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Autore: Martin Eden    30/07/2011    1 recensioni
Seguito di "Compagni di sventura - Resistance". La guerra dell'Anello continua per i nostri eroi, fra alti e bassi, vittorie e sconfitte: riusciranno a sopraffare il Male? Ma a che prezzo? Perdere la battaglia contro Sauron è veramente la cosa più terribile a questo mondo? Non per tutti... Buona lettura! E recensiteeeeeee :)) grazie mille!
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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10 - RINASCERE

 
Un boato tremendo sconvolse la torre quando l'ascia lanciata da Legolas fece il suo dovere: l'edificio tremò fin nelle fondamenta, qualcosa si staccò, rovinando per centinaia di metri e distruggendosi a terra.
Un sibilo accompagnò la fine, e il vento carico di cenere e dolore portò via o strappò quel poco che rimase: furono minuti di strana confusione, finchè il tutto si dileguò in un unica ed ultima scia bianca.
Qualcosa ruggì, un disperato grido di rabbia repressa e vendetta mai avuta che si spense in un momento.
All'ultima stanza della torre, Legolas tossì rumorosamente in quel misterioso silenzio: era completamente coperto di cenere e polvere.
Fu sorpreso di riuscire a vedere ancora qualcosa mentre invece avrebbe dovuto avere davanti a sè solo il paradiso: una giovane luce entrava dalle finestre, di -segnando strane forme sul pavimento rovinato.
L'elfo si sollevò su un gomito massaggiandosi le tempie: la testa gli girava a mille, e il sangue che perdeva dal braccio scendeva ancora con il suo sonoro e mo -notono gocciolìo.
 - Mi dispiace Legolas.. - una voce, così lontana, raggiunse l'elfo. Battè le palpebre, cercando una minima traccia di lei.
Ed eccola: se ne stava in piedi, triste ed evanescente davanti a lui.
 - Non sapevo di tutto questo... -
 - Lascia perdere, Lilian... - la rassicurò Legolas tirandosi su, a fatica - Sono ancora vivo, in fondo.. -
Lei si avvicinò e gli si inginocchiò accanto:
 - Sei un elfo fortunato... - gli disse.
 - Su questo non ci sono dubbi...ma che è accaduto? -
Lilian si rialzò e indicò vagamente un punto davanti a Legolas, figlia di quello strano silenzio che aleggiava nella torre; anche l'elfo si alzò in piedi, barcollando.
Il mondo gli appariva come un unica macchia scura e confusa.
Scosse con forza la testa: le immagini si fecero più nitide, e Lilian sparì tra la nebbia trafitta dal mattino.
Per terra, poco lontano, un corpo. Bianco. Livido. Un bastone ancora stretto in una mano, in un ultimo, disperato spasimo.
Legolas si avvicinò furtivamente, facendo scricchiolare le pietre del pavimento.
Era Saruman, quello disteso lì, le dita avvinghiate sul reliquiario, fonte di tanti guai: il vetro era incrinato da un violento colpo, la luce verde scomparsa per sempre.
Poi, lo stregone, uno spettacolo davvero raccapricciante: un'ascia gli spuntava dal petto, la veste bianca era quasi rossa di sangue fresco.
Gli occhi, spalancati e muti verso il soffitto. La bocca contorta in una smorfia di dolore, rabbia e sorpresa.
Legolas lo fissò a lungo, quasi ipnotizzato: in quel momento Saruman gli parve più vecchio, più debole, più solo che mai.
L'aveva vinto solo grazie alla sua fortuna propizia. Che triste e indecorosa sorte, per uno stregone così potente, essere battuto da un misero elfo e da un'ascia!
"Era un valido avversario" pensò Legolas, e lo coprì con il primo drappo che trovò, il meno sfilacciato dalla loro lotta; solo una piccola preghiera prima di andarsene, con nient'altro che la propria anima stanca e il vecchio mantello bianco dello stregone sulle spalle.
Fuori dalla torre si era di nuovo alzato un vento gelido proveniente da ovest: Legolas si strinse forte nei suoi abiti macchiati di sangue mentre avanzava, tentennando nella nebbia.
Il mantello che aveva tolto a Saruman era caldo, l'unica cosa confortante in tutta la faccenda: per il resto, l'elfo si sentiva un po' ladro, ma che avrebbe potuto fare? In fondo allo stregone non sarebbe servito mai più.
 
Aragorn si lanciò al galoppo verso il passo di Cirith Ungol, infischiandosene di avvertimenti, consigli e ordini di tornare in città: non avrebbe mai, mai e poi mai lasciato Legolas al suo destino.
Erano sempre stati fedeli compagni in molte avventure: questa non faceva eccezione.
Aragorn non aveva paura, nemmeno della morte, e avrebbe fatto di tutto pur di riavere l'amico al suo fianco: spronò il cavallo, incitandolo ad andare più in fret -ta, più in fretta, sempre più in fretta.
Le lame bianche, intanto, scomparvero lentamente nel cielo ora pieno di luce: il paesaggio ritornò quello di sempre, il solito, desolato, imprevedibile regno di Mordor.
Aragorn non capiva se quel silenzio doveva essere un bene o un male, ma sapeva che comunque non avrebbe desistito: che gli si parassero davanti cento, mille, diecimila orchi, uruk -hai, lupi selvaggi, li avrebbe sconfitti tutti pur di arrivare.
Sussurrò qualcosa all'orecchio del destriero, esortandolo ad andare ancora più veloce: ormai la torre, costruita a difesa del valico, era visibile.
Si alzò la nebbia, ma l'uomo non rallentò affatto: continuò, affrontando la foschia, e qualunque cosa poteva celarsi dietro ad essa.
Poi, ad un tratto, tirò le redini del cavallo così forte che il povero animale s'impennò nitrendo selvaggiamente, prima di fermarsi: qualcosa era apparso da die -tro una roccia, barcollando, respirando a fatica.
Aragorn non si mosse affatto, non impugnò armi, attratto da quella strana figura che continuava imperterrita ad avanzare verso di lui: bianca, quasi un fantasma.
Per un attimo credette di stare sognando, che nell'aria ci fosse qualcosa di strano, che gli facesse venire le allucinazioni.
Intorno a lui, il silenzio. E il roco respirare di uno sconosciuto barcollante che si avvicinava senza paura di essere ucciso.
La nebbia si diradò un poco, e Aragorn potè vedere meglio chi aveva di fronte, anche se non di tanto: poteva distinguere solo quel mantello bianco, macchiato qua e là di un rosso sanguigno e sospetto, dei capelli chiari mossi dall'aria.
Nel frattempo, Monte Fato tacque per sempre.
 - Saruman! - gridò ad un tratto Aragorn - Fermo lì! - scese precipitosamente dal cavallo e sguainò la spada - Dimmi dov'è Legolas, subito! -
La figura quasi evanescente alzò la testa, levando il suo sguardo stanco e assorto sul volto dell'uomo: non si fermò all'ordine, ma continuò per la sua strada, la testa di nuovo china.
Aragorn cominciò a temere: ormai Saruman era a qualche metro da lui.
 - Fermati, ho detto! - ripetè, e la sua voce rieccheggiò per tutto il valico.
Questa volta la figura bianca si arrestò, a pochi passi.
Sembrò mormorare stancamente il suo nome.
Poi barcollò, cadde sulle ginocchia, esausta, sostenendosi con la forza delle braccia e del pensiero; solo in quel momento il nuovo re di Minas Tirith potè chiaramente vedere in quella strana apparizione un volto caro: Legolas.
 - Legolas! - lasciò andare la spada e si inginocchiò accanto all'altro, sostenendolo, quasi abbracciandolo per la contentezza.
L'elfo fece altrettanto, felice di ritrovare una faccia amica dopo tante sventure, mormorando flebilmente:
 - L'ho trovato,..Aragorn.., l'ho trovato... -
 - Cosa hai trovato? - lo sollecitò l'uomo.
 - Questo.. - Legolas mostrò il fiore rosso, così gelosamente conservato intatto in una tasca interna del suo vestito.
Più tardi, una volta accampati per bene, Legolas raccontò quello che gli era accaduto e il motivo di quell’insolita avventura, mentre Aragorn pensava a rifocillarlo e a curargli le ferite: non sarebbero partiti prima dell'indomani.
 - Ah, adesso capisco! - esclamò l’uomo, una volta svelati tutti i misteri.
Era rimasto sbigottito nel sentire come l'amico aveva battuto Saruman e il suo drago, e di come aveva fatto a sopravvivere: gli sembrava tutto impossibile, ma il mantello bianco che aveva tenuto Legolas così ben al caldo tutto quel tempo...non era finzione.
 - Se ti vedesse Gimli, sarebbe geloso di te.. - scherzò - Te la immagini la sua faccia paffuta contrarsi di rabbia perchè sei uscito vivo da Mordor, perchè potrai riportare in vita Lilian e tenertela tutta per te? -
Risero insieme, come ai vecchi tempi, finchè Legolas non fu troppo stanco per -sino per distrarsi un po': una volta coricato, l'elfo si addormentò quasi subito, mentre Aragorn faceva buona guardia.
Vide qualcosa di luccicante nella mano di Legolas: aprì delicatamente le dita graffiate dell'elfo, e scoprì il pendente a forma di stella.
Richiuse piano la mano dell'amico su quel prezioso gioiello, mormorando un:
 - Grazie, Lilian. -
 
La mattina dopo, Legolas e Aragorn partirono alla volta di Minas Tirith, entrambi abbastanza riposati e sorridenti: fra poche ore sarebbe tornato tutto come pri -ma, come avevano sempre desiderato.
Aragorn avrebbe finalmente avuto la corona del regno di Gondor, che gli spetta -va di diritto, e Legolas la sua cara e dolce Lilian di nuovo al suo fianco.
Appena arrivati in città, furono accolti da Gandalf, quasi esultante, e dai piccoli hobbit, tutti felici di rivedere di nuovo l'elfo fra loro; persino Gimli si sforzò di fa -re i complimenti a Legolas, nonostante sentisse "la sua faccia paffuta contrarsi di rabbia perchè l'elfo era uscito vivo da Mordor".
Senza perdere tempo, il principe di Bosco Atro si diresse verso la reggia, ansioso di riavere con sè e per sè la donna tanto amata; presto arrivò al cortile, e all'al -bero bianco di Minas Tirith.
(ricordati solo, se davvero lo vuoi, di trovare quel fiore, e di bruciarlo con le tue lacrime d'amore ai piedi dell'albero bianco di Minas Tirith)
Così gli aveva detto Lilian, e lui l'avrebbe fatto.
Si avvicinò alla pianta centenaria, in mezzo al cortile: grigia, un po' avvizzita, non sembrava in grado di compiere grandi miracoli. Ma spesso l'apparenza in -ganna, e Legolas l'aveva imparato bene e a sue spese.
Fissò per un attimo l'albero, privo di foglie, protendersi verso di lui; poi infilò una mano in tasca e afferrò il suo fiore rosso.
Alla bella luce del sole, i petali purpurei sembrarono brillare ancora di più fra le sue mani, cercati e ottenuti con così tanta fatica: davanti agli occhi di Legolas sfilarono di nuovo le immagini un po' confuse dell'avventura a Mordor, le imma -gini di Lilian, di Saruman, del fuoco e della distruzione.
Distolse lo sguardo dal fiore e si guardò in giro: nessuno.
Poteva benissimo compiere appieno la sua missione: era il momento giusto.
Appoggiò il fiore rosso ai piedi dell'albero bianco e s'inginocchiò accanto ad esso: e poi si accorse che non riusciva a piangere.
Nemmeno una lacrima dai suoi occhi azzurri.
Confuso, lasciò vagare un altro po' lo sguardo in giro: niente da fare.
(non posso cedere ora!)
Ritornò a fissare intensamente il fiore: i petali baluginanti parvero farsi beffe di lui, ancora così belli mentre dovevano essere bruciati da minuti, ormai.
Legolas si sforzò di pensare a Lilian, a tutto quello che le era successo, alla sua morte, a quello che aveva fatto per lei, alle sofferenze che lei aveva dovuto pati -re a causa sua.
Nemmeno quello bastò: per quanto si concentrasse...solo una debole lacrima u -scì quasi a forza dai suoi occhi, e andò ad appoggiarsi sul fiore, luccicante quanto la rugiada.
Legolas si sentì sollevato e di nuovo pieno di speranze: ce l'aveva fatta finalmen -te, era tutto finito.
Le sue aspettative furono presto deluse: perchè non successe nulla. 

  
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