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Autore: Nerween    02/08/2011    2 recensioni
"La conferma che quella che era la pazzia, il vero sogno della mia vita. Quello che mi stavo immaginando, quello che avrei vissuto… oh, era di gran lunga più di quanto avessi desiderato, molto più grande di quell’incontro che adesso mi sembrava piccolo e insignificante.
Deglutii prima di porre la domanda.
«Di che tour si tratta?»
Lanciai un fugace sguardo a Kevin e vidi che mi sorrideva.
Turner mi guardò e mi parlò fiero «Ovviamente si tratta del Beautiful World Tour, dei Take That.»" [dal Cap. 6]
***
"«Quanto siete eccitati, su una scala da 1 a 10?»
«Non sapevo fossi specializzata in domande idiote, Fabiana» mi rispose Mark. Gli feci una linguaccia e lui ridacchiò.
«Dai Mark, come sei scortese» lo rimproverò Gary.
«Tu trabocchi d’emozione, vero Mr. Barlow?» lo stuzzicò Mark.
Gaz lo fissò con un sorriso di sfida, mentre Mark gli si avvicinava e gli palpava il sedere «Te la faccio vedere io l’emozione.»" [dal cap. 13]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17 - Between.
Il piccolo Elwood scorrazzava felice per l’aereo prima che questo partisse, guadagnandosi coccole e carezze di tutti, stavolta anche da me. Si avvicinò al mio sedile con gli occhioni che brillavano e una manina in bocca, e non seppi resistere alla tentazione di accarezzargli i capelli e dirgli « Ehi, ciao marmocchio! »
Mi sorrise in un modo che mi ricordò tanto il padre e sentii di aver assunto un’espressione da completa ebete sul viso.
« Elwood, vieni! ». Sentii la voce della madre chiamarlo e la piccola furia tornò tra le braccia di Emma, seduta accanto a Mark.
Se possibile, guardare Mark che scherzava e coccolava il suo piccolo fu una scena che mi fece addolcire ancora di più, ma decisi che per quel giorno la quantità di zuccheri assorbita era già troppa per i miei standard, così mi voltai verso il finestrino.
Il tempo era uggioso. Il solito di novembre, insomma.
Sospirai, pensando che eravamo già arrivati a quel punto del tour. Mancavano le ultime due date europee e si sarebbe chiuso il giro per il continente, dopodichè sarebbe arrivata la parte tosta del tour, ossia un’infinità di date in UK. Ma almeno i viaggi si sarebbero ristretti, tra Londra, Manchester e qualche altra città.
La cosa positiva era che finalmente tra qualche giorno avrei rivisto Christal. Non mi ero mai accorta prima d’ora quanto mi mancasse, sarà che ero abituata ad averla tutti i giorni davanti agli occhi essendo mia coinquilina. Ma avevo bisogno davvero di uno dei suoi abbracci stritolatori che solo le migliori amiche sanno darti, come facevamo quando eravamo agli inizi. E chi se ne fregava dei trent’anni! Mi mancavano i suoi pettegolezzi, lo stare chiusa in una stanza con lei, sotto le coperte, lei a raccontarmi dei personaggi dei suoi scritti, ed io ad ascoltarla rapita e sorridere dei suoi sogni e aspettative per un futuro che non l’avrebbe mai delusa, semplicemente perché lei era la mia Christal, la ragazza dai capelli rossastri e le lentiggini che dieci anni fa mi ospitò nella sua casa a Londra, e mi contagiò con la passione per la sua band preferita. In fondo, se mi trovavo lì, se stavo coronando il mio sogno, era anche grazie a lei.
Il futuro non l’avrebbe mai tradita perché era una ragazza, una donna solare. Aveva il potere, con la sua energia, di distribuire ottimismo a tutti. Un dono che aveva trasmesso a me, ma senza la mia fonte anche io sarei rimasta a secco molto presto.
La verità era che avevo un dannato bisogno di lei.
Senza Christal, mi sentivo privata della mia scorta personale di entusiasmo.

Ascoltare i Take That dal proprio mp3 quando sono a due sediolini da te e avere la possibilità sentirli live da un momento all’altro era una cosa altamente stupida. Ma non potevo resistere alla tentazione di infilare nelle orecchie gli auricolari e ascoltarli come se cantassero solo per me, come ai vecchi tempi.
Trascorsi così parte del viaggio, fin quando le note di I’d Wait For Life non mi rilassarono così tanto da farmi socchiudere gli occhi. Avrei dovuto ricordarmi di ascoltare i Take That più spesso quando non riuscivo a prendere sonno dopo i concerti, ma prima di riuscire a formulare il pensiero la mia mente era già altrove…
In realtà quel luogo mi sembrava familiare, ma in un primo momento rimasi smarrita, per quanto lo si possa essere in un sogno. Successivamente misi a fuoco il posto in cui mi trovavo: era una grande sala illuminata da luci artificiali, c’erano delle finestre da cui fuori si vedeva chiaramente il cielo scuro di sera, e una parete era completamente ricoperta di specchi… una sala prove. La sala dove si erano svolte le prove del tour. Se fossi stata cosciente mi sarei chiesta perché mi trovavo lì in sogno, ma essendo impotente ai pensieri del mio inconscio la situazione mi sembrava assolutamente normale. Mi guardai intorno come se sapessi esattamente chi mi sarei trovata vicino: da parti opposte, uno alla mia destra e uno ala mia sinistra, pochi passi distanti da me, c’erano Mark e Kevin. Il primo mi guardava affabile, sorridente, con la luminosità di sempre; Kevin con la stessa espressione indecifrabile di quando si chiudeva a riccio in sé stesso.
« Fabiana » mi sentii chiamare, e automaticamente mi voltai verso Mark: mi aveva teso la mano come ad invitarmi ad andare da lui.
« Vieni a ballare. »
Rimasi confusa. Ballare? Perché mai dovevo ballare in un sogno? E perché mi sembrava così maledettamente familiare?
« Fabiana ». Questa volta fu Kevin a parlare. Indicò la porta della sala, «Dobbia andare.»
« Non andare, balla con me » intervette Mark.
« Il pullman ci aspetta » rispose Kevin.
Capii con troppo ritardo che mi trovavo tra i due per una ragione ben precisa: scegliere chi seguire. Entrambi tentavano di tirarmi dalla propria parte come se stessero giocando al “tiro alla fune”, e la fune era io. Non mi sarei stupita se all’improvviso mi fossi trasformata in una lunga corda, o in qualcosa di completamente insensato, come succedeva molto spesso nei miei sogni.
Partì la musica di Pray e con una stretta allo stomaco ricordai quella volta che ballai con i Take That. Ecco perché mi sembrava di aver già vissuto quella scena…
Lanciai uno sguardo a Kevin che mi indicò ancora la porta.
« Ma io volgio restare » dissi stupidamente.
La sua espressione non mutò, si limitò solo a ripetere « Dobbiamo andare. »
Intanto io non mi muovevo, indecisa sul da farsi. Kevin tornò a ripetere più volte che dovevamo andarcene, ma la sua voce era sfocata, come se non appartenesse a quel sogno…
« Fabiana, dobbiamo scendere! »
La voce di Kevin era di nuovo limpida e chiara, e aprii gli occhi di scatto quando mi sentii punzecchiare il braccio. Mi risvegliai con una sensazione di angoscia, come se avessi lasciato qualcosa di interminato.
« Finalmente, bella addormentata! » sospirò Kevin « Sono come minimo cinque minuti che ti chiamo, siamo arrivati e in teoria dovremmo scendere… »
« Sì, scusa » mormorai « Devo essermi appisolata. »
« Me ne sono accorto, sai » sbuffò lui « E parlavi anche nel sonno, ti ho sentita dire che “volevi restare” e “non volevi andare”. Cosa stavi sognando? »
Arrossii di botto. Bella storia, parlavo anche nel sonno! Bene, davvero, un’altra cosa da aggiungere alla lista dei miei difetti.
Presi tempo mentre mi slacciavo la cintura di sicurezza e scendevo dall’aereo.
« Io… penso di averlo dimenticato », e sperai che la bugia regesse.
Kevin scoppiò a ridere « C’era da aspettarselo, ovviamente. »
Sorrisi poco convinta. Era un sollievo che sembrassi così svampita da far sembrare plausibile la storia del sogno dimenticato, ma di certo non mi aveva lasciata indifferente. Scesi dall’aereo di fianco a Kevin, maledicendo con troppe imprecazioni i deja-vù nei sogni. Scorsi con la coda dell’occhio Mark, a pochi metri di distanza da me, che teneva suo figlio per mano e con l’altra cingeva i fianchi di Emma.
La verità era che mi sentivo letteralmente una merda. Il primo termine per identificare quella spiacevole sensazione che sembrò prendere il sopravvento su di me. Gola secca, voglia di scappar via e non vedere nessuno, desiderio incontrollato di prendere a schiaffi le facce felici e sorridenti sia di Mark che della sua compagna. Oh, sapevo cosa fosse. Fastidio. E avrei dovuto imparare a conviverci per un po’.

Durante i giorni che passarono, il “fastidio” sembrò provare una strana simpatia per me, e tornò a farmi visita quasi tutti i giorni, mettendomi decisamente un cattivo umore addosso. Certe volte non cominciavo a sbraitare contro tutti solo per mantenere un contegno e non mandare all’aria la reputazione di donna matura e contenuta quale mi ero costruita.
Nemmeno la partenza di Emma e il ritorno di Howard, ormai del tutto in salute, erano riusciti a farmi strappare più di quel sorriso stentato. Inutile dire che i miei colleghi se n’erano accorti, che non ero della mia consueta vivacità, quella sera in cui ci trovammo tutti a chiacchierare allegramente nel salottino dell’Hotel che ci ospitava in Danimarca, insieme a tutta la troupe del tour. Si erano concluse anche le ultime due date europee, il giorno dopo saremmo tutti tornati in Inghilterra per dare inizio alla parte finale dello show. Erano tutti dannatamente entusiasti di tornare nelle proprie case e rivedere i propri cari, anche se si trattava di poco tempo prima di ritrovarsi a lavoro. Probabilmente tutti si aspettavano anche una mia reazione allegra, che con quell’umore non venne. Infatti Chad quella sera mi chiese se mi sentissi bene, ed io risposi di sì con fin troppa convinzione.
« Va bene » rispose lui facendo spallucce, poi prese una sigaretta dal suo pacchetto che teneva sul tavolino ed uscì all’aria aperta per una fumata.
Di nuovo quella sensazione di fastidio tornò ad impossessarsi di me, ma stavolta ero me stessa che volevo prendere a schiaffi. Perché dovevo essere un libro aperto per tutti? Ormai coloro che mi conoscevano avevano imparato a capire i miei stati d’animo, quindi si sarebbe palesemente visto se non fossi stata in me. E infatti era da giorni che tentavo di camuffare il mio malumore, con scarso successo, a mio parere.
Più tardi, mi accorsi che quello che chiamavo “fastidio” era in realtà invidia. Ero invidiosa del carattere di Kevin, perché era più chiuso di un lucchetto, non lasciava facilmente trasparire le sue emozioni. Ero invidiosa di Emma e del suo rapporto con Mark, e quella era la cosa di cui avevo maggiormente vergogna. Provare invidia per la compagna del mio cantante preferito? Mai era successo, né per le sue precedenti fidanzate, né con la moglie di Gary. Era una cosa talmente stupida e immotivata che mi stupii di provare un certo sentimento. Non mi riconoscevo quasi.
Possibile che invece di progredire, stessi pian piano tornando indietro? Ai tempi in cui ero ancora un’adolescente indecisa, poco determinata e con l’autostima sotto i piedi? Perché tutto ciò che mi stava succedendo – o meglio, ciò che stava succedendo nei miei pensieri e nelle mie emozioni – non era di certo paragonabile ad un comportamento da persona matura quale mi ero sempre ritenuta.
Probabilmente avevo sempre avuto una reputazioni troppo alta di me stessa. O semplicemente non avevo un minimo di esperienza. Perché, era inutile negarlo, le questioni di cuore non mi erano familiari, e adesso che le stavo affrontando non potei far altro che reputarmi dannatamente ridicola.
Una donna di trent’anni che fa l’indecisa, era davvero il colmo.
Il turbinio di pensieri che mi si erano affollati in mente mi fece perdere la nozione del tempo. Infatti, quando per sbaglio notai l’ora, mi resi improvvisamente conto di quanto fosse tardi. Ormai nella sala non erano rimasti che Mark (che dall’espressione era sicuramente prossimo ad addormentarsi sul divano), Jason che sorseggiava uno di quegli strani miscugli che si solito beveva e qualche ballerino. Kevin, Chad, Matt e Ben erano già andati via, probabilmente.
Decisi che ormai era anche la mia ora, così mi alzai dalla sedia e distrattamente posai lo sguardo sul tavolino vicino a me. C’era ancora il pacchetto di sigarette di Chad, di sicuro le aveva dimenticate lì. Lo afferrai, gliel’avrei dato prima di andare a coricarmi, e augurai la buona notte a tutti.
Salii le scale che portavano al piano dove c’erano le nostre stanze. Quella di Chad si trovava prima della mia, quindi era necessario passarci davanti prima di giungere alla mia. Provai a bussare ma mi fermai. Stava sicuramente già dormendo e non aveva intenzione di svegliarlo solo per uno stupido pacco di sigarette.
Poco male, gliele avrei date il giorno dopo, così mi avviai alla mia stanza. Sapevo già che non avrei dormito, non di certo con tutti quei pensieri in testa. Forse mi serviva solo un po’ d’aria fresca, e non era difficile trovarla in una sera di novembre in Danimarca. Per cui, sorpassai la porta della mia camera per dirigermi invece a quella che conduceva al terrazzo dell’Hotel, uno di quelli spaziosi che tanto mi piacevano. Se poi era solitario e silenzioso ancora meglio.
Mi gustai quell’aria fredda da perfetta incosciente qual’ero: era pur sempre novembre, e a coprirmi avevo solo un maglione che ovviamente non avrebbe tenuto caldo a lungo.
Sospirai e presi il pacchetto di sigarette di Chad. Chissà cosa provavano i fumatori quando mettevano quella strisciolina ripiena di tabacco in bocca. Probabilmente era uno svago per non pensare troppo. Lo aprii e ne presi una, tentata di accenderla. Il pacchetto era quasi vuoto, ciò che pesava dentro era l’accendino. Ma rimasi a contemplarla. Magari mi avrebbe anche un po’ riscaldata. Che male c’era a provare? Di certo non ero una quindicenne che si sarebbe fatta prendere dall’euforia del tabacco, per cui una sigaretta non mi avrebbe fatto mica male.
« Da quand’è che fumi? »
Mi voltai di scatto: alle mie spalle c’era la figura di Mark, con lo sguardo posato sulla sigaretta tra le mie mani.
« Non fumavo » risposi velocemente « Sono di Chad, le ha dimenticate in sala e dato che non voglio svegliarlo gliele restituisco domani. »
« Però ne hai una in mano » osservò con un sorriso divertito.
« Che occhio » commentai sarcastica, rificcandola nel pacchetto.
Ridacchiò e si avvicinò a me « Dài, lo so che ci avevi fatto un pensierino. In fondo c’è sempre la prima volta, no? »
« Ho già fumato… in passato » mentii spudoratamente « Con i miei compagni di liceo facevo qualche tiro, solo che non mi è mai piaciuto. »
Bugia bella e buona, non avevo mai toccato una sigaretta perché il buon senso me lo impediva. Forse il buon senso a volte mi impediva troppe cose.
« Faccio finta di crederci. »
Feci spallucce, e vedendo che non rispondevo, continuò « E’ strano che ci ritroviamo a parlare sempre da soli su un terrazzo, non trovi? La scorsa volta che abbiamo avuto una conversazione del genere è capitata circa una settimana fa, stesso luogo, stessa situazione. »
« Sei sicuro che la situazione sia la stessa? » mormorai.
« Ovviamente no. Questa volta sei tu la ragazza che ha bisogno di consigli. »
Sorrisi in modo impercettibile: ormai era chiaro a tutti che qualcosa mi frullava nel cervello.
« Come hai fatto a sapere che ero qui? Non credo sia stata una coincidenza. »
Probabilmente si sarebbe aspettato domande del tipo “Come fai a sapere che ho bisogno di consigli” e cose così, infatti la sua espressione si fece per un microsecondo stupita, poi riprese in mano la situazione.
« Be’, semplice: ti ho seguita. »
Sbarrai gli occhi « E lo dici come se fosse una cosa naturale? »
Ignorò la mia constatazione e continuò evitando il mio sguardo « Non sono stupido, Fabiana, per quanto a volte lo dimostri: capisco quando un’amica è in difficoltà, esattamente come tu l’hai capito con me giorni fa. Prendilo come un ringraziamento per il tuo aiuto l’altra sera. Non è giusto che debba fare sempre tu la fata madrina. »
« Sai, Mark » lo interruppi « E’ stupefacente il mondo in cui ci somigliamo. Abbiamo gli stessi pensieri, ragioniamo allo stesso modo, certe volte ho l’impressione che solo guardandomi negli occhi tu legga tutta la storia della mia vita. »
« E questo ti fa sentire impotente e fragile, esposta al pubblico. » terminò lui.
« Sì » sospirai esterrefatta. Mark mi capiva, poteva aiutarmi.
« Secondo te, è con tutti così? » gli chiesi « Pensi che ciò accada tra di noi perché abbiamo… feeling, oppure che sia un libro aperto per tutti? Certe volte desidererei solo poter indossare una maschera, ma non ci riesco. Mi sento debole, i sentimenti hanno il sopravvento su di me e non riesco nemmeno a nascondere la parte peggiore di me stessa. »
Presi a tormentarmi le mani. Quella situazione era del tutto paranormale. Insomma, sfogarsi con la propria star preferita non era cosa da tutti i giorni. Ma forse Mark aveva ragione. Un’amica. Ecco, in quel momento dovevo considerarlo un amico a cui confidare i miei pensieri, non la superstar che conoscevo. Mi decisi a continuare.
« Questo mi fa sentire una brutta persona. Sono una brutta persona, o meglio, ciò che provo è brutto. »
« Brutto? Quale sentimento può mai essere brutto? »
« L’invidia, Mark » mormorai « L’invidia per ciò che non posseggo ma che mi piacerebbe avere. Mi vergogno per ciò che sto per dire, ma provo invidia anche… quando penso a te ed Emma. »
Era fatta. L’avevo detto, alla fine. Mi ero apertamente confessata, avevo mostrato il mio lato oscuro. Voltai la faccia dall’altra parte, non volevo vedere la reazione di Mark alle mie parole, temevo quel silenzio come le parole che prima o poi sarebbero uscite dalle sue labbra. Lo sentii trattenere il respiro per un po’, ma alla fine sospirò.
« Sei solo confusa » disse dolcemente.
Sì, ero maledettamente confusa e non sapevo come uscire da quella situazione.
« Mi sento come una fune » confessai, chiaramente facendo riferimento al sogno dell’altro giorno in aereo « Come se mi stessero tirando alle due estremità. Ma mi rendo conto che nessuno mi sta tendendo se non me stessa. »
L’altra parte di ciò che provavo lo tenni per me, anche se ero sicura che Mark l’avesse afferrato comunque. Perché le due estremità che tiravano la corda erano i perfetti opposti: il sogno della mia vita e la realtà ben più concreta. La solarità di Mark e l’alone di mistero e tristezza di Kevin. Il mio stesso carattere e il mio esatto contrario. Il libro aperto e il libro chiuso.
Avevo ancora il viso girato, non avevo il coraggio di guardare Mark, di certo non dopo un discorso del genere.
Sentii le sue dita afferrare il mio mento con la chiara intezione di attirare il mio sguardo. Ma quando finalmente scorsi il suo volto, lo ritrovai troppo vicino al mio, tanto da sentire il suo respiro sulla pelle.
Mi guardava intensamente negli occhi.
« Spero solo che questo ti aiuti a capire » sussurrò, e senza che lo prevedessi, contro ogni logica ragione, mi baciò.


















Salve! :D
Ok, lo so che non c'è nulla da sorridere. So che cosa state pensando:
1. Questa è una #@!%* e tanti altri epiteti carini per aver fermato il capitolo proprio sul più bello. Questione di lunghezza: per quanto avrei desiderato continuarlo, questo è già il capitolo più lungo della storia, non mi andava di allungarlo ancora.
2: Questa è scema. Che cosa c'entra il bacio tra questi due, adesso? Bene, penso sia doveroso dare un po' di spiegazioni sul capitolo.
Partiamo dall'inizio.
Fabiana sente la mancanza di Christal. So che non serve molto al capitolo, ma volevo che si percepisse questa sua nostalgia e tristezza.
Il sogno. Non sapevo come introdurre quest'indecisione di sentimenti di Fabiana, e l'unico modo che mi andava a genio era il banalissimo sogno.
Il "fastidio", successivamente invidia, di Fabiana. Qui non posso dir niente, sappiate solo che non è come pensate U.U
Le sigarette di Chad. Non c'entrano assolutamente niente con la storia, è un'idea che mi è venuta così mentre scrivevo, mi sono immaginata questa ragazza che contempla tristemente la sigaretta.
E infine il bacio. E' una promessa con me stessa, mi ero giurata all'inizio della storia che un bacio con Mark ci doveva stare tutto. Poi, be'... vedrete come andranno le cose nel prossimo capitolo ovviamente u_u
Fatte le dovute precisazioni, passiamo a cose molto più importanti: sssssono tornata :D (che genio di ragazza, non ho parole.) Proprio quando voi sarete partiti immagino u.u c'est la vie ** durante questi 15 giorni non ho scritto mezza parola per questa FF. So che sono cose che non si dicono, ma almeno sapete che dovrete aspettare per avere il prossimo capitolo... emh... La tortura comunque non è lontana dalla fine :D
Bene, ci vediamo! Hola u.u
   
 
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