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Autore: Aleena    01/08/2011    0 recensioni
"Lui non è mai risalito da quei corridoi; continua a vagare, senza corpo, senza voce, mentre gli anni passano, i ricordi sbiadiscono. Perfino il suo nome scompare, facendo restare solo l’Ombra, padrone incontrastata di mura e polvere.
Ma Astrea ricorda, Astrea SA.
Era Gabriel, una volta… come l’angelo… ma lui è un demone oramai.
Ed ha dei nuovi giocattoli, i primi da secoli."
I Malandrini, un'incantesimo antico quanto la stessa Hogwarts, gelosie, tradimenti, paure... riusciranno ad uscirne indenni?
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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IL MIO DICEMBRE
 
 
“This is my December
This is my time of the year
This is my December
This is all so clear
This is my December
This is my snow covered home
This is my December
THIS IS ME ALONE

And I
Just wish that I didn't feel like there was something I missed
And I
Take back all the things I said to make you feel like that
And I
Just wish that I didn't feel like there was something I missed
And I
Take back all the things I said to you

And I give it all away just to have somewhere to go to
Give it all away to have someone to come home to

This is my December
These are my snow-covered trees
This is me pretending
This is all I need

And I
Just wish that I didn't feel like there was something I missed
And I
Take back all the things I said to make you feel like that
And I
Just wish that I didn't feel like there was something I missed
And I
Take back all the things I said to you

And I give it all away just to have somewhere to go to
Give it all away to have someone to come home to

This is my December
This is my time of the year
This is my December
This is all so clear

And I give it all away just to have somewhere to go to
Give it all away to have someone to come home to

 
 

Tutto era nebbia, vorticante e bianca.
E nella nebbia c’era il Lupo.
Dominava con il suo odore, con la sua voce – un ululato fondo e pieno di disperazione.
Tutto ha un prezzo, ripeteva.
Remus non era più padrone del suo corpo. Fluttuava nella nebbia come un fantasma.
Tutto ha un prezzo.
C’è Sirius. Si rotola su un prato con una bella biondina, senza pudore, senza riserbo.
Ti amo, le sussurra tenero; e suona vero, come quando l’aveva detto a lui sotto il salice, abbracciandolo forte. Ti amo come nessuno mai.
Alcuno pareva badargli: tutti guardavano qualcosa, così anche lo spettro-Remus si avvicinò, curioso
Tutto ha un prezzo.
C’era il ragazzo-Remus al centro della folla.Lupo, mostro, abominio, lo chiamavano alcuni. Frocio, checca, urlavano altri. Ma le facce erano le stesse: disgusto, paura, odio.
Tutto ha un prezzo.
Il ragazzo-Remus urlò.Sirius, diceva, perché mi hai tradito?
Lo spettro-Remus voleva piangere ma non aveva occhi per farlo. Voleva urlar, ma non aveva voce, né bocca, ne viso, ne corpo. Si limitò a fluttuare via, perdendosi, mentre la nebbia della Bestia lo avvolgeva, cullandolo, cullandolo
Tutto ha un prezzo.
 
L’odore di marcio era cresciuto; si diffondeva, mentre la luce mandava lampi al sapore d’ozono, affievolendosi con un sibilo sinistro.
La porta mandò uno schiocco sonoro, cominciando a creparsi.

 
James è appostato su un albero. Sa che gli farà del male vederli, che ogni loro gemito è un pezzo della sua anima che si disgrega, ma non può farne a meno. Vuole distruggersi perché, senza di lei, che senso ha tutto il resto?
Remus la sta amando ma c’è qualcosa di diverso, James lo sa. Lunastorta – e che strano chiamarlo così, quasi che ancora fossero vecchi e innocenti amici - è quieto e placido perfino mentre fa l’amore; eppure ora è agitato, lo stesso atto è carico di una sorta di violenza frenetica.
Lily si dimena, lo chiama amore poi tesoro poi Remus, gli chiede di smettere, le dice che le fa male.
Infine, Lily urla.
James muore in ogni colpo degli artigli del Lupo, muore mille volte e l’ultima insieme a Lily.
Lui, James, non le avrebbe mai fatto questo; lui l’avrebbe protetta.
James SA che non può permettere che accada davvero.
 
C’era qualcuno che gridava là fuori e James sapeva chi era.
Non posso permettere che accada,si disse, prendendo lo specchio dalla parete e frantumandolo al suolo
Con una scheggia in mano usci nel salotto.
 
Rumore di legno contro legno.
Le pareti trasudano umidità, puzzano di muffa e sudore e dolore. Si fanno scure ma nessuno le nota perché è calata la notte.
C’è una luce sola adesso, il chiarore pallido di una luna piena.
La porta scricchiola cedendo un poco, crepandosi ancora.
Sta arrivando.
 

Sirius si avventò su Severus che, in piedi al lato del letto, cercava di riallacciarsi i bottoni della camicia bianca, la cravatta di Serpeverde dimenticata sulle lenzuola. Come se rivestirsi possa cancellare quello che ha fatto, sussurrava una voce infida nella testa del Malandrino. Una voce nera.
Sibilava, quella cravatta - o era solo Sirius ad avere il sibilo di mille serpenti nella testa?
Opera di Mocciosus.
Sirius voleva sfregiarlo, ridurre quel corvo unticcio ad un ammasso informe di carne e sangue, ma si trovò davanti Astrea; sua sorella lo prese per un polso, fermando la lama del coltello prima che le calasse sulla guancia.
«Fratello fermati! Sei impazzito per caso? Che caz…» ma Sirius l’aveva già colpita alla tempia col pugno libero.
 
Schegge volano nell’aria. Qualcuno ride, qualcuno grida, una voce ignota chiama nella lingua dei demoni, dall’altra parte della porta.
Un grosso frammento di porta colpisce l’essere i trasformazione ma questi non lo sente. Non sente nulla, ormai.

 
James uscì dalla stanza proprio mentre un’ondata di polvere e schegge ruscellavano dalla porta. Non vi badò, storcendo appena il naso all’odore umido di muffa ed ozono. Aveva visto Remus, per metà già Lupo.
«Hai ucciso Lily, mostro! Ma non ti permetterò di farlo ancora.. lei è mia! Mia! MIA! » urlò James avventandosi su Lupin, il pezzo di specchio che feriva la sua mano penetrando nella pelliccia del braccio del Lupo; che uggiolava, colpendo l’aria con le unghie del ragazzo che era.
 
La maniglia salta, attraversando l’Ombra. È dovunque, ora. Scivola su ognuno di loro, legandoli con tentacoli di tenebra invisibili.
Anche l’Ombra sa che il tempo è agli sgoccioli.
Qualcosa sta arrivando.

 
Sirius scavalcò il corpo privo di sensi di Astrea, negli occhi una furia nera, cieca. Sollevò il coltello cercando di colpire Severus, che agitò la bacchetta dinnanzi a sé in un gesto istintivo.
Crack.Il coltello tranciò di netto il legno facendone volare fuori sparuti peli di unicorno. Severus lasciò cadere quel moncone di legno ormai inservibile con terrore per darsi poi ad una fuga sconnessa, saltando sul materasso allo scopo di mettere il letto di distanza tra sé e il ragazzo Black.
Sirius si slanciò in avanti grugnendo, ferendosi all’avambraccio nella foga di colpire Piton; ed ecco, gli afferrò un piede, iniziò a tirare con un grido disarticolato di gioia e furore. Severus urlò.
 
La porta d’ingresso cedette con un botto fragoroso, scaraventando nella stanza schegge di legno e polvere.
 
Una folata di vento fresco colpì Sirius che si fermo, il coltello ad un centimetro dal polmone destro di Piton.
 
L’ombra urlò, frustrata, ritirandosi piano dalla mente dei giovani.
 
Un ragazzo sormontava il Lupo, tenendogli l’arto superiore ferito attorno al collo, tentando di strangolarlo. Le unghie del Mostro gli erano entrate nell’avambraccio.
Qualcosa - qualcuno! - si stagliava sulla porta, nero contro la luce pomeridiana che entrava dalle finestre, avvolto dalla polvere.
Odore di nuovo. La stanza si illuminò repentinamente.
La figura parlò.
 
Lui si riveste in fretta. La Ragazza dorme ma a lui non interessa ora; quel posto è molto più allettante.
Sfiora la copertina di un libro, togliendolo dallo scaffale. Dentro, tutte le pagine sono bianche. Anche il calamaio sulla scrivania è finto, la piuma è attaccata alla boccetta. La casa delle Illusioni, la chiama, compiacendosi della propria arguzia.
Sposta una sedia; un mugolio assonnato, un fruscio. La Ragazza si è svegliata, si tocca la testa.
«Post sbornia» le sussurra lui, senza dolcezza; non ne ha più bisogno, da lei ha già preso tutto quello di cui aveva bisogno «Vedrai che ti passerà presto, domattina sarai come nuova… più o meno» sogghigna. Si, è decisamente arguto.
La Ragazza pare confusa. Sbatte le palpebre, si guarda intorno quindi, accorgendosi di qualcosa, si copre repentinamente i seni con gli abiti, lanciando un grido orripilato.
«Si, abbiamo fatto sesso. E no, non ti ho Schiantata e trascinata qui, ci sei venuta con le tue belle gambine, di tua spontanea volontà» ha risposto troppe volte a questa domanda. È stufo e tutto li è più interessante che parlare con lei.
«O… ok» sussurra la Ragazza, incerta; e non demorde «quindi noi…»
Tipico delle donne, pensa lui con cinismo.
«Vedremo.» risposta standard; domani lui sarà già sparito, intento a cercarsene una nuova. Gli piacciono le sfide; e non c’è soddisfazione ad esplorare territori già conosciuti. «Ora sta zitta e guardati intorno. Potresti imparare qualcosa se ti applichi»
La Ragazza lo ignora. Ha realizzato dove sono e questo le fa lanciare l’ennesimo gridolino spaventato.
«Hey, noi ce ne dobbiamo andare di qui. Subito! Se ci scoprono… il professor Serpeverde come punizione appende gli studenti per i pollici nei sotterrai, mi hanno detto, e…» s’è alzata, iniziando a vestirsi di corsa.
«… e li fa frustare dalla sua squadra di folletti addestrati, mmh? Stupidaggini. E comunque non ce ne possiamo andare. Non fino al pomeriggio, quando verranno a ritirare quegl’altri idioti che si sono fatti spedire in punizione qui» gelido. Quella Ragazza gli sta davvero dando sui nervi «Rilassati. Spogliati ancora, appena ho finito di vedere cosa c’è qui ricominciamo, tesoro» tenta di essere dolce ma non gli riesce. Territorio già esplorato, pensa. Ma è meglio di niente, dopotutto.
«Io… no. Io me ne voglio andare, voglio…»balbetta, e solleva la bacchetta. Lui comincia a ridere forte adesso.
«Stupida ragazzina bionda. Capisco che pensare non è il tuo campo, ma almeno questo… anche un’oca se lo sarebbe ricordato, sono settimane che lo ribadiscono. Qui dentro la tua magia non funziona» ride. Ha una risata fastidiosa, carica di derisione e crudeltà. La Ragazza scoppia in lacrime, visibilmente imbarazzata, umiliata. È lì che lui perde la pazienza. «Se devi frignare, vattene! Trova l’uscita da sola, sbatti la testa contro il muro per vedere quale si frantuma per primo, ucciditi… ma per favore smettila di frignare! Mi dai sui nervi. E dire che sei stata una così bella scopata… dovresti limitarti ad aprire le gambe e chiudere la bocca, tanto non ne esce nulla di buono…»
Il calamaio fasullo gli arriva in testa, facendo morire le sue risate di scherno. Si adira «Puttana» le urla, allontanandosi fuori traiettoria. La Ragazza piange ma lui ha la casa ora.
Vaga per i corridoi seguendo un percorso poco dissimile a quello che loro - Astrea ed i Malandrini - percorreranno negli anni a venire.
La Ragazza resta ferma lì, in quella stanza, in angosciosa attesa. Piange. Astrea segue lei; la ripugna sapere che condivide i ricordi di quel mostro senza cuore.
Le ore si allungano, distendendosi come le ombre proiettate dalle finestre: una luce antica, come se filtrasse attraverso un foglio di carta velina ocra.
Un rumore, voci. La porta principale si apre. La ragazza corre lungo il corridoio, grata che sia tutto finito; ai professori racconta di essersi persa nella foresta la sera prima mentre, ubriaca, vagava. Avrà una punizione, le dicono, ma il suo cuore gioisce nel lasciare la casa senza di lui.
Domani inizieranno le vacanze di natale e lui non tornerà a casa. Gliela farà pagare, oh si, a quel bastardo.
Quando si accorgono che lui non c’è è già passato troppo. Trovano quello che ne resta nella casa e l’esperimento finisce lì. L’accesso a quell’ala della foresta è proibito, il sentiero ricoperto di rovi, incantesimi e massi.. ma la casa non è vuota.
Lui non è mai risalito da quei corridoi; continua a vagare, senza corpo, senza voce, mentre gli anni passano, i ricordi sbiadiscono. Perfino il suo nome scompare, facendo restare solo l’Ombra, padrone incontrastata di mura e polvere.
Ma Astrea ricorda, Astrea SA.
Era Gabriel, una volta… come l’angelo… ma lui è un demone oramai.
Ed ha dei nuovi giocattoli, i primi da secoli.
 
Qualcosa trascinava Astrea.
C’era povere nell’aria, odore di muffa e di chiuso… ma meno intenso, ora. Una corrente d’aria fresca trasportava la luce viva del pomeriggio (o è il contrario?). Astrea aveva i piedi scalzi e una scheggia di legno conficcata in una caviglia ma non le importava. C’era l’Ombra addosso a lei, le proiettava nella testa ricordi e visioni. Un momento prima era nella biblioteca, un attimo dopo nella stanza polverosa.
Fu solo quando si trovò in corridoio che la sua mente iniziò a funzionare per bene; quando venne portata alla luce, scaricata malamente sul freddo pavimento dell’androne, qualcosa urlò, il grido straziante di miliardi di zanzare che riempiva l’aria - o era solo nella sua testa?
La ragazza si tirò in piedi, iniziando a scrollarsi i capelli e la pelle come se avesse insetti che le camminassero addosso.
Poi Astrea ricordò: c’era qualcosa là fuori.
Gabriel.
«Astrea?» domandò una voce familiare. La ragazza si voltò, registrando solo un attimo più tardi a chi quel tono appartenesse.
«Peter?» domandò lei, sgranando gli occhi. Era proprio Codaliscia, in tutta la sua poco imponente, rotondeggiante figura. Le tendeva una mano quasi con cortesia. È finita? Sono uno spettro anche io, dunque? si chiese; ma aveva troppa paura per esprimere il pensiero ad alta voce.
Doveva essere indietreggiata poiché la sua schiena urtò contro qualcosa di duro; sollevò gli occhi, incontrandone un paio viola come i suoi: Sirius le restituì un sorriso forzato. Aveva un livido sotto l’occhio sinistro ed una ferita alla mano ma era illeso.
«James!» fece Sirius, il tono divertito, voltandosi a guardare qualcuno oltre le spalle di Minus.
«Sirius quanto tempo» gli rispose la voce di Ramoso, stanca ed ironica «ma che piacere rivederti sano di mente e corpo»
«Touchè» Sirius abbassò il capo, inchinandosi con uno svolazzo della mano «Remus, non ti unisci al coretto?»
Sollevata, Astrea si volse a cercare gli altri: eccoli, Remus alla fine di uno sbuffo, con le vesti lacere ed un taglio su un braccio, Severus bianco come un cencio - più bianco del solito, commentò una vocina maligna nella sua testa, rassicurante: la voce di Sirius. Toh, non l’avrei mai creduto possibile! Ti devo un drink, sorellina -, James con le lacrime agli occhi ed un braccio sorretto dall’altro, i segni di un brutto morso visibili dal polso al gomito; e Peter, infine. Fu a quest’ultimo che la ragazza si rivolse.
«Tu dovresti essere morto» era illogica, Astrea lo sapeva, eppure tutto quello che aveva visto era talmente privo di fondamento che ormai non temeva di scadere nella banalità.
«A quanto pare, no» Peter sollevò le spalle in un gesto di noncuranza, troppo nervoso per apparire realmente distaccato.
«Ma io.. noi… ti abbiamo sentito gridare e tu… tu ci hai lasciati chiusi li dentro, cazzo! Per oltre un mese ci hai lasciato in balia di quel… quella COSA! Senza cibo, senza magia! Cosa cazzo pensavi di fare?» il tono della ragazza era passato dalla preoccupazione all’ira in meno di un secondo. Astrea si alzò in piedi, andando a fronteggiare Minus naso a naso.
«Astrea…» Cominciò Remus, col il tono da frate gentile che preannunciava ramanzine.
«Zitto, te! Ha da rispondermi lui!» tuonò, prendendo per il bavero della camicia un terrorizzato Peter «Rispondi, topo» intimò, il tono che non ammetteva repliche. Minus prese un respiro profondo.
«È che… io avevo qualcosa in me, come… un’ombra che mi spingeva a condurvi qui… che mi disse di farvi restare, che mi indusse a chiudervi fuori… ma quando uscì dalla stanza… quando quest’ombra mi abbandonò… ho auto paura, Astrea, amici miei! Sono corso via, ma non potevo… la porta d’ingresso era chiusa e anche le fineste e allora ho capito... non sarei stato capace di lasciare questo posto senza di voi! Vi giuro, sono rimasto a vegliare davanti a questa porta per tutto il pomeriggio, aspettando che voi usciste. Poi ho cercato… c’era una tavolinetto al piano di sopra, e non sapete che fatica ho fatto, ma non riuscivo ad aprire la porta e… la notte… coff… paura… i rumori che facevate…» Peter stava annaspando, mezzo soffocato dalle parole e dalla stretta di Astrea sulla sua camicia «non resp…respir… coff… Astrea non potres… potresti…»
«Lascialo andare sorellina o avremo davvero la sua vita sulla coscienza» Sirius si distese contro il muro, prendendo fiato. Astrea sciolse piano le dita dalla morsa, concedendosi un sorriso.
Fu allora che la porta esplose.
 
Una voce tonante e stridula allo stesso tempo riempiva l’aria, il volume della voce che si abbassava ed alzava come se provenisse da una radio ed un bambino stesse giocando con le manopole.
Non avete il permesso. La casa è morta, Loro sono morti, resto solo io. E voi.
Non avete il permesso.
Gabriel.
Astrea trattenne il fiato, poi iniziò a correre. Prima che potessero fermarla era tornata fra la polvere nera e vorticante della stanza.
 
C’era un rombo di fondo, come una musica tutti bassi attutita dalle pareti di una camera; rimbalzava nel fumo e nell’oscurità, confondendo i sensi.
«Non potevi uscire senza il permesso dei presidi» Astrea aveva cominciato a gridare, girandosi attorno, cieca, nella speranza di distinguere qualcosa «era magia antica, la loro. Non potevi andartene e per quanto tu abbia tentato di lasciare questo posto sei morto qui. Era il loro incantesimo, e non puoi andartene… ma noi non faremo la tua stessa fine. Mi hai capito, Ombra? Questo è il tuo incantesimo e puoi scioglierlo. E lo farai» aveva parlato con decisione ma il cuore le martellava in gola.
In cambio di cosa, ragazzina?
«Del tuo nome» Respirare le era difficile; l’aria era satura di umidità, come in una sauna, e calda. Torrida.
L’ombra tacque, vorticando in spirali concentriche attorno ad Astrea, che incrociò le dita, sperando con tutta la forza che aveva.
Non è possibile. Non puoi conoscerlo.
«Lo è. Sono stata te, nei miei sogni. Conosco la tua storia, i tuoi pensieri ed anche il tuo nome. Tu giurerai, con e sulla tua magia. Ci lascerai andare» le ultime parole le erano uscite come in un rantolo. Astrea si portò una mano al petto, i respiri strozzati. Sudava copiosamente, la pelle guizzante e sensibile come se fosse sotto l’influsso di una forte febbre.
Non resterò solo
«Giura» era cianotica. Il suolo le venne incontro, sbattendo contro le sue ginocchia. Era molle e viscido e sotto la moquette qualcosa di innominabile si contorceva, strisciava.
NON RESTERÒ SOLO! urlò l’Ombra, assordandola.
«Che… che altro vuoi?» sussurrò la ragazza, storcendo il volto.
L’ombra non parlò più ma Astrea conosceva già la risposta.
 
«Gabriel.»
L’aveva chiamato con l’ultimo respiro, accettando il patto.
 
  
 


Piccolo spazio-me: tranquilli, non dovrete attendere un’altra settimana per sapere cosa succede. Questo capitolo e l’altro sono… diciamo, un'unica realtà, divisi solo per un fattore estetico, di forma.
A tra poco!
 
Sopra: “My December”, Linkin Park

  
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