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Autore: kaos3003    31/07/2011    6 recensioni
“Non puoi, sono un tuo professore.”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Harry/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Titolo: In un tenue ricordo di rame e argento
Fandom: Harry Potter
Personaggio/Coppia: Severus/Harry
Beta reader: Lyrael (a cui invio vagonate d'amore ♥)
Prompt: 009-Mesi
Rating: verde (per tutti)
Genere: introspettivo, romantico, spaventosamente fluff
Avvertimenti: pre-slash, relazione adulto/minore
Conteggio Parole: 2773
Disclaimer: i personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti legali. Questa storia non ha nessuno scopo di lucro.
Riassunto: “Non puoi, sono un tuo professore.”
Note: prompt di ellepi per One true writing meme: “Non puoi sono un tuo professore.” “Lo eri...”
Questa storia ha subito diverse rivisitazioni: da una festa in maschera si è passati ad un party natalizio, per poi giungere a questa ambientazione.
Non sono abituata a scrivere storie tanto lunghe, non finiva più ç_ç
Tabella: qui


L'aria di Hogwarts profumava di pioggia nelle mattinate di novembre, di pioggia e zucche mature abbandonate sotto l'ultimo sole autunnale. E poi c'era il vento, freddo e impetuoso, ambasciatore del rigido e lento inverno, di un inverno che quell'anno sarebbe sembrato molto più lungo del solito.
“Non puoi, sono un tuo professore.”
Harry si strinse nel mantello per ripararsi da una folata particolarmente violenta.
Gli alamari d'argento premevano sulla sua gola, quasi fossero dita pronte a strangolarlo. Da qualche parte poco distante Thor abbaiava vivacemente, probabilmente attirato da un movimento al limitare della Foresta Proibita.
Non pensava che Piton potesse abbandonare la propria facciata altera per quell'espressione oltraggiata. Non così repentinamente, almeno.
Un mio professore, come se non lo sapessi.” pensò divertito Harry, massaggiandosi il braccio, proprio dove il professore lo aveva afferrato saldamente, quasi volesse spezzargli le ossa. Se solo avesse stretto un po' di più, quelle dita scheletriche gli sarebbero entrate nella carne, e probabilmente non gli sarebbe nemmeno dispiaciuto
Il ragazzo sospirò. Sapeva benissimo chi era Piton, e sapeva bene chi era lui, cosa dovevano essere e cosa non sarebbero potuti diventare. Certo, razionalmente lo sapeva, però...
Un nitrito fendette l'aria, interrompendo perfino il furioso abbaiare di Thor. “Hagrid deve essere entrato nella foresta per nutrire quelle bestie.” considerò, raccogliendo una foglia da terra e rigirandosela tra le dita. Nonostante fosse quasi inverno, il suo colore giallo vivo si stagliava orgoglioso sul tappeto di foglie già secche, riportando a galla la nostalgia per un'estate ormai finita.
Certo, razionalmente sapeva chi fosse Piton e cosa potessero essere, però... Merlino, non era forse un Grifondoro con il cuore appuntato al bavero? Non era normale per lui essere avventato? Forse perfino... stupido?
Non puoi, sono un tuo professore.
Lo sapeva, maledizione, lo sapeva, pensò, passandosi nervosamente le dita fra i capelli, finendo solo con lo scompigliargli più del solito.
Sapeva che Piton era un suo professore, in fondo lo aveva visto girare per le aule e i corridoi per sette anni, lanciando occhiate maligne e stanche agli studenti e facendo scomparire diverse pozioni, considerate a mala pena un vago tentativo di sembrare un mago capace.
Beh, almeno diceva questo delle sue. Non si era mai realmente interessato di cosa dicesse agli altri studenti.
Harry si rigirò nuovamente la foglia fra le dita, finendo per attorcigliarsela intorno all'indice. In quel momento odiava le lezioni di Occlumanzia più che mai: se non avesse dovuto studiarla, Piton non avrebbe mai saputo di quella... cosa.
Cosa... per lui non aveva nemmeno un nome. Non era colpa sua se ultimamente notava l'uomo più del solito, non era colpa sua se aveva certi pensieri. Non era colpa sua, eppure era lui che Piton guardava con stupore e disgusto, muovendogli qualcosa nello stomaco, qualcosa che non sarebbe dovuto esistere.
Il sole era quasi completamente tramontato e anche i rumori della foresta divennero lievi e soffocati. Harry sospirò, abbandonandosi contro il tronco di un albero. L'abbaiare di Thor era completamente scemato e dal comignolo della capanna di Hagrid usciva un sottile rivolo di fumo.
Doveva essere quasi ora di cena, forse sarebbe dovuto rientrare, ma come affrontarlo dopo quel pomeriggio?
“Hey amico.” urlò qualcuno, facendolo sobbalzare.
Ron ed Hermione lo fissavano dalla soglia della serra numero sei... non voleva nemmeno sapere cosa facessero i suoi amici in una delle serre inutilizzate della scuola quando il parco era semi deserto.

E poi venne dicembre con le sue feste e la sua solitudine.
Come ogni anno il castello si era velocemente svuotato e lui che era solo sentiva come non mai l'opprimente peso di una nostalgia puramente ideale, nostalgia per qualcosa mai conosciuto.
Harry, accucciato davanti al caminetto, si strinse nel maglione verde smeraldo che mamma Weasley aveva inviato per Natale con il solito assortimento di dolci e pasticci di carne. Una grossa acca gialla correva dal suo petto al suo stomaco.
Fissando le fiamme, prese una cioccorana dal mucchio alla sua destra. Da quando erano iniziate le vacanze, non aveva avuto nemmeno un'occasione per chiarire con il professor Piton e ben poche per vederlo.
Nonostante le insistenze della Preside, l'uomo si era rifiutato di continuare le lezioni di Occlumanzia, delegandole a chiunque “fosse disposto ad accollarsi un tale incapace”, tanto per citare letteralmente.
Non era l' “incapace” a sorprenderlo, era abituato a ben di peggio dal professore di Pozioni, ma quella rinuncia immediata, quasi temesse di trovarsi nella stessa stanza con lui.
Beh, almeno questo spiegava perché lo avesse tormentato durante le ultime lezioni del trimestre.
Il fuoco scoppiettava vivace nel caminetto, mentre il vento si abbatteva gelido sulle finestre facendone tremare i pesanti vetri. Nessuno si sarebbe sognato di uscire con quel tempo da lupi, perfino gli ultimi fine settimana ad Hogsmeade erano stati cancellati, eppure poco prima aveva visto una figura avvolta in un pesante mantello nero sparire nel folto della Foresta Proibita. Solo una persona avrebbe saputo far ondeggiare il mantello in quel modo.
Piton... Aveva ripensato spesso a quel pomeriggio, passando al vaglio tutte le parole, le espressioni, perfino i gesti e i movimenti, cercando quelli che avessero potuto irritare l'uomo, e non aveva risolto assolutamente nulla.
Era iniziato tutto normalmente: pochi minuti di lezione e si era ritrovato in ginocchio a fissare direttamente le scarpe del professore, mentre questo lo osservava sogghignando. Alle volte pensava seriamente che quello stronzo provasse piacere nel vederlo in ginocchio davanti a sé.
Non aveva nemmeno avuto il tempo di rialzarsi che un nuovo incantesimo lo aveva colpito in pieno. E, ripensandoci, forse era da lì che tutto aveva avuto inizio.
All'inizio era stato tutto come al solito, la notte in cui erano morti i suoi genitori, la sua infanzia dai Dursley, la Camera dei Segreti, gli occhi vacui di Cedric. Poi tutto era cambiato.
Harry chiuse gli occhi, riportando alla mente quelle nuove immagini. Gli occhi spenti di Cedric si erano improvvisamente fatti foschi e scuri, esattamente come i suoi capelli, e il ragazzo non era più sdraiato sul terreno brullo di quel cimitero, ma fissava il parco del castello da una finestra del terzo piano. Ora che ci pesava non era nemmeno un ragazzo, ma un uomo, un uomo con un naso spropositato e delle labbra troppo sottili, o forse era solo l'espressione arcigna a farle sembrare tali.
Forse si era concentrato troppo su quelle labbra, perché a un certo punto l'incantesimo si era improvvisamente interrotto e lui si era trovato completamente libero da quelle immagini, ansimante. Non si era nemmeno reso conto di aver alzato un incantesimo di difesa.
“Cosa significa questo Potter?”
La voce gli giunse imperiosa e una mano gli afferrò il braccio, sollevandolo da terra. Piton lo fissava furioso, aumentando sempre di più la stretta.
“Allora, cosa credeva di fare?” sibilò l'uomo, portandosi a pochi centimetri dal suo viso. Harry sentiva le guance andargli in fiamme e il cuore battere forte, quasi volesse uscirgli dal petto.
“Mi lasci!” urlò, divincolandosi con tutte le sue forze. Il suo piede urtò contro qualcosa e un lamento soffocato gli arrivò alle orecchie; fosse stato in un altro momento, probabilmente sarebbe stato soddisfatto di aver ferito quel vecchio pipistrello.
Avrebbe sferrato un altro calcio contro la gamba di Piton, se non avesse avvertito gli effetti dell'incantesimo Legimens invaderlo. Perché nessuno gli aveva spiegato che quell'incantesimo poteva essere sferrato senza l'uso di una bacchetta?
Non passarono che pochi secondi, ma furono abbastanza perché l'espressione del professore mutasse da furiosa a scandalizzata. Non lo aveva mai visto in un simile stato.
“Non puoi, sono un tuo professore.” mormorò questi, stringendogli ancora di più polso.
Harry si strinse le ginocchia al petto a quel ricordo.
Avrebbe voluto chiedergli cosa volesse dire, ma si era ritrovato gettato fuori dall'ufficio, senza poter far nulla mentre la porta veniva sbarrata alle sue spalle.
Da quel giorno aveva visto Piton solo durante i pasti, e nemmeno una volta i loro sguardi si erano incrociati: quegli occhi scuri che squadravano tutti con supponenza erano sempre lontani dai suoi, eppure Harry era sicuro di ricordali così bene...
Ma questo non voleva dire molto, pensò, staccando la testa di un'altra cioccorana. Se qualcuno glielo avesse chiesto avrebbe saputo descrivere gli occhi castani di Ginny... o erano azzurri come quelli di Ron?

Ed arrivò e passò anche il secondo trimestre, mentre i prati si affollavano nuovamente di studenti e gli abitanti del Lago Nero si risvegliavano dal rigido inverno. Dalla finestra della biblioteca Harry poteva vedere la capanna di Hagrid e i primi alberi della Foresta Proibita.
Tutto procedeva normalmente per essere Aprile: Hermione cominciò a premere sul ripasso per i MAGO, preparando tabelle di studio e sottoponendoli a ritmi massacranti, mentre Ron triplicò gli allenamenti di Quidditch per portare Grifondoro alla vittoria, contando sull'aiuto di alcuni compagni orgogliosi della squadra e di un'Hermione facile alla vanità per consegnare per tempo i compiti. Harry, dal canto suo, continuò le sue lezioni di Occlumanzia con il professor Lupin: nonostante gli sforzi della Preside, Piton non aveva voluto riassumersi l'onere della sua educazione.
Sì, tutto era normale, se non per...
“Hey amico.”
Harry sollevò gli occhi dal tomo di pozioni avanzate. Avrebbe dovuto scrivere per il giorno dopo un saggio di venti pollici sulle caratteristiche degli ingredienti per l'Amortentia, ma tutto quello che aveva ottenuto in due ore di lavoro erano poche righe, perfino scritte con una grafia orribile e decisamente troppo grande, oltre a un bel mal di testa.
Ron lo osservava perplesso dall'altro capo del tavolo.
“Mi chiedevo,” iniziò l'amico, evidentemente interpretando il suo gesto come un invito, “è una mia impressione o Piton ti sta meno addosso del solito?”
“Te ne sei accorto anche tu.” rispose Harry, segnando qualche parola sulla pergamena. Non era sicuro che i fichi dell'Abissinia c'entrassero con l'Amortentia, eppure il loro effetto confondente era così adatto a quel filtro...
Il giovane di casa Weasley si grattò la punta del naso con la piuma, lasciando una vistosa macchia d'inchiostro sulla guancia. “Beh, finalmente qualcuno le ha cantate a quel vecchio pipistrello.” disse senza attendere una risposta, prima di chiudere i libri e gettarli alla rinfusa nella borsa.
“Torno alla Torre, tanto senza Hermione non capisco nulla di questa roba.” bofonchiò, gettandosi la tracolla su una spalla. “Vieni?”
“Ti raggiungo fra un po'.”
Il ragazzo annuì e uscì dalla sala. Fuori splendeva ancora il sole e dal parco giungevano le voci eccitate dei ragazzi più giovani, probabilmente del primo anno. La luce che filtrava dalla finestra colpì la pergamena, creando giochi di luce che, da piccolo, lo avrebbero tenuto impegnato per ore.
Ti sbagli Ron.” pensò Harry, riprendendo in mano la piuma per aggiungere alcuni particolari sull'erba febbricitante, o qualcosa di simile. “Piton non mi sta meno addosso del solito, semplicemente mi evita.
Non sapeva perché, ma la sola idea gli stringeva lo stomaco.
Forse avrebbe dovuto farsi vedere da Madama Chips.

E con quel lento ritmo tipico dell'attesa passarono anche l'ultimo trimestre e gli esami. Non sapeva come fossero andati, ma era sicuro che i fichi dell'Abissinia non c'entrassero con l'Amortentia, per quanto il loro effetto fosse adatto allo scopo ideale del filtro.
I due ragazzi si rilassavano sulle rive del Lago Nero, tendendo ogni tanto l'orecchio per avvertire passi in avvicinamento. Una volta terminati gli orali, Harry e Ron avevano dovuto studiare un piano per evitare Hermione, almeno finché non fosse scemata la frenesia da esame: quella ragazza sapeva essere veramente spaventosa a volte.
Il sole splendeva forte e l'afa portava anche i più ligi a smettere la divisa. Poco distante i ragazzi del terzo anno frequentavano una delle ultime lezioni di Cura delle Creature Magiche, e a giudicare dalle urla Hagrid aveva scelto per quella classe uno dei suoi “animali innocui”.
“Non puoi, sono un tuo professore.”
Harry prese un filo d'erba, mettendoselo poi fra le labbra. Se Remus lo avesse visto in quel momento, avrebbe detto che era assolutamente identico a James.
Non era ancora riuscito a dimenticare quella frase e quell'espressione scandalizzata... oltraggiata... o forse solamente stupita. Più ci pensava, più perdeva i contorni netti delle loro emozioni, o forse succedeva semplicemente perché non aveva avuto ancora l'occasione di parlare con Piton.
L'uomo lo evitava ancora, perfino in aula preferiva ignorare le sue pozioni indecenti, concedendogli un accettabile. Harry era ferocemente convinto di non essere mai andato tanto male in Pozioni, eppure Piton non si fermava nemmeno un secondo al tavolo dove sedeva, risparmiando a lui e a suoi compagni perfino le battutine sarcastiche.
Ora che ci pensava non era poi tanto strano che Ron e Neville sedessero sempre vicino a lui quel trimestre.
“Ci sono stati altri attacchi.”
La voce sommessa di Ron lo riscosse con violenza dai propri pensieri.
Quel giorno non c'era nemmeno una leggera brezza, eppure l'odore acre della guerra sembrava viaggiare veloce per raggiungerli: presto avrebbero dovuto prendere una decisione e prepararsi ad affrontare quelli che, probabilmente, erano stati loro compagni di scuola. O i loro professori... Piton da che parte sarebbe stato?
Harry volse lo sguardo verso l'amico. Ron smuoveva la terra con la punta delle scarpe, apparentemente perso nella ripetitività del gesto: non gli era mai sembrato tanto piccolo e sperduto.
“Sono sempre più frequenti.” mormorò a sua volta, togliendosi di bocca il filo d'erba. “Presto dovremo decidere da che parte stare.”
Perché la scuola è finita, pensò, e non abbiamo più il diritto di dimenticare questa guerra.
Ron si lasciò cadere all'indietro con le braccia allargate ed Harry pregò di non vederlo mai così nei prossimi mesi.
“Non sono sicuro di voler combattere.”
Una nuvola oscurò per un attimo il sole e, se le fronde non fossero state perfettamente immobili, Harry avrebbe giurato che si fosse levato un vento gelido.

L'aria di Hogwarts profumava di pioggia nelle mattinate di novembre, di pioggia e zucche mature abbandonate sotto l'ultimo sole autunnale. E poi c'era il vento, freddo e impetuoso, ambasciatore del rigido e lento inverno, di un inverno che quell'anno sarebbe sembrato più breve del solito.
Harry si abbandonò contro il tronco di una quercia, lasciandosi cadere a terra e osservando la desolazione che lo circondava: di quella che una volta era la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts era rimasto ben poco.
La battaglia era stata cruenta e il cimitero sulla piccola collina non aveva mai accolto tante lapidi bianche. Non aveva importanza chi fossero, tutti i morti di quell'assurda battaglia erano sepolti in quel piccolo giardino, distinguibili solo per pochi segni incisi sulla pietra.
“Ancora a contemplare il nulla, Potter.”
Harry volse lo sguardo, lentamente per non sentire troppo dolore. Nemmeno lui era uscito troppo bene da quella battaglia.
Severus Piton lo squadrava dal punto in cui, fino a qualche mese prima, c'era la serra numero sei. L'uomo aveva un braccio legato al collo e diverse fasciature; perfino un abile duellante come lui aveva riportato delle ferite in quella battaglia.
Il ragazzo volse nuovamente lo sguardo verso il limitare del cimitero. “Lì una volta c'era un campo di coclearia ed erba fondente.” mormorò, mentre il vecchio professore... il nuovo preside di Hogwarts si avvicinava a lui. In quel silenzio poteva sentire distintamente il leggero scricchiolio delle foglie secche sotto i suoi passi.
“La prego, mi stupisca con un'altra ovvietà.” replicò seccamente l'uomo, appoggiandosi alla quercia. “Quell'idiota di Goyle ha sempre avuto una pessima mira.” terminò, abbassando lo sguardo.
Non era certamente per quel piccolo campo di erbe che se la prendeva, pensò Harry, raccogliendo una foglia da terra. Pochi incantesimi avevano distrutto il simbolo di una comunità, l'unico luogo che loro potevano ancora chiamare casa, quasi non fosse che un misero castello di carte.
Harry si alzò lentamente, la gamba destra che tremava ad ogni suo minimo movimento. La sua spalla ora sfiorava quella dell'uomo accanto a lui, ma nessuno dei due provò a spostarsi; poteva sentire il calore dell'altro anche attraverso la spessa veste invernale.
Si strinse nel mantello. C'erano dei momenti, nelle interminabili cerimonie di commemorazione, in cui pensava che un minimo soffio di vento avrebbe potuto trascinarlo via, ora che il suo appiglio era svanito.
Piton, rifletté, doveva sentirsi allo stesso modo: Hogwarts, dopotutto, era stata anche la sua casa.
Le rovine del castello si specchiavano nel Lago Nero. In quel momento gli mancavano perfino i tentacoli della Piovra gigante. “Ricostruiremo tutto.” mormorò, avvicinandosi maggiormente a Piton e afferrandogli una mano.
Era pronto a respingere qualsiasi fattura l'ex Mangiamorte intendesse lanciargli, ma tutto quello che ottenne furono dei forti strattoni e una protesta. “Mi sembrava di essere stato chiaro quel giorno.” sibilò, stritolandogli la mano; doveva avere una qualche sorta di feticismo per le sue ossa fratturate. “Non puoi, sono un tuo professore.”
Harry lo fissò negli occhi. Si sarebbe aspettato di trovarci rabbia, perfino disgusto, invece c'era solo la sorpresa per un gesto a cui non si è abituati... allora forse nemmeno quel pomeriggio era stata una reazione di disgusto...
Il suo sguardo scese verso le labbra: no, non era l'espressione arcigna a farle sembrare sottili. “Lo eri...” rispose in un sussurro deciso, stringendo a sua volta la mano dell'uomo.
Presto sarebbe passato anche quell'autunno e, senza che avessero il tempo di rendersene conto, sarebbe arrivata la primavera.
   
 
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