Timeline: allora, per TVD è ambientata almeno quattro anni dopo il
quinto anno di liceo. Per quanto riguarda Lost, credo bisognerà fare uno
strappo alla regola considerato che la timeline è differente da quella
di TVD – Lost, se non sbaglio, è ambientato nel 2004 –
quindi diciamo che è prima che Boone prenda l’aereo dell’Oceanic,
ma è trasportato di qualche anno avanti.
Note:
- TVG!Fest @ vampiregeometry, non dovrei neanche stare a ripeterlo, è così ovvio
u_ù
- Prompt Boone
Carlyle/Elena - "You remind me of someone" (Lost!crossover)
- Per qualsiasi errore chiedo perdono /o\ l’ho
riletta almeno un migliaio di volte, ma senza la mia adorata beta – come al
solito – sfuggirà qualcosa al mio controllo.
- La dedico a Lizzie_Siddal, perché condivide con me la passione
per Lost e i suoi crossover (e perché è stata così paziente
dall’aiutarmi nel trovare i dettagli, perché è una college!au e vabbè, per tutto /o\).
Anche se forse meritavi di meglio, è venuta fuori diversamente da come
la volevo (come sempre, insomma). Ma #ormaitanto,
giusto?
Disclaimer: I personaggi di “The vampire diaries” non mi appartengono
(ma se lo fossero sarei taaaanto felice, sì :D).
Why are you
staring at me?
La festa dei Fondatori di Mystic Falls era un evento che non si poteva
rimandare o, quantomeno, saltare; le famiglie fondatrici erano da sempre
obbligate a parteciparvi, non si ammettevano scuse di alcun genere, ed Elena
Gilbert non poteva fare di certo eccezione, nonostante questo coincidesse con
delle lezioni nel college che frequentava.
«Non ti ingozzare, farai in tempo.» la raccomandò
Meredith – la sua compagna di stanza – seduta dall’altra
parte del tavolo della mensa del college. Elena finì di imburrare la
seconda fetta biscottata e l’addentò, per poi mescolare
velocemente lo zucchero nel proprio caffè.
«Devo essere a casa per le tre al massimo, mi devo vedere con
mio fratello prima della festa.» spiegò Elena tra un boccone e l’altro,
«Spero solo di sbrigarmi e tornare in tempo per l’esame.»
Meredith scosse la testa, tornando a mangiare i suoi cereali ai frutti
di bosco e canticchiando a bassa voce la canzone che arriva dalla cuffietta
dell’iPod che teneva costantemente
nella tasca dei jeans, «E le tue amiche?» proruppe all’improvviso,
facendo sobbalzare la compagna, «Bonnie… quella Caroline. Anche
loro ci saranno?» domandò per fare conversazione e distrarla dall’imminente
esame di letteratura inglese su cui entrambe si stavano preparando da
settimane.
«Bonnie sì, anche se non fa parte delle famiglie
fondatrici.» rispose Elena, annuendo un paio di volte, «Non sono
sicura se ci sarà anche Caroline… probabilmente è da
qualche parte, in giro per il mondo. Ricordi com’è fatta, no?»
tagliò corto, per non dover approfondire il vero motivo per cui Caroline
molto probabilmente non ci sarebbe stata: l’ultima volta che l’aveva
vista era stata un paio di anni prima, quando si era presentata nel suo
dormitorio blaterando qualcosa a proposito di come Parigi fosse stupenda e
Vienna sottovalutata, «Ora è meglio che vada.» esordì
alzandosi in piedi e prendendo un’ultima fetta biscottata, «Ci
vediamo tra un paio di giorni.» la salutò abbracciandola
rapidamente, prima di correre fuori dalla mensa.
Uscì in cortile, l’unico modo di raggiungere il
dormitorio in fretta, mentre finiva di mangiare e rivangare i ricordi scaturiti
dal nome “Caroline”: da quando si era allontanata da Mystic Falls
la sua vita era cambiata totalmente. Tutto il tempo che prima passava a
scappare da vampiri centenari e sacrifici improbabili, ora lo passava davanti
ai libri e alle feste del college. Non stava mai un attimo ferma, trovava
sempre il modo di partecipare a qualche comitato studentesco o di viaggiare con
i suoi compagni di corso; non permetteva mai troppo ai ricordi di raggiungerla
e lacerarla a tal punto da chiuderla in se stessa. Era una vita normale, una di quelle che aveva sempre
desiderato e che pochi anni prima stavano riuscendo a strapparle. Poco importava
se lei era stata d’accordo il più delle volte, con quelle
decisioni che la stavano allontanando dalla normalità.
«Stai attenta!»
Riuscì a rimanere in piedi per un pelo, quando inciampò
senza accorgersene in una gamba. Ad occhi sgranati – e maledicendo i
ricordi che l’avevano distratta così facilmente –
abbassò lo sguardo verso il ragazzo seduto sull’erba: ma la sua
prima reazione non fu quella di scusarsi, ma di accertarsi che quella voce fosse associata a quel viso.
Le mancò il fiato, nel vede il profilo del ragazzo con cui si
era scontrata, che con una smorfia stava chiudendo il libro che stava leggendo.
Alzò lo sguardo su Elena e sollevò un sopracciglio, mentre lei
cercava di riprendersi dagli occhi incredibilmente azzurri e uguali a quelli di
lui: era identico, fatta eccezione
per i capelli che portava più corti e castani. Era tentata di aprire
bocca e pronunciare il suo nome, quando quello decise di precederla.
«Perché mi stai fissando?»
Il sorriso speranzoso quasi si incrinò di fronte a quella
domanda, al cipiglio confuso di lui e alle sopracciglia aggrottate in un’espressione
accigliata. Elena ingoiò il groppo in gola, sforzandosi senza alcun
risultato di distogliere lo sguardo, «Scusa… mi ricordi qualcuno.»
riuscì a dire.
Il ragazzo alzò un angolo della bocca, a formare un sorrisetto identico a quello di lui; la stessa
malizia, lo stesso sguardo mentre parlava, «Un amico?»
Damon.
Avrebbe voluto pronunciare quel nome ad alta voce, per chiedergli se
era davvero lui, se la stava soltanto prendendo in giro, ma tutto ciò
che riuscì a fare fu annuire, «Sì. Sì, un mio amico.»
rispose in fretta Elena, «Mi spiace… non volevo distrarti dal tuo
libro.»
«Tranquilla, in un certo senso speravo in un diversivo.»
rise lo sconosciuto, «Ancora mi chiedo perché ho scelto di
studiare giornalismo, di certo non fa per me.» scrollò le spalle. Elena
si sforzò di sorridere, mentre il ragazzo si alzava, per poi porgerle la
mano, «Mi chiamo Boone.»
Gli strinse la mano, «Elena.» si presentò, per poi
sospirare, «Sei identico a lui.»
non riuscì a trattenersi dal commentare.
Boone la indicò con il libro dalle pagine spiegazzate e la
copertina blu notte, «È possibile, sai? Dicono che esiste almeno
un doppelgänger per ogni persona esistente sulla Terra.»
affermò con sicurezza.
«I doppelgänger mi perseguitano.» lo interruppe
immediatamente dal spiegarle cosa fosse, con un sospiro stanco misto a
rassegnazione. Boone sospirò a sua volta: aveva sperato di far colpo con
quella battuta su un fenomeno che non in molti conoscevano, ma lei sembrava
sapere già tutto. Anzi, dal tono di voce con cui aveva risposto alla sua
battuta ne sembrava infastidita.
«Ne sembri quasi… infastidita.» decise di rivelarle
i suoi pensieri, «Non ti piacerebbe conoscere la tua gemella?»
«Già fatto, non è un’esperienza che
consiglio. Credimi.» di fronte allo sguardo sorpreso di Boone,
sbuffò pescando il portafoglio dalla borsa. Ne tirò fuori una
fotografia spiegazzata, che porse al ragazzo titubante: non sapeva neanche lei
perché si sentisse in dovere di condividere ciò che ormai
apparteneva al passato, ma qualcosa la spingeva a fidarsi di quella coppia
sputata di Damon. Di quel sorriso che più di una volta l’aveva
disarmata, «Non all’inizio, almeno…»
Boone afferrò la foto, aggrottando le sopracciglia nello stesso
modo in cui lo faceva Damon di fronte ad una verità sconvolgente: la
foto ritraeva un piccolo gruppo di persone, riunite attorno ad un divano enorme
e dallo stile classico. Cercò di coglierne solo i particolari in grado
di contraddistinguerli tra loro. Sedute sui braccioli, due ragazze – una bionda,
e una scura di colore e di capelli – sorridevano all’obiettivo,
abbracciate ad altrettanti due ragazzi, anch’essi diversissimi tra loro.
Quello abbracciato alla biondina, aveva i capelli corti, biondissimi quanto
quelli di lei, mentre l’altro li aveva scuri, tenuti poco più
lunghi. Un ragazzo ed un uomo, appoggiati alla spalliera del divano,
sorridevano: il più giovane aveva indosso una maglietta bordeaux e
bianca, probabilmente da football, mentre l’uomo indossava una giacca
color sabbia: non sorrideva. Infine, seduti sul divano, quattro persone
sorridevano. Due di loro erano abbracciati, ne riconobbe il profilo poco
più giovane di Elena, tuttavia il ragazzo che le circondava le spalle non guardava l’obiettivo, ma lei.
Accanto ad Elena, però, c’era un’altra ragazza identica a
lei, ma in qualche modo diversa: sorrideva con malizia, gli occhi trasmettevano
sicurezza. E seduto subito di fianco c’era l’amico di cui parlava Elena.
«Non è possibile.» sussurrò Boone, portando
lo sguardo sulla ragazza che lo fissava con un sorriso malinconico in volto.
«L’abbiamo scattata al mio quarto anno di liceo.»
spiegò, per poi indicare con un dito le uniche due facce che interessavano
a Boone, «Questi sono Damon e Katherine.»
«Sono identici a noi!»
«Lo so.» sospirò Elena, «Per te potrà
sembrare strano, ma per me è come tornare indietro nel tempo.»
«È straordinario.» commentò Boone con un
sorriso entusiasta, «Non c’è modo di conoscere questo Damon?»
«No.» rispose subito lei, «Non lo vedo, né sento
da molto tempo, ormai.» riprese la foto, ritirandola con cura nel
portafoglio: era l’unico ricordo che riusciva ad associare a loro senza
pensare a tutto ciò che era successo in quegli anni pieni di caos. L’unico
momento tranquillo in una vita che ora non le apparteneva più.
«Boone!»
Si voltarono entrambi, scorgendo una ragazza bionda che li fissava
poco distante a braccia incrociate. Boone esibì una smorfia di
disappunto, «Scusa… mia sorella è arrivata e devo darle
retta, purtroppo.»
«Tranquillo… io comunque sono in ritardo.» lo
tranquillizzò Elena. I due si fissarono un momento negli occhi, ma per
tacito accordo si limitarono a sorridersi e dividersi: le parole non sarebbero
servite a niente, sapevano entrambi che quell’incontro assurdo e inusuale
aveva tutte le probabilità di non ripetersi.
Elena quando, tre giorni dopo, tornò al college non si
stupì neanche di non ritrovarlo seduto nello stesso punto o di non
riuscire a incontrarlo nei mesi successivi. Non l’avrebbe più
rivisto, sarebbe rimasto un ricordo. Esattamente come Damon.