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Autore: Fiery    31/07/2011    6 recensioni
Le mancò il fiato, nel vede il profilo del ragazzo con cui si era scontrata, che con una smorfia stava chiudendo il libro che stava leggendo. Alzò lo sguardo su Elena e sollevò un sopracciglio, mentre lei cercava di riprendersi dagli occhi incredibilmente azzurri e uguali a quelli di lui: era identico, fatta eccezione per i capelli che portava più corti e castani. Era tentata di aprire bocca e pronunciare il suo nome, quando quello decise di precederla.
«Perché mi stai fissando?»
Il sorriso speranzoso quasi si incrinò di fronte a quella domanda, al cipiglio confuso di lui e alle sopracciglia aggrottate in un’espressione accigliata. Elena ingoiò il groppo in gola, sforzandosi senza alcun risultato di distogliere lo sguardo, «Scusa… mi ricordi qualcuno.» riuscì a dire.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Elena Gilbert
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ginger'
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Timeline: allora, per TVD è ambientata almeno quattro anni dopo il quinto anno di liceo. Per quanto riguarda Lost, credo bisognerà fare uno strappo alla regola considerato che la timeline è differente da quella di TVD – Lost, se non sbaglio, è ambientato nel 2004 – quindi diciamo che è prima che Boone prenda l’aereo dell’Oceanic, ma è trasportato di qualche anno avanti.

Note:

-  TVG!Fest @ vampiregeometry, non dovrei neanche stare a ripeterlo, è così ovvio u_ù

-  Prompt Boone Carlyle/Elena - "You remind me of someone" (Lost!crossover)

-  Per qualsiasi errore chiedo perdono /o\ l’ho riletta almeno un migliaio di volte, ma senza la mia adorata beta – come al solito – sfuggirà qualcosa al mio controllo.

-  La dedico a Lizzie_Siddal, perché condivide con me la passione per Lost e i suoi crossover (e perché è stata così paziente dall’aiutarmi nel trovare i dettagli, perché è una college!au e vabbè, per tutto /o\). Anche se forse meritavi di meglio, è venuta fuori diversamente da come la volevo (come sempre, insomma). Ma #ormaitanto, giusto?

Disclaimer: I personaggi di “The vampire diaries” non mi appartengono (ma se lo fossero sarei taaaanto felice, sì :D).

 

 

 

Why are you staring at me?

 

 

La festa dei Fondatori di Mystic Falls era un evento che non si poteva rimandare o, quantomeno, saltare; le famiglie fondatrici erano da sempre obbligate a parteciparvi, non si ammettevano scuse di alcun genere, ed Elena Gilbert non poteva fare di certo eccezione, nonostante questo coincidesse con delle lezioni nel college che frequentava.

«Non ti ingozzare, farai in tempo.» la raccomandò Meredith – la sua compagna di stanza – seduta dall’altra parte del tavolo della mensa del college. Elena finì di imburrare la seconda fetta biscottata e l’addentò, per poi mescolare velocemente lo zucchero nel proprio caffè.

«Devo essere a casa per le tre al massimo, mi devo vedere con mio fratello prima della festa.» spiegò Elena tra un boccone e l’altro, «Spero solo di sbrigarmi e tornare in tempo per l’esame.»

Meredith scosse la testa, tornando a mangiare i suoi cereali ai frutti di bosco e canticchiando a bassa voce la canzone che arriva dalla cuffietta dell’iPod  che teneva costantemente nella tasca dei jeans, «E le tue amiche?» proruppe all’improvviso, facendo sobbalzare la compagna, «Bonnie… quella Caroline. Anche loro ci saranno?» domandò per fare conversazione e distrarla dall’imminente esame di letteratura inglese su cui entrambe si stavano preparando da settimane.

«Bonnie sì, anche se non fa parte delle famiglie fondatrici.» rispose Elena, annuendo un paio di volte, «Non sono sicura se ci sarà anche Caroline… probabilmente è da qualche parte, in giro per il mondo. Ricordi com’è fatta, no?» tagliò corto, per non dover approfondire il vero motivo per cui Caroline molto probabilmente non ci sarebbe stata: l’ultima volta che l’aveva vista era stata un paio di anni prima, quando si era presentata nel suo dormitorio blaterando qualcosa a proposito di come Parigi fosse stupenda e Vienna sottovalutata, «Ora è meglio che vada.» esordì alzandosi in piedi e prendendo un’ultima fetta biscottata, «Ci vediamo tra un paio di giorni.» la salutò abbracciandola rapidamente, prima di correre fuori dalla mensa.

Uscì in cortile, l’unico modo di raggiungere il dormitorio in fretta, mentre finiva di mangiare e rivangare i ricordi scaturiti dal nome “Caroline”: da quando si era allontanata da Mystic Falls la sua vita era cambiata totalmente. Tutto il tempo che prima passava a scappare da vampiri centenari e sacrifici improbabili, ora lo passava davanti ai libri e alle feste del college. Non stava mai un attimo ferma, trovava sempre il modo di partecipare a qualche comitato studentesco o di viaggiare con i suoi compagni di corso; non permetteva mai troppo ai ricordi di raggiungerla e lacerarla a tal punto da chiuderla in se stessa. Era una vita normale, una di quelle che aveva sempre desiderato e che pochi anni prima stavano riuscendo a strapparle. Poco importava se lei era stata d’accordo il più delle volte, con quelle decisioni che la stavano allontanando dalla normalità.

«Stai attenta!»

Riuscì a rimanere in piedi per un pelo, quando inciampò senza accorgersene in una gamba. Ad occhi sgranati – e maledicendo i ricordi che l’avevano distratta così facilmente – abbassò lo sguardo verso il ragazzo seduto sull’erba: ma la sua prima reazione non fu quella di scusarsi, ma di accertarsi che quella voce fosse associata a quel viso.

Le mancò il fiato, nel vede il profilo del ragazzo con cui si era scontrata, che con una smorfia stava chiudendo il libro che stava leggendo. Alzò lo sguardo su Elena e sollevò un sopracciglio, mentre lei cercava di riprendersi dagli occhi incredibilmente azzurri e uguali a quelli di lui: era identico, fatta eccezione per i capelli che portava più corti e castani. Era tentata di aprire bocca e pronunciare il suo nome, quando quello decise di precederla.

«Perché mi stai fissando?»

Il sorriso speranzoso quasi si incrinò di fronte a quella domanda, al cipiglio confuso di lui e alle sopracciglia aggrottate in un’espressione accigliata. Elena ingoiò il groppo in gola, sforzandosi senza alcun risultato di distogliere lo sguardo, «Scusa… mi ricordi qualcuno.» riuscì a dire.

Il ragazzo alzò un angolo della bocca, a formare un sorrisetto identico a quello di lui; la stessa malizia, lo stesso sguardo mentre parlava, «Un amico?»

Damon.

Avrebbe voluto pronunciare quel nome ad alta voce, per chiedergli se era davvero lui, se la stava soltanto prendendo in giro, ma tutto ciò che riuscì a fare fu annuire, «Sì. Sì, un mio amico.» rispose in fretta Elena, «Mi spiace… non volevo distrarti dal tuo libro.»

«Tranquilla, in un certo senso speravo in un diversivo.» rise lo sconosciuto, «Ancora mi chiedo perché ho scelto di studiare giornalismo, di certo non fa per me.» scrollò le spalle. Elena si sforzò di sorridere, mentre il ragazzo si alzava, per poi porgerle la mano, «Mi chiamo Boone.»

Gli strinse la mano, «Elena.» si presentò, per poi sospirare, «Sei identico a lui.» non riuscì a trattenersi dal commentare.

Boone la indicò con il libro dalle pagine spiegazzate e la copertina blu notte, «È possibile, sai? Dicono che esiste almeno un doppelgänger per ogni persona esistente sulla Terra.» affermò con sicurezza.

«I doppelgänger mi perseguitano.» lo interruppe immediatamente dal spiegarle cosa fosse, con un sospiro stanco misto a rassegnazione. Boone sospirò a sua volta: aveva sperato di far colpo con quella battuta su un fenomeno che non in molti conoscevano, ma lei sembrava sapere già tutto. Anzi, dal tono di voce con cui aveva risposto alla sua battuta ne sembrava infastidita.

«Ne sembri quasi… infastidita.» decise di rivelarle i suoi pensieri, «Non ti piacerebbe conoscere la tua gemella?»

«Già fatto, non è un’esperienza che consiglio. Credimi.» di fronte allo sguardo sorpreso di Boone, sbuffò pescando il portafoglio dalla borsa. Ne tirò fuori una fotografia spiegazzata, che porse al ragazzo titubante: non sapeva neanche lei perché si sentisse in dovere di condividere ciò che ormai apparteneva al passato, ma qualcosa la spingeva a fidarsi di quella coppia sputata di Damon. Di quel sorriso che più di una volta l’aveva disarmata, «Non all’inizio, almeno…»

Boone afferrò la foto, aggrottando le sopracciglia nello stesso modo in cui lo faceva Damon di fronte ad una verità sconvolgente: la foto ritraeva un piccolo gruppo di persone, riunite attorno ad un divano enorme e dallo stile classico. Cercò di coglierne solo i particolari in grado di contraddistinguerli tra loro. Sedute sui braccioli, due ragazze – una bionda, e una scura di colore e di capelli – sorridevano all’obiettivo, abbracciate ad altrettanti due ragazzi, anch’essi diversissimi tra loro. Quello abbracciato alla biondina, aveva i capelli corti, biondissimi quanto quelli di lei, mentre l’altro li aveva scuri, tenuti poco più lunghi. Un ragazzo ed un uomo, appoggiati alla spalliera del divano, sorridevano: il più giovane aveva indosso una maglietta bordeaux e bianca, probabilmente da football, mentre l’uomo indossava una giacca color sabbia: non sorrideva. Infine, seduti sul divano, quattro persone sorridevano. Due di loro erano abbracciati, ne riconobbe il profilo poco più giovane di Elena, tuttavia il ragazzo che le circondava le spalle  non guardava l’obiettivo, ma lei. Accanto ad Elena, però, c’era un’altra ragazza identica a lei, ma in qualche modo diversa: sorrideva con malizia, gli occhi trasmettevano sicurezza. E seduto subito di fianco c’era l’amico di cui parlava Elena.

«Non è possibile.» sussurrò Boone, portando lo sguardo sulla ragazza che lo fissava con un sorriso malinconico in volto.

«L’abbiamo scattata al mio quarto anno di liceo.» spiegò, per poi indicare con un dito le uniche due facce che interessavano a Boone, «Questi sono Damon e Katherine.»

«Sono identici a noi!»

«Lo so.» sospirò Elena, «Per te potrà sembrare strano, ma per me è come tornare indietro nel tempo.»

«È straordinario.» commentò Boone con un sorriso entusiasta, «Non c’è modo di conoscere questo Damon?»

«No.» rispose subito lei, «Non lo vedo, né sento da molto tempo, ormai.» riprese la foto, ritirandola con cura nel portafoglio: era l’unico ricordo che riusciva ad associare a loro senza pensare a tutto ciò che era successo in quegli anni pieni di caos. L’unico momento tranquillo in una vita che ora non le apparteneva più.

«Boone!»

Si voltarono entrambi, scorgendo una ragazza bionda che li fissava poco distante a braccia incrociate. Boone esibì una smorfia di disappunto, «Scusa… mia sorella è arrivata e devo darle retta, purtroppo.»

«Tranquillo… io comunque sono in ritardo.» lo tranquillizzò Elena. I due si fissarono un momento negli occhi, ma per tacito accordo si limitarono a sorridersi e dividersi: le parole non sarebbero servite a niente, sapevano entrambi che quell’incontro assurdo e inusuale aveva tutte le probabilità di non ripetersi.

Elena quando, tre giorni dopo, tornò al college non si stupì neanche di non ritrovarlo seduto nello stesso punto o di non riuscire a incontrarlo nei mesi successivi. Non l’avrebbe più rivisto, sarebbe rimasto un ricordo. Esattamente come Damon.

  
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