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Autore: ThePortraitOfMrsBlack    02/08/2011    11 recensioni
Scritta di getto per il concorso "One Shot dell' estate"
Grazie di cuore a tutti quelli che hanno scelto di votarmi, 7 voti sono più di quelli che mi sarei aspettata. Grazie davvero.
Hermione ha fatto un sogno durante la sua convalescenza al San Mungo. Nel sogno l'ombra è gelida, odora di vecchie pietre ed erbe pestate e lei non riesce a smettere di sognarla. La battaglia del Dipartimento dei Misteri l'ha lasciata provata e terrorizzata. Sa che guarirà e che c'è tempo, ma per trovare una soluzione al sogno, ha solo il tempo di un'estate.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Scritta per il concorso "One Shot dell'estate".
Se vi piace, votatemi.

Come sempre, ogni cosa che riconoscete appartiene a sua Maestà J.K.Rowling. Io ci metto una fantasia inferiore e al servizio del mondo meraviglioso che Lei ha creato.

 




La cicala fuori dalla finestra era fastidiosa.
Molto. Fastidiosa.

Hermione poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva infranto una regola.

Sbagliavano di grosso quelli che pensavano che per lei seguire le regole fosse naturale, che non dovesse metterci il minimo impegno. Oh no, tutt'altro, ci voleva un impegno considerevole per tacere quando ci si aspettava che tacesse, per seguire gli ordini degli adulti anche quando sembravano fuori da ogni logica, per andare a dormire la sera sapendo che non c'era nulla, di quello che aveva fatto in quella giornata, che non fosse assolutamente irreprensibile.

Ci voleva molto, moltissimo controllo. Perché il desiderio di rompere le regole si era fatto ogni anno più forte. Ogni volta che metteva un piede fuori dal sentiero tracciato, era più difficile tornare in carreggiata.

Ci voleva volontà e lei, di quella, ne aveva a tonnellate.
Perché avere le regole dalla propria parte era un'arma alla quale non avrebbe mai volontariamente rinunciato.

Eccezione fatta per alcuni memorabili casi particolari.

Le volte in cui aveva trasgredito alle regole poteva contarle sule dita di una mano.

E ne era valsa decisamente la pena.


Non poteva dire lo stesso per il forte desiderio di trasgredire che provava in questo momento. Non valeva proprio la pena di rischiare l'espulsione e molto peggio, solo per zittire una cicala con un incantesimo ben piazzato.

Eppure era così fastidiosa e la bacchetta così vicina alla sedia dove si trovava lei in quel momento, solo qualche passo più a destra.
Qualche passo e un grosso problema col Ministero, più a destra.

Certo, il Ministro aveva finalmente dovuto accettare il fatto che Voldemort fosse tornato (almeno tra sé e sé riusciva a chiamarlo col suo nome... Prima o poi sarebbe riuscita a farlo anche ad alta voce) e negli opuscoli che venivano distribuiti in ogni casa dei maghi d'Inghilterra veniva consigliato, anche ai minorenni, di non abbandonare mai la propria bacchetta.

Non era proprio certa, però, che il Wizengamot avrebbe giudicato una cicala impertinente una questione “di difesa personale” per una strega ancora minorenne - se pure per qualche mese soltanto -  anche se le stava impedendo di concentrarsi sul libro che aveva davanti, come avrebbe voluto.


C'era voluta tutta la sua forza di convincimento per far cedere sua madre e farsi accompagnare a Diagon Alley, dopo che l'avevano dimessa dal San Mungo, sette giorni prima.
Ma aveva bisogno di quel libro.
Doveva imparare.

La fattura di Dolohov l'aveva lasciata completamente scioccata. Dal punto di vista lucido, intellettuale, sapeva perfettamente che in battaglia era molto probabile essere feriti e che avrebbe anche potuto morire.

Quando era salita sul Thestral, diretta verso Londra, il cuore le strozzava la gola e l'unica cosa che aveva ripetuto, tra sé e sé, era “Facci tornare sani e salvi”, per tutto il tempo che avevano impiegato a raggiungere il Dipartimento dei Misteri.

Facci tornare sani e salvi.
Facci tornare sani e salvi.
Facci tornare sani e salvi.

Poi la battaglia era cominciata e non c'era stato più tempo per preghiere silenziose e speranze sussurrate.

Aveva sempre saputo che al fianco di Harry rischiava di morire.
Aveva anche saputo che poteva essere torturata, come i genitori di Neville. Sapeva che la maledizione Cruciatus era la cosa più dolorosa che si potesse provare, abbastanza da intaccare la mente, lasciando il corpo illeso, un guscio vuoto, senza più volontà.

Non si era aspettata l'intensità del dolore, quando Dolohov l'aveva colpita.
La luce violacea, il movimento del braccio e poi le era esplosa la testa, i nervi, le si erano piegate le gambe, la volontà, la mente.

E non era la Cruciatus.
Non era nemmeno lontanamente la Cruciatus.

Facci tornare sani e salvi.

Come sembrava incompleta adesso la sua preghiera.

Era salva, era sana -o lo sarebbe tornata a breve- ma era terrorizzata.

 

La prima notte al San Mungo era stata un incubo.
Si era svegliata nel buio nella stanza d' ospedale, senza ricordare nulla.
Aveva tentato di alzarsi e aveva scoperto di non poterlo fare. Non vedeva nulla, non poteva muoversi e i ricordi avevano scelto proprio quel momento per tornare, tutti insieme.

Dolohov.

La luce viola.

Il dolore.

Aveva urlato. Credeva di avere urlato. Invece le era uscito un suono soffocato, inarticolato.
Tonks era arrivata un istante dopo, quasi invisibile, nel buio della stanza, appena illuminata dalla luce della bacchetta mantenuta fioca e lontana dal viso.
“Va tutto bene, Hermione, tesoro, sono qui, siamo qui, va tutto bene...”
Parole sussurrate, nella notte, parole morbide, per calmarla, per rassicurarla, per spiegare.

Non doveva muoversi, per dare alla ferita il tempo di guarire.
Avrebbero pensato a tutto loro, era all'ospedale, era al sicuro, l'Ordine montava la guardia a turno, sarebbero stati lì ogni sera.
Tonks, Bill, Malocchio, Piton, Molly, Kingsley, Arthur, Lupin, i nomi come una litania, ripetuti nella notte, come un incantesimo. Era al sicuro, poteva dormire.

Dormire.

Era nel sonno che si era insinuato per la prima volta.
Dita fredde che le controllavano il polso immobile.
Odore di vecchia pietra e erbe pungenti.

Nel sogno apriva gli occhi e vedeva la figura nera chinata su di lei, gli occhi chiusi e le labbra che mormoravano un incantesimo.

Era cominciata così, con quel sogno quieto.
La voce aspra e profonda che sussurrava “Chiudi gli occhi, dormi. Dormi tranquilla.”

Perché doveva essere un sogno, cos'altro poteva essere?
Perché quella voce non era capace di un tono così leggero, così rassicurante.
Perché quella voce era fatta per tagliare, per pungere e per ribattere.
Perché quella voce non poteva rassicurarla.

E invece, nella notte, nel buio della stanza, lei aveva chiuso gli occhi e aveva sentito le mani fredde accarezzarle la fronte e poi si era addormentata. Sicura. Tranquilla.

E aveva cominciato a sognare. Un sogno tutte le notti.
E per colpa dei sogni ora le serviva il libro.
Doveva imparare, assolutamente.
Aveva il tempo di un'estate per imparare.

Ma la maledetta cicala non taceva.

Hermione si alzò dalla sedia, più lentamente di quanto avrebbe fatto di solito. Muoversi le faceva ancora un po' male, quando i muscoli dell'addome andavano a tendere la pelle sulla cicatrice rosa.

“Ho paura che resterà un segno, cara” la voce della Medimaga era stata cauta e dispiaciuta, “Purtroppo accade spesso con questo genere di incantesmi. Niente di vistoso, comuque, niente di troppo grande. Si ridurrà notevolmente col tempo e fra quache mese avrai solo una piccola cicatrice qui.” le aveva mostrato il percorso sulla sua pelle, tracciato da una striscia rosacea, che andava dallo sterno al fianco.
Non le era importato allora e non le importava adesso, ma ogni volta che le faceva male non riusciva a non trattenere il fiato. “Farà male per qualche settimana. Se non dovesse migliorare entro quindici giorni vedremo di prescriverti qualche pozione, ma vedrai che non sarà necessario.” Il sorriso rassicurante della Medimaga le era sembrato sciocco, senza senso.

Come il canto della cicala.

Si affacciò alla finestra, i gomiti appoggiati al davanzale. L'aria della sera era umida e opprimente, il cielo era nuvolo.
Non era un'estate quella.

Forse, negli anni a venire, l'avrebbero chiamata “L'estate che non fu” o qualcosa di altrettanto stupido e pomposo.
Di fatto, però, Voldemort aveva rubato l'estate.

Certo, potevano dire che era colpa delle nubi, degli anticicloni e delle eruzioni vulcaniche, ma Tonks le aveva detto la verità, anche se forse non avrebbe dovuto, a sentire Molly Weasley.
Erano i Dissennatori a succhiare via l'estate. Era Voldemort a gelare quel luglio.

 

Anche nei suoi sogni faceva freddo.
Cominciavano sempre allo stesso modo, con il tocco freddo di una mano sul polso.
Lei apriva gli occhi e la stanza era rischiarata dalla luna, non buia come nella realtà.
Delineata, contro la parete, la figura scura la osservava.
Dalla prospettiva del letto era ancora più imponente, ancora più inquietante, visto dal basso verso l'alto, come se fosse stato un'ombra dotata di vita.

Nel sogno, l'ombra era sempre fredda a contatto con la sua mano. Perché lì lei non era immobile, non più, poteva alzare il braccio e toccare le pieghe del mantello, il tessuto ruvido e cedevole.

E allora l'ombra le sussurrava le sue parole, “Chiudi gli occhi, tranquilla...”
Ma nel sogno Hermione non chiudeva gli occhi, restava ben sveglia, mentre l'ombra si chinava su di lei, vicina, sempre più vicina.

Si riscosse dal pensiero, chiuse la finestra e tornò al libro.

Era inutile. Tutto quello che aveva trovato, nel volume troppo caro che le era costato tante discussioni e un faticoso viaggio a Diagon Alley, erano teorie e disquisizioni accademiche. Possibile che non esistesse un manuale pratico sull'argomento?

Possibile che fosse questa la volta in cui i libri l'avrebbero delusa? Proprio ora che ne aveva così bisogno?
E non ne aveva bisogno solo lei, ad essere del tutto onesti. Se fosse riuscita ad imparare qualcosa, anche Harry avrebbe potuto farlo. Magari avrebbero potuto esercitarsi insieme e migliorare ognuno la capacità dell'altro.

Per ora, però, tutto restava in linea puramente teorica e, di conseguenza, estremamente inutile.
E lei doveva imparare.
Perché se qualcuno avesse visto i sogni lei...

Doveva imparare.
 

La cicatrice le faceva tirare i muscoli, punizione per essere stata seduta troppo a lungo. Avrebbe avuto bisogno di una passeggiata, ma ormai era sera e sua madre non l'avrebbe certo lasciata uscire da sola, non dopo tutto quello che aveva dovuto raccontarle.
Sdraiarsi qualche minuto avrebbe avuto lo stesso effetto, i muscoli si sarebbero distesi e il dolore si sarebbe attenuato.
E poi poteva allenarsi. Per questo non aveva bisogno di nessun libro, era puttosto chiaro che per evitare il sogno doveva imparare a regolare i suoi pensieri.
Certo, non avrebbe cancellato il ricordo e il ricordo poteva sempre essere visto, ma era già qualcosa.

Tanto valeva sfruttare il tempo in maniera proficua.

 

Chiuse gli occhi, respirò profondamente e pensò alla sua stanza al San Mungo.

Non c'era nessuno oltre a lei.
Nessun ombra fredda e alta.
Nessuno le passava dita ruvide tra i capelli.
Nessuno aveva l'odore di vecchie pietre e erbe pestate.
Nessuno si avvicinava a lei, chinandosi sopra al letto.

No.

Non andava bene, non andava bene per niente.
Meno di un minuto e il sogno si stava già infiltrando attraverso le sue negazioni.

Ricominciare.

La stanza era vuota, buia.
Solamente una luce fioca, che passava da sotto la porta chiusa.
Non c'era nessuno nella stanza. Poteva chiudere gli occhi.

“Chiudi gli occhi...”

Il sussurro, appena percettibile.
Se avesse aperto gli occhi sapeva che lo avrebbe visto. Che sarebbe stato lì, accanto al letto.

No, non aprire gli occhi.
Non c'è nessuno nella stanza, è il tuo sogno e non c'è nessuna ombra.
Non vuoi che ci sia nessuna ombra.

“Chiudi gli occhi...”

Sono chiusi.
Non vede nulla.
Ma sente. Sente il sussurro così vicino all'orecchio, un soffio appena.
E non è freddo.
Non è freddo, accanto allorecchio, non è freddo sulla guancia, non è freddo sugli occhi.
Non è freddo sulle labbra.

L'odore di erbe e di pietra, di pergamena e peltro, è fortissimo adesso, ma è un attimo soltanto, prima che il soffio, sulle labbra diventi tocco di altre labbra.

E il tocco diventa fuoco.

E niente è più freddo.

Nemmeno le dita che le si intrecciano tra i capelli, ruvide, tra i riccioli castani.
Nemmeno le vesti nere che le cadono addosso insieme al suo peso.

Nemmeno l'estate.

Nemmeno il suo nome.
“Severus...”

 

Aprì gli occhi senza aspettare oltre.
Decisamente, non era ancora in grado di dirigere i suoi sogni. E comunque i ricordo sarebbe restato, caldo quanto quell'estate era fredda.
Ci sarebbe stato tempo per capire cosa voleva dire. Ci sarebbe stato tempo per mandare via il sogno.

Ma per ora, era meglio imparare l'Occlumanzia.

   
 
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