Mercoledì 26 Novembre
Salii le scale in fretta, facendo attenzione a non
versarmi addosso il caffé. Ines, dietro di me, arrancava addentando un panino.
«Poteva scendere lei.» brontolava ogni tanto. «Adesso ci tocca fare le scale
anche per scendere.»
Sbuffai ma non le risposi nemmeno. Ero felice di aver
finalmente chiarito la questione con le mie amiche. In parte quello che avevano
fatto mi bruciava ancora, ma conoscere il motivo del loro comportamento mi aveva
dato la voglia di passare oltre e lasciarmi quella storia alle spalle. E dentro
di me speravo che, dal momento che avevano chiesto aiuto a Gioele per riuscire
ad avvicinarmi, non si sarebbero dimenticate di lui. Forse gli avrebbe fatto
bene.
Quando arrivammo nella loro classe non c'era ancora nessuno.
«Hanno
avuto ginnastica.» spiegò Ines guardandomi. «Te l'avevo detto che era meglio se
aspettavamo che venisse lei.»
«Quanto sei pigra! Alla fine, sono solo due
scalini in croce...»
«Parla quella che prende il motorino anche per
attraversare la strada.»
Incassai il colpo e rimasi in silenzio.
«Cerchi
qualcuno?» mi domandò all'improvviso un ragazzo che non avevo mai visto prima,
appena entrato nella classe. Gettò a terra la borsa di ginnastica e si allungò
oltre a un banco per afferrare un pacchetto di cracker dalla cartella.
«Francesca.»
«E Gioele.» rincarò Ines.
«Ah, sì.» commentò lui alzando
le spalle. «Arrivano.»
Se ne andò, in fretta com'era venuto, e dopo poco
arrivarono anche, in effetti, Francesca e Gioele. Nonostante ci avessi sperato,
fui sorpresa di vedere che parlavano tra loro.
«Hai ragione,» stava dicendo
Francesca «ma non mi sembra comunque il caso... Ah, guarda chi c'è.»
s'interruppe quando ci vide. «Com'è che hai convinto Ines a fare le
scale?»
«E' stata dura.» replicai con un finto sospiro. «Come va?»
«Bene.»
rispose lei, mentre Gioele, che mi salutò con un breve sorriso, gli occhi bassi,
si limitò ad annuire. «Lo sai che Gabriele questa mattina ha chiamato Gioele a
casa?»
«Cosa?» esclamò Ines, facendosi avanti. «Ci prendi in giro?»
«E' la
verità.» sussurrò allora Gioele, guardandola per un secondo. «Questa mattina,
prima della scuola.»
«Che voleva?» gli chiesi, esterrefatta.
«Parlare con
me, credo.» mormorò lui in risposta, torcendosi le mani. «Ha risposto Nguyet.
Non ha voluto passarmelo... Ha detto... che vuole... incontrarmi.»
Tacque.
Credevo di capire di che cosa lo spaventasse. L'ultima volta che aveva
incontrato Gabriele era finita a cazzotti, e quello che ne era uscito peggio era
sicuramente lui. Immaginavo che non fosse così entusiasta di ripetere
l'esperienza. Tanto più che ora Gabriele doveva supporre che mi avesse detto
tutto, e, quindi, aveva un motivo in più per avercela con Gioele.
«Ma tu
pensa che tipo.» commentò Ines. «Uno che viene a rompere alla mattina presto per
questo... E tu» proseguì rivolgendosi a Gioele, che sembrava a disagio, in mezzo
a quelle attenzioni «che cosa hai intenzione di fare? Incontrarlo e
chiarire?»
Lui chinò ancora di più lo sguardo, rosso in volto.
«Io...»
sussurrò, e la sua voce era talmente bassa che tutte e tre dovemmo avvicinarci
per sentirlo. «Io... Non voglio vederlo di nuovo. L'ultima volta...» scrollò le
spalle e ci guardò. Quando incrociai il suo sguardo mi resi conto di quanto
fosse spaventato in realtà. Gli occhi erano lucidi di lacrime, ma sapevo
benissimo che non si sarebbe messo a piangere. «Io non sono un eroe.»
Nessuna
di noi tre parlò, quindi lui proseguì a bassa voce:
«Gabriele mi fa paura.
Non sono... non mi piace... fare a pugni. E non mi va di prenderle
ancora.»
«Be', non mi sembra così scema come considerazione.» commentò
Francesca. «Ma come ti ho detto prima, se non chiarisci con lui ti tormenterà in
continuazione.»
«Questo lo so.» mormorò Gioele, ma poi scrollò le spalle,
come a far intendere che, comunque, non aveva una soluzione.
«Lascia
perdere.» suggerii io, nello stesso momento in cui Ines esclamava:
«Certo che
dovrai incontrarlo!»
Ci guardammo, allibilite, ma lei fu più rapida di me nel
dare la propria giustificazione.
«Be', scusa, Gabriele è un idiota e non lo
lascerà mai in pace se non accetta di incontrarlo. Tanto vale che ci vada e che
si tolga il pensiero.»
«L'ultima volta è finita a pugni.» ribattei io
inarcando le sopracciglia.
«Verremo con te.» propose allora Ines guardando
Gioele, che ricambiò con uno sguardo spaurito. «Se proverà anche solo ad
avvicinarsi lo faremo a pezzi!» Battè con forza il pugno contro la mano e
annuì.
Gioele sembrò spaventato da quella possibilità, e si affrettò ad
alzare pacatamente le mani, con un sorriso sghembo sul volto e gli occhi che
brillavano di una strana luce.
«Non credo che sia il caso.» mormorò. «Io...
gli parlerò. Se volete venire... va bene. Ma niente violenza.»
«Non
ascoltarla, Gio'» intervenni io. «Non sei costretto.»
«No» ammise lui a bassa
voce «ma Ines ha... ragione. Devo... andare.»
Così andammo. Tutti e quattro, insieme. Gioele telefonò
a Gabriele e si misero d'accordo per incontrarsi fuori da scuola. Sapevo bene
che cosa significasse quella scelta, ma Gioele mi disse che non era importante.
Dubitava che l'avrebbero picchiato, se ci fossimo state anche noi. Io non ne ero
sicura, ma annuii.
Gabriele era già lì, e vedemmo da lontano che era solo.
«Forse è meglio se vado solo io.» mormorò Gioele in un soffio.
«Noi ti
aspettiamo qui, al bar.» annuì Ines. «Ma se hai bisogno di aiuto, vedi di tirare
fuori un po' di voce e metterti a urlare. Guarda che io faccio boxe, so come si
prende a pugni una persona.»
Gioele non rispose. Scrollò le spalle e si
diresse verso Gabriele. Io, senza consultarlo, lo seguii. Lui non disse nulla e
non si voltò nemmeno a guardarmi. Camminava lento, con le mani affondate nelle
tasche dei jeans chiari e il giubbotto nero aperto. Stava curvo, ripiegato su se
stesso, come se ci fosse stato un vento tremendo a respingerlo. Quando Gabriele
si accorse che c'ero anch'io mi rivolse un sorriso speranzoso.
«Totta...»
salutò piano, timoroso. Lo ignorai e guardai Gioele. Ma lui teneva lo sguardo su
Gabriele senza vederlo davvero. Quando Gabriele si rese conto che Gioele non
aveva intenzione di parlare, si rivolse di nuovo a me.
«Sono stato talmente
stupido, Totta...»
«Sono della stessa opinione.» replicai. «Non volevi
parlare con Gioele?»
«Sì, ma dato che sei qui tu preferisco parlare con
te.»
Gioele non sembrava per nulla interessato a me e Gabriele. Se ne stava
immobile, ricurvo, a fissarsi la punta delle scarpe da ginnastica consunte. O
almeno, così pareva a me.
«Mi sono arrabbiato per nulla, Totta...» cominciò
Gabriele con il tono più patetico che riuscì a tirare fuori. «Non avrei dovuto,
il fatto è che ero geloso. Lo sai.»
«Lo so?» ripetei io. «No. Quello che so
io è che ho sprecato parecchio tempo con te.» Parlavo lenta, senza particolari
inflessioni. Mi resi conto che non me ne fregava più niente di Gabriele. Questa
constatazione non mi fece effetto. Non mi importava,
semplicemente.
«Totta...»
«Quello che intendo dire è che sono stata molto
stupida. Ma questa volta ho imparato e non mi freghi più. Puoi piangere,
strillare, agitarti, fustigarti, se vuoi. Non mi farai mai abbastanza pena da
farmi convincere a tornare con te.»
«Sono cambiato!» esclamò Gabriele,
risentito.
«Un cambiamento straordinariamente veloce!» esclamai io,
ironica.
«Tu non... cambi mai.» mormorò Gioele senza guardare nessuno. Nel
silenzio della strada la sua voce raggiunse anche Gabriele, che avvampò.
«Che
cazzo ne sai tu?» lo aggredì. «Non stavo parlando con te.»
«Carlotta... Sa...
tutto.»
«Cosa vuol dire?»
«Vuole dire che mi ha detto perché avete
litigato.»
Gabriele si voltò verso Gioele, furioso. Gli si avvicinò con un
balzo e lo afferrò per il colletto della camicia a quadri.
«Tu hai fatto
cosa?» gridò sputando ogni parola come se fosse stata un sasso.
«Io
le ho detto tutto.» sussurrò Gioele. «Ogni... cosa. Se davvero... ci tenevi, a
lei... Avresti dovuto... dirglielo tu.»
La voce di Gioele era tanto bassa e
tremante che faticai a capire che cosa stesse dicendo. Ma Gabriele non si era
perso nulla e aveva già stretto il pugno, pronto a colpire Gioele... Che però fu
più veloce. Con uno scatto che non seppi spiegarmi e che non riuscii nemmeno a
distinguere, simile al guizzo di un serpente, Gioele aveva afferrato Gabriele
alla base del collo e con una forza che non era sua l'aveva tirato contro di sé.
Il naso e la bocca di Gabriele si scontrarono con la spalla ossuta di Gioele e
produssero un rumore nauseabondo. Gioele lasciò andare Gabriele come se fosse
stato infuocato e fece due passi all'indietro per allontanarsi da lui. Lo
guardai e vidi i suoi occhi stranamente vuoti e inespressivi. Gabriele, piegato
metà dal dolore, sputò a terra. Insieme al sangue riuscii a distinguere due
denti.
«Gio'...» mormorai, sconvolta. Ma lui non sembrava toccato da ciò che
aveva fatto. Si fece ancora più piccolo e sprofondò le mani più a fondo nelle
tasche.
«Tu non cambi mai.» sussurrò di nuovo. Mi guardò, come colpito da una
consapevolezza improvvisa, poi piombò di nuovo nei suoi pensieri e non mi badò
più.
Gabriele si raddrizzò barcollando e puntò un dito tremante contro
Gioele.
«L'hai visto?» urlò. «L'hai visto che cosa ha fatto? Ecco con chi ti
vai a mettere! Con un pazzo!»
«L'unico pazzo, qui, sei tu.» risposi, acida,
ma in cuor mio anch'io pensavo che Gioele fosse impazzito. E lui, che sembrava
aver colto quel mio pensiero, si limitò a scrollare le spalle. Non disse nulla e
non sollevò lo sguardo da terra. Era talmente distante, in quel momento,
talmente incomprensibile... Mi voltai di scatto verso Ines e Francesca, che ci
guardavano dal bar, e loro mi rivolsero un'occhiata scioccata. Io, tra Gioele e
Gabriele, iniziai ad avere paura. A quel punto, non sapevo come si sarebbe
evoluta la situazione. Ma poi, all'improvviso, Gioele si sedette a terra.
Incrociò le caviglie, sollevò le ginocchia e le cinse con le braccia. Intrecciò
le dita e puntò lo sguardo davanti a sé. Rimase immobile come una pallida statua
di gesso. Non gliene importava niente di tutto quello che aveva intorno.
Immaginai che Gabriele avesse capito che, per il momento, Gioele era innocuo,
perciò tornò a concentrarsi su di me. Il sangue gli era colato dalla bocca e dal
naso sul mento e da lì gocciolava sui vestiti. Lo ignorò.
«Se torni con me
sarà diverso da prima. Mi concentrerò solo su di me.»
«Non penso proprio che
andrà così.» sibilai io, disgustata da quel patetico tentativo di ingannarmi di
nuovo. «Io penso che non tornerò con te, anche se dovessi essere l'ultimo uomo
sulla Terra e a quel punto penso che mi sparerei così da essere sicura di non
incontrarti mai più. Comunque, a parte queste ipotesi apocalittiche, credo che
faresti meglio a trovarti qualcuna talmente cretina da esserlo più di me, che ti
creda. Oppure qualcuna che si comporti proprio come te, a cui non interessa
quello che fai. Comunque, come ti ho già detto, tutto quello che dici o fai è
totalmente inutile. Sprechi il tuo tempo.»
«E' perché ti piace lui?» urlò
Gabriele puntando il dito contro Gioele. «E' così? Ti piace lui?»
Sì, Gioele
mi piaceva. Molto più di quanto mi fosse mai piaciuto Gabriele, in verità, ma
avrei lasciato perdere Gabriele anche se non fosse stato così. E non mi sembrò
il caso di turbarli entrambi con quell'informazione. Anche se era rimasto
immobile, sapevo bene che Gioele non si era perso un sospiro della nostra
discussione. Aveva ascoltato tutto, dall'inizio alla fine. E a quella domanda si
era fatto particolarmente attento.
«Lascia stare Gioele, sei tu il problema.»
sbottai. «Sei tu che sei patetico e che mi fai schifo. Ecco qual è la verità. E
non ho più tempo da perdere con te.»
Mi avvicinai a Gioele, lo presi per un
braccio e lo costrinsi ad alzarsi. Lui obbedì senza discutere. Guardò per un
istante Gabriele, poi abbassò lo sguardo. Io mi voltai, decisa, e lasciato
andare Gioele tornai al bar dalle mie amiche.
Non mi voltai nemmeno a
guardare Gabriele. Tra me e lui era finita per davvero.