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Autore: Mea    31/07/2011    0 recensioni
A volte capita di immaginare un incontro con una persona venuta dal passato, qualcuno con cui abbiamo trascorso un'ora, due giorni, un anno, con cui abbiamo condiviso tanto o a cui forse non abbiamo nemmeno parlato. E pensiamo di rivelarle mille cose, troppe cose, cose non dette, perchè parlare ad alta voce aiuta a capire meglio anche se stessi. Poi, questi ricordi se ne vanno, due vite sciolgono il loro intreccio e le persone se ne tornano a gestire separatamente la propria esistenza in questo incasinato mondo.
Margherita e Andrea non si sono mai più incontrati. Ma immaginiamo che l'abbiano fatto.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due


Tutti i ragazzi al sabato sera si trovavano ai giardini. Ci si faceva qualche birra, una bottiglia di limoncello, si fumava, si parlava con le ragazze.
Margherita non amava particolarmente quel posto. Preferiva i locali, gli apericena delle sette, quell'atmosfera di finta sofisticatezza, le luci colorate, l'arredo bianco dei nuovi caffè. Ai giardini era così buio che non si poteva vedere bene con chi si parlava, e poi c'era quell'odore di fumo perenne, sapeva di saliva, di alcol, di noia. Margherita non aveva idea di cosa dire a quei ragazzi, non avevano senso, erano sboccati, diretti, fastidiosamente sinceri. Se a loro piaceva una ragazza, l'approcciavano subito, se la facevano anche quella stessa notte, e poi via. Non si avvicinavano mai a lei. Margherita avrebbe voluto, per il solo gusto di respingerli.
Quella sera accompagnò un'amica. C'erano anche altre ragazze, bruttine, fumavano come delle turche. La sua amica sembrava venire da un altro mondo, forse per questo i ragazzi le si avvicinavano.
Margherita conosceva già la maggior parte di loro, li aveva incontrati due o tre volte, era stata zitta tutta la sera. Ricordava i loro nomi, ma li confondeva. Uno, che doveva chiamarsi Jacopo o Francesco, offrì della Corona. La sua amica bevve dalla bottiglia, lei rifiutò. Si sedettero a bordo di un'aiuola. Margherita pensò a quanti ricordi potessero averci lasciato i cani.
- Eccolo che arriva.- Uno dei ragazzi fece un cenno con la testa verso un tizio alto e magro, che li stava raggiungendo. Sembrava indossare un cappello, un cappello di feltro scuro. - Lui è Andrea, ragazze. Queste sono Alice e Margherita.-
Ma Margherita sapeva chi fosse lo spilungone col cappello. L'aveva riconosciuto. Coi capelli lisci, un po' lunghi, castano chiaro e una kefiah al collo, Andrea Tobelli era stato un suo compagno di classe alle medie, per due settimane.
- Non ci credo!- disse lui. - Come stai?-

Margherita e Andrea passeggiavano insieme. Si sentiva il vociare degli altri, il rumore delle bottiglie di vetro posate per terra, le risate, gli scherzi. Margherita calpestò una foglia secca caduta precocemente. Era metà settembre e l'estate era passata senza che lei l'avesse potuta vivere. Non c'era stato tempo per gli abiti corti, per la pelle arrossata, per il piacere di una bevanda fresca. E la pioggia aveva accompagnato il mese di luglio, come se avesse voluto aiutarla a sentire di meno quella mancanza.
- Come mai te ne sei andata?-
Margherita ricordava le due settimane passate con lui. Nuova classe, nuova vita. Erano andati al cinema una volta, tutta la combriccola, e Andrea le si era messo a sedere accanto. Che lei ricordasse, era stato l'unico ragazzo che avesse cercato di conquistarla togliendosi le scarpe e poggiando i piedi, infagottati nei calzini, sul sedile davanti.
- Non sono mai stata io a voler andare in quella scuola. Era stata una decisione di mio padre. Ma a me non andava, non che non mi fossi sentita accolta, anzi... volevo soltanto concludere l'ultimo anno nella mia vecchia scuola, tutto qui. Non aveva senso cambiare, poi avrei dovuto di nuovo scegliere il liceo...-
- Così sei tornata là?-
- Dalle suore, sì. Rischiavano di chiudere i battenti da un momento all'altro, eravamo undici in classe. Ma ce l'hanno fatta. Hanno retto per tre anni ancora.-
- E adesso?-
Margherita alzò le spalle. Dopo la chiusura non era mai tornata a trovare le suore. Ricordò con dolcezza l'ultimo anno passato lì, l'odore di glicine, gli amici, la classe dipinta di blu. - Forse ci hanno fatto un ospizio.-
Risero.
- Poi cos'hai fatto?- Questa volta fu Margherita a chiedere.
- Liceo Scientifico.-
- Dove?-
- Mazzini.-
Margherita conosceva il Mazzini*, la sua facciata in pietra coperta di scritte e manifesti. Un covo politico.
- Tu?-
- Liceo Classico. Preti.-
Andrea scoprì i lunghi denti bianchi. Ravviò bruscamente i capelli con un colpo di testa. - Com'è? La scuola privata?-
Margherita alzò lievemente il viso, sentì l'aria della sua città. - Ovattata.-
- Sì, immagino.-
- Vivi in un mondo a parte. Quello è l'universo, quello, la scuola, i suoi studenti, i professori... Si vive a combattere per un voto, per la visibilità, per la bellezza, per la notorietà. E' stato faticoso.-
- Così competitivo?-
- Sì. Ma penso che la gente che ho incontrato lì... non mi basterà tutta una vita a incontrare persone del genere.-
- In che senso?-
- Grandi.-
Andrea arricciò il labbro. Era scettico, come tutti. - A me sembra insensata come idea. Ristretta. C'è un intero mondo fuori, e loro vi educano a quella vita chiusa, a quelle ambizioni prive di senso. Sai, io sono stato rappresentante d'istituto. Incontri, organizzi, fai, anche se hai solo diciotto, diciannove anni. Senti di poter fare qualcosa, anche in questo paese di merda. Rendi i giovani coscienti.-
Accanto a loro, una ragazza baciava un giovane biondo. Li oltrepassarono.
- Io mi iscriverei di nuovo. Mille volte.- Margherita sorrise. Il corridoio, il campo da calcio, il direttore che conosceva a memoria i nomi degli allievi. Mille, duemila volte.
- Cosa fai adesso?-
- Medicina-
- Lunga... Io sono a Lettere.- Andrea la guardò. C'erano così tante differenze, eppure, eppure gli faceva tanto piacere vederla. - Certo che sei cambiata tanto. Ci ho messo un po' a riconoscerti. Ti sei fatta veramente carina.-
Margherita sorrise. - Grazie.- Era abituata a dirlo, per qualsiasi cosa, sempre grazie, grazie, grazie, come se fosse stupita di un gesto, di una parola, di uno sguardo. Si sedette su un gradino, in un sentiero in mezzo alle siepi. Indossò la giacchetta di pelle marrone che fino ad allora aveva tenuto in mano, infreddolita.
- Hai freddo?-
- Un po'-
- E l'amore?-
Ecco com'erano quei ragazzi, vergognosamente schietti. Eppure, lei si trovava a suo agio, lì, accanto a lui, lui coi suoi bermuda e le gambe magre in vista. Rise di nuovo.
- Niente di che. Un ragazzo a ottobre dell'anno scorso, è durata solo un mese.-
- Perchè?-
- Lo ingannavo. Stavo con lui, e avrei voluto essere con un altro, il mio migliore amico. Anche quello sbagliato, non ci ho mai concluso niente.-
- Adesso pensi ancora a lui? All'amico?-
Margherita si godette il rumore della brezza tra le foglie. Era così piacevole quasi da farle dimenticare gli schiamazzi degli altri e l'odore del clochard che dormiva su una panchina, poco distante da loro.
- No.- Era vero. - Avrò sempre un bel ricordo di lui, ma nient'altro che un ricordo.-
- Rimpianti.-
Margherita odiava gli intellettuali, quelli che ne capivano troppo. - Tu, signor Tobelli?-
Andrea voltò il viso verso di lei. - Ricordi Tea?-
- Sì. Davvero?-
- Già. Cinque mesi. Comunque ora siamo molto amici.-
Margherita ricordava Tea. Simpatica, un po' in carne ma bella, una massa di capelli corvini. Figlia di un giornalista famoso, metteva magliette da cui si intravedevano le spalline del reggiseno con disinvoltura, simbolo di quella classe altolocata sempre pronta a dichiararsi progressista. Era stata lei a invitare Margherita, una nuova, ad andare al cinema con loro, quella settimana. Si chiese se lei e Andrea avessero fatto sesso.
Margherita contrasse leggermente le labbra, a redistribuire il rossetto che aveva indossato quella sera, come si usava allora, in quel settembre. Indossava una camicetta grigia, dei jeans, ballerine scure.
- Vuoi che vada a prendere una birra?- chiese Andrea, il cappello tra le mani.
- Non bevo.-
- Non ci credo.-
- Giuro che è vero.-
- Perchè?-
Margherita sfoderò un sorrisetto canzonatorio. - Perchè così posso mangiare molta più cioccolata senza ingrassare.-
Andrea rise. Aveva gli occhi nocciola. - Ah, questo spiega tutto. Ci verresti con me a prendere una cioccolata, questi giorni?-
Lei inspirò, incerta su cosa dire. Lui capì.
- Per conoscerci un po', se ti va.- aggiunse subito. - Questo concedimelo.-
Margherita annuì, sorridendo. - E' un po' presto per la cioccolata. Gelato.-
- Vada per il gelato.-
Margherita guardò l'ora sul cellulare, era l'una passata. Avrebbe dovuto anche riaccompagnare Alice a casa. Non andava mai in giro da sola, non a quell'ora.
La brezza passava sulla pietra delle case eleganti del centro. Era metà settembre, aveva tutta l'università davanti e il tedio di un'altra serata dietro a sè, un incontro piacevole che sarebbe caduto nel nulla, come tanti. Un ricordo che riaffiorava. Avrebbe comprato nuovi vestiti per l'inizio dei corsi, pensò, il giorno successivo. Si alzò.
- Devo andare. Mi ha fatto piacere vederti.-
- Anche a me, molto.- Andrea era sincero, ma non la baciò due volte sulle guance. Quei ragazzi salutavano così, in modo privo di finzioni. - Ci sentiamo presto, ti devo portare a prendere quel gelato.-
Lei sorrise e annuì. Si allontanò sulla scalinata scura. 







* La storia è ambientata in una generica città italiana, per cui il nome del liceo "Mazzini" non fa riferimento a nessun istituto reale. Ho semplicemente scelto un nome più che comune per le scuole nostrane.
  
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