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Autore: Malvagiuo    04/08/2011    4 recensioni
Risvegliarsi e scoprire che qualcosa di orrendo ti è appena accaduto... qualcosa di inspiegabile e di terribile, che non riesci a comprendere. Ecco la mia storia. Io sono morto. Ma sono ancora vivo. E il mondo intorno a me è cambiato.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusate l'attesa. Questo capitolo è un po' più forte di quanto avete letto finora. Spero non vi faccia troppa impressione.


L’esile croce del mirino saettò a lungo nella strada affollata. Di tanto in tanto, inquadrava un viso conosciuto. Spesso, era difficile riconoscere chi c’era dietro gli spaventosi volti tumefatti e corrosi dalle ferite. Il più delle volte, però, Alessandro ci riusciva.
D’un tratto, il punto dove si intersecavano i due assi del mirino si posò sull’occhio destro di un uomo.
«Buongiorno, signor Casali. Anche oggi vuole venire a lamentarsi per la puzza di polvere da sparo?» sussurrò Alessandro.
Dopo aver stirato l’indice, questi si incurvò facendo pressione sul grilletto. Un boato detonò nell’aria limpida, sovrastando il mormorio sommesso della moltitudine che si affollava sotto la sua veranda. Dal mirino, rimirò il proiettile che penetrava nella cavità orbitale destra del signor Casali ed erompeva dalla sua nuca in un meraviglioso arcobaleno color sangue. Era stato come sparare a un palloncino. Solo, molto più divertente e appagante.
«Cazzo, dovevo davvero rimanere sotto le armi e diventare un cecchino» esclamò esaltato.
Distolse lo sguardo dall’obiettivo del fucile di precisione e ricaricò in fretta l’arma.
C’erano almeno un centinaio di persone che si accalcavano davanti alla sua porta. Fatica sprecata. Nemmeno un rinoceronte in carica avrebbe potuto sfondare quella porta, dopo che lui l’aveva sprangata a dovere. Finalmente era riuscito a impiegare nel modo migliore  quelle travi in acciaio che giacevano inutilizzate da una vita nella sua cantina. Pensare che fino a una settimana prima era deciso a venderle!
Sogghignando, Alessandro adagiò nuovamente l’occhio accanto al mirino.
«Sotto a chi tocca» mormorò.
Toccava a una biondina che un tempo doveva essere stata molto avvenente. Oh sì che lo era stata. Quella era Elisa Arcasini. Avevano frequentato insieme la scuola superiore e lui aveva sempre nutrito una fortissima, e costantemente inappagata, pulsione sessuale verso di lei. Un po’ tutti si ritrovavano con l’uccello di marmo vedendola passeggiare nei corridoi della scuola. E un po’ tutti si ritrovavano a sbattersela allegramente, a patto che avessero una macchina da almeno trentamila euro e pagassero le sue spesucce negli appuntamenti o nelle infernali sessioni di shopping pomeridiano. Come si può ben immaginare, Alessandro non aveva mai posseduto i requisiti necessari a catturare l’interesse della formosa Elisa. Una volta si era persino preso la briga di scriverle una poesia. Non era certo un poeta, Alessandro, ma quello che scrisse non era così male, e proveniva davvero dal suo cuore. Fu forse l’unica occasione in cui si cimentò di spontanea iniziativa in qualcosa di diverso dalle sue armi e dalla caccia.
Il risultato fu agghiacciante. Ancora adesso rabbrividiva rievocando il ricordo.
La puttanella aveva mostrato la poesia a tutta la scuola, sghignazzando come un cattivo stereotipato da B-movie, umiliandolo come nessun altro aveva mai fatto prima. Da allora, fino alla fine della scuola, non ebbe più il coraggio di rivolgere la parola a qualcuno della scuola. Nemmeno quando divenne acqua passata. Fortuna che si trattava dell’ultimo anno.
Quella troia si era permessa di deridere i suoi sentimenti in pubblico. Certo, sapeva fin dall’inizio di avere poche speranze, non era sprovveduto fino a quel punto. Ma non si era aspettato che la bella scrofa che aveva sperato di sedurre almeno per una sera avesse un morso tanto avvelenato.
«Mia dolce Elisa, come ti sei ridotta!»
Aveva in effetti un aspetto davvero terrificante. Il naso le era stato strappato e si intravedeva, dal mirino, l’intera cavità nasale. Le pupille erano orientate in direzioni opposte, sebbene la ragazza non avesse mai sofferto di strabismo. La mandibola ciondolava vistosamente, facendole assumere un’espressione piuttosto ebete. Ma ormai aveva visto quell’espressione in così tante occasioni, su così tanti volti negli ultimi giorni, da non farci più caso.
Improvvisamente, gli venne un’idea.
«Cambiamo programma.»
Il punto focalizzato dal mirino si abbassò dalla testa al petto («Che sfacelo!»), dal petto all’addome. Eccolo lì. L’oggetto del suo desiderio. La protagonista assoluta di decine e decine di seghe forsennate consumate nell’intimità della sua cameretta, quando viveva con i genitori. Che tristezza, vederla in un simile degrado dopo essere stata il più potente richiamo per uccelli nel raggio di chilometri.
Il grilletto fu premuto ancora una volta.
Ancora un bersaglio centrato.
Il basso ventre di Elisa esplose, disseminando miriadi di brandelli di carne putrefatta sull’asfalto. Un flusso di sangue copioso si riversò, scuro e denso per la coagulazione, dal baratro aperto tra le sue cosce, molto più largo di quanto fosse mai stato quand’era viva. Un miscuglio di sangue dell’ultima mestruazione mai avvenuta, sangue della circolazione intestinale e sangue uterino sbrodolò sulla strada, formando un mare nero dall’aspetto rivoltante. Alessandro aveva mirato un pelo più in alto di quanto avesse voluto, e aveva leso anche la sezione rettale dell’intestino crasso. Un grumo di escrementi colò dalle interiora aperte della donna.
«Avevi ancora un sacco di merda, dentro! Mi stupisco che non ti sia uscito fuori anche il cazzo di qualcuno rimasto intrappolato dentro di te.»
Ridendo della propria battuta, ricaricò il fucile. Mirò verso la testa di Elisa, ma all’ultimo ci ripensò.
No, aveva ucciso abbastanza quel giorno.
Ripensò alle parole che si erano appena formulate nel suo cervello.
Poteva davvero definirsi un assassino? Chi stava uccidendo, in fondo? Quegli esseri non potevano essere classificati come vivi. Una persona in stato comatoso mostrava segni vitali che in quelle creature erano assenti. L’aveva sentito al notiziario. Qualcuno ancora trasmetteva telegiornali, barricato in qualche stazione televisiva protetta dall’esercito. Avevano comunicato un sacco di informazioni utili su come combattere il misterioso flagello che attanagliava la società. Sicuramente informazioni più interessanti del come combattere i matrimoni gay o le coppie di fatto. Da quando era scoppiato quell’inferno, la qualità dei telegiornali era sensibilmente migliorata.
   
 
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