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Autore: Neal C_    01/08/2011    6 recensioni
Virginia Foster si trasferisce in una cittadina anonima, Rodeo, in California. Abituata ad essere sempre la prima della classe neppure alla Pinole Valley High School si smentisce e così non può rifiutare una richiesta della cordinatrice del suo corso: aiutare un compagno di classe particolarmente refrattario allo studio, con la testa perennemente nella musica, spesso assente e in continuo conflitto con i professori a cui si rivolge con linguaggio piuttosto colorito, contestando tutto.
Saprà rimettergli la testa a posto o verrà trascinata nel suo mondo di insoddisfazione, di ribellione e continuo rifiuto?
Ha solo cinque mesi per convincerlo* che la scuola non è tutta da buttare, lei che nei libri e nella cultura ci naviga fin da bambina.
*(Armstrong abbandonerà il liceo il 16 febbraio 1990, il giorno prima di compiere diciott'anni.)
[Rating Giallo: linguaggio colorito]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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Gennaio
delusioni e tradimenti



Non so che caspita sia successo ma quella gita a Berkeley è stata più dannosa che altro.
Doveva tirare su il morale di Jenny e l’ha resa solo più scazzata, specie con me, anche se ancora non so perché.
Doveva dare alla coppia Billie-Jenny una possibilità e invece sembra tutto sfumato.
O forse sono io che me lo sono sognato?
E infine doveva essere una cosa divertente ma ha solo contribuito a stressarmi se penso a come stava finendo la serata.
Ogni volta che mi trovo vicina al mio caro compagno di banco, non riesco a guardarlo, se ci penso arrossisco per l’imbarazzo o la vergogna che sia, e soprattutto mi discosto leggermente per mettere quanta più distanza possibile fra noi.
Deve aver notato che mi irrigidisco quando lo spazio che ci separa diminuisce perché ultimamente mi lancia degli strani sguardi, incuriositi e a tratti anche divertiti.
Ho finalmente finito la relazione su Poe e sul romanzo gotico e mi toccherà andare a casa con lui, per fargliela studiare.
“Casa” si fa sempre per dire perché ci andremo a rinchiudere in quella Squatter House in cui sopravvivono tutti insieme.
Aldilà dell’imbarazzo, sono fortunata: lui non ricorda un accidente di quello che è successo al campus.
In realtà non so esattamente cosa ricordi, ma niente che riguarda me, visto che il suo atteggiamento non è minimamente cambiato rispetto a prima, cosa che mi fa sperare nella sua totale ignoranza.
Stamane ad esempio, quando gli ho comunicato del pomeriggio-studio che avevo programmato, ha sbuffato e ha cercato di scamparselo in tutti i modi.
Ma non ho fatto tutto quel lavoro per vederlo buttato nel cesso quindi alla fine si è dovuto arrendere alla mia decisione.
Se prendiamo il  bus delle quattro e ventotto dovremmo arrivare almeno per le cinque.
Ho un pomeriggio per prepararlo.
Auguri.

Non dobbiamo neppure aspettare troppo l’autobus che arriva puntuale e abbastanza vuoto per nostra fortuna.
Ultimamente il mio Eastpack è pieno di pietre, altro che libri.
Non siamo nemmeno alla fine del trimestre e mi tocca portarmi appresso mezza libreria per sopravvivere alla giornata.
Invece è abbastanza irritante vedere Armstrong che cammina tranquillo, sotto il peso-piuma del suo di zaino, da cui ho visto uscire solo qualche quadernetto mezzo stracciato e scarabocchiato, una penna o una matita mezze mangiucchiate, e, ogni tanto, l’occorrente per arrotolare spinelli.
Ah si, una volta ha imprecato tutta la mattinata perché non trovava il suo plettro preferito salvo poi scoprire che era proprio nella tasca del suo zaino.
Più di una volta, mentre aspettavamo i cinque minuti alla fermata, ho pensato di costringerlo a comportarsi da cavaliere e a prendere il mio zaino che mi stava distruggendo le spalle.
Fortunatamente troviamo posto per sedere, uno di fronte all’altro e io posso appoggiare l’Eastpack ai miei piedi.
Mi lascio sfuggire una smorfia di stanchezza e mi massaggio la spalla indolenzita.

“Ma che diavolo porti a fare tutti quei libri? Tra l’altro se quella roba l’hai veramente studiata, buttando un pomeriggio intero, è inutile portarsi un tomo di cose studiate e ripetute cinquanta volte.”
“Lascia stare, Armstrong. Diciamo che sono masochista e voglio che le mie spalle soffrano  le pene dell’inferno, questo lo capisci?”

Sarcasmo.
Lui alza gli occhi al cielo e scrolla poi le spalle con noncuranza.
Non sembra offeso.
In ogni caso lo voglio di buon umore per affrontare l’argomento “Jenny”: abbiamo davanti una buona mezz’ora e certo io non voglio passarla a  guardarci negli occhi.
Indago un attimo sul suo viso, mentre lui guarda fuori dal finestrino una deprimente stradina di Rodeo contro cui si abbatte una fitta ma leggera pioggerellina.
Dimenticavo di dire che piove...si anche qui, nella solare, calda, marina California.
Tiro il respiro cercando di arginare la curiosità: avrò il diritto di sapere perché Jenny mi tratta così di merda?!
Spero per lui che abbia queste risposte.

“Billie, ma che cosa è successo esattamente fra te e Jenny?”
“Quando? Chi?”
“Non fare l’idiota più di quanto tu non sia già. A Berkeley, quella sera, stava andando tutto a meraviglia. Poi improvvisamente lei ti pianta in tronco e se ne va.
Poi quando mi rincontra, prima di radunare il gruppo mi da della puttana, della troia e non so che altro.”
“Ah, quello. Niente.”
“Billie Joe Armstrong, stiamo parlando di una delle mie migliori amiche E TU MI RISPONDI NIENTE?!?!”
“E piantala di urlare che ti prendono per pazza! È stata solo una giornata di merda, questo è tutto.”

In effetti due sessantenni distinte, in rossetto rosso e ombretto ceruleo, con una maschera di rughe a malapena coperta dal fondotinta ci osservavano sospettose, indignate e un po’ schifate.
Ho letto le parole “pazza isterica” e “frocio drogato” sulle loro labbra e mi è venuto da ridere.

“Che hai da ridere?”
“Penso che le signore siano rimaste scandalizzate all’idea che un ragazzo possa andarsene in giro truccato come una femminuccia.”

Davanti alla sua espressione perplessa mi passo l’indice sulle sottociglia, indicando chiaramente la sua matita nera, un po’ sbavata. Quegli occhi hanno l’aria di non aver mai visto struccante in vita loro.
Lo so, perché anch’ io, ogni tanto, quando mi scoccio di struccarmi, mi limito a passare un dito bagnato sul trucco e a strofinare finchè non rimane solo una patina nerastra.
Ebbene, ecco a voi un raro esemplare di WWF, tragicamente in via di estinzione!

“Cazzi loro.”
“Invece quel che è successo sabato sono anche cazzi miei quindi sputa il rospo!
Altrimenti stai certo che ti assillerò tutto il pomeriggio e i giorni a seguire.”
“Che paura.”
“Billie, per piacere...”

Mi specchio nei suoi occhi verdi e riesco a vedermi mentre mi mordo il labbro e lo fisso insistentemente benché lui non smetta quell’aria annoiata e in parte anche irritata.
Cerco di muoverlo a compassione e, soprattutto, non abbasso lo sguardo sebbene mi ritorni in mente il prato di tre giorni fa.
Lui sembra soppesare la fiducia che può riporre in me, secondo dopo secondo, poi alla fine si decide:

“Era davvero depressa. L’ho fatta sfogare.
Mi ha raccontato un sacco di Juls e di alcuni suoi atteggiamenti da stronzo, di qualche suo tradimento che lei aveva sempre perdonato e coperto, di litigi su litigi...
mi sembrava di essere diventato il loro avvocato divorzista.”
“Si è aperta con te?”
“Si, in fondo ci conosciamo da un pezzo. E comunque, non so bene perché ma risulto simpatico alle persone, si fidano di me.
Mi ha anche rivelato, più tardi, che ero stato l’unico ad ascoltarla come lei avrebbe voluto e a farla ridere in quel momento.
Mi ha parlato anche di te...”

Sbatto le palpebre, sorpresa.
Sto per sentire come mi considera una delle mie migliori amiche di sempre.
La cosa mi affascina e mi terrorizza allo stesso tempo, tanto che mi mordo la lingua.

“Ahi!”
“Che?”
“Niente, continua! C-che haa dettooo di m-me?”
“Beh, dice che sei un po’ infantile, tutta concentrata su te stessa.
Stai sempre lì a programmare che tutto sia negli schemi tanto che metti ansia.
Rovini l’atmosfera di avventura, di sorpresa, ti preoccupi fino alla paranoia e sei soffocante con questo tuo bisogno di avere tutto sotto controllo.
È per questo che non le sembra di essere ascoltata quando parla con te. Tu stai sempre pensando a cento altre cose e non ti dedichi mai troppo alle persone.”
“Ah”

Sono delusa, ma era inevitabile.
Fredda, calcolatrice, realista, spietata, pratica, rompipalle, fissata per principio su certe cose, con le manie di controllo. Mi sembra di essere Darth Vader*.
Scuoto il capo e lo redarguisco, con tono imperioso:

“Va bene, vai avanti, su!”
“Beh, abbiamo cominciato a parlare del più e del meno.
Mi ha raccontato della sua vita, cose che tu avrai sentito un milione di volte ma si tornava sempre lì, maledizione. Sempre Juls. Mi prudono le mani se ci penso.”
“Non me ne parlare. Non sarei in questo pasticcio senza di lui.”
“Quando ha cominciato a rilassarsi allora ci siamo andati a sedere con Tim e Mike e lei ha partecipato alla discussione con un po’ più d’entusiasmo. Poi ad un certo punto ha fatto per alzarsi e ha detto di voler andare a fare una passeggiata per digerire i tre hamburger che si è scrofanata e...”

Fin qui sembra tutto piuttosto normale anzi assolutamente ottimistica come previsione, esattamente quello che mi era parso di capire, quella sera, benché ci separassero circa dieci metri di distanza.
Poi tutto è andato a rotoli...e lui perché non continua?!
Sento che il suo fastidio si è acuito e la sua voce è sulla difensiva:

“Insomma, quando una fa così tu che pensi?! Lo fa apposta!
Le chiedo di accompagnarla e lei sembra contenta, come se non aspettasse altro!
Poi finiamo a parlare di...non mi ricordo di cosa. Il suo profumo mi stordisce.
Hai notato che sa un po’ di erba tagliata fresca e di gelsomino?”
“Billie, eravate sull’erba. Io la chiamo suggestione, tu che dici?”
“...”
“Embè?”
“Alla fine le chiedo se...se le piacerebbe stare con me... ”
“E lei?”
“E lei mi guarda come se avessi detto la cosa più stupida del mondo e si mette a ridere.
Mi fa incazzare. Non mi piace che si rida di me, non in questi momenti.
Io ce la sto mettendo tutta e tu mi ridi in faccia?”

Ha un’espressione quasi buffa mentre pronuncia quelle parole.
In fondo stiamo parlando di un ragazzino che dimostra appena quindici anni che si morde il labbro con rabbia e frustrazione mentre racconta, gli occhi verdi illuminati da una luce di risentimento e delusione profonda.
Mi viene da sorridere benevolmente mentre sposto un attimo lo sguardo sulla strada.
Ancora un po’. Quante saranno, cinque fermate?
Devo tornare alla realtà perché lui sembra essersi finalmente animato e continua a raccontare, parlando più in fretta e alzando il tono della voce.

“Insomma le rispondo male e finiamo per insultarci a vicenda.
Ora che ci penso lei doveva averlo  preso come uno scherzo perché, anche con gli insulti, continuava a ridacchiare rendendomi ancora più nervoso.
Insomma alla fine le ho detto in faccia che andasse al diavolo, che il suo fidanzatino aveva fatto bene a lasciarla salvo poi perdere la testa per un’altra stronza perché era uno senza cervello che non impara mai dalle stronzate che ha fatto.”
“Oddio...”
“Poi mi pento e le chiedo scusa ma lei è pallida e stavolta è seriamente incazzata.
Lei mi chiede insistentemente se conosco il nome della tizia per cui Juls l’ha lasciata.
Io glielo dico e così peggioro solo le cose perché lei rimane di sasso, salvo poi urlarmi contro e fuggire via, letteralmente, lasciandomi come un imbecille in mezzo al prato.”

Silenzio.
Lui sembra svuotato. Per un attimo mi sembra di scorgere lo stesso sguardo atono di Jenny al volante, quella notte.  Si stringe nelle spalle e fa un sospirone bello lungo.
Nel frattempo il labbro gli sta sanguinando.

“Billie, sei un idiota lo sai?”
“Cosa?”
“Hai fatto un’idiozia dopo l’altra: l’hai insultata, hai insultato il fidanzato e ti aspetti anche che non si offenda e dichiari che tu sei l’uomo della sua vita? ”
“Io...”
“Ma almeno chi è sta tizia per cui Juls ha lasciato Jenny?”

Questa volta è lui a guardarmi stupito.
Si sporge in avanti e scoppia a ridere, esilarato.
Ok, lo ammetto, è irritante quando ti sghignazzano in faccia, sul muso.
Almeno questo sembra restituirgli un po’ di buon umore sebbene il cambiamento repentino sia davvero impressionante.

“Ma ci sei o ci fai?!”
“Armstrong, entro stasera grazie.”
“Non ti piacerà neanche un po’.”
“Piace a Juls, mica a me!”
“Sveglia, ragazzina, sei tu.”

Rimango attonita mentre lui mi scruta per cogliere una qualche mia reazione.
Non so che stia cercando, so solo che sono allibita e penso con orrore a quella Jenny così tesa e incazzata che mi guardava gelandomi con gli occhi.

-Schifosa puttana che non sei altro.
-Sei una troia.
-Ti odio.
 
“Ma...io non ne avevo idea.”
“Ho notato.”
“Scherzi a parte, Billie...è terribile! E poi a me Juls non interessa per niente!”
“Davvero? Mah, il resto del mondo avrebbe detto il contrario.”

Adesso sembra lui divertirsi davanti al mio smarrimento.
Sono troppo stupita anche solo per incavolarmi.
Ma perché io non l’ho mai notato?!?!
Certo, gli ho lanciato parecchi sguardi ma non ricordo che lui abbia mai risposto o semplicemente scorto i miei.
E poi ultimamente lui mi evitava!  Si, mi evitava e faceva finta che non fossi mai esistita.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
Anche Mike si sarà accorto di questa...cosa?
Dovrei essere contenta eppure mi rimane un terribile peso sullo stomaco, un senso di colpa davvero soffocante.

“Ehi, sveglia! Si scende!”

Armstrong è saltato giù dal sedile appena in tempo per precipitarsi alla porta, tenendola bloccata mentre io  e l’Eastpack ci muoviamo più lentamente costringendo mezzo autobus ad attendere ancora prima di partire.
Dobbiamo percorrere solo questa strada fino in fondo.
Neppure seicento metri più in là c’è  “casa”.
Mentre camminiamo Armstrong canticchia una canzone a me sconosciuta, come se niente fosse successo.
Io non posso evitare di chiedere, pigolando come un uccellino.

“Billie, che devo fare? Con Jenny? con Juls?”
“Lui ti piace?”
“No!”
“Come bugiarda non vali un emerito cazzo.”
“Ma...Jenny?”
“Le passerà, chi se ne frega! Può averne quanti ne vuole di Juls.”
“Ma se succedesse con Mike-biondo-platino...tu lo faresti?!”

Non mi risponde.
Nel frattempo siamo davanti alla porta della vecchia abitazione.
Era un no?

*****************

“Posso farti sentire una canzone?”

Alzo gli occhi al cielo.
Sono passate un paio d’ore e ho appena finito di leggergli la ricerca per la terza volta.
Mi ha ascoltato fissando il muro davanti a sé con espressione assente e annuendo ogni tanto.
Quando ho terminato la lettura lui non aveva afferrato una parola.
Inutile dire che mi sono incazzata, gli ho urlato contro uno “SVEEEGLIA!!!” e gli ho lanciato contro un lenzuolo che ho tirato via da un’amaca.
Questo edificio cade a pezzi ma ha un bel soffitto di legno con delle grosse travi a cui sono state appese delle amache, una lampadina senza paralume e uno scaccia sogni spiumato.
L’ambiente è diventato respirabile da quando hanno tolto quelle travi dalle finestre e hanno rotto i vetri, perché gli infissi erano bloccati.
Poi ovviamente intorno è un porcile, ovunque, ma non mi aspettavo di meglio.
Bottiglie di vetro, buste di plastica, briciole, resti di cibo appallottolati in carta argentata, piatti e bicchieri sporchi disseminati, roba come abiti o oggetti sparpagliata in giro, compresi giornali,  qualche libro, spartiti e fogli dovunque.
Inutile continuare l’elenco.
In una settimana, da quando si sono trasferiti, hanno già reso il posto uno schifo.
Tornando al lenzuolo, l’ho anche preso in faccia.
Lui, di rimando,  mi ha gettato contro una vecchia felpa infeltrita che puzzava di sudore e di birra.
Io ho afferrato un paio di quelle pantofole di spugna giallastre, ma il mio tiro non è andato a segno.
Mi è arrivato contro un jeans ma lo ho afferrato prima che mi atterrasse addosso.
Mi sono avvicinata di soppiatto mentre lui, di schiena, sembrava cercare qualcos’altro da lanciarmi addosso, poi gli sono saltata praticamente addosso, facendolo cadere per terra sulle ginocchia e sui palmi delle mani.
Mi sono piazzata a cavalcioni su di lui  passandogli il jeans che avevo in mano intorno alla gola.
Ho giocato a fare il domatore mentre lui faceva il cavallo imbizzarrito e selvaggio che scalcia e si rotola per farmi cadere a tutti i costi.
Siamo finiti a ridere come due idioti.
Per un attimo ho dimenticato quanto mi avesse imbarazzato stargli così vicina.
L’ho semplicemente inchiodato al pavimento anche se sapevo perfettamente che lui avrebbe potuto liberarsi quando voleva, perché è più forte di me.
Alla fine, con un’aria di sufficienza, l’ho lasciato libero, dopo che lui mi aveva pregato e scongiurato, con la voce in falsetto e trattenendo a stento le risa.
Siamo tornati, io alla lettura ad alta voce di quella stupida ricerca, lui alla contemplazione buddista del muro di fronte a sé.
Alla seconda lettura sembrava aver capito qualcosa ma ancora non c’eravamo.
Dopo questa terza volta non so che fare.
Gli ho anche fatto un piccolo veloce riassunto sulla storia dell’Ottocento, sul romanzo gotico della fine del Settecento e inizio Ottocento, come il Frankenstein di Mary Shelley, uno dei grandi precursori del genere di Poe.*
Più di così io non posso fare...è lui che si deve impegnare, che cazzo!
Ma Armstrong non sembra collaborare.

“Allora? La vuoi sentire si o no?!”
“Dove sono finiti tutti?”
“Tutti chi?”
“Tutta quella gentaglia che solitamente si aggira qua intorno.”
“Mike è a lavoro, Jason anche, Matt e i suoi tre amichetti sono con Juls, non so dove.”
“Siete solo voi?”
“Domani arrivano dei nuovi inquilini.”
“Quanti?”
“Uhm...non so, cinque o sei...”
“E dove vi mettete?!?!”
“Dove capita. Dipende da domani sera, da quanto sono stanchi, quanto sono sbronzi o da quanto sono fatti.”
“Siete pazzi. Tra l’altro questo posto è orribile!”

Ridacchia di gusto mentre distende la schiena e sbadiglia.
È impressionante quanto stia storto, specie quando sta seduto; come se fosse perennemente chino su qualcosa, una chitarra, ad esempio.

Pay attention to the cracked streets and broken homes,
Some call it slums, some call it nice,
I wanna take ya through a wasteland I like to call my home,
Welcome to paradise.*

“Che stai borbottando?”
“Niente, cantavo.”

Detto questo, si alza di scatto, come se gli fosse venuta un’illuminazione e va a rovistare in un borsellino da bagno da uomo da cui esce, misteriosamente, un pennarello nero.
Poi si avvicina al muro, bianco sporco con diverse macchie e crepe, ma ancora nessuna scritta.
Comincia a scarabocchiare a caratteri cubitali:

WELCOME TO PARADISE, BABY!

Appena finito il suo lavoretto molto artistico che occupa praticamente mezza parete, lancia via il pennarello, almeno provvisto di cappuccio, perché non si scarichi.
E  fa un salto, esultando, come se avesse vinto chissà cosa.

“Mi piace!”
“Cosa?”
“Allora... tu sei la mamma cattiva e perfida che vuole riportare il figlio a  casa.
Io invece sono il povero cristo che vorrebbe starsene per i cazzi suoi senza che gli rompano le palle genitori e affini. Il figlio  scrive alla madre della sua vita che è molto meglio da quando lei si è tolta dai piedi.
It’s been three all weeks since I have left your home...
“Magnifico. È una storia lieto fine? Devo preparare i fazzoletti?”
It makes me wonder why I’m still here. For some strange reason it’s now feeling like my home, and I’m never gonna go… Cazzo, dov’è Blue?!”

Lo vedo sfrecciare verso la sua chitarra prediletta e impugnarla con decisione eppure con una sua delicatezza, mentre il movimento frenetico delle sue gambe tradisce l’eccitazione
Lo sento provare qualche accordo, qualche ritmica, prima lentamente, poi quasi freneticamente.
Per dieci minuti buoni sembra ignorarmi totalmente mentre io mi giro e mi rigiro le pagine della ricerca fra le mani, osservando le sue di mani che si muovono a diverse velocità sulle corde e sulla tastiera.

“Ehi, maestro, scusi se la disturbo ma qua ci sarebbe ancora mezza ricerca da studiare, sa com’è.”

Com’è bello essere ascoltati.
Armstrong si getta famelico su carta e penna e prende a scribacchiare qualcosa.
Ogni tanto cancella impiastricciando ancora di più quell’innocuo foglietto.
Adesso almeno so che cosa ha fatto nell’ultima ora e mezza, invece di ascoltarmi.

“Billie?”
“...”
“Billie?!”
“...”
“BILLIE JOE!!!”
“Dio! Che cazzo vuoi! E fammi finire no?!”
“E quanto ci metti?!”
“Cristo, mezzo minuto. Stattene zitta per mezzo minuto e l’umanità te ne sarà grata!”

Di minuti ce ne mette quasi cinque e nel frattempo io ho appallottolato un foglio trovato per terra a pochi centimetri dai miei piedi.
Aspetto che sollevi la testa dal foglio e poi gli lancio addosso la mia pallottola.
La schiva appena in tempo e mi fa la linguaccia.
Poi tiro fuori l’aria più scocciata che riesco a trovare mentre guardo fuori dalla finestra la pioggia che tamburella sul  legno dell’infisso e ogni tanto qualche schizzo finisce sul pavimento, filtrando dai vetri rotti.

“Eddai, Billie, finiamo qui una volta per tutte così me ne vado a casa e tanti saluti.”
“Davvero ti annoi così tanto a stare con me?”

Mi volto a guardarlo, sorpresa.
La sua voce è seria almeno quanto la sua espressione.
Siamo entrambi seduti, lui a gambe incrociate, io con le ginocchia al petto e  non so che rispondergli.

“Armstrong, io e te non abbiamo niente in comune.
Uhm...forse solo Jenny.
E tu hai amici migliori di me con cui perdere il tuo tempo.”
“Certo, la simpatia non è il tuo forte”

Il suo tono è tornato scherzoso e provocatorio.
Mi sento quasi stupida dopo la risposta che ho dato: razionale, un po’ fredda,  seria e fottutamente ragionevole.
Alzo nuovamente gli occhi al cielo.

“Ma vaffanculo, và...”

La cosa sembra divertirlo ancora di più.
Oggi non solo è di buon umore ma è anche particolarmente irritante.
Indietreggia strisciando fino muro, per appoggiare la schiena e raccoglie da terra una sigaretta mezza fumata e un pacchetto vuoto da cui estrae l’accendino.
Ringrazio ancora una volta che i vetri siano rotti.
Non sono una di quelle che non sopporta la puzza di fumo altrimenti sarei morta da tempo, compresa quella volta che Mike-biondo-platino mi ha iniziata al fumo.
Ma non auguro a nessuno di trovarsi in una stanza chiusa con un accanito fumatore.

“Comunque è inutile che continuiamo con questa pagliacciata.
Fra meno di tre settimane è il mio compleanno.”
“E allora? Vuoi il regalo in anticipo?”
“Oh, non te l’ho detto?”
“Non sarebbe la prima volta che non mi dici qualcosa che dovrei sapere...non mi stupisco più di niente.”
“Ah bene.”

Silenzio.
Il mio è un silenzio di attesa, il suo non capisco cosa sia visto che si è incantato a fissare il soffitto.
Alzo la testa e ritrovo una ventina di gomme da masticare attaccate sul soffitto.
Deduco che hanno giocato  allo “schiatta-chew gum”.
Ebbene si, lo facevano anche nella precedente casa.
Si mettevano in cerchio a masticare chew gum finchè non gli veniva la nausea e allora quello era il momento giusto per lanciarli sul soffitto.
Naturalmente vinceva quello che sopravviveva più tempo con il chew gum in bocca, cosa che portava i poveri sfortunati a ritirarsi in bagno per vomitare nella tazza del wc.
Cosa non farebbero di stupido?!
Certo che sto tizio mi fa proprio saltare i nervi!
Adesso mi ha messo addosso una tale curiosità che devo sapere quello che stava per dirmi!
Secondo me lo fa apposta, o cosa...

“Billie, cos’è che non mi hai detto?”
“Cosa?”
“COSA CAZZO NON MI HAI DETTO!?!?”
“Ah si, il sedici lascio la scuola.”

Apro la bocca e la richiudo senza riuscire a dire niente.
Sta scherzando.
Scoppio a ridere mentre lui mi osserva perplesso, poi un’ombra di irritazione passa per quelle bocce verdi che si ritrova.
Lui sembra aspettare pazientemente che io smetta di ridere.
Nella stanza si sente solo la mia risata che si fa un po’ forzata, lo sgocciolare della pioggia e il suo gioco di inspirazione-espirazione mentre sfumacchia, lasciando cadere la cenere sulle lenzuola ancora ai suoi piedi.

“Ok, molto divertente, Armstrong. Torniamo a noi, su.”
“Guarda che io non stavo scherzando.”

è di nuovo serio.
Non riesco a nascondere il mio smarrimento.
A pensarci bene anche il suo tono di prima era serio, un po’ noncurante, come se il dettaglio fosse trascurabile, ma comunque non sembrava stesse scherzando.
Mein Gott, quanta fatica si fa con uno così!
Non capisci mai quando ti sta prendendo per il culo e quando invece fa sul serio.

“Ma che vai blaterando?!”
“Niente. Il diciassette febbraio avrò diciotto anni e il giorno prima ho intenzione di presentare una lettera di rinuncia alla scuola. Ho chiuso con quella merda.
Non c’è modo peggiore per sprecare gli anni della propria vita.”

Lo dice talmente tranquillamente da farmi raggelare.
Che vuol dire?! Che ha intenzione di fare?!
Non vuole nemmeno prendere il diploma?!
Mi viene in mente quella scena impressionante in casa Armstrong, quando Billie è stato preso a schiaffi dal “padre” che gli urlava contro le peggio cose e, tra l’altro, tutte giustissime.
Ricordo distintamente la promessa di Tim di “spaccargli il culo” se il figlio non avesse preso il diploma.
Non è possibile. Non è pensabile.
Lo sta dicendo così, per parlare.
Non è la prima volta che racconta stronzate.

“Billie, mi vorresti spiegare dove pensi di andare senza diploma?”
“Voglio fare musica. Sto perdendo solo tempo, rinchiudendomi in un inferno dove ti insegnano sempre la stessa merda! Ma non capisci che quelli ti ficcano delle cose in testa?!
Ti hanno in mano dall’età di cinque-sei anni e non fanno altro che riempirti la testa di roba che non ti servirà a un cazzo nella vita, servirà solo a tenerti occupato quanto basta perché poi tu non possa usare la tua di testa!”

Ma è impazzito?!
Questo ci crede veramente! Ma dove pensa di andare!
Si deve essere fumato qualcosa per sparare queste cazzate!
Adesso fa il tipo paranoico che vede un complotto del governo americano per mantenerci tutti buonini e stupidi!
Beh, se io fossi nel governo americano, a questo scopo userei le canne, l’alcool e i videogiochini, non certo i pomeriggi e le ore di studio sui libri!

“Vuoi rimanere un ignorante a vita?!
Secondo te com’è che la gente si fa prendere per il culo?! Quando è ignorante come una capra!
La scuola ti serve! La cultura ti serve, cazzo!
Sapere è cento volte meglio di non sapere!”
“Ah si? E a che mi serve sapere che Coleridge è nato nel ...?!”
“Io...non lo so. Ma tutto serve. Può sempre servire!”

Lo vedo sorridere sarcastico.
Sa di avermi preso in contropiede con questa domanda e la mia risposta è stata penosa.
Ma non è così semplice!
In teoria sapere quando è nato Coleridge serve ad etichettarlo come un intellettuale di un certo periodo storico, cosa che spiega tutto il trascendentalismo e la sua influenza nella letteratura americana moderna... Dio mio, lo so che non è molto convincente ma è così.
Non servirà nell’immediato, non alla sopravvivenza, per intenderci.
Milioni di persone vivono senza sapere chi è Coleridge, e stanno più che bene, chi meglio, chi peggio.
Ma non è questo il punto...

“E che cazzo di risposta è? Te lo dico io. È la stessa cosa che rispondere un “perché si”.
Non è una risposta.”
“Billie, non so chi mi sembri! Non puoi essere così stupido da lasciare la scuola!
Senza il diploma sei un fallito! Un signor nessuno! Non conti niente per nessuno, non vali un cazzo!
Sei buono solo a fare lo spazzino e tra un po’, anche per loro servirà una laurea all’università!”
“Per suonare non ho bisogno né del diploma né tanto meno di una laurea.”
“Solo perché sai strimpellare quattro note non puoi davvero pensare di arrivare a valere qualcosa per questo! C’è gente che saprà suonare molto meglio di te! La musica non è un lavoro, diamine!
Può essere un hobby, ma non puoi vivere di musica!”
“E tu che ne sai?! CHE CAZZO NE SAI TU, EH?!”

A momenti mi sputa in faccia.
Si è fatto rosso come un peperone e mi guarda con quei suoi smeraldi verdi che fiammeggiano.
L’ho fatto incazzare. Ma non poteva succedere altrimenti.
Lui sta per fare la più grande stronzata della sua vita e io non posso certo dire “bravo, vai così che vai bene”.
Aspira ancora dalla sigaretta e stavolta, così a lungo che la sua faccia sembra farsi più pallida e le palpebre più pesanti. È una mia sensazione o gli occhi gli lacrimano veramente?
Caccia fuori dalla bocca una nuvola di fumo che per un attimo mi annebbia la vista.
Poi, dopo appena un minuto, prende la parola, calmo, serio e deciso.

“Ragazzina, tu in vita tua non hai mai toccato una chitarra o un accidente di niente. Che ne sai?
L’hai detto tu, noi non abbiamo praticamente niente in comune. Quello che vale per te potrebbe non valere per me. Se a te serve sapere quando è nato Coleridge e tante altre stronzate del genere allora buon per te. Per me magari potrebbe essere diverso. Anzi è diverso. E tu che ne puoi sapere?”
“Ma che razza di discorsi fai? E perché dovrebbe essere diverso? Cos’è che ti rende tanto diverso da me a parte il fatto che sei uno sfaticato?!”
“Beh, io almeno ho un interesse, ho qualcosa a cui dedicarmi, qualcosa che vorrò sempre migliorare, qualcosa che sarà la mia ragione di vita. E tu? Qual è la grande passione della tua vita?
 I libri? Lo studio? Anche quando studi, devi studiare qualcosa in particolare.
Qual è il TUO hobby, eh?”
“Io...”

Non provo nemmeno a rispondere. Mi zittisco subito.
Dio, ha ragione. Io non ho una passione.
Sono brillante in tutto e interessata a niente.
Non ho nemmeno una vaga idea di quello che farò dopo il diploma.
Andrò a studiare all’università, certo, ma quale facoltà?
Sceglierò a caso? E se non fosse quella giusta?
Basta! Devo dire qualcosa. Non gliela do vinta!

“Comunque fai una grande stronzata. Prendi almeno il diploma, no?
Finisci l’anno e poi tanti saluti. Almeno così hai più possibilità di trovarti un lavoro e continuare a suonare con i tuoi amichetti.”
“Abbiamo un contratto con la Lookout! ; ad Aprile dovrebbe uscire un nuovo disco con alcune vecchie canzoni e altre nuove che ho composto negli ultimi mesi e comporrò nei prossimi giorni.”
“E dopo? Prima o poi finirà, Billie. E allora ti ritroverai nella merda.”
“E allora vedrò. E non sarò solo. Ci saranno i miei amici, la mia band...”
“Buon per te.”

Rispondo secca e improvvisamente mi sento terribilmente stanca.
è inutile discutere e farsi il sangue amaro per questo.
Prima o poi rinsavirà, spero. E se non lo farà saranno comunque cavoli suoi.
A me non me ne può fregare più di tanto.
Siamo amici? Non lo so. Ormai dovremmo esserlo.
Eppure su certe cose siamo come il giorno e la notte.
Appallottolo i fogli della ricerca e glieli lancio.
Poi mi alzo e mi rimetto in spalla l’Eastpack.

“Ok, visto che tu sembri aver già deciso, non è un problema se adesso ti lascio al tuo bighellonaggio e me ne vado a studiare. Sai com’è, io ho un esame da affrontare e devo cercare di sopravvivere alla Carson. Tu almeno non dovrai sopportarla per tutto l’anno.”

Deve aver colto il mio tono gelido perché storce il naso, facendo una specie di smorfia.
Non so nemmeno perché me la prendo tanto, visto che non ci siamo mai piaciuti più di tanto.
In fondo, come dice Mr ho-un-sogno-e-farò-il-cazzo-che-mi-pare-purché-si-avveri, non abbiamo niente in comune.
Mi dirigo verso la porta d’ingresso, varco la soglia e la richiudo alle mie spalle senza salutare.
Mi aspetta almeno un quarto d’ora di attesa alla fermata.
Che schifo di pomeriggio.

*****************

Arrivo a casa prima del previsto.
L’autobus ha fatto meno fermate del solito perché c’era poca gente.
Sono le sei e mezza e io sono già a casa.
Diciamo che prima delle otto, solitamente non arrivo e mia madre lo sa.
Entro con le chiavi e noto che in giro sembra non esserci nessuno.
Nick sarà da uno dei suoi amici perditempo a provare un nuovo videogioco o roba del genere.
Ormai non ci diciamo più granché. È molto cambiato.
Quando l’ho conosciuto era un ragazzino timido, simpatico a modo suo, piuttosto mansueto, uno di quelli che prometteva di essere dolce e comprensivo.
Adesso è come tutti i ragazzi: stupido, stronzo anche se ha quell’aria di perenne imbarazzo e imbranataggine, tipicamente adolescenziale.
Lasciamo stare che è meglio.
Tiro un sospiro di sollievo perché non sembra esserci nessuno in casa e questo vuol dire che posso andarmi a fare una doccia lasciando la porta del bagno aperta, magari mettere un po’ di musica, a volume più alto del consentito e posso girare mezza nuda per casa, senza preoccuparmi di Frank o altri maschi molesti.
Mi da un senso di libertà lasciare la porta del bagno aperta quando faccio la doccia.
Tanto prima di un’ oretta nessuno sarà a casa.
Mi dirigo verso camera mia, con passo tranquillo e passo davanti alla porta di camera dei miei.
è spalancata, cosa che mi stupisce visto che  mamma custodisce gelosamente le sue cose, assicurandosi sempre che sia chiusa.
Avrei davvero voglia di una chiacchierata con mamma.
Non ne abbiamo fatto una decente da quando ci siamo trasferiti qui.
Una di quelle in cui mi racconta della sua giovinezza, dei suoi amici, dei suoi casini, così che possa un po’ smettere di pensare ai miei. Avrei tanta voglia di raccontarle del litigio con Jenny, di Juls che fa lo stronzo e l’eterno indeciso e di quel coglione di Armstrong che ha deciso di rovinarsi la vita.
Magari avrebbe qualche consiglio da darmi.
Decido di posare la cartella in camera e infilarmi in camera di mamma.
La troverò che legge sul letto con quel suo pancione, tutta presa dal piccolo Franz.
Spero che mi dedicherà qualche minuto.
Già dalla soglia noto che il letto è sfatto.
Spero di non svegliarl...
Davanti a me, dietro i due pilastri, sotto le lenzuola non c’è un solo corpo, ce ne sono due.
Rimango impietrita a guardare mia madre che dormicchia appoggiata a un tizio ben piazzato e dall’aria terribilmente familiare.
Mio Dio, non è possibile! Oggi ho le allucinazioni!
Dimmi che sono allucinazioni!!!

“Mutti!”
“Yawh, was?”
“MUTTI, WAS MACHST DU?!?!” *

Mia madre solleva la testa dalla pancia di Frank e, dopo avermi guardato per un attimo, ancora intontita, impallidisce, alza le mani, scuote il capo energicamente e mi fa, con voce ancora impastata dal sonno.

“Amore, non è come pensi... Frank cercava solo di aiutarmi... stavo talmente male e avevo bisogno di qualcuno che...”
“DI QUALCUNO CHE FACESSE COSA?!?! Mamma, tra tre mesi tu partorirai il figlio di papà!
Come...come ti è venuto...Mein Gott!”

Non riesco a controllarmi.
Stringo i pugni e sento il mio corpo pesare sui miei piedi. Cerco di mantenermi in piedi, sulle gambe.
Sento gli occhi che si arrossano, che bruciano come due tizzoni ardenti, come le lacrime che vengono giù, lentamente, scivolano talmente lente da creare un solco sulle mie guance.
Li guardo e non vedo.
A malapena scorgo Frank che si alza da letto, lentamente e mi si avvicina, premuroso con uno dei suoi sorrisi dolci e comprensivi. Come sarebbero quelli di Nick se non fosse uno stupido sedicenne complessato.

“Virgin, ti assicuro che non stavamo facendo assolutamente niente. Io voglio bene a tua madre, a te e alla tua famiglia. Non potrei fare mai una cosa del genere a Josh...”
“STAI ZITTO, VERME SCHIFOSO!
Sei stato beccato, adesso il minimo che puoi fare è strisciare via, fuori da casa mia. E non entrarci più,  hai capito, brutto porco?! MAI PIU’ ! ”

Lui sembra colpito dagli insulti e indietreggia sgomento.
Non mi importa.
Deve sparire, deve morire sotto un tram, basta che scompaia dalla faccia della terra, o almeno quella che calpesto io.
Almeno ha la buona presenza di spirito di andarsene via dalla stanza a capo chino.
Non posso fare a meno di notare che è tutto vestito.

“Amore, ti prego, ascoltami. Ti assicuro che io e Frank non stavamo facendo niente di...insomma, siamo solo amici. Ti racconto come è andata, vuoi?”
“Mamma, non raccontarmi balle! Stavate abbracciati, a letto! Tu dormivi sulla sua pancia!”
“Ma se hai notato entrambi eravamo perfettamente vestiti! Non è un crimine appoggiarsi ad un amico nel momento del bisogno!”
“Non se questo vuol dire fare la troia con il primo che capita che sia il tuo migliore amico o no!”
“Virginia, non ti permetto di offendermi in questo modo, sono tua madre!”
“Mia madre non si scoperebbe nemmeno un cane, figuriamoci un grosso porco di novanta chili!”
“VIRGINIA!!!”
“No, mamma, stai zitta che è meglio! NON HAI SCUSE!!!”

Prima di uscire dalla camera sfogo la mia rabbia sulla porta, sbattendola con violenza.
Non ho la forza di correre via come fanno tutte le adolescenti problematiche nelle commedie americane.  Fanculo, qua non siamo in una cazzo di commedia americana!
Non riesco a fare un passo e mi viene voglia di gettarmi per terra e versare tutte le mie lacrime.
Ma non voglio. Non qua.
Prima mi allontano da quella puttana, un tempo mia madre, e poi forse magari mi sfogo.

Esco di casa.  Ho anche dimenticato le chiavi e non ho nessuna voglia di bussare al ritorno.
Mi trascino per la via ansimando mentre il cuore martella con un ritmo da capogiro.
Conosco questa strada a memoria. Tra qualche metro saremo in Pinole Valley Road, a trecento metri dalla mia scuola.
E poi il chioschetto delle aranciate e delle patatine vicino alla palestra, la piscina sul retro, il negozio che vende giornalini porno e tabacchi anche ai quindicenni...
Scavalco il cancello della scuola.
Basta arrampicarsi sul muretto ed evitare le sbarre saltando giù;
I ragazzi rischiano di rimanere dei castrati a vita ma io, più sottile e più prudente, con quasi dieci anni di atletica alle spalle, posso permettermelo.
Finisco per girovagare fino al giardinetto, davanti alla palestra, quello del muretto galeotto, in cui io e Mike-biondo-platino abbiamo condiviso il fumo e i germi.
Ma quando arrivo trovo un paio di ragazzi con uno zaino mezzo aperto, seduti sull’erba, che si scambiano bustine di plastica e pacchetti di carta.
Sembrano alla fine di una trattativa.
Si scambiano i loro accidenti, roba o fumo che sia e fanno per alzarsi.
Non mi stupisco di vedere proprio Mike-biondo-platino che sembra fare la parte del cliente.
Vorrei poter passare inosservata ma lui mi fa un cenno, mentre gli altri si allontanano.
Uno di loro sembra indicarmi le bustine, io scuoto il capo e loro tornano ad ignorarmi.
Mike-biondo-platino mi raggiunge, con passo leggero e un sorriso incoraggiante.

“Ehi”
“E-ehi”

Oddio, mi tremano le labbra e minaccio di esplodere.
Mi mordo il labbro. Non voglio che mi veda piangere.
NonVoglioNonVoglioNonVoglio...

“Ehi? Stai bene?”

Non riesco a parlare. Ho la gola secca.
Ma proprio qui doveva stare?! Con tutti i posti che ci sono in città!
Lui si siede sull’erba, un’espressione perplessa sul viso, e mi fa segno di sedermi vicino a lui.
Lo faccio, o meglio mi abbatto sull’erba.
 
“Virginia?”

Esplodo in singhiozzi davanti a lui. Sono talmente forti da farmi tremare e fremere tutta.
Mi nascondo il viso nelle mani e cerco di asciugarmi le lacrime che scorrono senza controllo, nonostante questo mi faccia imbestialire ancor di più.
StupidaStupidaStupidaStupidaStupida.

“Vig!”
“M-mike...que-ella putta-ana di m-mia m-m-madre...”
“Cosa, cosa ha fatto?”
“Ha-a...Di-io mi-io, M-mike! È-e u-una tro-oia!”
“Ah. C’ha un altro?”
“S-s-s-s...SI!”
“Ok, adesso calma. Ti prendo qualcosa da bere, vuoi? Un succo al chiosco? ”
“N-no.”
“Un bicchiere d’acqua?”
“N-no gra-aszie”

SILENZIO.
Solo adesso mi accorgo che lui mi tiene per mano e me la stringe, come se volesse farmi forza.
Beh, non ci riesce. Non mi sono mai sentita così...così distrutta.
Non voglio tornare a casa.
Mike-biondo-platino comincia a parlare ma sento solo la metà delle sue parole.

“...anche perché so cosa significa avere per madre una testa di cazzo che fa il bello e il cattivo tempo con tutti i coglioni che le capitano a tiro.”
“M-mike...a-aiutam-mi...a-alzarm-mi...m-mi seent-to male-e...”

Sento un gorgoglio di viscere, poi una stretta alla gola e un sapore nauseante in bocca.
Mi aggrappo a Mike-biondo-platino che mi tira in piedi e rischio di perdere l’equilibrio.
Mi sporgo in avanti, non riesco più a trattenere quel senso di nausea che mi brucia in gola e vomito il pranzo, metà sul prato, metà sui jeans del mio premuroso compagno.
Intravedo una sua smorfia di disgusto, ma mi tiene ancora più saldamente di prima.
Mi aggrappo a lui e alla fine sento le sue braccia che mi circondano.
Mi stringo a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Ogni tanto tremano le mie di spalle e lui mi abbraccia più forte, caldo e rassicurante.

“Sc-cus-sa...il t-tuo jea-ans...ho-o un ali-ito terr-ribi-ile... sigh...”
“Shhhhhh, shhhh, tranquilla, calma e tranquilla...va tutto bene.
 Ti prendo un the. Hai bisogno di bere qualcosa di caldo.”

Saranno almeno le sette ed è già scuro. Dimentico che siamo a gennaio.
Cazzo, che freddo che fa.
Mike-biondo-platino mi invita a mettere un braccio intorno al suo collo e mi sospinge dolcemente verso il retro della palestra.
Usciamo da una rete bucata. Adesso non dovrò più scavalcare per venire qui, anche se ogni volta che ci ho messo piede qualcosa è andato storto.
Mi sostiene fino al chioschetto; agli occhi di tutti devo essere ubriaca o nella fase post-sbornia triste.
Mi appoggia su una panchina mentre tira fuori qualche dollaro per il mio the.
Ritorna dopo pochi minuti con un Mug di ceramica a fiori pieno di the caldo e fumante.
Lo mantiene davanti al mio viso mentre io appoggio, un po’ esitante, le labbra sulla tazza.
La prima volta mi scotto, ma lui ci soffia sopra, come si fa con la pastina dei neonati, prima di imboccarli.
Dopo un po’ finalmente riesco a tirare il primo sorso.
La testa mi pulsa. Sento la saliva che va su e giù nella mia gola, mentre la nausea mi ha fatto venire il mal di stomaco.
Sono da ricovero.
Mike-biondo-platino aspetta pazientemente che io abbia finito il the, mi racconta qualche storiella, mi fa persino sorridere.
Appena finito, lui riporta indietro il mug e si siede sulla panchina insieme a me.
Vorrei stendermi sulla sua pancia, ma la puzza di vomito sui suoi jeans non aiuta a farmi stare meglio quindi mi appoggio al suo petto, più in alto che posso, e per un attimo mi sembra di non sentire più quel sapore disgustoso.
Pian piano ho smesso di singhiozzare e lui, per proteggermi dal freddo, mi circonda con le sue braccia.
Indossa una T-shirt bianca, con una camicia verde acido sopra, l’una di cotone, l’altra ovviamente di flanella e, ciò nonostante, non sembra soffrire il freddo, anzi, è caldo almeno quanto il the che mi sono scolata.
Per un attimo c’è il silenzio fra noi, con un senso di attesa.
Mi faccio forza, riprendo fiato, poi un sospiro e finalmente ottengo che un sussurro soffocato esca dalla mia bocca:

“Mike...che devo fare con Jenny e con Juls? E con Billie? E con...lei?”
“Quando dici Jenny e Juls, intendi che a lui piaci tu mentre a lei piace lui e tu non sai da che parte stare, giusto?”
“Mi fa piacere che tutto il gruppo sappia di questo casino. Sai che fatica rispiegarlo da capo.”

Ok, suono un po’ acida ma davvero non mi va giù che tutti sappiano tutto, quando io ho scoperto tutto stamattina grazie ad Armstrong. Pensavo che avesse una grande sensibilità per cogliere una sfumatura del genere ma mi sono dovuta ricredere: a meno che non siano tutti dei sensitivi, allora direi che tutta la dinamica Jenny-Juls-me era più che chiara.

“Dai, non te la prendere, ma si vedeva lontano un miglio. Certo, tu sei un tantino diversa.
Juls non si è mai comportato così con una ragazza. Come avrai visto, lui non è il tipo che si mette a pensare quando si tratta di invitare qualcuna e il più delle volte ci cascano. Stavo davvero per convincermi che Jenny fosse quella giusta, ma poi penso che tutti si siano accorti che lui aveva occhi solo per te.”
“E allora perché non ha fatto come suo solito? Perché non è andato dritto al punto? Perché mi ha evitato per così tanto tempo?!”
“Forse dovreste chiarirvi fra voi. Ti assicuro che non ti stai sognando niente. Tutti lo sanno che vi piacete a vicenda.”
“Smettila di darlo per scontato. È irritante.”
“Ok.”
“Allora Pritchard, questo consiglio?!”
“Uhm...in realtà non c’è molto da dire.
Anche perchè Jenny si trasferirà a Febbraio a Los Angeles dallo zio che ha un officina più grossa nella periferia e ha bisogno di una mano.”
“COSA?!”
“Oh, scusa, non lo sapevi? Lo sapevamo quasi tutti, anche se non era proprio ufficiale...”
“HO CAPITO, GRAZIE!”

Dio, come mi fanno incazzare! È la terza volta che mi viene riferita una notizia sconvolgente ormai stagionata!
Tutti sanno sempre tutto prima di me!
Scosto la testa bruscamente dalla spalla di Mike e lui sembra percepire la mia irritazione, perché mi da piccole pacche di incoraggiamento che si trasformano in lievi carezze.

“Sai, prima anche io ti trovavo molto carina. Mi piacevi e ti volevo con noi del gruppo.
Perciò ti ho dato quella camicia, che tra l’altro ti stava piuttosto bene.”

Questa frase mi lascia di sasso e mi irrigidisco, trattenendo il respiro.
Non riesco a reprimere una stupida risatina ironica e falsa, mentre mi passo le mani fra i capelli, irrequieta.
Questo che dovrebbe significare?
Ne ho abbastanza. Non sono mai stata una divoratrice di uomini, una femme fatale o cose del genere e adesso tutti appresso a me.
Lasciandomi nel casino più totale.
E adesso cosa dovrei rispondergli?
Per l’imbarazzo arrossisco leggermente e allento il suo abbraccio.

“Aehm...Mike, sei molto carino, mi fai un sacco di complimenti ma io... ecco, ho già il mio bel daffare.
Non vorrei darti una delusione, davvero; mi dispiacerebbe molto.”
“No, figurati. Saresti stata uno sfizio. Somigli un po’ a mia sorella. Istinto di fratello maggiore.”

Non voglio indagare sulla questione dello “sfizio”.
Mi sa tanto di una bastardata alla Juls; in effetti nessuno è rimasto sorpreso dal suo comportamento, quasi fosse un suo diritto.
Un’altra buona ragione per essere femministe.
Adesso capisco mamma e capisco anche Virginia Woolf.
Sorvoliamo, che è meglio...
 
“Ok, grazie mille, eh.  Mi hai salvato.  Davvero stavo annegando nella disperazione.
Quindi adesso devo cercare di chiarire con Jenny, poi con Juls anche se non si farà mai avanti spontaneamente.”
“Già. È che problemi hai con Billie? Avete litigato di nuovo?”
“Lui vuole lasciare la scuola appena prima di compiere diciotto anni, senza neppure prendere il diploma. Ti pare normale?! È l’idea più folle e insensata che potesse venirgli.”
“Si, lo sapevo. Ma se si sente meglio così e la band rende di più è ok.”
“Ma che dici! Non cominciare anche tu!”
“Questo è l’ultimo dei tuoi problemi. Farà qualche cazzata ma io comunque ci sarò sempre per dargli una mano a rialzarsi. Questo è l’importante no?”
“...”
“E adesso c’è il problema più impellente. E quelli so’ cazzi amari.”
“Non voglio più tornare in quella casa.”
“Questa è un’idiozia. Quella è casa tua. Semmai caccia di casa quel tizio, Francis o come diavolo si chiama lui, prendi da parte tua madre, capisci bene cosa è successo e parlatene. Poi dipenderà da te.
Se ti trovi sbattuta fuori casa, sappi comunque che noi, alla squatter abbiamo sempre posto per te.”
“Io...grazie mille Michael.”
“Ti pare?”

Sono stanca, adesso.
Non ho voglia di chiarire con tutta questa gente; di parlare, di ascoltare le loro spiegazioni, le loro accuse, ciascuna con una propria versione, ciascuna convinta di essere nel giusto.
Vorrei rimanere sempre così, abbracciata a Mike-biondo-platino, protetta, al sicuro, addormentarmi e, quando mi sveglio trovare quegli occhi azzurro cielo che mi rassicurino e la sua voce bassa e un po’ roca che mi sussurra di continuare a dormire.
Comincio ad avere davvero freddo e comincio a battere i denti.
Mike-biondo-platino mi riscuote, dandomi qualche leggera pacca sulla coscia.

“Ehi. Qua comincia a fare freddo.
Che hai deciso? Vai a casa o vieni con me?”
“Io...vado a casa. Ma tu mi accompagni, per piacere?”
“Certo. Dai, alzati.”

Mi sento ancora un po’ debole e scombussolata ma accuso bene il colpo quando mi isso in piedi sulle gambe.
Ne approfitto per appoggiarmi a Mike-biondo-platino, con il mio braccio che passa intorno al suo collo.
Camminiamo, in silenzio. C’è poco da dirsi adesso, e io devo prepararmi ad affrontare mia madre.
Alla fine ho tirato fuori il coraggio, anche se la cosa mi abbatte solo a pensarci.
Via il dente, via il dolore.
La strada in più è breve e quindi arriviamo subito.
Le tendine sono alzate e mia madre sembra scorgermi da una finestra.
Compaio, alla luce di un lampione abbracciata a Mike-biondo-platino, e arriviamo fino alla porta di casa; la guardo sottecchi e la vedo allarmarsi.
Ci salutiamo con un abbraccio e tante pacche sulle spalle per me.
Entro in casa, più serena di quando ci sono uscita, appena un’ora prima.
Mia madre mi viene incontro, con passetti veloci e delle movenze così agitate che già cominciano ad irritarmi.

“Amore, dove sei stata? Chi è quel tizio? Dove l’hai conosciuto?”
“No, mamma, il terzo grado proprio tu no. Adesso rispondi a quello che ti chiedo e forse stasera non litigheremo.
Dove sono il porco e il debosciato?”
“Tesoro, per piacere, non chiamarli così!”
“Mamma, li chiamo come mi pare e piace. Tu rispondi!”
“Sono a casa loro. Con Frank abbiamo capito che ti abbiamo turbato e volevamo rimediare.
Avevo pensato ad una cenetta solo noi due, due coccole sul divano, un bel film, una bella tisana e una fetta di torta panna e cacao.”
“Mamma, non mi piace la panna, non ho voglia di torta, e non pensare di cavartela con così poco.
Sono ancora incazzata con te, anche se non sembra. E poi il the l’ho preso con Mike.”
“Mike Edwards? O forse quel ragazzo che ti ha accompagnata?”
“Cazzi miei. E smettila di scandalizzarti per qualche parolaccia.
Già che ci sei, smetti pure di fare la mammina e calati nei panni dell’adolescente senza cervello che la da al primo che capita.
Qualche ora fa andavi a meraviglia.”
“Amore, ti prego.”

L’ho fatta piangere.
Dio, oggi solo lacrime: le mie, quelle degli altri.
Che fastidio.
Non ho mai visto mia madre piangere ed è meno gratificante di quanto mi aspettassi.
Mi fa solo una gran pena.

“Amore, posso spiegarti, ti prego?”
“Prego, immagino che pensi anche di avere avuto ottime ragioni di fare ciò che hai fatto e adesso vorrai sventolarmele davanti al naso...”
“Avevo delle fitte dolorosissime al colon. In questi giorni la colite mi sta davvero uccidendo. Ho paura anche per il bambino.
Cosa succede se non mi passa? Interferirà con la salute di Franz? Ho paura, Vig, tanta paura!”
“...”
“Oggi poi, stavo sdraiata sotto le coperte e avevo un attacco alla pancia. Ho chiesto a Frank di farmi un massaggio.
Faceva così male che ogni volta che si muoveva un muscolo mi veniva da urlare.
Lui mi ha massaggiato per un po’ e il dolore si è attenuato. Lui non ha conoscenze specifiche di sorta ma avevo bisogno della sua compagnia e del suo sostegno prima di tutto.
Alla fine ho sentito il bisogno di stendermi e lui ha continuato a starmi vicino:  parlava, mi consola, mi distraeva un po’ e ha tentato di farmi dormire un poco, per rilassare mente e corpo. Mi ha preparato anche una camomilla.
E alla fine deve essersi addormentato lui. Ma a parte questo non abbiamo fatto nient’ altro.”

Mi viene da ridere. Pensa davvero che io possa credere ad una balla del genere?
è una spiegazione semplice eppure puzza, tantissimo. Non riesco a crederci.
In fondo papà non c’è mai, perché dovrebbe stupirmi che mamma si fa un altro?
Beh, invece è così. E ancora una volta mia madre mi sta deludendo raccontandomi un sacco di stronzate.

“Mamma, davvero pensi che io sia così stupida da credere a questa tua storia?”
“Dio, amore, DEVI CREDERCI! È la verità! Ti prego, tesoro, sono tua madre!”
“Beh, non per questo io devo avere le fette di prosciutto davanti agli occhi.
Pensavo che della propria madre ci si potesse fidare.”

Lo so, sono gelida, fredda, spietata, inclemente, mentre la mia voce trasuda ostilità.
Che pianga pure, tanto io non le credo. Me lo dovrà dimostrare, non so in che modo, ma sento di non potermi più fidare di lei.
A questo punto spero che Frank non osi mettere più piede in casa.
Potrei essere molto più aggressiva di come ho fatto in precedenza.
Non ho fame e la spiegazione di mamma mi ha decisamente delusa.

“Sono stanca, adesso. Quando vorrò che qualcuno mi racconti delle belle favolette per addormentarmi lo chiederò e comunque non sarai tu. Non sei molto credibile. Per la prossima volta ti auguro più prudenza e una scusa più convincente.”

Ignoro le parole semi soffocate di mamma, i richiami, il pianto e i singhiozzi che si fanno sempre più strazianti.
Dio, stai zitta, brutta stupida. Dovevi pensarci prima di fare la troia.

Vado a letto senza cena. Ho lo stomaco chiuso e vomiterei qualunque cosa.

*****************

Note

* Come dimenticare uno dei più grandi classici della fantascienza?
“Star Wars IV: una nuova speranza”, anni ’70 circa.
Ha popolato i miei sogni di tredicenne per un estate intera! *_*

* Il genere di Poe, il romanzo gotico ha radici europee, con classici come il Castello di Otranto di Horace Walpole e il più famoso (meraviglioso *_*) Frankenstein di Mary Shelley.
E siccome voi siete curiosiiiissimi di leggere del romanzo gotico, esiste un'adorabile pagina di WIKI per questo! Mwahhahahah

* Tutti avrete riconosciuto il ritornello di “Welcome to Paradise”, una delle loro canzoni più famose, tanto che me la sono ritrovata in due album e tre registrazioni di concerti live, suonata più volte nello stesso concerto. Naturalmente è ispirata proprio alla vita di strada che hanno condotto i GD e alla loro esperienza nella sovra citata Squatter House, quella tra la West 7th e Peralta Street.
Diciamo che siamo un po’ in anticipo con i tempi ma non è un vero e proprio anacronismo.
Le idee possono nascere anche molto prima della loro elaborazione e possono giacere nel cassetto per anni. Un accenno ci poteva stare.

*GLOSSARIO: “Mamma!” , “*sbadiglio*, cosa?” , “MAMMA, CHE STAI FACENDO?!?!”


Ringraziamenti

Grazie a envima (*_*) e a S w e i g per averla inserita fra le seguite.
Grazie a Mary Cloud  per averla preferita!
Grazie a tutti/e voi che sfogliate/leggete/seguite/ricordate/preferite/recensite

Angolo dell’autrice

Ok, people, venti pagine di Word: stavolta ho un po’ esagerato.
è venuto lunghetto, è parecchio intenso e il mondo di Vig va tutto a puttane (la mia buona educazione compresa, visto che tutte queste parolacce stanno nuocendo gravemente alla mia forbita proprietà di linguaggio u.u).
Bene, a voi la famosa spiegazione della notte a Berkeley: ma quanto è idiota il nostro BJ da uno a dieci?
E la rivelazione di Mike-biondo-platino...equivoca, ne?
Jenny parte e abbandona il campo alla sua rivale/amica...
Per non parlare del casino gigantesco che è successo in casa Foster.
Uhm, forse avrei dovuto dividerlo in due capitoli ma, la verità è che ho messo troppa carne a cuocere e adesso mi tocca sbrigliare tutto in altri tre capitoli, questo compreso.
Quindi ho deciso di presentarvelo così com’è, pieno zeppo, forse un po’ confuso, terribilmente movimentato e forse un po’ palloso.
Cest’ la vite!
Che dire? Vediamo come va a finire!
Si accettano suggerimenti! *_*
Au revoir,

Misa

P.s Ok, ci ho messo più del solito ma finalmente, da adesso, avrò a disposizione una bella connessione tuuuutta mia! *_*
E come vedete sto migliorando…solo tre note! Ù.ù mwahhahahha 
  
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