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Autore: TittaH    31/07/2011    3 recensioni
-Cambiare vita è sempre stato il mio sogno, sin da bambina; sognavo l’America, volevo andare a New York ed esaudire i miei desideri che in Italia non avrebbero mai preso forma.-
La storia di una ragazza al confine tra sogno e realtà.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Chapter four


Da bambina ero la classica sfigata con la quale nessuno voleva parlare; ero lo zimbello della classe per via dei fondi di bottiglia rosa che portavo sul visino piccolo e scarno e due dentoni da coniglio leggermente sporgenti. Mi vergognavo di me stessa e non avevo amici per questo.
Passavo i pomeriggi a studiare a casa e ciò non guastava la mia media scolastica, ma a parte quella non avevo altro.
I miei migliori amici erano un diario, una penna e la musica, oltre che ad una valanga di libri che divoravo in due giorni.
Mia mamma mi stava col fiato sul collo e mio padre si lamentava perché non uscivo mai; la gente era buona solo a criticare ed io mi chiudevo ancora di più in me stessa e nel mio mondo.
A dodici anni pesavo ventisette chili ed ero alta un metro e cinquantacinque, quindi immaginate quanto fossi invisibile.
La mia insegnante delle elementari mi rimproverava per questo, diceva che dovevo mangiare o sarei caduta in anoressia, senza sapere che c’ero già dentro da un paio di anni.
Con lei ho intrapreso un corso di musica e ho cominciato a vedere qualcosa di diverso in me stessa, qualcosa di speciale, così mi sono data da fare, mi sono rimboccata le maniche e ho cominciato a mettere da parte scrittura e lettura per uscire.
Mi fece fare amicizia con due ragazze, una delle quali divenne la mia migliore amica- con la quale ho rotto tutti i rapporti dopo sette anni- e cominciai ad allargare il gruppo per sole donne, però.
Avevo una sorta di paura dei maschi da bambina; non mi avvicinavo a loro e loro non si avvicinavano a me perché ‘Sei un castoro, una mazza da scopa, una quattr’occhi!’
Meno male che c’erano le mie amiche a difendermi e a farmi sentire speciale, altrimenti non sarei qui in questo momento.
Un giorno, però, un bambino si sedette accanto a me- avevo quattordici anni e pesavo trentotto chili- e cominciò a parlarmi. Mi disse quanto gli facevano schifo i suoi amici che pensavano solo alle auto e alle gonne delle ragazzine, mi disse quanto fossero deficienti le persone che non capivano che una persona non doveva giudicarne un’altra solo per un paio di occhiali e mi disse che voleva essere mio amico.
Mi brillarono gli occhi e accettai quel gesto di buon grado, scoprendo per la prima volta l’amore.
Sì, mi innamorai perdutamente di lui ma lui non corrispondeva e scappò.
Da quel giorno però ricominciai a mangiare, cominciai ad uscire anche con ragazzi più grandi di me, dato le stupide liti con le mie coetanee.
Ricordo ancora la prima uscita di gruppo con i ‘grandi’: passai il pomeriggio a mollo nella vasca, mi pettinai i capelli per non so quanto tempo e stesi un velo di lucidalabbra sulle piccole labbra che tremavano dalla paura, come le mie gambe.
Ero terrorizzata all’idea di dover risultare antipatica o piccola rispetto a loro- senza sapere che quella prima uscita fu la prima di una lunghissima serie conclusasi con il mio viaggio in America.
Ero terrorizzata proprio come in questo momento.
Tra mezz’ora Stefano mi farà uno squillo e io lo raggiungerò davanti al suo bar ed io devo ancora scegliere cosa devo indossare!
E’ da quando mi ha invitata stamattina che passo dal bagno al letto e dal letto al bagno per sistemarmi al meglio; non ho neanche mangiato presa com’ero tra ceretta, pinzette per le sopracciglia, piastra e trucchi.
Mi fisso allo specchio, ancora in lingerie, e osservo come il mio corpo è cambiato insieme al mio carattere:  le mie gambe sono lunghe e leggermente abbronzate per via della lampada e della carnagione cioccolato di mia madre- dalla quale ho preso questa particolarità, oltre che delle leggere malattie- ma coperte da piccole smagliature bianche di cui mi vergogno, i miei fianchi sono leggermente coperti da delle maniglie dell’amore molto simpatiche, a detta dei miei amici, i miei capelli sono ormai lunghi e lisci e neri, non più corti e ricci e di un castano chiaro tendente al biondiccio che odiavo; gli occhi, sempre grandi e di un marrone intenso,  non sono più nascosti dagli occhialoni rosa ma sono lasciati liberi dalle lenti a contatto, il che mostra il mio naso reso perfetto dalla chirurgia plastica- dato che avevo una gobbetta perché portai gli occhiali per sedici anni.
Non sono una di quelle ragazze belle da mozzare il fiato, ma mi trovo carina dopo tanti anni persi a fare corsi di autostima con la mia prof di psicologia del liceo.
Non ne avevo molta e non mi fidavo di nessuno che non fossi io, tanto che non avrei mai accettato un invito come quello di Stefano, ma l’Anna bambina e adolescente è stata sepolta sotto strati e strati di corazza dura e rigida che si romperà quando e se lo dirò io, lasciando spazio ad un’Anna donna che stasera si divertirà dopo tanto tempo e farà nuove amicizie.
Mi do un’ultima occhiata allo specchio, rimandando i ricordi ad un altro momento, e mi fiondo in valigia dove pesco un vestitino rosa corallo con delle orchidee disegnate che partono dal seno e finiscono trasversali sul lato opposto della gonna, che arriva al di sopra del ginocchio; ai piedi dei sandali alti bianchi, che riprendono il fiore, e una pochette a mano dello stesso colore delle scarpe.
Stendo un leggero strato di fondotinta adatto alla mia pelle, un velo di ombretto rosa sugli occhi, accentuati dalla matita scura all’interno della palpebra, e una passata di mascara per allungare le ciglia.
Un po’ di profumo e sento il cellulare vibrare.
Stefano arrivo!” dico soltanto, aprendo la telefonata e chiudendola senza dargli tempo di ribattere e corro a mettermi un filo di burro cacao ai lamponi e metto nella borsettina minuscola il cellulare, le sigarette e dei fazzolettini per qualsiasi evenienza.
Fuori fa leggermente caldo, quindi non prendo alcuna giacca o copri spalla e mi fiondo fuori dalla camera, cedendo distrattamente e velocemente la chiave della stanza alla receptionist che mi osserva col suo solito sguardo.
Cammino sicura di me, cercando di non pensare a che genere di amici abbia Stefano, e arrivo davanti a Starbucks trovandolo in compagnia di tre ragazzi e due ragazze.
“Ciao!” dico loro agitando nervosamente una mano in aria.
“Anna!” mi chiama Stefano, donandomi un bacio sulla guancia che mi fa arrossire leggermente. “Hai fatto presto.” mi fa notare e io annuisco.
I ragazzi mi guardano dalla testa ai piedi ed io faccio segno a Stefano di presentarmeli.
“Giusto, allora lei è Anna, è italiana come me e starà qui per… Quanto tempo resti?”
Io alzo le spalle metto su un broncio di disappunto.
“Non lo so, vorrei starci tutta la vita magari.” dico sorridendo.
“Bene, più tempo per conoscerci.” mi dice un ragazzo con dei capelli chiari e lisci e degli occhi grigi da far paura.
E’ bellissimo e credo di potermi prendere una sbandata seria per lui. La sua stretta di mano è leggera, ma convincente, e le sue mani sono lisce, curate e dalle unghie perfettamente tagliate.
Il suo sorriso è uno dei più splendenti che abbia mai visto e la sua voce è soave ma profonda.
E’ un misto di contraddizioni chiuso in un paio di jeans stretti, maglia bianca e un paio di Vans a scacchi.
Il mio tipo!
“Jordan, molto lieto.” Altro sorriso, altro infarto.
Chi mi stringe la mano ora è un tipo tutto hip hop dagli occhi scuri e i cornrows sulla testa, che tiene la mano ad una ragazza stile punk, con una gonna nera piena di toppe rosse, le calze a rete, gli anfibi scuri e una maglia rossa ridotta quasi a brandelli.
I suoi capelli sono pieni di trecce colorate e dread sparsi ed ha una narice perforata da un cerchio sottile e chiaro, come i suoi occhi.
‘Gli opposti si attraggono!’ penso, sorridendo.
“Io sono Brian e lei è Rayanne, la mia ragazza.”
“Piacere mio!” dico, prima di presentarmi all’ultima coppia di ragazzi che sembrano i più normali: lui è alto, muscoloso, coi capelli rasati e gli occhi verdi; lei è mediamente alta, con i capelli biondo cenere talmente lunghi da poter competere con Raperonzolo e gli occhi che sembrano due pietre lucenti.
Entrambi hanno dei jeans e delle Converse simili, con la differenza che lui ha una camicia bianca a righe grigie, come le scarpe, e lei ha una canotta nera a manica corta.
“Io sono Sharon e lui è Kyle lo stupido del gruppo.”
Rido alla battuta e lo sento bofonchiare un ’Ci sento ancora, ti lascio stronzetta.’
Lei ride di gusto e si baciano, così come i due tipi alternativi.
Sento Stefano stringermi la vita con un braccio e avvampo d’imbarazzo, mentre lancio un’occhiata a Jordan che mi sembra non avere problemi a star solo.
Arriviamo in una specie di ristorante barra pub barra quello che volete e ci sediamo; io sono tra Jordan e il mio compaesano. Che sogno!
“Allora, Anna, quanti anni hai?” mi chiede Rayanne.
“Venticinque, ventisei il mese prossimo.”
Tutti sorridono ed esclamano ‘Party!’, ma io scuoto il capo.
“Non ho soldi, ho un albergo da pagare e ho bisogno di un lavoro. Niente festa!”
Kyle mi guarda male.
“La festa, baby, la organizziamo noi, tu devi solo farti bella.” mi dice ed io mi alzo, alzando con me il mio bicchiere di vodka, gridando un po’: “Io sono già bella, ragazzo!”
Silenzio totale e poi una risata incredibile scoppia nella sala.
“Dove alloggi?” domanda Stefano.
“Hotel Paradise!”
“Hotel Paradise?!” mi chiede, nuovamente, sconvolto.
“Yep!” annuisco fintamente contenta.
“Ma fa schifo e la receptionist è una riccona del cazzo!” dice Sharon, scatenando le mie risa.
“Oh lo so, ed è per questo che voglio un lavoro e voglio scappare da quella cogliona al più presto.”
“Vieni a stare da me e ti aiuto io col lavoro.”
Silenzio.
Tutti guardiamo Stefano.
Mi ha realmente chiesto di andare a vivere con lui? A me? Ad una sconosciuta?
Fisso i miei occhi in quelli di Jordan e sembra quasi come se stessi cercando una specie di permesso che lui mi da.
“Ha ragione!” dice. “Stai da lui, ti trova un lavoro e appena puoi compri casa.”
Guardo stranita anche lui.
Le due ragazze mi inducono con lo sguardo ad accettare e Rayanne- che amo già!- mi fa segno di scoparmelo di nascosto da Brian.
Io rido e stringo la mano a Stefano.
“D’accordo, domani mi ‘trasferisco’ da te, ma poi appena posso ti pago e sloggio. Va bene, amico?
Scuote energicamente la mia mano e accetta.
Okay, amica!
Gli altri non capiscono del tutto, ma si limitano a ridere e a raddoppiare il giro di vodka lime.
L’ultima cosa che ricordo è che mi sono messa in piedi sulla sedia ed ho urlato: “Io amo New York!”, scatenando l’ilarità generale.

 
 




La prima parte- quella dei ricordi- sono i miei reali ricordi.
La descrizione allo specchio è quello che vorrei essere, ma le smagliature e le maniglie dell’amore- gobbetta sul naso compresa ce li ho davvero adesso.
Pooooi, i nomi degli amici sono quelli dei personaggi di ‘My So-Called Life’ ma i caratteri e le caratteristiche non sono quelle vere; Rayanne in parte. <3
Beh, vi ringrazio tutte per tutto e vi prego di dirmi cosa ne pensate.
Bacioni,
TittaH.

  
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