto convinta del risultato che avrei ottenuto: non mangiavo da diversi giorni, né dormivo. Ero molto sciupata e le occhiaie mi solcavano in modo evidente il viso, ed anche i miei occhi avevano risentito della sofferenza di quei giorni: erano di un grigio- azzurro più spento del solito, la luce che emanavano profondamente diversa da quella che – ne ero certa- veniva profusa quando ero allegra e gioiosa. Ma in quella settimana non potevo esserlo.
Proseguii a passi sicuri verso l’entrata, che non era nemmeno molto lontana da dove le nostre brandine erano state collocate dal giorno dell’arrivo.
Con aria indifferente, presi a passeggiare nulla facente in quella zona e non appena mi capitò di  incrociare, poco distante da lui, gli occhi di un giallo ocra vivo dell’uomo in divisa, gli rivolsi un sorriso malizioso, che, da quanto mi sembrava, lui aveva colto perfettamente.
Tuttavia, come secondo i piani, non avevo intenzione di abbordare da subito un colloquio con lui e pertanto continuai a girovagare senza meta nelle vicinanze, fin quando fui costretta dalle circostanze  - del tutto fortuite, ovviamente – a ripassargli davanti. Questa volta, senza che me lo aspettassi, ad essere sincera, fu lui ad iniziare il discorso, chiedendomi se ero in cerca di qualcosa.
“Oh, io? “ domandai fintamente sorpresa, cercando di assumere un’espressione più verosimile possibile.
“Sì, lei, signorina”, mi rispose, un luccichio compromettente che gli balenò negli occhi.
“Oh… no, io ero qui solo per prendere un po’di aria. Sa, è dura stare tutto il giorno seduti a non far nulla… Scommetto che anche lei può capirmi, non è vero colonnello?”
Non avevo idea se si trattasse veramente di un colonnello o meno, ma avevo l’impressione che se fosse stato chiamato con questo appellativo non gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto. Non mi sbagliavo.
“Oh, no, non sono un colonnello io… Beh, in ogni caso, la posso capire benissimo, signorina” replicò. Il timbro di voce con cui scandiva l’ultima parola cominciava a preoccuparmi leggermente. Il mio intento doveva essere sì quello di attirare la sua attenzione e il suo interesse, ma… speravo con tutto il mio cuore che questo obiettivo non venisse raggiunto appieno.
Sfoderai un sorriso di circostanza, conscia che il nominativo che gli avevo affibbiato era stato gradito e riflettei sulla mossa a cui mi sarei aggrappata successivamente.
Ancora una volta, l’uomo dai folti baffi di color mogano mi precedette, chiedendomi stavolta sulla mia permanenza in quel luogo.
Risposi molto vaga, senza cadere nei particolari e fingendo che, nonostante tutto, mi trovassi abbastanza bene; non avrei potuto certo sostenere che il soggiorno stava procedendo malissimo, altrimenti avrebbe potuto iniziare a sospettare della nostra conversazione.
Il sergente sorrise e mi sembrò anche che stesse abbordando anche un ammiccamento, mal riuscito, però.
Proprio poco dopo che il mio battito cardiaco si fece più accelerato, alla luce della situazione che si stava aggravando rispetto a quanto previsto, udii chiaramente il segnale di “attacco” che avevo concordato con Peter, Edmund e Caspian prima che entrassi in azione.
Tre stranuti consecutivi, questo era l’implicito segno che doveva entrare in gioco la fase due del piano, quella più pericolosa. Poi, i tre ragazzi avrebbero potuto uscire più facilmente dal campo.
Iniziai a farmi aria con la mano, a simulare un’improvvisa mancanza di aria e un calo di pressione del tutto inaspettato.
“Temo di non sentirmi troppo bene”, dissi, fingendo di aver bisogno di un appoggio.
L’uomo colse immediatamente il segnale di allarme e si precipitò per reggermi, mettendomi una mano sotto la schiena cosicché fosse in grado di guardarmi in volto.
Ma a quel punto non riuscì più a tenere a freno il desiderio che, lo sospettavo, ribolliva dentro le sue vene dal primo momento che incrociai il suo sguardo ambiguo, e con un gesto fulmineo posò le sue labbra sudice sulle mie, iniziando a baciarmi con foga e passione.
Non poteva esserci paragone rispetto all’ultimo bacio che avevo avuto: ricordavo ancora perfettamente quanto dolce e romantico era stato, e nella mia mente era ancora gelosamente custodito il profumo di Caspian, che mi aveva avvolto e inebriato non appena le nostre labbra erano entrate in contatto. Un profumo totalmente diverso da quello che riuscivo a percepire in quel momento, un odore di alcol e di fumo per cui provavo ribrezzo e che faceva accrescere in me, ogni istante che trascorreva, il desiderio di staccarmi il prima possibile da quell’uomo impudente.
Cercai quindi subito di sottrarmi alla sua presa, che mi teneva saldamente incollata al suo corpo muscoloso e robusto, ma era un uomo, lui, e anche visibilmente più forte di me, ed era perfettamente in grado di mantenermi ferma e impedire che mi liberassi da lui.
Stavo per impazzire.
Avrei voluto gridare, invocare aiuto, ma non riuscivo nemmeno a respirare tanto il sergente mi stava attaccato.
Presi a tirargli calci sulle gambe, perché provasse dolore e si allontanasse da me, tuttavia quella non si rivelò affatto una buona idea, dal momento che l’uomo, per tenermi ferma, iniziò a toccarmi le gambe, con sempre più avidità e bramosia.
Stavo per impazzire.
Continuavo a chiedermi come facesse nessuno ad accorgersi di quanto stava succedendo, e il pensiero che tutti i presenti avrebbero seguito a far finta di nulla mi fece iniziare a scendere alcune  lacrime.
L’unica cosa che desideravo in quel momento era che quella tortura finisse il prima possibile. Volevo solo che si staccasse da me, che allontanasse quelle mani sporche e sudate dal mio collo, che ritirasse la sua bocca avida dalle mie labbra.
Volevo solo quello.
Mi faceva male, quell’uomo, stava iniziando a strapparmi i capelli, tanto era incontenibile il suo desiderio, stava…
“Lasciala stare, brutto verme schifoso!”
Grazie al cielo.
Grazie al cielo.
Grazie al cielo.
Riuscivo a ripetermi solo quelle tre parole, tanto ero sollevata.
Non mi resi conto di come Ed, Pet e Caspian riuscirono a liberarmi da quel essere spregevole, fatto sta che in una manciata di secondi mi ritrovai a correre come una pazza mano nella mano con Caspian, che mi conduceva fuori dal campo, preceduto dal Giusto e dal Magnifico.
“Corri, Susan, corri!”, mi incitava il Re di Narnia, voltandosi dietro con aria sempre più preoccupata.
Solo in quell’istante, girandomi anche io per constatare cosa ci fosse dietro di noi, mi resi conto che eravamo inseguiti da almeno dodici soldati, armati di spranghe e fucili, che ci rincorrevano per bloccare la nostra fuga.
Accelerai il mio passo, nonostante le mie energie fossero già scarse dopo l’aggressione di pochi minuti prima, facendomi guidare da Caspian, il cui tocco, delicato e deciso allo stesso tempo, era un balsamo per la mia mano.
“Il segnale, Peter! Il segnale” urlò Edmund a squarciagola, indicando un punto dal quale proveniva una strana luce tendente al verde. Era un luccichio che aveva l’aria di essere magia e, non sapevo spiegarmi il perché, mi affascinava terribilmente.
Peter fu quindi costretto a cambiare improvvisamente rotta, dirigendosi sempre in corsa verso St. James park, da dove proveniva la fonte luminosa.
Quel repentino cambiamento di direzione lasciò un attimo perplessi i soldati, che tuttavia non demorsero e proseguirono il loro furioso inseguimento.
Decisi di raccogliere tutte le mie energie per uno scatto - dovevamo riuscire a distanziarli e a fare in modo che perdessero le nostre tracce -  e lo stesso fecero anche i miei fratelli e Caspian.
Stavamo procedendo ad una notevole velocità e riuscimmo in pochi istanti a raggiungere l’enorme parco, nonostante il fiato cortissimo e il cuore che pulsava nel nostro petto all’impazzata, ma all’improvviso il segnale si spense: non potevamo interrompere la nostra corsa così improvvisamente, quindi il Magnifico optò per continuare l’irrefrenabile lotta contro il tempo e addentrarsi tra gli alberi di St. James park.
Tutti davamo chiari segni di cedimento, ma nessuno osava interrompere la corsa, fino a quando Edmund iniziò a rallentare, sotto un eloquente sguardo di rimprovero di Peter, che lo esortava chiaramente a non fermarsi.
Ma mio fratello non diede segno di voler seguire l’implicito ma ben chiaro ordine del maggiore, si fermò del tutto e ci invitò ad osservare il paesaggio che ci circondava.
“Non mi ricordavo che ci fossero querce secolari nel parco… “
Edmund aveva ragione.
Ci soffermammo anche noi a guardare la vegetazione circostante.
Non eravamo più nel parco.
Eravamo  in una… foresta.
 
 
 
Angolo delle autrici
Scusate.
Scusate.
Scusate.
Scusate.
Dovremmo scrivervelo cento mila volte, scusate.
Scusate dal profondo del cuore, per tutti questi mesi di attesa.
Davvero, siamo veramente dispiaciute, ma non siamo riuscite ad aggiornare prima. Ci abbiamo provato, credeteci, ma questo è stato un periodo particolare, in cui purtroppo anche l’ispirazione è venuta a mancare.
Ma adesso ci siamo decise finalmente a pubblicare….
Non spendiamo molto tempo a commentare questo capitolo, anche perché siamo molto di fretta stasera, ma vi diciamo soltanto che purtroppo non potremo rispondervi alle recensioni abbastanza presto. Ma vi promettiamo che appena avremo nuovamente il computer, vi risponderemo immediatamente!
Vi ringraziamo tutte di cuore, per continuare a seguirci e a leggere la nostra fic nonostante tutto. Grazie veramente, e scusateci ancora, di tutto.
Un bacione grandissimo e buone vacanze a tutte!
Fede e Ele  
   
 
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