L’aria tiepida del mattino mi accarezzava dolcemente il viso, mentre io, sola e inerme, giacevo a terra stesa sulla sabbia
aspettando che qualche essere umano riuscisse ad accorgersi della mia presenza tra quei cespugli e quelle erbacce in cui mi
avevano gettata, dopo essersi divertiti con il mio corpo fragile e spaventato.
E poi compiaciuti di ciò che avevano appena fatto decisero di lasciarmi lì, sulla sabbia, coperta dal nulla.
Tremavo a causa del freddo e i miei denti battevano a contatto con il vento salmastro proveniente da chissà dove.
Non sentivo più nulla, il mio corpo era soltanto un groviglio di ossa e muscoli, ma non sentivo più né il cuore pulsare né il
sangue, gelido, scorrermi nelle vene, credevo di essere morta.
Speravo di essere morta.
Speravo che quella fosse solo la parte iniziale di una vita migliore, speravo che tutto ciò fosse soltanto un’altra prova da
affrontare, una prova che avrei superato pur di sapere che al di là della sabbia e delle onde che si infrangevano a causa della
corrente contro gli scogli, mi attendeva un mondo perfetto in cui alcune cose, quelle cose che erano capitate anche a me, non
accadevano.
Era questa la mia convinzione, una convinzione, mi accorsi di lì a poco, del tutto errata.
Il dolore era insopportabile, ma ancor più insopportabili erano i garriti dei gabbiani che risuonavano imperturbabili nelle mie
orecchie, lasciando spazio poi ad un silenzio incredibilmente frastornante.
Non ricordavo esattamente cosa mi fosse accaduto, ricordavo soltanto che quattro figure forti e muscolose mi avevano gettata
in terra impedendomi di reagire in alcun modo.
Non li conoscevo, non li avevo mai visti prima, ma c’era qualcosa in uno di loro, qualcosa di strano che riconobbi dai sui
occhi: degli occhi chiari, splendidi, che stonavano completamente con quel corpo così imponente.
Avevo letto qualcosa nel suo sguardo, diverso da quello degli altri, dal modo in cui mi guardava avevo avuto l’impressione di
vedere per un singolo istante una scintilla di compassione, di dispiacere, di umiltà e di innocenza attraversare quegli occhi
tanto belli e magnetici quanto spietati.
Era come se le sue azioni non corrispondessero a quello che in realtà era il suo volere.
Ma ciò durò soltanto una frazione di secondo, poi tutto tornò come doveva tornare, tutto riprese la forma di una scena
macabra, ed io urlando, un po’ per la paura, un po’ per il dolore, rimasi lì ferma aspettando che si stancassero di giocare con
quel mio corpo ormai non più puro.
Avevo pensato molto prima di allora a come avrei voluto fosse la mia “prima volta”, avevo fantasticato, passando dalle
fantasie più banali a quelle meno usuali, ma c’era una cosa su cui non avevo avuto mai alcun dubbio: con chi avrei voluto
condividere quella mia prima esperienza, con chi avrei voluto fare l’amore per la prima volta.
Ed ora tutte le fantasie di una vita erano andate in fumo per colpa di quattro sciocchi ragazzi che quella maledetta sera non
avevano avuto altro svago se non me.
Era questo ciò a cui pensavo mentre loro erano occupati a tuffarsi come bestie sul mio corpo delicato.
Intanto ora piangendo aspettavo l’arrivo di qualcuno che mi aiutasse ad abbandonare quel luogo ormai colmo di ricordi
orrendi, strazianti, quando all’improvvisò udii una melodia a me familiare: “Summer has come and passed the innocent can
never last ,wake me up when September ends…”,erano i "Green Day" che cantavano la mia canzone preferita, la suoneria del
mio cellulare che mi riportava alla mente ricordi sereni e spensierati di momenti, di attimi, di ore ed ore trascorsi con lui.
Il cellulare continuava a squillare accanto a me ma non avevo la forza neppure per muovere il braccio e rispondere, riuscii
però, voltando lievemente il capo, a leggere il nome sul display: “Kevin”, era lui, mi stava cercando ed io egoista come
sempre pensai soltanto al mio dolore e non risposi.
Pensai a quanto potesse essere preoccupato per me ma non curante di ciò lasciai finire la canzone che risuonava nella mia
testa, e mentre osservavo le bottiglie vuote che quegli animali avevano lasciato a pochi metri di distanza dal mio corpo
malconcio, gli occhi si chiudevano senza che io riuscissi a controllarli, le palpebre desideravano soltanto chiudersi ed io non
avevo alcuna voglia di ostacolarle in quel momento, perciò decisi di cedere alla tentazione e mi addentrai in un sonno lungo e
profondo, stranamente il più bello e tranquillo di tutta la mia vita.