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Autore: Ninfee    31/07/2011    7 recensioni
Questa One Shot partecipa al contest “Guerre Dramionesche” del gruppo Dramione’s Elite nella squadra Mangiamorte.
Ho voluto lavorare su un tema che credo sia stato trattato poco nei libri della Rowling, e che io, personalmente, avrei voluto più approfondito: l’influenza della Guerra sulla psiche dei personaggi. Sì, perché noi siamo i personaggi, quindi ci riguarda da vicino : ad esempio, potremmo prenderla bene, oppure cambiare totalmente, non riconoscerci più, non avere più il controllo sul nostro corpo, e neanche accorgerci di cosa ci stia succedendo. I nostri punti fermi, le nostre certezze potrebbero crollare – e in tal caso, cosa fare? Come reagiremmo a tutto ciò?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Prima di iniziare e farvi leggere la Shot, vorrei dire due parole: questa... cosa partecipa al contest “Guerre Dramionesche” del gruppo Dramione’s Elite nella squadra Mangiamorte, e proprio grazie a questo gruppo mi sta tornando la voglia di scrivere. So che avrei dovuto aggiornare la mia Long tempo fa, ma la voglia e la fantasia scarseggiano, e questo contest mi ha fatto riprendere un po’ di ispirazione.

Quindi ringrazio vivamente chi ha creato il gruppo! Siete tutte fantastiche, davvero.

Ora, vorrei specificare delle cose sulla storia vera e propria: in questa Shot ho voluto lavorare su un tema che credo sia stato trattato poco nei libri della Rowling, e che io, personalmente, avrei voluto più approfondito: l’influenza della Guerra sulla psiche dei personaggi. In effetti, è una cosa che a me mette molta ansia, ed è per questo motivo che ho scelto di utillizzare questa tematica. Il sapere di non conoscere la reazione che si potrebbe avere mi terrorizza: potremmo prenderla bene, oppure cambiare totalmente, non riconoscerci più, non avere più il controllo sul nostro corpo, e neanche accorgerci di cosa ci sta succedendo. I nostri punti fermi, le nostre certezze potrebbero crollare – e in tal caso, cosa fare? Come reagiremmo a tutto ciò? Non so voi, ma il fatto di non avere totale controllo su di me mi fa accapponare la pelle.

Quindi qui vedremo il processo psicologico di Hermione e Draco. Entrambi hanno un loro modo di affrontare le situazioni, come ognuno di noi ha il suo.

Inoltre vorrei aggiungere che ho modificato parte del Settimo Libro per far adeguare la mia trama a quella dei manoscritti della Rowling e per questo ho messo l’avviso di OOC.

Spero che sia di vostro gradimento,

Ninfee









Γνῶθι σεαυτόν – Conosci te stesso




“Possiamo vedere e conoscere

soltanto ciò che di noi è morto.

Conoscersi è morire.”

Luigi Pirandello, La carriola.





Uno scalpitio frenetico, penetrante, si sentiva fin dentro il cervello. Lo scalpitio dei suoi stessi piedi la stava facendo impazzire.

Un fragore assordante la circondava, in quella che una volta era Hogwarts, e che ora era solo un ammasso di macerie, fredde, senza vita né il torpore di casa di cui prima erano impregnate.

Urla, fuoco, buio e disperazione; intorno a lei, solo questo. Il fiato corto per la corsa, la voragine nel petto lasciata dalla constatazione dell'incredibile fragilità dei suoi punti fermi, il cervello che pulsava, gli occhi rossi. Si sentiva morire.

Hermione Granger si guardava intorno, spaesata e impaurita. Non vedeva nessuno. Si fermava, e riprendeva la sua corsa estenuante, ansimando.

Harry. Ron. Ginny.

Il legno della bacchetta d'un tratto si fece rovente, come ad avvertirla del pericolo imminente. La alzò, e senza neanche rifletterci, la puntò al petto d'un uomo a qualche passo da lei, colpendolo con un incantesimo. Caduto a terra esanime, Hermione continuò la sua corsa.

Non sapeva neanche da che parte stesse, quell'uomo.

Scacciò via quel pensiero prepotente.

Continuò a correre, sporca di cenere, polvere e sangue, finché non si fermò un'altra volta, a causa delle fitte lancinanti al braccio e al fianco. Tossì, e un singhiozzo disperato si fece spazio nel suo petto, fino ad uscire. Hermione si sentiva tradita da se stessa per essersi lasciata andare così, per essersi mostrata debole. Lei non lo era.

Riprendendo fiato, si portò la mano sul viso, sotto l'occhio, per nascondere ogni traccia di lacrime, benché fosse consapevole della loro totale assenza.

La fitta al braccio destro non faceva che aumentare, allora Hermione non poté più fare finta di niente; controllò, e quello che vide le fece rivoltare lo stomaco: c'era un profondo taglio, sopra il gomito, dal quale non facevano che uscire fiotti di sangue scarlatto misto a terra e polvere.

Maledizione.

Con l'altra mano provò a pulire la ferita, ma il dolore era atroce; tutto quello che riuscì a fare fu togliere un po' di sangue, il volto costretto in un'espressione di dolore, con i denti scoperti e la bocca socchiusa. Si strappò un pezzo di manica, e la avvolse intorno al braccio, aiutandosi con i denti, mentre l'altra mano stringeva convulsamente la bacchetta.

Mentre annodava il tessuto attorno alla ferita, vide con la coda dell'occhio una figura, a qualche metro da lei. Fece appena in tempo a gettarsi in terra che il raggio blu si scontrò con le mure alle sue spalle, provocando una grande esplosione. Le mani insanguinate incontrarono il terreno ruvido e pieno di macerie; non ressero il peso del corpo e si piegarono sui gomiti. Le ginocchia sbatterono sui calcinacci, e lei si raggomitolò su se stessa, mentre una pioggia di massi e polveri le ricadeva addosso.

Teneva gli occhi chiusi – tanto stretti da far male – , e le mani sopra la testa, ancora la bacchetta in pugno. Era circondata da un fragore assordante, le orecchie sembravano scoppiare. Sentiva la carne lacerarsi sulle braccia, sul viso; e sentiva i polmoni andare a fuoco, alla disperata ricerca d'aria. Finita la frana, rimase immobile, aspettando di sentire qualsiasi rumore: era disorientata, e aveva paura che qualcuno la potesse attaccare quando era così vulnerabile.

Avrebbero potuto ucciderla senza problemi, in quel momento.

Una risata fragorosa irruppe nel sottofondo fatto di grida e urla; quella voce era roca, brutale, ma comunque lontana da lei. Decise di alzarsi – o ora o mai più, si ripeteva – e fece una lieve pressione sulle ginocchia, un braccio a proteggerle il viso – non più pulito, simbolo della sua innocenza, della sua ingenuità, ma bensì sporco e rovinato – e l'altro ad aiutare le sue gambe, che da sole non ce l'avrebbero fatta.

Fuori dalle macerie, puntò la bacchetta al petto dell'uomo che aveva davanti, a qualche metro di distanza: un'espressione di sconcerto trapelò da quel viso scabro, alla vista della ragazza ancora viva e quasi totalmente illesa. Hermione lo riconobbe subito: Jugson. Non era la prima volta che si ritrovava faccia a faccia con lui, e già una volta l'aveva lasciato vivere, Pietrificandolo.

Non intendeva rifare lo stesso errore, adesso non era il momento di essere deboli e… buoni.

«Avada Kedavra», disse quasi con lentezza, assaporando la sensazione che quelle parole le donavano – una sensazione di potere, di forza –, guardando dritta negli occhi la persona che stava per uccidere.

Il corpo fu colpito dal raggio verde in pieno petto; Jugson cadde a terra, neanche il tempo di impallidire, solo quello di realizzare cosa stesse succedendo.

Hermione rimase ferma, immobile, mentre poche lacrime iniziarono a scendere. La forza di impedire ciò l'aveva esaurita, ora non riusciva più a trattenerle; e queste scivolavano autonome giù dagli occhi, a lavarle il viso, quel poco che bastava per far intravedere qualche lembo di pelle. Il resto non riuscivano a toglierlo: lei era troppo colpevole per la purezza delle sue lacrime.

Harry e Ron non l'avrebbero mai fatto, non le avrebbero mai perdonato una cosa simile.

Ma non doveva piangersi addosso: era una guerra, doveva attaccare se non voleva essere attaccata.

Abbassò la bacchetta e si avvicinò al corpo caduto in terra scompostamente, con il cuore che batteva furioso nel petto, che non faceva che ricordarle le sue azioni. La sua figura minuta si ergeva sopra di questo, non sapendo cosa fare. Hermione si guardò intorno, allarmata: e se qualcuno l'avesse vista? Che avrebbe dovuto fare? Coprirlo o lasciarlo così, alla mercé di chiunque?

D'un tratto si ricordò del perché si era allontanata dei suoi amici, e fissò il cadavere con uno sguardo di rammarico. Non avrebbe voluto lasciarlo lì, ma non aveva scelta.

Ricominciò a correre; colonne, cadaveri, feriti, lampi, e Maledizioni. Correva deviando tutto ciò, e pregando di non dover mai più usare una di quella contro qualcuno.

I primi alberi della Foresta Proibita stavano a pochi metri da lei, sulla sinistra, e sfrecciavano veloci, scuri e impenetrabili.

A destra, invece, le mura possenti della sua Scuola. Cercava di non guardarla, di non farci caso: vederla ridotta in quello stato le faceva male, le faceva accapponare la pelle.

Com'era possibile una cosa simile? Come poteva Hogwarts crollare? Non aveva mai immaginato una fine del genere, aveva sempre creduto che quel castello fosse indistruttibile – e invece ora eccolo lì, un ammasso di macerie.

Scrollò la testa, liberandola dai quei pensieri che non facevano altro che distrarla. Doveva rimanere vigile e in guardia.

Si appostò dietro ad un'enorme quercia, per riprendere fiato. Guardò il Castello, sperando di incontrare un paio d'occhi verdi, o azzurri, in modo da potersi tranquillizzare. Ma questo non successe: rimase sola, completamente sola in mezzo al delirio.

Dov'erano Ron ed Harry?

Quando li aveva lasciati, Harry stava duellando con Voldemort, Ron invece con Rookwood, voglioso di vendetta per la morte di Fred.

Chissà se ce l'avevano fatta, o se… non osò neanche pensarlo.




«AVADA KEDAVRA!»

«EXPELLIARMUS!»

Gli incantesimi vennero urlati quasi in sincrono: entrambi erano decisi ad uccidere l'altro.

La folla intorno a loro trattenne il fiato, in un connubio di dubbi e domande. Era avvenuto tutto così velocemente: un attimo prima, Harry sembrava morto, e con lui ogni speranza di vittoria, un attimo dopo, eccolo lì, di nuovo, a riaccendere quella piccola e lieve fiammella nei cuori della gente che aveva sempre creduto in lui; però, anche quella volta qualcosa era andato storto: i due incantesimi si erano scontrati con tale violenza da far cedere le gambe già affaticate dei due maghi, che si ritrovarono a terra.

In quel preciso istante, la Guerra ricominciò ancora più furiosa di prima; mentre Harry e Voldemort si fronteggiavano nel cortile dell'Orologio da soli, tutti avevano ripreso a combattere, con ancora più fervore nell'animo.

La gente correva, scappava, duellava.

Ron, che stava vicino a Hermione, si gettò contro Rookwood, gli occhi stravolti dall'ira e dal dolore.

Non l'aveva mai visto così, e le fece quasi paura.

“La Guerra trasforma la gente”, e lei lo sapeva bene.

Confusa e disorientata, nella folla indistinta riuscì ad individuare lui, che correva via, inseguito da alcuni Mangiamorte, e senza pensarci due volte iniziò a correre cercando di raggiungerlo, allontanandosi dagli altri.




Le immagini di quel che era successo prima irruppero nella sua mente, cercando di ricordarle il motivo della sua corsa estenuante.

Ancora una volta, si ritrovò a cercare nella folla qualcuno di sua conoscenza, nella speranza di non rimanere ancora sola.

Le mura della Scuola crollavano sotto i suoi occhi, mentre la gente scappava. Mentre perlustrava con lo sguardo una parete del Castello, una torre venne colpita da una raggio blu, ed esplose proprio sotto i suoi occhi. Le macerie precipitarono giù, colpendo tutti quelli che non erano riusciti a scappare in tempo. Grida e lamenti riecheggiavano nella Foresta.

«No!»

La Torre di Astronomia.

Hermione si sorprese ad urlare e a sporsi in avanti di qualche passo, sconvolta e in preda al dolore.

Nuovamente, i ricordi di un anno prima le investirono il cervello, mentre il suo grido si spargeva nell'aria stantia e ferma, e mentre i suoi occhi fissavano in maniera vacua e vuota le macerie che crollavano giù.




«Malfoy, per favore, aspetta»

«Sparisci»

Le scale consumate che portavano alla Torre di Astronomia sembravano farsi sempre più ripide ed infinite; quasi faceva fatica a stare dietro al passo svelto e furtivo di Draco, ad una decina di gradini di distanza da lei.

«Lascia che ti aiuti»

A quel punto si fermò di scatto, e si girò, il volto deturpato dal disgusto e dalla rabbia. Anche lei si fermò di colpo, qualche gradino più in basso, e fissò quelle iridi grigie che non si era mai fermata ad osservare. Grigie come la sua vita – lo specchio della sua anima martoriata e distrutta.

«E come vorresti fare, sentiamo? Nessuno può aiutarmi, tanto meno tu. Non ti azzardare mai più a provare a leggermi nella mente, sporca Mezzosangue»

Detto questo con disprezzo, ricominciò a salire le scale. Hermione non si diede per vinta e lo seguì, sempre più su; si sentiva colpevole e affranta per aver usato quel maledetto “Legilimens” su di lui, che le aveva permesso di capire come stessero realmente le cose. Ma c'era qualcosa che le era sfuggito, qualcosa che Draco aveva fatto in tempo a nascondere: una missione, un gesto che avrebbe dovuto fare, ma che lui non aveva il coraggio di eseguire. Il buio della notte faceva loro compagnia, in quella sera d'ottobre, a perlustrare ogni angolo del Castello. Era proprio grazie al loro ruolo da prefetti che si trovavano in quella situazione. Il cuore di Hermione batteva nel petto, ma lei si stupì a trovarsi così trepidante, così ansiosa per la vita di quel ragazzo che non aveva fatto altro che insultarla. Sapeva solo che doveva aiutarlo. Nient'altro aveva importanza.




Era proprio in quella Torre che era iniziato tutto. E adesso, anche quella era caduta, distrutta. Hermione osservava la scena con gli occhi spalancati, tristi e increduli; la mano continuava a stringere la bacchetta in modo maniacale, che le faceva male, ma non intendeva lasciare la presa: quella bacchetta era l'unica cosa che le era rimasta.




Lavanda Brown gli si era praticamente gettata addosso, stupendo tutti – compreso lo stesso Ron – con un bacio mozzafiato, che il ragazzo si trovò presto a ricambiare e ad assecondare, mentre la Sala Comune di Grifondoro fu investita da un boato generale. L'eccitazione era salita alle stelle grazie alla vittoria della partita di Quidditch appena conclusa, e quella scena non fece che far esplodere in esultazioni l'intera folla. Hermione li guardava, e non riusciva a non provare disgusto misto a dolore. Gli occhi castani iniziarono a bruciare, e lei se ne andò via, incompresa e praticamente invisibile. Nessuno, infatti, si accorse della sua assenza.

Corse per i corridoi della scuola fino ad arrivare davanti alla scalinata che portava alla Torre di Astronomia, e vi si sedette, le mani a coprire il volto rigato da lacrime silenziose. Iniziò a singhiozzare senza timore d'esser vista, senza la paura di nascondere il suo patimento.

Era stanca: stanca di non essere considerata, stanca di essere invisibile, stanca di Ron, stanca di... tutto.

Quando ebbe fatto questo pensiero, un singhiozzo più forte le fece sussultare il petto, facendola piangere ancora più forte; quelle lacrime amare sapevano di strazio e rabbia.

«Granger»

Sorpresa da quella voce, sobbalzò e con le mani si asciugò velocemente le lacrime che le rigavano il volto, non osando guardare Malfoy che si ergeva davanti a lei, avvolto nel suo mantello nero. Era da un po' che si frequentavano: parlavano la sera, durante le loro ronde; a volte riuscivano perfino a confidarsi. Si lasciavano sfuggire pensieri, dubbi e domande, per poi continuare a fingere di non essersi mai detti nulla. Questa era la parola chiave: finzione. Il loro rapporto si basava solo su quella inutile e insignificante parola. Potrebbe mai esistere una cosa del genere? No, e lo sapevano entrambi.

Con passo lento, Draco si avvicinò, le mani in tasca e il viso duro e impassibile: non riusciva a capire cosa le fosse successo.

«E pensare che, secondo te, sarei io quello che ha bisogno di un aiuto», disse, con una leggera nota d'ironia nella voce; ma non un ghigno, non un sorrisetto beffardo.

«Non ho bisogno del tuo aiuto, Malfoy. Lasciami stare», rispose lei, ancora con la testa bassa, i capelli ricci e crespi a ricoprirle il viso bagnato.

Draco sorrise, istintivamente: lo aveva immaginato. Con fare lento, si avvicinò ancora di più, fino a sedersi accanto a lei sulla scalinata consumata. Rimase immobile, guardando anche lui il pavimento, non sapendo cosa dirle e non volendo dirle nulla. Le mani a girarsi i pollici, poggiati sulle ginocchia, mentre i capelli gli ricadevano scompostamente davanti agli occhi argentei. Sentiva Hermione piangere in silenzio, sommessamente, e lui provò un fremito: non ce la faceva più a vederla ridotta a quel modo.

Quando vide che il pianto si era attenuato, provò a chiederle, con la voce ridotta in un sussurro:

«Allora, mi spieghi cosa è successo, Granger, oppure hai intenzione di piangerti addosso tutta la notte? Se così fosse, potresti anche avvertirmi: non ho nessuna intenzione di rimanere ad ascoltare i tuoi insulsi piagnistei» benché il tono potesse apparire arrogante, Hermione sapeva che non lo era affatto. Prese un respiro e alzò gli occhi verso di lui, che la guardava, ora, con la testa poggiata sul bracco. Draco sussultò, vedendo i suoi occhi castani così rossi dal dolore e dal pianto incessante. Poteva solo immaginare quanto altro tempo avesse pianto, prima che arrivasse lui. Si sentì male per lei.

«Vuoi davvero starmi a sentire, Malfoy?»

«Potrei cambiare idea da un momento all'altro, quindi ti conviene approfittare»

Hermione continuò a guardarlo, l'espressione stravolta. Poi, distolse nuovamente lo sguardo e si mise a fissare il pavimento, le braccia strette sotto il seno, nella vana ricerca di un abbraccio vuoto.

«L'ha baciata. Davanti a tutti. E io... io ero lì, a guardarli», le lacrime ricominciarono a sgorgare fuori, silenziose e mute. Mentre parlava, aveva rialzato il volto, e adesso puntava lo sguardo su qualcosa davanti a lei, che solo lei poteva vedere, come se stesse riaccadendo tutto davanti ai suoi occhi, in quel momento «non vuole vedere che io sono qui, a due passi da lui. Per lui non sono altro che “Hermione”, capisci? La sua amica bruttina e buona solo a fare i compiti. Mi sento così... così inutile. Se scomparissi dalla faccia della Terra, non se ne accorgerebbe nessuno»

Draco la guardava e l'ascoltava attentamente, senza perdersi nessuna parola, nessun movimento del viso, niente.

«Allora è per Lenticchia che stai così? Sai, ti credevo più intelligente» lui continuava ad osservarla, mentre lei arrossiva leggermente sulle gote, al solo sentir chiamar in causa Ron; aveva indovinato: era di Ron che si trattava. Ma come poteva una come lei a stare dietro ad uno come lui? Si sentiva infastidito da quel pensiero «Cioè, io rischio la vita in questo preciso momento e non piango, mentre tu stai così perché lo Straccione sta con quella cozza della Brown?»

Non c'era cattiveria nel suo tono, ed Hermione si ritrovò a sorridere. Anche Draco, vedendola, si fece scappare una piccola risata «Davvero, Granger, dovresti assolutamente rivedere le tue priorità»

Lei si girò a guardarlo, sorridendo: quella frase gliel'aveva già detta Ron anni addietro, ma detta da Draco suonava meglio. Molto meglio.

D'un tratto, in quel momento, lui le mise una mano dietro la nuca, attirandola a sé; la baciò improvvisamente, senza neanche lasciarle il tempo di capire cose stesse succedendo. Fu un bacio fugace, a fior di labbra, ma che stupì entrambi. Draco non riusciva a capacitarsi del suo gesto, e si staccò presto da lei, che rimase immobile, con gli occhi chiusi.

Lui si volse verso il corridoio e scomparve subito dopo, avvolto dalle tenebre.

Solo allora Hermione aprì gli occhi, e si toccò le labbra con la mano.




Decisa a non voler più guardare uno scenario simile, spostò lo sguardo. Si sentiva violata dentro, si sentiva svuotata di tutto quello a cui aveva creduto prima: come se con quella torre fosse crollata una parte di sé. Non sarebbe stata più la stessa Hermione di sempre; quella Guerra l'aveva segnata irreparabilmente.

Eccolo, d'un tratto; una testa bionda si allontanava di fretta, seguita da una banda di Mangiamorte. Appena lo vide, Hermione ebbe un sussulto. Non credeva di averlo finalmente trovato. Fu presa da un'ondata di gioia, di tranquillità e sicurezza: adesso non sarebbe più stata sola. Si gettò correndo nella sua direzione, ma era troppo lontano, e la distanza sembrava allungarsi sempre di più.




La mano scattò veloce, con tutta la rabbia, repressa per anni, che attendeva solo un momento per esplodere. Ma il braccio di lui fu più rapido. Le bloccò il polso in una stretta ferrea, a pochi centimetri dal suo viso – un viso di Serpe –, prima che lo schiaffo lo potesse colpire. Il suo ghigno beffardo scomparve lentamente, lasciando il posto ad una smorfia di rabbia.

«Come hai osato?»

Draco Malfoy chiuse gli occhi fino a farli diventare due piccole fessure dalle quali uscivano lampi. Hermione non poteva dargliela vinta. No. Non avrebbe dovuto permetterlo. Guardò in quell'abisso argenteo, e tentò di caricare il suo sguardo di tutto l'odio che possedeva.

La morsa al polso si strinse e lui avvicinò il suo corpo a quello di Hermione, che fece dei passi indietro, senza staccare gli occhi dai suoi. Non voleva allontanarsi, ma la sua mente era come annebbiata. Non era lei a comandare sul suo corpo.

«Non provocarmi, allora, Malfoy», rispose gelida, tagliente.

Draco sorrise, un sorriso senza allegria. Puro sarcasmo. Hermione fece scendere lo sguardo alle labbra, rosse dal freddo, del ragazzo che aveva di fronte, senza saper contenere un brivido, che le trapassò il corpo, facendole chiudere gli occhi per nascondere quell'insicurezza che la faceva sentire impotente. Odiava sentirsi impotente.

«Altrimenti cosa fai, Mezzosangue?»

Il suo tono era ironico e prepotente. Fece un altro passo avanti, abbassando le loro mani, che non aveva alcuna intenzione di lasciare, né di allentarne la stretta. Lei non rispose. La schiena di Hermione andò a sbattere al muro, mentre un corpo irrigidito dalla paura di una repulsione e dalla rabbia la sovrastava. Il suo petto che non ammetteva repliche era attaccato al suo seno, e poteva sentire il respiro della ragazza, che faceva abbassare e alzare ritmicamente il torace.

La mano del ragazzo le premeva sul fianco, facendole male; a stento trattenne un gemito di dolore. Lei cercò di spostarla, ma la presa era troppo stretta. Il suo corpo sembrava essere scolpito nel marmo. La pelle era liscia, pallida, perfetta. La sua bocca, invece, era rosea e calda. Bella. Seducente. Passionale.

Non riusciresti ad ammazzare qualcuno neanche sotto tortura, Granger. Saresti totalmente inutile in una battaglia; e inutile al mondo intero”

Quelle parole – quelle che l'avevano fatta esplodere prima, con quello schiaffo – le risuonavano nel cervello, facendola ragionare nuovamente. Avrebbe potuto contemplarlo per ore, ma adesso la rabbia nera ed accecante la sovrastò nuovamente, destandola da i suoi pensieri. Il suo sguardo divenne di fuoco, mentre il ricordo di qualche minuto prima l'avvolse completamente, facendole pulsare le tempie. Il tono che aveva usato Malfoy era duro, freddo, distaccato. Ma non fu quello a farla infuriare. Fu che quelle parole colpirono il bersaglio. Era inutile, e lo sarebbe sempre stata.




«Sporca Mezzosangue»

«Viscido verme»

Questi erano gli insulti, pronunciati quasi con cattiveria nei corridoi brulichi di gente. Finzione. Avrebbero dovuto tener mascherata la loro relazione, sempre. Quando i loro occhi si incontravano, si pronunciavano scuse leggere attraverso lo sguardo, per poi continuare ad insultarsi. Le parole erano dure e fredde, e fendevano l'aria con decisione.

Ma costretti a fingere troppo, si ritrovarono piano piano ognuno di nuovo nella propria vita, separati. Iniziarono ad allontanarsi: la finzione aveva sommerso perfino la realtà. Si ritrovarono di nuovo soli, entrambi sopraffatti dalle bugie, entrambi affogavano nel mondo fittizio e falso che si erano andati a creare. Oramai non esisteva più finzione: era diventata reale.

Se prima nel loro sguardo c'era un minimo di compassione, di sentimento, adesso era tutto finito.

La guerra si avvicinava e loro cambiavano, sempre di più: gli occhi di Hermione si erano induriti, come ghiacciati, e non più un sorriso, non una parola di gentilezza sembrava voler uscire dalla sua bocca, che tante volte aveva pronunciato dolci frasi; era così da mesi, con l'avvicinarsi di quei tempi sempre più bui.

Draco, invece, era sempre più insicuro di se stesso: non sapeva come comportarsi con la sua famiglia, non riusciva a ribellarsi. Senza Hermione era perduto. Ma era solo una sporca Mezzosangue: non ci sarebbe mai stata per lui.




Hermione riuscì a capire solo in quel momento – mentre correva via veloce, come se nessun ostacolo fosse abbastanza grande da poterla fermare – cosa le stesse succedendo, in cosa si stesse trasformando. Aprì finalmente gli occhi, trovandosi davanti una realtà che la spaventò.

Si rivide, in piedi, davanti al cadavere dell'uomo che lei stessa aveva ucciso. Quella non era lei. Cosa le era successo?

Si rivide ancora, lì, nei corridoi bui di quella che prima era Hogwarts, mentre voltava le spalle a Draco, che chiedeva – supplicava – il suo aiuto.

E di nuovo, mentre ignorava i sentimenti dei suoi amici – quelli di tutti.

In che cosa si stava trasformando?

Fu proprio questo pensiero a farla correre ancora più velocemente, ansiosa di far capire anche a Draco che quelli non erano loro, ma le loro menti che erano cadute nella loro stessa trappola.

«Draco!», si ritrovò ad urlare proprio dietro di lui, a qualche metro di distanza.

Lui si voltò di scatto, sentendo quella voce che una volta era riuscita a sollevarlo, ma che poi l'aveva fatto ricadere nel baratro. Insieme a lui, però, si girarono anche i volti dei genitori.

Lucius puntò subito la bacchetta contro Hermione, mentre Narcissa sfoderava la propria. Lo sguardo di quella donna lasciava trapelare tutta la paura e il terrore che provava in quel momento – il tormento di una moglie e una madre che non voleva altro che la sua famiglia al sicuro, lontana da lì e salva. Lucius Malfoy, invece, aveva il volto deturpato: i suoi occhi erano quelli di un pazzo.

Hermione sussultò, spaventata e sconvolta, fermandosi di scatto, la bacchetta alla mano. Continuava a spostare lo sguardo da Lucius a Narcissa, le labbra socchiuse, gli occhi vigili e attenti.

«Fermatevi, padre. Ho intenzione di finirla io»

Li fece roteare verso Draco, che ora si stava avvicinando a lei con la bacchetta puntata, il ghigno in volto – ma non era quel sorrisetto beffardo che ormai si era abituata ad amare: questo era carico di rancore e sarcasmo. Non l'aveva mai visto così... crudele.

I due coniugi si guardarono, e lentamente abbassarono le bacchette. Poi si allontanarono, guardandosi intorno con fare furtivo.

«Draco, ti aspettiamo fuori dai cancelli», disse sua madre, con la voce fievole. Draco rispose con un cenno della testa, senza staccare gli occhi – malvagi, oscuri, annebbiati– da quelli di Hermione, che lo fissava senza capire cosa gli fosse successo. Non era più il ragazzo di cui si stava innamorando.

Ma cosa stava succedendo a loro due?

I due continuavano a scrutarsi, le bacchetta ancora puntata l'una contro l'altra. Draco non aveva intenzione di abbassare la propria, che teneva in posizione di attacco, letale.

«Draco» Hermione sussurrò il suo nome, come se facendolo potesse riscuoterlo, potesse fargli rendere conto della situazione in cui erano incappati. Il suo sguardo lasciava tradire, però, il terrore di cui era vittima, quella paura immane di non essere ascoltata e capita.

«Taci, Mezzosangue! Non osare mai più chiamarmi così» gli occhi di lui lanciavano lampi di rabbia, risentimento, rancore. Lei rimase attonita: non immaginava una simile reazione. Tentò di nuovo:

«Che ti succede, eh? Non lo vedi? Non riesci a vedere cosa stiamo diventando?»

L'ultima frasi era quasi un grido.

«Taci!»

«Non ricordi come eravamo, prima che ci fosse la Guerra?» mentre diceva queste parole, con il tono più basso, quasi sussurrate, si avvicinava a lui, abbassando la bacchetta – sperando che anche lui facesse lo stesso «Draco, siamo cambiati senza rendercene conto!»

«Taci!»

«Ma non ti ricordi? Non ricordi cosa eravamo, prima

Furono quelle parole a farlo esplodere: non sopportava essere preso in giro, non sopportava essere la seconda scelta di nessuno. E che lei facesse finta di nulla, lo faceva imbestialire. Sporca, lurida Mezzosangue!

«Prima? Mentre io mi fidavo di te, e tu mi usavi?!» lui non intendeva abbassare la bacchetta, anzi, sembrava volerla usare da un momento all'altro «Mentre io... io mi stavo...», per continuare la frase fu costretto a deglutire, la gola improvvisamente secca da quella consapevolezza. Non l'aveva mai ammesso, neanche a se stesso «io mi stavo innamorando di te»

«Draco, ma cosa...»

«Taci, ho detto!» Hermione ammutolì, all'istante; non si aspettava una reazione tanto brusca.

«Tu non volevi aiutarmi. Non l'hai mai voluto» lei cercò di rispondere, gli occhi imploranti, ansiosi di essere ascoltati «Sei solo una schifosa Mezzosangue»




Le sue grida inondavano prepotenti le mura di Malfoy Manor, avvolta nell'oscurità della notte. Grida acute, di dolore estremo, atroci all'udito. Al suo udito. Non avrebbe retto ancora per molto, sapendola lì con sua zia Bellatrix. Si sarebbe fatto staccare via il cuore con le mani nude, pur di far cessare quella tortura.

Voltò le spalle, non volendo vedere altro.

«E ora, credo che possiamo sbarazzarci della Mezzosangue. Greyback, prendila, se la vuoi»

Draco spalancò gli occhi, terrorizzato: aveva permesso tutto ciò solo per la paura e per il suo orgoglio; prima della fine della scuola l'anno precedente si erano allontanati molto, non erano più gli stessi. Anzi, erano ritornati gli stessi di sempre. E non poteva farsi scoprire, in quel covo di Mangiamorte.

Non avrebbe dovuto permetterlo.

«NOOOOOOO!»

Ronald Weasley era piombato nella stanza, sotto lo sguardo stupito di tutti. Draco dapprima sospirò di sollievo, ma poi un fremito di rabbia gli invase la mente. Avrebbe dovuto essere lui a salvarla.

Lo guardava mentre combatteva per lei, mentre la prendeva in braccio. Come la toccava, come la guardava. Il modo in cui si tenevano, l'una aggrappata all'altro. E lì capì: quella schifosa Sanguesporco l'aveva usato, tradito, e abbandonato.




Gli occhi di lei si ingrandirono, sconvolti, mentre le labbra venivano socchiuse; un pugnale ardente dritto nel petto avrebbe fatto meno male.

Si fece forza, e riprendendo il comando sul proprio corpo, si avvicinò a lui, quasi a toccarlo. Sperando che non fosse tutto perduto, che quella Guerra non lo avesse trasformato in ciò che lui temeva di diventare.

«Draco, per favore, ascoltami»

Con un grido di rabbia – inumano, mostruoso – Draco la prese per le spalle e la scaraventò a terra. Non sopportava la sua presenza. La sua falsa vicinanza.

Rammarico, sgomento, frustrazione.

Rabbia, dolore, abbandono.

Come erano finiti così? Perché?

Lui non sembrava se stesso, e non lo era. Era impossessato dal desiderio di vendetta del suo orgoglio ferito, sembrava identico a suo padre. Si stava avvicinando, pronto a finirla una volta per tutte. Hermione non desiderò altro, in quel momento. Se lo meritava.

«Sta' lontano da lei, Malfoy!»

Draco si girò di scatto: Ronald Weasley gli puntava la bacchetta alla gola, gli occhi che mandavano lampi. Eccolo, la causa della sua rovina.

Era fuori di sé, intrappolato in un mare di odio troppo profondo per la sua resistenza.

Un ultimo sguardo ad Hermione pieno di disgusto, e se ne andò via, correndo verso il punto dove erano scomparsi i genitori. I suoi passi sembravano rimbombare nella Foresta, ma sopratutto era come se calpestasse pezzi di lei, tranciati in mille brandelli. Non gliene importava più nulla.

Hermione non riusciva a respirare. Non c'era più aria, se n'era andata via con lui.

«Tutto a posto? Se solo ti ha torto un capello, io...», fece Ron non appena Draco scomparve, inghiottito dalle tenebre. Si era avvicinato a lei, ed ora l'aiutava ad alzarsi con dolcezza, preoccupazione.

Ma Hermione non staccava gli occhi dal punto in cui era sparito, come se facendolo lo potesse abbandonare ancora. Le facevano male, a furia di trattenere quelle lacrime amare.

Era tutto perduto.









Diciannove anni dopo





“Nessuno ha mai commesso un errore più

grande di colui che non ha fatto niente

perché poteva fare troppo poco.”

Edmund Burke







King's Cross era brulica di gente, come una volta. La sua mano stringeva quella più piccola di sua figlia undicenne. Era liscia, rosea e piccola, nonostante la sua età. Rose. Non l'avrebbe rivista fino a Natale. Il suo primo anno lontano da casa.

Aveva sviluppato una certa apprensione soffocante per tutte le persone che amava, dalla Battaglia. Da quella maledetta notte, non riusciva più a stare sola, o meglio, non riusciva a sopportare l'idea che qualcuno si allontanasse da lei.

Benché per un genitore fosse sempre difficile lasciare i propri figli, per lei era una vera e propria agonia: aveva la paura – il terrore, quello freddo, che ti fa gelare il sangue nelle vene – che potesse succedere qualcosa, se fosse stata lei troppo lontana per tenere la situazione sotto controllo. Questo atteggiamento ossessivo le causava dolori continui, ogni giorno: non poteva controllare ogni singola cosa, e per questo la paura le attanagliava lo stomaco. Ron era distrutto, non riusciva a tranquillizzarla, e i suoi attacchi di panico lo facevano stare male.

Ma si trattava dell'adolescenza di sua figlia, e non poteva negargliela: cosa avrebbe fatto lei, se i suoi le avessero impedito di andare ad Hogwarts? Così si decise a lasciarla andare.

Attraversarono – Hermione, Ron, Rose, Hugo e i rispettivi animali – il binario 9 ¾ e si ritrovarono presto davanti ad un lungo treno scarlatto.

L'Espresso per Hogwarts.

I ricordi del suo primo giorno di scuola la travolsero, facendole mancare il respiro.




Tutte quelle persone le mettevano paura, e lei si sentiva estranea dal mondo in cui avrebbe dovuto finalmente sentirsi appartenente. Era una sensazione orrenda. In mano prese un libro di scuola e, con quello sottobraccio, salì sul treno, dopo aver fatto un lungo respiro. Salendo, però, andò a sbattere contro un ragazzino alto più o meno come lei. I suoi capelli erano biondissimi, e quando alzò lo sguardo lei poté vedere i suoi occhi, di un colore splendido. Ne rimase colpita.

«Stai più attenta, la prossima volta», le disse, con in viso un'espressione di disgusto che non gli si addiceva affatto. Lei non rispose, e lui si allontanò, ignorandola totalmente. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, e quando gli si avvicinarono due ragazzini, non poté non ascoltare le loro parole.

«Spero solo che mio padre si sbagli: non ce li voglio quegli sporchi figli di babbani, tra i piedi. Non sopporto il loro puzzo: sono solo feccia»

Rimase sconvolta, e giurò a se stessa vendetta per quel ragazzino. Ancora non sapeva che quelle parole non erano sue, ma di suo padre.




Strinse ancora più forte la mano di sua figlia, che la guardò accennando un sorriso rassicurante. Hermione non poté fare a meno di ricambiare: vedere sua figlia così materna, verso di lei e le sue paure, la faceva sentire molto meglio; in quei momenti, Rose non era più la bambina, e lei non era più la madre. I ruoli si invertivano, come per magia.

Troppo presto, si ritrovarono tutti davanti alla carrozza. Madre e figlia si guardarono, quasi piangendo.

«La borsa? I maglioni? Ti sei ricordata tutto, vero? Se ti rendi conto di esserti dimenticata qualcosa, tu...»

«... non devo fare altro che mandarti un gufo, e tu arriverai di corsa. Lo so, mamma. Sono settimane che lo ripeti, non sono più una bambina», lo disse col sorriso, come faceva sempre con quella madre che ne aveva veramente bisogno. Rose non seppe mai il motivo delle fobie della madre, e non lo volle mai sapere: se sorriderle la faceva stare bene, lei sorrideva.

Non era più una bambina.

Hermione lo sapeva bene, ma quella consapevolezza la schiacciava.

La sua bambina.

L'abbracciò stretta, le lacrime agli occhi, provando ad alleviare quella voragine che le cresceva dentro, che la risucchiava. Quando la lasciò andare perché salutasse Ron, il vuoto totale l'assalì, togliendole il respiro.

«Oh, sono arrivati zia Ginny e zio Harry!» la voce di Hugo li fece voltare all'istante. La famiglia Potter si avvicinava, al completo: c’erano Harry e Ginny, il malandrino James, il timido Albus, e la piccola Lily. Tutti sembravano molto felici ed entusiasti; non una nota di malinconia, di angoscia, di tristezza. Perché lei era l’unica a sentire quel peso gravarle sullo stomaco?

Harry cercò subito il suo sguardo: sapeva quanto le costasse lasciare andare Rose, ma sapeva anche che lei l’avrebbe fatto, senza un lamento, senza un risentimento. Per la sua famiglia, avrebbe sacrificato se stessa.

Mentre i bambini discutevano animatamente sulla Casa dove sarebbero stati smistati, Hermione notò un repentino cambio di umore di Ron; la sua espressione era mutata e adesso appariva indurita. Non capendo, continuò a guardarlo e notò che fece un cenno ad Harry, al quale tutti e tre si girarono a guardare un punto a pochi metri da loro.

«Guarda chi c'è»

Appena le tre figure apparirono dalla nebbia, Hermione sentì il suo respiro morire in gola, e le gambe stranamente troppo deboli per reggerla.

Draco Malfoy li stava osservando, e li salutò con un breve cenno del capo. La malinconia nei suoi occhi era palpabile, mentre osservava Rose e Hugo, i figli della donna che aveva amato, e che non aveva mai smesso di amare, nonostante si sentisse tradito da lei.

Ed era proprio quella sensazione a ricordargli i suoi sentimenti: se non l’avesse amata, non avrebbe potuto sentirsi così ferito, così violato e umiliato.

Hermione, invece, continuava a guardare lui e sua moglie, fino a quando i loro occhi si incontrarono, dopo tutto quel tempo.

Una fitta nel petto, lì, sul cuore.

Non sarebbe dovuta finire così.



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La caratteristica della mia squadra era quella di avere l’obbligo del “no happy eding”;

quale peggior sensazione di essersi resi conto dei propri sbagli, e non poter più rimediare?

Ho modificato la storia per la presenza di errori che mi sono stati fatti notare nelle recensioni. Per correttezza rispetto alle mie compagne e ai giudici, ho voluto annotarlo. Per vedere di che errori si tratti, basta leggere le recensioni.
   
 
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