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Autore: Gringoire    04/08/2011    7 recensioni
Vide la mamma avvicinarsi, come sempre, tenendo fra le dita una delle sue sigarette alla menta.
Sospirò rassegnato, osservando i cocci di vetro a terra. Non aveva fatto apposta a rompere il vaso, ma lei non lo avrebbe ascoltato, come tutte le altre volte.
Alzò la maglietta, vedendo la donna a pochi passi da lui.
Se la portò sulla testa. Dopo tutti quegli anni aveva capito come nasconderle le lacrime ed evitare così la doppia punizione.
Si morse il labbro quando, dallo specchio, la vide allungare la mano. Portò la maglia a coprirgli completamente il viso. Era pronto. Quella volta sarebbe riuscito a non urlare e forse anche a non piangere.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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13. Bittersweet

13 – Bittersweet


Bittersweet
I want you
I'm only wanting you
And I need you
I'm only needing you



Non lo vedeva a scuola da due giorni.
Due lunghi, eterni giorni. E conoscendo la sua situazione a casa nessuno l’avrebbe biasimato per quella paura che gli aveva stretto lo stomaco sin dal primo momento in cui non era passato a salutarlo all’inizio della giornata.
Venerdì. Se quel pomeriggio non si fosse presentato a casa sua, a costo di vederlo avrebbe chiamato la polizia con una scusa e condotta fino a casa sua. Avrebbe sfondato la porta, se necessario, sarebbe entrato dalla finestra.
Cristo.
Magari era solamente malato.
Conoscendo sua madre, non avrebbe acconsentito che rimanesse a casa a meno che non avesse come minimo la peste bubbonica, era necessariamente qualcosa di grave. E lui non sopportava di sentirsi così tremendamente inutile.
Osservò la lavagna senza davvero vederla, mordendosi furiosamente il labbro e sperando che le dannate etichette dell’orologio volassero sopra i numeri.
La campanella del venerdì era sempre particolarmente gioiosa, per tutti, perché annunciava un weekend libero, finalmente, ma quella che suonò quel pomeriggio gli sembrò più un coro di angeli.
Aveva la cartella pronta da almeno venti minuti, con il risultato che gli ultimi appunti – solitamente i più importanti, perché agli insegnanti sembrava sempre che gli argomenti più importanti venissero in mente solo quando mancava poco alla fine della lezione – erano solamente scritti alla lavagna e non sul suo quaderno.
Poco male, in quel momento non era la scuola la cosa più importante, di certo sarebbe riuscito a convincere qualcuno a farseli passare senza indugi.
Volò fuori dalla stanza, travolgendo qualcuno al suo passaggio, ma senza nemmeno fermarsi a chiedere scusa, in quel momento non gli interessava. Corse fuori dalla porta, saltando in un balzo i gradini e correndo a perdifiato sul prato come se non avesse un domani, rischiando più volte di perdere qualche arto lungo il percorso.
Si diede più volte dell’idiota, mentre cercava di infilare la chiave nella serratura dell’auto.
Cazzo, mancavano anche le mani che tremavano!
Doveva andare a casa sua quella mattina, se lo sentiva. O quantomeno rimanere a casa ad elaborare un piano. Ma no, lui era andato a scuola, seguendo quella vocina inutile che gli diceva che sarebbe andato tutto bene, che Jude sarebbe stato a scuola con una spiegazione banalissima per l’assenza del giorno prima.
Ma nulla andava mai tutto bene. Avrebbe dovuto capirlo, dopo tutti quegli anni.
Lanciò la borsa sui sedili posteriori, buttandosi a sedere e tirando così velocemente la cintura che temeva gli sarebbe rimasta in mano. Allacciò e partì sgommando verso casa, là avrebbe davvero deciso cosa fare, al momento aveva solo bisogno di fermarsi e ragionare. E magari anche calmarsi, pensò mentre insultava volgarmente un uomo solo perché aveva osato girare a destra come lui invece che a sinistra.
Parcheggiò alla bell’e meglio, quasi finendo sul prato – sua madre l’avrebbe come minimo castrato.
Capì di essere davvero, davvero, davvero distrutto psicologicamente solo quando cercò di buttarsi fuori dalla macchina con ancora la cintura allacciata. La slacciò con rabbia, scendendo e sbattendo lo sportello con furia, tanto che il suono rimbombò un paio di secondi tra le case eleganti ed i prati curati. Non si sarebbe stupito di averlo minimo staccato. O aver ammaccato la macchina.
Arrivò in camera alla velocità della luce, salendo i gradini due a due e chiudendosi dentro. Se qualcuno l’avesse disturbato in quel momento, avrebbe rischiato sul serio di staccargli la testa a morsi. Letteralmente. Recisa con un colpo secco.
Prese qualche respiro profondo, appese la giacca, e si sedette a gambe incrociate sul letto, tenendo il cellulare accanto e la sveglia davanti.
Le lancette scorrevano fin troppo lente.
Sua madre bussò un paio di volte senza ricevere risposta, la cosa migliore per farla andare via senza fare domande, di certo credeva si fosse addormentato.
Le tre arrivarono e passarono.
Di Jude nessuna traccia e lui si sentiva il cuore in gola ed i polmoni improvvisamente privi di aria.
Certo, ora ci mancava un attacco di panico come quelli di Jude, rise istericamente, passandosi le mani tra i capelli.
Le quattro.
Le quattro e mezza.
Le cinque.
Non avrebbe mai avuto il coraggio di ritardare così.
Scese dal letto, aprì la porta, e corse di sotto nello studio di suo padre, sperando di trovarlo.
Spalancò la porta troppo violentemente, mandandola a sbattere contro il muro, ma se ne fregò altamente.
Niente, la poltrona era vuota.
Fece dietrofront, correndo in cucina.
Vuota.
“Mamma!”
Il salotto. Nulla.
“Mamma!”
Il giardino.
“MAMMA!”
Elsie era china su un libro, pigramente abbandonata su una chaise longue accanto alla piscina. I lunghi capelli scuri erano stretti severamente solo il largo cappello di paglia.
“MAMMA!”
Alzò la testa, gli occhi nascosti da grandi occhiali scuri. Il ritratto della calma, ancora più evidente visto ciò che si agitava in lui.
“Dimmi.”
“Dov’è papà?”
“In ufficio, stasera fa tardi. Avevi bisogno?”
Quasi urlò, a quella risposta. Dio, lo sapeva, lo sapeva. Nulla andava mai nel verso giusto. Mai.
“No, non importa, grazie.”
“Chiedi a me, vedo cosa posso fare.” Rispose lei, ma quando terminò Robert era già scomparso di nuovo dentro casa.
Non aveva mai corso così tanto in vita sua, nemmeno nelle ore di ginnastica. Lui odiava ginnastica e odiava correre, ma gli sembrava questione di vita o di morte.
Recuperò le chiavi della macchina ed uscì di nuovo, sbattendosi la porta alle spalle.
Quasi fece un testacoda davanti a casa di Jude, quando arrivò.
Scese lasciando aperto lo sportello e prese a bussare violentemente alla porta, alternando con sonore scampanellate. Non gli importava che la madre di Jude lo vedesse, che lo mandasse via. Aveva tutta l’intenzione di portarlo definitivamente via di lì, avrebbe affrontato dopo le conseguenze, semplicemente non poteva ridursi in quello stato se non lo vedeva per un minimo lasso di tempo, averlo costantemente sott’occhio sarebbe stato più facile. L’avrebbe osservato costantemente, a costo di doversi accampare con un sacco a pelo nella camera degli ospiti e seguirlo anche in bagno.
Era affrettato, era sbagliato, un errore gigantesco, colossale, ma non ce la faceva più, davvero.
Gli scoppiava la testa.
E nessuno rispondeva.
“QUALCUNO MI APRA O CHIAMO LA POLIZIA.” Si mise a gridare, certo che la minaccia avrebbe funzionato se qualcuno fosse stato in casa.
Niente, la porta rimaneva desolatamente chiusa.
Non seppe trattenersi, cominciò a pensare al peggio.
Recuperò il cellulare dalla tasca e riuscì miracolosamente a comporre il numero del servizio informazioni.
“Mi metta in contatto con...” si prese un secondo per pensare, mentre la voce del centralinista lo incalzava dalla cornetta. Se si fosse fatto male, di certo sua madre l’avrebbe portato all’ospedale più piccolo, più nascosto, per evitare problemi. “…l’ospedale più piccolo nei paraggi.”
Benedì l’inventore del GPS, mentre l’uomo cercava.
Partì a tutta velocità con un indirizzo ben stampato in mente e terrore puro che gli mangiava il fegato.

---

Aprì gli occhi, venendo accecato da tutto quel bianco. Li richiuse il più in fretta possibile.
“Oh, finalmente sei sveglio. Bene, credo di poter andare, ora, i medici mi hanno costretta a rimanere almeno finchè non avessi aperto gli occhi. Se hai bisogno c’è l’infermiera, se non è troppo occupata.”
Sorrise. Si era preoccupata per lui, come sempre. Era rimasta nonostante gli innumerevoli impegni che aveva di certo.
“Grazie, mamma.”
Socchiuse appena un occhio, ma lei era già andata.
Si allungò di lato, cercando la caraffa dell’acqua, ed il dolore alla gamba gli ricordò l’incidente.
Sentì la tristezza ed il dispiacere opprimerlo.
Non avrebbe più visto Robert, sua madre sapeva. Ripensò con orrore a quando gliel’aveva confessato, risucchiandogli tutta l’aria dai polmoni.
L’aveva picchiato bene, quel pomeriggio, fin troppo. E non poteva biasimarla, sapeva dall’inizio che era sbagliato frequentarlo, eppure era andato avanti testardamente a vederlo. Se l’era cercata, niente di meno.
Gli aveva rotto una gamba.
Un prezzo minuscolo, per un errore così grande. Senza poi contare il peso che era stato portarlo all’ospedale ed ora il ricovero, la vigilanza costante che, era certo, sua madre gli aveva tenuto mentre dormiva. E, a giudicare dall’orologio attaccato alla parete e dal buio oltre la finestra, doveva essere stato incosciente almeno un giorno. Troppi antidolorifici. Era certo che sua madre l’avesse fatto a fin di bene per fargli provare meno dolore, ma purtroppo aveva di certo sbagliato la dose.
Si rattristò pensando a lei seduta là ad aspettare che aprisse gli occhi. Da sola, annoiata.
Era solo un peso, e lei era così buona, gli voleva così bene.
Si appuntò mentalmente di scusarsi, quando fosse tornata. E ringraziarla di nuovo per le cure.
Bevve avidamente, ritornando a posto sempre con qualche gemito causato dalla gamba. Gli faceva un male pazzesco.
Mentre si risistemava sui cuscini, un pensiero orribile lo inchiodò. Lo avevano visitato, lo avevano spogliato.
Avevano visto i segni.
Terrorizzato, provò a calmarsi pensando che di certo sua madre aveva spiegato ogni cosa. Avrebbe dovuto chiederle anche cosa avrebbe dovuto confermare ai dottori, in caso, quando sarebbe tornata. Se fosse tornata, era sempre così impegnata.
Si guardò intorno, cercando un qualcosa per passarsi il tempo.
Poi tra i pensieri si infilò poco galantemente anche lui, sgusciando qui e là. Dopo la punizione non era riuscito a pensare a nulla, accecato dal dolore, ma avrebbe dovuto trovare al più presto una scusa per Robert. Un motivo che giustificasse il perché in futuro non si sarebbero più visti nemmeno per sbaglio.
Gli sarebbe mancato tanto, ne era certo, lui, i suoi grandi occhi scuri, i suoi capelli scompigliati. Ridacchiò appena, vedendoselo perfettamente davanti, aperto in uno di quei sorrisi letali.
L’aveva deluso. E non l’avrebbe rivisto mai più.
Mentre si stendeva per provare a dormire ancora un poco, si sentì infinitamente triste.
Chiuse gli occhi, dicendo addio ad un pezzo del suo cuore.


 

 

 

[Mah.]
Volevo scrivere ed ho scritto nonostante abbia cominciato tipo all’una.
E si vede, direi, Madonna santa che schifezza.
Bè, intanto si avvicina la grande svolta muahahahahahahahahahahaha.
E… ah, la canzone è Bittersweet – Apocalyptica ft. Ville Valo & Lauri Ylonen, una meraviglia, ascoltatela, ve lo ordino *A*
Poi direi basta così, stasera sono di poche parole, all’alba delle due vado a dormire.
- G

   
 
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