Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: _Qwerty_    01/08/2011    2 recensioni
Marius Black è un Magonò e la sua famiglia lo rinnega per questo. Che fine ha fatto Marius dopo che la sua famiglia lo ha cancellato dall'arazzo con l'albero genealogico? Questa storia cerca di raccontare cosa ne è stato della sua vita.
Questa fanfic mi convince meno della precedente, per cui le recensioni sono ancora più gradite.
Genere: Avventura, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Quisque faber fortunae suae

II.


Il vecchio adesso era davanti a lui, inerme. Era rimasto immobile, con gli occhi sbarrati in quello che non doveva essere nient'altro che puro terrore. A tratti tremava, scosso da brividi inconsulti di vecchiaia e umana paura. E ne aveva ben motivo, di tremare e temere, perché lui era lì solo e soltanto per ucciderlo.
Marius Black si guardò di nuovo intorno e fece un rapido giro della stanza, preoccupandosi di non dare le spalle al vecchio. Gli aveva appena spezzato la bacchetta, per cui era disarmato, ma era pur sempre un mago. Mai dare le spalle, né alle tue vittime né a nessuno che può avere tutto da guadagnare dalla tua rovina: era una delle prime cose che aveva imparato, una volta fuori. Fuori da quella che molti anni prima avrebbe chiamato casa, la grande dimora di Grimmauld Place della nobile e antica casata dei Black, quella che non era mai stata la sua famiglia, benché fosse la responsabile della sua presenza in questo mondo. Marius Black trasse un profondo respiro, prima di avvicinarsi di nuovo a suo padre. Per un bizzarro capriccio del destino, era riuscito a introdursi di nascosto in casa Black entrando dalla stessa finestra da cui era uscito per fuggire trentadue¹ anni prima, e per giunta nello stesso giorno, quasi che il destino stesso volesse essergli propizio: una coincidenza che persino lui, Marius Black, che aveva imparato alla svelta a non credere davvero in niente e nessuno, nessuna fede e nessuna ideologia, doveva riconoscere come un segno di qualcosa di più alto, qualcosa che trascendeva anche lui, qualcosa che atteneva al senso del tutto in generale. Non per nulla lui era lì per chiudere il cerchio, appagare il desiderio di vendetta che aveva covato a lungo sotto la cenere della sua vita illegittima prima e fuorilegge poi, riscuotere finalmente il tributo di sangue il cui pagamento aveva sempre procrastinato per cause di forza maggiore.
Ricordava con bruciante chiarezza il giorno in cui se ne era andato da quella casa, così come ricordava cosa lo avesse spinto a una decisione del genere, all'età di solo nove anni. Durante l'infanzia, Marius era il terzo figlio di Cygnus Black e apparteneva dunque ad una delle più antiche e ricche famiglie di maghi purosangue di tutta la Gran Bretagna. Ricordava molto bene la ricchezza che lo circondava, il fatto che ogni Natale e ogni compleanno sia lui che i suoi fratelli ricevessero molti doni e che d'estate  spesso trascorressero alcune settimane dai nonni materni, che avevano una casa piuttosto piccola, ma con un grande giardino, immenso ai suoi occhi infantili di allora, un giardino dove lui e i suoi fratelli giocavano in libertà volando a cavallo di scope stregate... Era così assurdo, pensarci ora, pensare che si possa volare e vincere la gravità a cavallo di una scopa: nessuno dei molti uomini che adesso lo rispettavano e lo temevano avrebbe mai creduto ad una parola di un simile racconto, eppure lui sapeva che era tutto vero, che in quell'epoca remota e irrimediabilmente perduta che era stata la sua prima infanzia potevano accadere magie di ogni sorta e si poteva anche volare con una scopa sopra le brughiere, senza che nessuno venisse a infrangere l'incanto. Un giorno però l'incanto si era rotto davvero, sotto il peso delle incrinature che si erano andate sommando durante molti mesi. I suoi fratelli maggiori, Pollux e Cassiopea, avevano già da tempo dato prova di magia infantile, mentre lui ancora no. Dorea, la sorellina minore, era ancora troppo piccola, ma lui aveva quasi sette anni e ancora non aveva dimostrato di possedere quella magia che avrebbe dovuto essere una cosa sola col sangue che gli scorreva nelle vene. I suoi genitori erano molto preoccupati. Marius ricordava di averli sentiti parlare di questo problema molte volte, origliando le loro conversazioni nascosto fra l'anta della porta della loro stanza e il mobiletto a muro del corridoio.
“Dovremmo aspettare ancora, a volte avviene più tardi...” stava dicendo sua madre Violetta, con quella nota calda e profonda nella voce che sapeva di avere anche lui, adesso.
“Tu sai cosa significa questo! Non posso permettere, in alcun modo...” ringhiò suo padre.
“No, io non voglio credere che...” ma sua madre tacque, forse un nodo di pianto l'aveva interrotta. Marius poteva solo immaginare il lampo di disperazione che doveva aver attraversato gli occhi grigi di sua madre, quegli stessi occhi che aveva anche lui e che sapeva di non aver mai più rincontrato, dopo, in nessun altro.
“Taci! A cosa servirà allora tutto quello che io ho fatto per la famiglia?” disse suo padre alzando la voce. Marius ricordava di aver sentito dei passi avvicinarsi alla porta e di essere scappato a nascondersi di nuovo in camera sua.
“Cosa succede se non so fare magie?” aveva chiesto alla fine a Pollux, una sera d'agosto dopo essere stato rimproverato duramente da suo padre per qualcosa che non ricordava, ma che sicuramente non era nulla di grave, come avveniva sempre più spesso dopo il suo settimo compleanno senza magia.
“Succede che sei un Magonò, cioè una merda. Anzi, peggio di una merda” aveva risposto Pollux con un ghigno cattivo. Aveva sei anni di più, ma forse era ancora geloso dei fratelli più piccoli, forse voleva solo ottenere l'approvazione di suo padre, il quale non lasciava adito a dubbi su quale fosse ormai il figlio prediletto, o forse era semplicemente cattivo. Marius meditò a lungo sulla risposta di Pollux e su cosa poteva fare per non essere più un Magonò. Sua sorella Cassiopea non era certo d'aiuto, poiché riteneva che tutti l'avrebbero presa in giro, l'anno seguente a Hogwarts, se avessero saputo che aveva un fratello Magonò, così come non erano d'aiuto i suoi genitori, anzi. Suo padre era ogni giorno più duro con lui, non gli risparmiava rimproveri, urla, ceffoni e anche qualche incantesimo, come se fosse lui e solo lui il colpevole della propria condizione. Persino sua madre aveva smesso di abbracciarlo e la sera, quando andavano a letto, si tratteneva di più con le sue sorelle e con Pollux che con lui. Presto la durezza di suo padre si fece violenza, tanto che quasi ogni giorno lo sottoponeva a incantesimi, più o meno potenti, per stimolarne la magia che avrebbe dovuto avere, come sosteneva lui. Se inizialmente Marius aveva creduto che quello fosse davvero lo scopo di quelle prove, presto capì che non solo non sarebbero servite a nulla, poiché lui già sapeva, dentro di sé, di non possedere alcun genere di potere magico, ma anche che erano diventate solo e soltanto un modo di suo padre di sfogare la sua rabbia cieca nei suoi confronti. Dapprima Marius si sentiva in colpa di non essere all'altezza dei fratelli, credeva davvero che fosse colpa sua se non possedeva la magia, ma pian piano in lui si era insinuata la paura, paura del dolore non solo fisico che le prove di suo padre gli provocavano, e insieme ad essa cominciava a montare un desiderio sordo di ribellione, di rivalsa, cosicché col passare dei giorni l'unica soluzione che riusciva a delineare nella sua mente era una sola, una e terribile: scappare di casa.
Gli ostacoli alla fuga però sembravano pressoché insormontabili: se anche fosse riuscito ad allontanarsi da casa senza farsi scoprire, cosa avrebbe fatto fuori? Fuori, che fosse il mondo dei maghi o dei Babbani, lui era solo un bambino senza poteri e senza denaro. Nella sua mente, seppur ancora molto giovane, questo punto era molto chiaro e rappresentava il vero problema. Dopo molte meditazioni al riguardo, si era quasi rassegnato a non tentare né la fuga né nessun altro tipo di ribellione contro suo padre e ad aspettare che gli eventi decidessero per lui, finché un giorno non avvertì che non poteva più andare avanti, che quella era l'unica occasione per fuggire dalla prigione che era diventata la sua casa. Aveva nove anni e sua sorella Dorea di sette aveva appena rivelato la sua magia facendo levitare nel sonno alcune bambole, per cui ormai non c'erano più dubbi: Marius era uno spregevole Magonò, un rifiuto umano, come aveva detto suo padre, ragione per cui non avrebbe più fatto parte della famiglia. Marius ricordava perfettamente come suo padre avesse bruciato il suo nome sull'arazzo che riportava l'albero genealogico della famiglia e di come gli avesse intimato di andare in camera sua, col divieto assoluto di uscirne, per sempre – da allora si sarebbe occupato un elfo domestico di portargli i pasti – poiché lui non avrebbe mai più visto la luce del sole, avrebbe vissuto per sempre prigioniero nelle viscere della dimora di Grimmauld Place, nascosto agli occhi di tutti, come la peggiore delle vergogne di questo mondo.
Fu quella notte che Marius Black fuggì di casa. A Grimmauld Place c'era una sola finestra che dava, alcuni giorni, apparendo e scomparendo, sul mondo Babbano, ed era la finestra dello studio di suo padre. Quella era la finestra da cui Marius aveva sempre pensato che sarebbe fuggito il giorno che l'avesse fatto e quella sera, cogliendo l'attimo in cui l'elfo domestico si stava Smaterializzando, si trovò fuori dalla sua stanza. Corse disperatamente verso lo studio, deserto, di suo padre, fino a raggiungere la finestra. Forse si erano già accorti della sua fuga dalla camera, non era il momento di indugiare. Guardò per l'ultima volta all'interno, verso quel mondo magico che lo aveva creato e che adesso lo stava rifiutando, e senza voltarsi indietro scavalcò la soglia e saltò giù, nel buio.

La prima notte nel mondo di fuori Marius la passò vagando per i vicoli bui di Londra, senza meta, nell'aria ancora fredda di metà aprile, camminando veloce nell'ombra dei cornicioni, fino alle prime luci dell'alba, quando la stanchezza lo vinse e lo costrinse ad accasciarsi nel vano di un portone. Il giorno seguente il suo unico problema fu procurarsi da mangiare e l'unico modo che gli apparve praticabile, dopo i molti rifiuti ricevuti chiedendo un piatto di minestra calda nelle locande popolari, fu quello del furto. Era decisamente strano, pensava adesso Marius con un sorriso sghembo, che i ricordi dei suoi primi giorni fuori fossero così confusi. Doveva essersi procurato cibo e qualche sterlina borseggiando la gente dei quartieri popolari nell'East End, scappando in un baleno alla vista di quelli che aveva presto imparato a riconoscere come poliziotti e dormendo in ripari di fortuna, scoperti seguendo talvolta altri bambini che conducevano una vita miserabile come la sua. Il primo vero ricordo nitido dei primi tempi fuori era quello di un furto, una notte di luglio fra i vicoli del porto, ai danni di due uomini che portavano con sé una notevole quantità di banconote, pratica poco intelligente, come pensò Marius quando li vide concludere un affare, ricevendo i soldi da un tale che si allontanò poi in direzione opposta. Li seguì e tentò di sfilare il portafoglio dalla giacca di uno di loro, ma l'uomo se ne accorse e lo afferrò per un braccio, scaraventandolo a terra. Marius si rialzò, fece in tempo a sfuggire al calcio che l'uomo stava per sferrargli ma fu acchiappato dall'altro. Il primo uomo estrasse un coltello a serramanico, avvicinandosi minaccioso. Marius si divincolò e infine morse l'avambraccio dell'uomo che lo teneva, liberandosi dalla sua presa. Istintivamente si rifugiò nell'ombra di un container, dove loro non potevano più vederlo, uscendo dall'area di luce in cui si trovavano prima. Entrambi gli uomini imprecarono e fecero per andarsene. Anche Marius avrebbe dovuto restare nell'ombra e ringraziare il cielo o chi per lui che era ancora tutto intero, ma in quei brevi istanti qualcosa in lui prese il sopravvento sulla paura. Qualcosa di primitivo e viscerale si era svegliato in lui alla vista di quella lama lucente che quell'uomo aveva estratto mentre avanzava verso di lui, il richiamo di quel coltello era più forte della paura stessa di esserne colpito a morte. Doveva avere quel coltello, prima ancora del portafoglio gonfio per il quale all'inizio aveva seguito i due uomini. Marius li seguì a distanza per svariati metri, senza perdersi un bagliore che la lama lucente del coltello rimandava quando i due passavano sotto lampioni e lucerne. Li seguì a lungo, fino a trovarsi in una zona del quartiere che non conosceva, quando i due uomini si accorsero di essere seguiti. Quello con il coltello imprecò contro un certo Dewey che di certo voleva ucciderli per riavere i soldi, ma l'altro vide Marius.
“Il ragazzo di prima!” urlò indicando Marius.
I due si avventarono contro di lui, ma questa volta Marius era pronto. I suoi occhi abituati all'oscurità e il suo corpo magro e agile gli permettevano di sfuggire ai tentativi dei due di immobilizzarlo, mentre tentava di sfilare di mano il coltello al primo uomo. Tuttavia, anche quella volta i due adulti ebbero la meglio su di lui.
“Ora avrai la lezione che ti meriti! Di' un po', ti manda Dewey, non è così?” disse l'uomo col coltello tenendolo fermo con un braccio intorno al collo, alle sue spalle.
“Ehi, attento, non lo strozzare! Se domattina trovano un ragazzo morto arrivano i poliziotti per tutta la giornata!” disse l'altro.
L'uomo col coltello stava per ribattere, quando Marius divincolandosi riuscì a sferrargli un calcio proprio dove l'uomo avrebbe sentito più dolore. L'uomo non riuscì a trattenersi, urlò e lasciò la presa, Marius si liberò e prima che il secondo uomo lo prendesse era riuscito ad afferrare il coltello che il primo aveva lasciato cadere per il dolore. Con il coltello in mano, si parò davanti al secondo uomo.
“Non fare stronzate, ragazzo!” ma prima che potesse estrarre il suo Marius gli si avventò contro, piantandogli la piccola lama in pieno addome. Non avrebbe mai dimenticato l'espressione di quell'uomo, il volto contratto per l'improvviso dolore e gli occhi colmi di stupore. Un attimo di distrazione che gli costò caro, perché il primo uomo, ripresosi dal calcio di prima, lo aveva appena preso di nuovo per il collo, questa volta col chiaro intento di strangolarlo. Marius cercò di usare di nuovo il coltello per difendersi, ma l'uomo era molto più robusto e forte di lui e entrambi rovinarono a terra. Marius perdeva sangue dal naso a causa della colluttazione e sentiva i sensi cominciare a venire meno. L'uomo era sopra di lui e l'avrebbe strozzato con le sue mani, quando una voce urlò qualcosa in una lingua che non conosceva, l'uomo si distrasse, ma Marius aveva perso troppo sangue per riuscire a rialzarsi e scappare da solo. Poi udì un colpo di pistola e pensò che la fine era vicina, per cui si lasciò andare al rumore sordo che gli stava entrando in testa e al sapore di sangue che aveva in bocca.

“Non avresti dovuto! Come se non avessimo abbastanza cose a cui pensare!”
“Lo so, ma avresti dovuto vedere! È adatto, è quello che ci serve, è...” disse una voce simile a quella udita la notte precedente.
“Forse. Ma adesso per qualche giorno starà tutto fermo a causa del casino dei poliziotti. Lo sai che non possiamo...”
“Guarda!”
Marius si era svegliato. Due uomini discutevano a pochi passi da lui, che era sdraiato su un materasso messo per terra e aveva qualcosa di umido nel naso. Era tutto molto surreale. Ricordava di aver perso i sensi mentre lottava con l'uomo a cui aveva preso il coltello, ma anche se si sforzava di ricordare la notte precedente i particolari non erano affatto nitidi.
“Ha continuato a stringere il coltello tutto il tempo, tra l'altro” disse quello dei due con la voce simile a quella udita la notte precedente.
“Sì, ma non è riuscito a sfilargli il portafoglio, direi...”
“Tutto non si può riuscire² – ribatté il primo – No, ragazzo, non togliere il cotone dal naso!” disse quindi a Marius che, già più sveglio, stava cercando di liberarsi da quella roba che gli tappava il naso.
“Chi siete?” domandò alla fine. Ci fu un attimo di silenzio, poi i due proruppero in una fragorosa risata.
“Qualcuno che ti darà un lavoro” disse quello che gli aveva detto del naso con un sorriso divertito.
“Ma solo se farai tutto e sempre come comando io” aggiunse il secondo, serio.
“Certo che farà come comandi tu! Tutti fanno come comandi tu!” rispose il primo con fare compiacente, poi aggiunse qualcosa in un'altra lingua rivolto al compare, che parve trattenersi dal sorridere mentre rispondeva qualcosa nella loro lingua.
Marius quel mattino ancora non lo sapeva, ma quel giorno cominciava la nuova vita fuori, quel giorno si gettavano le fondamenta di quello che sarebbe stato lui stesso negli anni successivi. I due compari che lo avevano salvato dall'uomo della notte precedente erano anche loro dei delinquenti e si occupavano di mercato nero e contrabbando di merci e sigarette, oltre a qualche incursione nel giro delle scommesse clandestine. Quello che lo aveva salvato e gli aveva messo il cotone nel naso si chiamava Sam Goulding ma tutti lo chiamavano con vari soprannomi, mentre l'altro, quello serio, si faceva chiamare solo Mr. Lewis ed era il capo della banda di cui facevano parte. Marius era entrato così a far parte di quello che presto avrebbe considerato il suo mondo, l'unico possibile per lui: il crimine organizzato. Mr. Lewis aveva un piccolo negozio di ferramenta come copertura dei suoi traffici e ufficialmente, all'inizio, Marius era un garzone come un altro, mentre gli altri alle sue dipendenze conducevano lavori saltuari al porto e in altri negozi che Lewis aveva piegato ai suoi ricatti o coinvolto nei suoi affari. All'inizio faceva quello che faceva anche da solo: borseggio, scippo, pedinamenti e consegne di merce e informazioni, ma presto si era conquistato un ruolo di maggior rilievo nella cricca di Lewis. Marius era un ladro capace e un attento osservatore del mondo che lo circondava, cosa che gli aveva permesso di imparare con facilità non solo le tecniche di furto e di fuga, ma anche gli imbrogli e gli interessi che muovevano i soggetti senza morale con cui aveva a che fare ogni giorno; inoltre, per lo stupore e l'ammirazione malcelata di Lewis, possedeva la freddezza del criminale navigato nell'uccidere con poche coltellate i suoi nemici, nonostante fosse solo un adolescente, cosa che lo aveva reso uno dei suoi 'dipendenti' più fidati quanto si trattava di regolare i conti ed esigere pagamenti. Per una qualche ragione che non comprendeva appieno nemmeno lui, con quel coltello a serramanico – e poi in seguito con qualunque arma bianca – tutto diventava semplice e naturale, da una consegna concordata all'affrontare da solo tre uomini di una banda rivale. Da qualche parte nella sua coscienza Marius sapeva che rubare è sbagliato, che uccidere è sbagliato e che la giustizia in quanto tale aveva ben ragione di avercela con lui, tuttavia, quella era l'unica cosa che sapeva fare. Perché mai avrebbe dovuto trovare un lavoro onesto, sottopagato e avvilente, quando lì poteva fare quello che gli riusciva meglio, avere sempre denaro in tasca a sufficienza per i suoi bisogni estremamente modesti e una libertà che non aveva mai sperimentato prima? Obbediva agli ordini di Lewis, si faceva rispettare dai nuovi sottoposti, si prendeva quello che gli spettava e camminava a testa alta quando affrontava qualcuno. Aveva pochi vizi, perché non buttava i soldi nel gioco, beveva poco e andava a puttane solo quando ne aveva bisogno. Un'altra delle cose che aveva capito presto del mondo dei Babbani – una parola che gli sembrava sempre più strano e innaturale usare e pensare – era che gli uomini avevano bisogno di due cose per non avere guai: essere in una posizione anche non di comando, ma comunque rispettata e difendibile, anche se di facciata, e tanto denaro da impiegare, l'unica vera chiave che apre tutte le porte. Forse il denaro non faceva levitare i piatti o le scope, ma convinceva gli uomini a umiliarsi e mentire senza sensi di colpa, garantiva quella rispettabilità che quei folli dei suoi parenti a Grimmauld Place pretendevano di avere in nome di un non meglio specificato diritto di sangue. Se non era magia questa.
Qualche volta il pensiero tornava a Grimmauld Place, qualche volta si immaginava cosa poteva essere accaduto dopo la sua fuga e si chiedeva cosa avessero fatto i suoi genitori, ma poi gli tornava di nuovo in mente, con bruciante chiarezza, tutto quello che gli aveva fatto passare suo padre e tutte le parole cattive che gli rivolgeva. Era molto verosimile che i Black avessero presto dimenticato la sua esistenza: in fondo, era quello che volevano, relegarlo in casa e nasconderlo al mondo, far finta che non esistesse per non disonorare la famiglia. E lui li aveva accontentati, andandosene. Probabilmente si erano talmente abituati alla sua non-esistenza da chiedersi se lui fosse mai esistito davvero o se non fosse piuttosto un'allucinazione collettiva particolarmente sgradevole, e altrettanto probabilmente lo stesso sarebbe accaduto a lui, anche lui si sarebbe chiesto se Grimmauld Place e le sferzate magiche di suo padre fossero mai state reali o fossero state solo un incubo scuro e nebuloso. Ma Marius Black non aveva mai permesso che questo accadesse davvero: non poteva permettere che i torti subiti da suo padre cadessero nell'oblio soltanto perché adesso viveva in un altro mondo, in cui era riconosciuto e rispettato. Per questo Marius Black rinnovava il suo rancore e la sua rabbia di anno in anno e, nell'attesa del giorno, sempre rimandato, in cui avrebbe avuto la sua vendetta, ogni anno, come se fosse un rito arcano e immutabile, tornava a far visita, da lontano, alla finestra da cui era fuggito, quella finestra che ancora appariva e scompariva incautamente al numero dodici di Grimmauld Place. Pur senza una ragione razionale, Marius sapeva che tornare ogni anno a scrutare la finestra era l'unico modo per costringerla a continuare ad apparire ai suoi occhi, l'unico modo per farla restare reale, perché Marius sapeva che se un anno avesse mancato di tornare a guardare la finestra essa l'anno seguente non si sarebbe più mostrata, sarebbe scomparsa, tagliandolo per sempre fuori da quel mondo che pretendeva di non essere controllabile da lui, a differenza del mondo dell'East End in cui era così forte.

I restanti giorni dell'anno Marius li dedicava alla malavita, costruendosi ogni giorno più esperienza e, quando divenne più grande, facendo progetti di indipendenza dal controllo di Lewis. L'influenza della sua cricca si era espansa e cominciavano a girare quantità sempre maggiori di denaro che occorreva investire in attività 'pulite'. Per Lewis anche in questo caso Marius – il ragazzo, come continuavano a chiamarlo lui e Goulding – si era rivelato la persona giusta: ancora incensurato nonostante i molteplici delitti, notoriamente lontano da quel tipo di pesce piccolo che non sa quali sono i suoi limiti, intelligente abbastanza per tenere i contatti con chi di dovere quando si tratta di soffiate e corruzione oltre che esperto conoscitore delle dinamiche del contrabbando e dell'illegalità in genere. Meno di vent'anni dopo la sua fuga, Marius era il nuovo braccio destro di Lewis e gestiva lui pressoché tutti gli affari di Lewis, che intanto si era dato una ripulita agli occhi della giustizia e adesso, con moglie e figli al seguito, si spacciava pure per benefattore e imprenditore filantropo agli occhi delle autorità locali. Inizialmente a Marius la cosa non aveva creato alcun problema: Lewis gli aveva lasciato sempre più spazio nelle decisioni, tutti i loro affiliati rispondevano e obbedivano a lui, la sua posizione era solida e non discutibile. Tuttavia, col tempo era emerso qualcosa di diverso nell'opinione che Marius aveva dei suoi vecchi 'datori di lavoro'. Non poteva negare che Lewis e Goulding fossero stati quanto di più simile ad una famiglia avesse mai avuto, visto che doveva loro la possibilità di essere diventato qualcuno di rispettato e riconosciuto, così come doveva loro quella protezione di cui qualunque ragazzo di nove anni ha bisogno, eppure col tempo qualcosa si era incrinato. Prima fra Goulding e Lewis, che accusava il primo di 'darsi troppo alla bella vita', di aver perso il senso del limite, di non aver capito che 'a certi livelli certe cose non si fanno più'; in seguito Marius aveva assistito diverse volte a litigate nella loro lingua madre, che lui si era sempre rifiutato di imparare, neanche fossero una coppia di vecchi sposi. Effettivamente Goulding era diventato molto più avventato e incauto negli anni e già un paio di volte era stato Marius a tirarlo fuori dai guai o a sottrarlo al piombo dei proiettili di uno dei tanti uomini con cui attaccava briga. Quello di cui Goulding accusava Lewis aveva però un fondamento di verità: Lewis aveva fatto il salto di qualità, aveva comprato del terreno a nord della città e faceva il signore colto e impegnato, mentre gli affari sporchi per i quali potevi ancora finire dentro senza appello li aveva lasciati a loro, come se si fosse dimenticato che anche lui proveniva dal loro stesso mondo. Marius Black aveva come spinto in un angolo il rancore verso la sua famiglia di origine, perché per trecentosessantaquattro giorni all'anno quello che lo divorava era un sentimento nuovo, un desiderio di supremazia e potere che forse era lo stesso che aveva provato Lewis da giovane, mentre costruiva la sua fortuna criminale, e che – Marius sapeva – non poteva appagare semplicemente sottomettendo qualcuno alla paura che poteva esercitare con un coltello in mano. Sì, perché per diventare pubblicamente conosciuto e rispettato anche dalla gente perbene non serviva la sua innata capacità di uccidere a sangue freddo con una lama affilata, occorreva che a farsi lama tagliente fossero le sue parole e il suo intuito, proprio come aveva fatto Lewis. Fu così che aveva cominciato a lavorare alle spalle di Lewis, guadagnandosi poco a poco la completa fiducia dei suoi sottoposti e instillando loro risentimento e astio nei confronti di Lewis, coltivando conoscenze e rapporti che gli sarebbero serviti al momento in cui ne avrebbe preso il posto, preparando il terreno per quello che adesso vedeva chiaramente come uno dei passi più importanti di quella che era stata la sua liberazione, la conquista del suo posto nel mondo: l'assassinio del padre spirituale, prima di quello di sangue. E quando fu il momento, fu quello che avvenne: Marius uccise con un colpo di pistola alla tempia Mr. Lewis nel suo studio a North London, preoccupandosi che venisse interpretato come un suicidio, e dopo alcuni mesi di religiosa pazienza ne prese il posto a capo dell'ormai pulitissima Lewis Ltd. Dovette stare molto attento a non farsi scoprire durante le indagini della polizia, ma per l'ennesima volta la fortuna sembrò essere dalla sua: il suicidio era sospetto ma plausibile, come ebbe a dire la moglie di Lewis, per questioni personali che rifiutò di concedere alla polizia di rendere note, per cui presto i sospetti si spensero e le indagini furono interrotte. Solo Sam Goulding sapeva che era stato Marius l'artefice di tutto, perché una cosa del genere era nell'aria da molto tempo, gli aveva detto quando era andato a trovarlo a casa sua per accusarlo dell'omicidio e minacciarlo di andare dalla polizia. Marius avrebbe fatto volentieri a meno di arrivare ai ferri corti con Goulding – era una persona divertente, di spirito, intelligente, come un fratello un po' sopra le righe – ma non poteva permettere che la sua gelosia immotivata e il lutto doloroso rovinassero i suoi piani. Marius adesso era un uomo temuto e rispettato e avrebbe trovato più di un 'dipendente' disponibile a risolvere il problema per lui, alla vecchia maniera, ma Marius era un uomo che si era fatto interamente da sé, che aveva conquistato ogni cosa da solo, che aveva forgiato il suo destino solo e soltanto con le proprie mani, e sapeva riconoscere quando una cosa era troppo importante e necessaria per essere delegata. Così una notte Sam Goulding aveva trovato la morte nell'ombra fuori da una bisca clandestina dell'East End, per mezzo di un coltello a serramanico fabbricato più di trent'anni prima.

Gli anni successivi erano stati forse meno intensi per Marius Black. Aveva incrementato gli utili della società, aveva costruito per sé e per la società una facciata migliore e più pulita di quella datele da Lewis stesso, aveva sposato una donna che non amava e da cui aveva avuto due figli, aveva affrontato come tutti gli altri inglesi la guerra contro l'Asse riuscendo a non perdere troppo nei suoi affari e, adesso, finite le ristrettezze belliche, aveva trovato nuovi margini di profitto nella nascente edilizia popolare. Se non fosse stato per il calendario e l'agenda che consultava ogni giorno, avrebbe forse dimenticato l'appuntamento con la finestra di Grimmauld Place. Non perché il suo odio si fosse placato, quanto piuttosto perché ogni giorno nuove questioni richiedevano la sua attenzione, incontri, affari, accordi, che lo assorbivano per intero e gli facevano pensare che, forse, era ancora presto per andare a cogliere il frutto maturo della vendetta su colui che gli aveva dato i natali, che c'era ancora molto da fare, che sarebbe dovuto diventare ancora più potente, influente, temuto per appagare il suo animo e poter dire 'è giunto il momento'. Forse avrebbe perseverato in questa convinzione fino alla fine dei suoi giorni, se un mattino una bizzarra conversazione fra sua moglie e la loro domestica non avesse risvegliato qualcosa dentro di lui.
“No, signora, non la prendo per pazza, altroché! Non sapevo come dirle che io stessa ho assistito a questo fenomeno! Il bambino piangeva e la lampada andò in frantumi da sola, ma io le dissi che ero stata io a farla cadere!”
“Che cosa assurda! Sono così in pensiero! Due volte è accaduto lo stesso davanti ai miei occhi e ora non so se è solo una coincidenza o ciò nasconde una malattia e dobbiamo chiamare il dottore!”
Marius rimase impietrito dietro la porta. Non era possibile. Le lampade non vanno in frantumi da sole quando un bambino piange, a meno che quest'ultimo non sia dotato di poteri magici, e quel fenomeno che tanto preoccupava le due donne aveva tutta l'aria di essere il primo episodio di quella che, tanti anni prima, avrebbe chiamato 'magia infantile'. Oppure poteva essere solo una sinistra coincidenza, sinistra sì, ma pur sempre e solo una coincidenza che si sarebbe rivelata senza conseguenze. Ma Marius non credeva più da tempo alle coincidenze, sebbene rifiutasse l'idea che ci fosse qualcosa della sua vita e della sua stessa natura che non poteva controllare. Per questo, quella notte, rientrando da una cena d'affari, Marius Black decise che il momento era giunto. La possibilità che suo figlio potesse essere un mago, una possibilità che era contraria a tutto quello che lui aveva costruito, a tutto quello che era diventato, aveva fatto sì che la resa dei conti con suo padre non fosse più rimandabile, che fosse chiara e impellente la necessità di sancire con un ultimo atto la sua rottura non più ricomponibile con la stirpe dei magici Black e sciogliere per sempre l'ultimo nodo del lungo filo di sangue che lo legava al suo passato più remoto.

E adesso era lì, di fronte all'uomo che da anni aveva smesso di essere suo padre. Prima di avere paura – come faceva bene ad avere – suo padre era rimasto sorpreso di come fosse riuscito ad introdursi in casa e disarmarlo. Vecchio sciocco, credeva così tanto in quella magia che lo faceva sentire così forte e che lo aveva appena tradito: se fosse stata davvero così determinante, la magia, non avrebbe permesso alla finestra di restare affacciata sul mondo fuori, sul mondo vero, non avrebbe permesso che lui tornasse. E pensare che lui non aveva fatto nulla di più ingegnoso di quanto non avesse fatto così tante volte in gioventù: camminare nell'ombra, studiare un luogo, entrare da una finestra e restare ad aspettare paziente, nell'ombra, che prima o poi il vecchio rientrasse nello studio, per poi prenderlo di spalle e sfruttare la debolezza fisica che la vecchiaia porta a tutti gli uomini, maghi o non maghi che siano. I riflessi di Cygnus Black non erano più quelli di una volta e Marius aveva dalla sua la lunga esperienza in fatto di agguati e furti, benché ormai li praticasse ad altri livelli e con altre armi. Sfilare la bacchetta dalla veste del vecchio non fu più difficile che rubare un borsellino, come tanti anni prima, e nulla era paragonabile all'espressione atterrita di suo padre, quando spezzò in due la bacchetta di fronte ai suoi occhi, senza alcuna fatica, senza alcuno sforzo.
“Ecco, ecco a quanto ti è servita la magia di cui io ero indegno per salvarti la vita, tutta la tua magia non era nient'altro che un inutile ramoscello di legno!” sputò contro suo padre. In quell'istante in cui quell'oggetto inutile si era rotto per opera sua, il disprezzo e l'odio sul volto di suo padre si erano tramutati d'un colpo in puro terrore, nello sguardo di chi, oh sì, sa che sta per morire. E quando gli ebbe vomitato addosso tutte le parole di odio che gli salivano alle labbra, a voce bassa, come in un fiume di sibili avvelenati, estrasse il coltello a serramanico che tanto gli era stato fedele in tutti quegli anni, la sua prima vera vittoria e conquista. Nel farlo, ricordò come una volta Pollux avesse detto, una volta a casa dopo aver acquistato la sua bacchetta prima della scuola, che aveva scelto quella perché aveva sentito 'come se fosse il prolungamento della sua mano'. Marius Black sorrise. Non era forse per lui la stessa cosa? La lama del suo coltello era il prolungamento della sua mano, la sua bacchetta magica.
Si avvicinò al vecchio con decisione e lo afferrò per i capelli, dietro la nuca, costringendolo a piegarsi e a gemere dal dolore, e affondò la lama dentro di lui, più volte, con maestria, sapendo fino a che punto sarebbe rimasto abbarbicato alla vita e quando infine si sarebbe lasciato andare nelle braccia della morte in una pozza di sangue.
“Andate all'inferno, padre” fu l'unica cosa che gli soffiò in viso, costringendolo a guardarlo negli occhi, finché il vecchio Cygnus Black non si arrese alla morte.
Marius ritrasse il coltello dall'addome del vecchio e pulì la lama ad una delle tende della finestra, guardandosi intorno e valutando quanto tempo ci avrebbero messo gli altri Black a trovare il corpo senza vita.
Dopodiché, scavalcò la soglia e saltò giù, nel buio.


***

¹Marius in questa storia uccide suo padre nel 1949, ponendo come sua data di nascita il 1908. Sull'albero genealogico della famiglia Black su HP-Lexicon la data di nascita del fratello Pollux è posta nel 1912, ma quella della figlia Walburga nel 1925, circostanza che non ha alcun senso: per questo ho retrodatato di dieci anni tutte le date di nascita dei figli di Cygnus Black senior, ponendo appunto quella di Marius, non nota, al 1908.
²La sintassi della frase è volutamente errata, visto che Sam Goulding non usa la sua lingua madre, eccetto che con Lewis.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: _Qwerty_