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Autore: fragolottina    03/08/2011    2 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora ok, devo pur darvi qualche spiegazione...
dunque, rimuginando nella mia testa ho scoperto che io non avevo mai scritto niente su Kingdom Hearts che parlasse di Kingdom Hearts, mi ero sempre limitata a leggere qui e là...solo che mi è venuta una travolgente voglia di mettermi giù e scrivere, scrivere, scrivere...
volevo una storia che parlasse di Sora - perchè io lo adoro, davvero, gli sono affezionata - che stesse insieme a Kairi - lo so, sono quasi banale, ma per me sono troppo carini insieme - e che fossero cresiciuti, un po'...ovviamente metterci Sora e fingere che Roxas non esistesse, mi pareva una decisione impraticabile. Roxas c'è, è una tortura emotiva enorme, ma sappiamo tutti che c'è.
cmq, sempre nel mio rimuginare ho pensato che se io fossi stata Roxas - ricordatevi dove siamo partiti e dove sono arrivata, dovreste fare una colleta per spedirmi da uno psichiatra - nel vedere Sora e Kairi vivere felici e contenti mi sarebbero girate, eccome se mi sarebbero girate...ed ecco a grandi linee quello che state leggendo...
chiedetemelo...
ok, faccio da me...
'E Axel?'
eh...Axel...vedremo...


Capitolo 1


‘Era l’unico che mi piacesse,
mi faceva sentire come se avessi un cuore.
Era divertente.’

Aveva sempre trovato insolito che una cosa che si chiamava ‘corridoio oscuro’ fosse in realtà tanto colorata. Era lì in quel momento, anzi, forse sarebbe stato più esatto dire che lui era lì, perché anche se Sora ricordava di aver avuto quell’uomo vestito di nero tra le braccia, anche se i suoi occhi verdi avevano fissato i propri, cercandovi qualcuno di assopito al loro interno, in quel momento era Roxas a piangere sul corpo ancora bollente per il colpo inferto.
    Accarezzava i suoi capelli rossi e spinosi come se cercasse la fonte di un ricordo, con un’adorazione che a Sora fece stringere il cuore, il suo.
    Roxas alzò gli occhi su di lui che guardava la scena senza sapere da dove, ma adesso lo stava fissando, il suo sguardo affogato nelle lacrime, il viso piegato in un’espressione di dolore e tormento. Rabbia, rabbia per quello che poteva essere, per quello che era quasi stato, per quello che ormai era irraggiungibile.
    È morto per te, per salvarti, perché somigliavi a me! – un singhiozzo a spezzare quell’ira – ed io non ho potuto nemmeno stringerlo un ultima volta… – mormorò posando gli occhi su quelli di Axel che una volta erano stati verdissimi, ormai chiusi – ho dovuto piangerlo con le tue lacrime. Perché io sono dovuto sparire dentro di te e non il contrario?! – urlò di nuovo.

Sora sussultò balzando a sedere nel letto, stringendosi una mano sul cuore, in quei momenti gli faceva così male che si sarebbe scavato un buco nel petto per tirarlo fuori, strappare via quella dannata ombra e rimetterlo dentro. Era come avere il proprio corpo infestato da un fantasma, un fantasma che di tanto in tanto – sempre più frequentemente, in realtà – prendeva il sopravvento e ti schiaffeggiava con la sua sofferenza. Era doloroso, doloroso in un modo che non avrebbe saputo spiegare, ma che una parte di sé credeva di meritare. Ansimò e deglutì, cercando aria come se avesse passato gli ultimi minuti in apnea, la voce di Roxas che continuava a gridare e strepitare nella sua testa.
    ‘Perché tu sei il mio Nessuno e non il contrario.’
    Non servì a niente se non a farlo infuriare di più.
    Io sono Roxas! Io non sono tuo!
    «Sora?» chiamò dolcemente la voce di Kairi, mentre si alzava e lo abbracciava da dietro.
    Deglutì ancora. «Un incubo.» mentì, perché Roxas non gli permetteva di chiamare incubi quelli in cui c’era Axel, nemmeno quelli in cui moriva.
    «Heartless?» domandò, appoggiando la guancia calda contro la sua schiena nuda.
    «No.»
    «Nobody?» chiese ancora.
    Fece un mezzo sorriso, confortato, c’era qualcosa di appacificante nel modo con cui Kairi scavava tra le sue guerre, tra le sue cicatrici, fino a trovare quella che pungesse di più. «No.»
    Kairi gli prese il viso tra le mani per guardarlo negli occhi, asciugandogli piano le guancie, Roxas piangeva attraverso i suoi occhi. «Roxas?»
    Il sorriso di Sora si spense ed abbassò lo sguardo in un muto cenno di assenso, le appoggiò piano una mano sulla canottiera che usava per dormire, all’altezza del cuore. «Tu senti mai Naminè?» le domandò per cercare un corrispettivo per il suo tormento.
    «Sai, com’è fatta Naminè.» gli rispose sorridendo. «Si, la sento, ma è tranquilla nel mio cuore come è sempre stata.»
    Roxas era tutto fuorché tranquillo.
    «Ce la fai a riaddormentarti?»
    Scosse la testa, sentiva il cuore in mezzo ad una morsa che continuava a stringere e stringere e stringere. Però si lasciò cadere sul letto con le mani sul viso, mentre Kairi gli si accoccolava addosso paziente.
    «Non puoi continuare così.» gli disse.
    «Non so cosa fare.»
    Kairi gli accarezzò il torace. «Chiediti cosa vuole.»
    Sospirò, poi le passò una mano tra i capelli. «Lo so, cosa vuole.» rispose guardando fuori dalla finestra aperta dove si sorprendeva tutte le notti di trovare una luna tonda e non Kingdom Hearts.
    «Hai modo di farlo contento?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so, non saprei nemmeno da dove cominciare.»
    Kairi sollevò la testa rimanendo appoggiata con il mento sulla sua pancia, sorrise con quel sorriso che lo faceva sentire tremendamente al posto giusto. «Perché quando hai salvato il mondo sapevi da dove cominciare?» gli domandò ironica.

Si sedette sulla sabbia con le gambe raccolte a guardare l’oceano davanti a lui, la linea netta che divideva il cielo dalla terra, un limite. Non importava quanto avesse vagato per mondi, avere un limite lo faceva sentire costretto, gli faceva venire voglia di andare un po’ più là. Rise, scuotendo la testa. Se Kairi avesse solo immaginato che lui faceva certi pensieri lo avrebbe ucciso e seppellito sull’isola dei bambini.
    Allungò una mano e davanti a lui, tante lucine simili a lucciole si unirono fino a formare l’abbozzo di un keyblade luminescente che poi lasciò il posto ad un vero keyblade, nero. Il suo keyblade. Oblivion.
    «Continui a portartela dietro?» chiese una voce che non fece fatica a riconoscere. «Credevo ti fossi stancato di aprire e chiudere porte.»
    Non gli rispose che non era lui a portarsela dietro, ma che continuava a seguirlo ovunque ed avrebbe continuato a farlo. Il keyblade sceglie il suo possessore ed aveva scelto Sora. Lui non poteva farci niente. A volte, più spesso di quanto gli piacesse ammettere, aveva provato la destabilizzante sensazione di essere lui stesso l’arma, lo strumento, che fosse la chiave a possederlo.
    Riku si sedette accanto a lui. «Nostalgia?»
    Sora sentì i peli su tutto il corpo rizzarsi e lo guardò ad occhi sbarrati, terrorizzato: se era Riku ad avere nostalgia di girovagare poteva essere grave, l’ultima volta che aveva ceduto alla tentazione dell’ignoto aveva distrutto il loro mondo.
    Il suo amico scoppiò spietatamente a ridere. «Tranquillo, non vado da nessuna parte!»
    Si permise un sospiro di sollievo e tornò a guardare il mare. «Non mi lascia in pace, mai. Il suo dolore mi sta mangiando il cuore. Un giorno o l’altro diventerò un heartless.» confessò, lasciò il keyblade che si dissolse automaticamente per stringersi le mani nei capelli. «Se sono solo si deprime, se sto con te è geloso, se sto con Kairi gli manca…» si interruppe guardandolo, chiedendosi se fosse o meno il caso di ammettere con il suo migliore amico, che l’ombra nel suo cuore amava un uomo. Gli faceva un po’ strano visto che era la sua controparte. «Se solo sapessi come…»
    «Chiediglielo.» lo disse con una tranquillità ed una naturalezza che lo fecero arrossire.
    Lo fissò eloquente. «All’ombra nel mio cuore?» qualcosa, chiamato pudore, gli aveva impedito di dirgli della voce nella sua testa. Lo prendeva già in giro per cose relativamente normali, meglio non dargli un boccone prelibato come quello. Si era limitato a confessargli un certo malessere più o meno pronunciato…
    Riku ricambiò il suo sguardo con rimprovero. «Lo so, che ci parli. Me lo ha detto tua madre, era preoccupata che qualche rotella nella tua testa avesse smesso di funzionare.»
    Sora diede un pugno nella sabbia frustrato, ci mancava solo che i suoi pensassero che stesse lentamente andando fuori di testa.
    ‘Sarai la mia rovina.’
    Roxas ghignò con calcolata soddisfazione.
    È giusto, tu sei stato la mia.
    Riku si appoggiò alla sua spalla per tirarsi su. «Trova il modo.» lanciò un’occhiata alle sue spalle verso la casa di Kairi.
    Lo guardò allontanarsi e, anche se non lo avrebbe ammesso mai, controllò che si dirigesse verso la sua di casa e non quella della sua fidanzata. Riku aveva ragione – era fastidioso da ammettere – e ce l’aveva anche Kairi, doveva trovare un modo per gestire quel tormento, o per estirparlo. In entrambi i casi far finta di niente non lo avrebbe aiutato.
    Guardò ancora il mare, poi la luna che ci si specchiava sopra creando un sentiero increspato sul pelo dell’acqua. Si alzò si tolse la maglietta, le scarpe ed i pantaloni, si guardò intorno, poi anche i boxer ed entrò in acqua; quando il mare gli sfiorò l’ombelico cercò il proprio riflesso, solo per trovare il suo. Identici, sarebbero potuti essere gemelli, lui era soltanto più biondo.
    «Ok, mi sento decisamente idiota.» continuò a controllare che nessuno lo sorprendesse di notte, nudo nell’acqua, a parlare da solo; si tuffò per allontanarsi ancora un po’ dalla riva, lontano da orecchie ed occhi indiscreti. Sora e Roxas immersi nel buio. «Ci ho messo due anni per tornare a casa, ho combattuto battaglie per tornare a casa, ho salvato il mondo e l’ho fatto solo ed esclusivamente per tornare a casa. Non permetterò al tuo odio per me di rovinare tutto ora che ho finalmente raggiunto il mio obbiettivo.» parlare a voce alta lo metteva in posizione di vantaggio, lui poteva farlo, Roxas no.
    Ora che hai finalmente scoperto le gioie del sesso, ora che hai finalmente la tua bella ragazzina da sbattere. Sai, secondo me il tuo amico è geloso… – gli lanciò un’occhiata maliziosa – e non di lei.
    Sora lo fulminò con lo sguardo. «Io non sono come te. I capelli lunghi e gli assassini non mi eccitano.» stava parlando con il suo riflesso nell’acqua, un riflesso che vedeva leggermente diverso, che vedeva muovere autonomamente e che – la pazzia non gli era mai sembrata tanto vicina – gli rispondeva.
    Ma i capelli rossi, si. – insinuò.
    Sospirò passandosi le mani sul viso, poi tra i capelli. «Hai sentito Kairi, no? Naminè è tranquilla, perché non puoi esserlo anche tu?» se avesse previsto la sua reazione non avrebbe detto niente.
    Perché Naminè era un Nessuno! – gridò così forte che, anche se la voce era nella sua testa, l’istinto lo costrinse a tapparsi le orecchie con le mani.
    «Anche tu lo eri ed anche lui.»
    Come puoi parlare così di qualcuno che ti ha salvato la vita? Lui non era solo un Nessuno, lui era…
    A Sora vennero in mente milioni di aggettivi per descrivere Axel, spietato, terrificante, affilato, pericoloso.
    …caldo.
    Quella parola lo sorprese, ‘caldo’ era familiare, confortevole; ‘caldo’ era talmente intenso da farlo zittire per un lungo istante. ‘Caldo’ era amore. Roxas abbassò lo sguardo, ma nel blu dei suoi occhi che era anche il proprio, Sora riconobbe nostalgia. «Non sapevo che sarebbe morto per salvare me.» disse sincero, quando una persona tenta di ucciderti diverse volte è difficile prevedere che si sacrifichi al tuo posto. «Non sapevo che tu e lui foste…e che tu fossi…me. Non si è mai fermato nessuno a spiegarmi la situazione, a volte credo che mi abbiano solo usato per i loro scopi e che io sia stato tanto stupido da permetterglielo. Uno non dovrebbe affrontare una missione solo perché gli hanno detto che è giusto.» rifletté.
    Silenzio.
    Lo ho fatto anche io. – mormorò Roxas pacatamente.
    Per la prima volta nessuno gridava nel suo cuore, nessuna voce, nessun pianto, nessun dolore, solo malinconia, ma in confronto a tutto quello che c’era stato fino a quel momento, gli sembrò un silenzio paradisiaco. Forse per Roxas, Sora non era l’eroe, ma era sincero, sempre. Conosceva il suo cuore abbastanza da credere che fosse vero, che probabilmente a saperlo non avrebbe permesso che qualcuno scombinasse i ricordi di chiunque per risvegliarlo, non avrebbe retto il senso di colpa. Lo osservò al di là dello specchio d’acqua, non lo reggeva nemmeno in quel momento; se non fosse stato tanto tormentato di per sé stesso, Roxas non avrebbe trovato una crepa abbastanza grande da cui urlare tutto il suo scontento. Sora era stato un soldato bambino che aveva realizzato in ritardo gli orrori della guerra.
    Vorrei che avesse una tomba.
    Guardò la sua faccia sul pelo dell’acqua confuso. «Una tomba?»
    Si. Un posto dove possa riposare in pace, così tutti sapranno che è esistito. Lui voleva essere ricordato.
    «Ok.» acconsentì annuendo solenne.
    In un bel posto.
    «Twilight town?» suggerì ricordando che quella città era perennemente nei pensieri di Roxas.
    N-no. – deglutì con fatica – Un posto che abbia più di un tramonto da guardare.
    Sora sorrise. «C’è un mondo bellissimo, è la città dove è nata Kairi. Gli Heartless l’avevano distrutta lasciando solo rovine, ma immagino che ormai sia stata ricostruita del tutto. Sembra un immenso giardino.»
    Credi, che gli piacerebbe?
    Iniziò a nuotare per tornare indietro, gli sembrava di camminare su un filo, un equilibrista che sarebbe potuto cadere da un momento all’altro; sapeva che se avesse detto una parola sbagliata, Roxas avrebbe ricominciato ad urlare. Ma per il momento sembrava essersi placato, quindi, forse, quella era la via giusta. «Ci andiamo. Tu lo conoscevi meglio di me.»
    Non rispose e Sora si rivestì con calma, sentiva ancora dolore, ma sentiva anche che quello era il dolore giusto; non era più odio, era un lutto, lo avrebbero portato insieme. Avrebbe cercato un bel posticino tranquillo dove piantare una lapide con scritte quattro lettere, ci avrebbe portato dei fiori, sarebbe rimasto in piedi con le mani giunte per tutto il tempo che Roxas avrebbe ritenuto necessario.
    Posso chiederti di fare un’altra cosa per me? – gli domandò, cercando di essere gentile per non rovinare l’armistizio che avevano raggiunto.
    ‘Dimmi.’ Non gli interessava più essere in una posizione di vantaggio, per il momento non era più necessario.
    Ti… – per la prima volta gli sembrò di percepire imbarazzo nella sua voce – il mare è salato e la tua pelle è calda.
    Arrossì anche Sora. ‘Oh…’ sospirò. ‘beh, immagino di poterlo fare, anche se effettivamente è un po’…bah…e va bene, chiudi gli occhi e goditelo.’
    Si diede un’occhiata intorno imbarazzato, sospirò ancora, si leccò le labbra e baciò il proprio palmo ricoperto di salsedine; cercò di farlo bene, per ringraziarlo della pace che dopo anni gli stava regalando, cercò di immaginare un bacio di Kairi. Ma si sentì particolarmente ridicolo e scoppiò a ridere.
    Roxas che nella sua testa aveva trattenuto il fiato ad occhi chiusi, espirò tutto insieme.
    ‘Mi dispiace.’ si scusò per la risata.
    Grazie…
    Sora si stiracchiò e sbadigliò.
    Vai da lei, ti lascio in pace.

La mattina dopo guardava Kairi in cucina intenta a preparargli la colazione, sostenendosi il viso con le mani continuava a chiedersi da che parte cominciare per dirle che doveva andarsene a Radiant Garden a costruire una tomba per Axel – sempre che a Roxas fosse piaciuto il posto; non era costruire la tomba il problema, ma Kairi impallidiva davanti a tutti tempi del verbo ‘andare’. La capiva, certo che la capiva, ma lei doveva capire lui e questo gli sembrò meno immediato.
    Ti ha aspettato tutto questo tempo. – cercò di tranquillizzarlo, senza grandi risultati in realtà.
    Tra l’altro, come ci arrivava a Radiant Garden? Non aveva una Gummi ship.
    Scosse la testa: prima Kairi, poi il resto.
    «Perché non me lo dici e basta?» lo incoraggiò la ragazza lanciandogli un’occhiata sorniona, mentre con il bricco del caffè ritornava al tavolo.
    Sora incrociò le braccia sul tavolo appoggiandoci sopra il mento. «Non ti piacerà.»
    Non disse niente, attese.
    Lui si tirò su inquieto – quella mattina non riusciva a trovare una posizione – appoggiandosi allo schienale della sedia. «Non prendermi per pazzo.»
    Sorrise. «Non l’ho mai fatto.» e dio solo sapeva quanto doveva essere stata dura a volte.
    «Ho parlato con Roxas.» ‘parlare’ gli sembrava una parola complicata in quella circostanza, ma il senso era quello. «Vuole una tomba per Axel in modo che non venga dimenticato…» azzardò uno sguardo veloce nei suoi occhi per tastare la situazione. «a Radiant Garden.»
    Come prevedibile Kairi perse colore tutto insieme.
    Lui le prese una mano sbrigandosi a tranquillizzarla. «Non è come in passato. Vado lì, mi faccio aiutare da Cloud a sistemare una lapide e torno qui.»
    «Oh, Sora.» si lamentò lei.
    «Tornerò te lo pr…»
    La mano sulla sua bocca ed i suoi occhi ammonitori gli impedirono di andare oltre. «Non ti azzardare a dirlo.» lo minacciò.
    «Ti prego, Kairi.»
    La ragazza si alzò iniziando a camminare per la cucina, Sora rimase in silenzio a guardarla abbattuto; non che impazzisse dalla gioia di ripartire – anche se effettivamente non gli dispiaceva fare una visita ad i suoi vecchi amici – ma era stata proprio lei ad incoraggiarlo di chiedersi cosa volesse Roxas. Roxas voleva una tomba per Axel, si sentiva anche piuttosto fortunato, avrebbe potuto chiedergli qualcosa di più complicato, e non poteva tirarsi indietro.
    La raggiunse bloccandole i gomiti e tenendola di fronte a lui, ma Kairi sfuggì il suo sguardo, in una muta protesta. «Non succederà niente di male questa volta, non c’è niente di male in giro che possa bloccarmi.»
    «Troverai qualcosa.» mormorò. «Una missione, un amico da salvare, un mondo che ha bisogno di te.» c’era una nota spaventosa nella sua voce, una strana consapevolezza, Kairi era arresa, quasi quanto Roxas.
    E Sora non poteva fare altro se non sentirsi in colpa.
    Le accarezzò il viso. «Aiuterò Roxas, poi tornerò da te.»
    «Ti perderai.»
    «No.» disse deciso. «Non lo farò.»
    Kairi lo fissò sospirando, desiderò di chiuderlo dentro ad una scatola, desiderò incatenarlo a qualcosa, ma ovviamente non poteva fare niente di tutto questo. «Non c’è niente che io possa dire per trattenerti, vero?» domandò affranta.
    Sora scosse la testa. «Avevi ragione, non posso continuare così.»
    Avrebbe voluto urlare, darsi una botta in testa, perché non era stata zitta? Perché non aveva finto di dormire?
    «Sai già come andare a Radiant Garden?» gli chiese invece.


   
 
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