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Autore: BelleAmie    04/08/2011    4 recensioni
Ron ed Hermione partono per l'Australia alla ricerca dei signori Granger, i quali credono di chiamarsi Wilkins e di non avere alcuna figlia. Durante le loro ricerche, i nostri eroi confrontano alcuni demoni interiori, incontrano persone bizzarre, approfondiscono la loro relazione, guardano bei tramonti e si perdono molte delle attrazioni di Sydney. Ron/Hermione.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera.

E quello stesso pozzo che fa scaturire il vostro riso fu più volte colmato dalle lacrime vostre.

Come potrebb'essere altrimenti?

Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere. […]

- Kahlil Gibran, Il Profeta

 

Down Under

 

I. Australia

 

 

Una Passaporta è capace di compiere un viaggio di cinquemila chilometri in un minuto. L’esperienza può risultare molto intensa ed avere diversi effetti collaterali sulla salute dell’individuo (per maggiori informazioni, consultare la sezione ‘Effetti indesiderati del viaggio in Passaporta’). Per le persone in buona salute, è raccomandato di non eccedere i tremila chilometri nel corso di una singola tratta, e di astenersi dal riprendere il viaggio in Passaporta per almeno un’ora.

 

                                        Piccola Guida del Viaggiatore

Ufficio Passaporte Internazionali

Londra

 

 

La Guida all’Australia Magica di Rufus Kinkermaier indicava che l’Ufficio Passaporte Internazionali di Sydney si trovava da qualche parte nella Baia dell’omonima città, tra l’isola delle Capre e l’isola degli Squali. Le loro aspettative di trovare un luogo esotico ad attenderli furono deluse in fretta: era un ufficio dall’aria molto Babbana, luce vagamente alogena su qualche fila di poltroncine verdi imbottite e una manciata di viaggiatori dall’aria stizzita.

‹‹La Passaporta da Sydney a Port Moresby ha subito un ritardo per motivi di sicurezza,›› annunciava un’impersonale voce di donna, mentre Hermione conduceva Ron ad una delle poltroncine. ‹‹Ci scusiamo per il disagio!››

‹‹Sto bene, davvero,›› borbottò Ron. Fu contraddetto subito dalla maniera sgraziata con cui si accasciò sul sedile. Il colore del suo incarnato ricordava vagamente il colore delle poltrone, e tra una sua rassicurazione e l’altra che no, davvero, stava bene, e che no, non aveva intenzione di bere la pozione contro la nausea, rimasero in quell’Ufficio per oltre un’ora e mezza.

‹‹Ma allora qual è il piano esattamente?›› chiese Ron dopo un po’, mentre addentava la seconda barretta di cioccolata. Era una qualità scura e fondente. Non si sarebbe detto ma a Ron piaceva il cioccolato speziato.

Le veniva quasi da ridere. ‹‹È incredibile, Ron. Sei riuscito ad aspettare fino a Sydney per chiedermelo.›› Poi si guardò attorno, e ammise che, bè, non c’era nessun piano preciso. ‹‹Ho impiantato nella memoria dei miei genitori che il loro sogno di tutta la vita è sempre stato vivere dalle parti di Sydney.››

Ron diede una scrollata di spalle. ‹‹Dovrebbe essere facile,›› disse. ‹‹Quanta gente ci sarà da queste parti?››

‹‹Quattro milioni?››

‹‹Ah.››

Ma non sembrò scoraggiato. Gli era ritornato un po’ di sangue al viso, ed aveva un angolo della bocca sporca di cioccolato; quindi si alzò, le prese la mano e annunciò che stava bene e aveva fame, e che, quindi, era arrivato il momento di lasciare il terminal.

Il mezzo preposto ai collegamenti Ufficio-terraferma consisteva in una cabina di metallo sferragliante. Si ritrovarono a condividerla con una comitiva di ciarlieri maghi cinesi in vacanza. Una delle ragazze, una bellezza occhi di cerbiatta che ad Hermione ricordava straordinariamente Cho Chang, sfruttò una delle brusche curve della cabina per spalmare se stessa e il suo aderente vestito di seta su Ron.

Quando finalmente decelerò in una lenta ascesa verticale fino alla stasi, una professionale voce femminile riempì la cabina. ‹‹Siamo arrivati a Toowong Street. Premendo 2-4-8-8-6 riceverete in omaggio una mappa completa di Sydney. L’Australia vi da il suo benvenuto!›› E partì un’incerta versione dell’inno australiano, ma poi la registrazione iniziò a crepitare e si zittì d’un colpo con un piccolo schioppo.

Dall’esterno la porta della cabina pareva una vecchia porta di metallo, arrugginita e sprangata, di uno stabile malandato in un vicolo maltenuto. La colonia di gatti randagi che aveva eletto Toowong Street sua dimora parve disturbata dall’arrivo dei maghi, e dai cassonetti appoggiati liberalmente ai muri partì una sinfonia minacciosa di fischi e sibili.

Erano arrivati in Australia. Secondo una sua teoria maturata nel corso degli anni, la grande distinzione tra un viaggio Babbano e un viaggio magico, a parte la questione delle modalità, era la totale ed assoluta mancanza di tutta quella serie di piacevoli rituali che ricordavano al viaggiatore il suo ingresso in una realtà diversa da quella che aveva lasciato: l’imbarco dei bagagli, il lungo volo aereo, gli spaziosi, moderni aeroporti e le torme di viaggiatori, i controlli di sicurezza e, infine, il lungo, immaginifico viaggio dall’aeroporto alla città.

I viaggi magici erano una questione più diretta: il mondo intero era percorribile con qualche scalo di Passaporta in poche ore; non c’erano aeroporti, né grandi folle, e i controlli di sicurezza erano più un’eccezione che una regola; cabine sferraglianti, navette ed autobus magici portavano nella città prescelta nel giro di pochi minuti, e bam, il viaggiatore o turista che fosse si ritrovava in un buio vicoletto, nella realtà concreta della città, senza ammortizzatori.

 Dieci ore prima erano a Londra, e ora erano a Sydney, in una stradina simile in ogni maniera ad una stradina londinese, con gatti e bidoni altrettanto simili a quelli lasciati in patria.

Furono il buio pomeridiano e il fresco autunnale a ricordarle che avevano cambiato drasticamente il loro contesto. Avevano lasciato il mite, tiepido maggio inglese per l’autunno inoltrato australiano.

‹‹Immagino che i Caraibi non andassero bene, eh?›› borbottò Ron, stringendosi di più la giacca al collo.

Presero la direzione opposta dei maghi cinesi e il loro energico chiacchiericcio e perlustrarono mano nella mano l’isolato, un gioiellino di palazzine in stile vittoriano. Prese da sole avrebbero potuto mantenere l’illusione che non avessero davvero lasciato l’Inghilterra, tuttavia la presenza indiscreta di alti grattacieli nella media distanza segnalava che, per quanto poco frequentato fosse quel particolare isolato, non si trovavano in una qualunque cittadina inglese.

Elessero loro bivacco una pizzeria di poche pretese, un locale caldo in stile pseudo-rustico italiano-nostalgico, con i mattoni a vista e i poster standard de La Dolce Vita e Vacanze Romane, con sorridenti Audrey Hepburn e Marcello Mastroianni, e foto ocra di antiche strade italiane accoppiate a qualche foto del grasso, bonaccione capo-pizzaiolo dalle ascelle pezzate che abbracciava qualche ospite importante.

Fu solo lì che Ron, guardandosi attorno, si lasciò andare contro lo schienale della sedia e dichiarò con aria soddisfatta, ‹‹Miseriaccia. Sono in Australia. E ho una fame che mi mangerei un canguro.››

 

 

Alla volta del loro albergo sotto la guida della mappa magica attraversarono viali popolosi e stradine minori, guardarono vetrine e osservarono le luci della città. Fu una camminata di quasi venti minuti, in cui si sentirono tutti e due irresistibilmente romantici, soli e all’avventura a Sydney, ubriachi di quella specie di gioia che coglie i turisti quando sono in una città straniera, godendosi la consapevolezza che in quella metropoli dell’altro emisfero loro non erano i compagni fedeli di Colui-Che-Ha-Vinto, eroi, liberatori, guerrieri per la libertà, e, a seconda della testata giornalistica, quasi-martiri, ma solo Ron Weasley ed Hermione Granger.

La loro neonata storia d’amore era una questione che non era stata dibattuta intellettualmente. Erano scivolati nel nuovo ruolo di fidanzati come in un paio di vecchie, comode scarpe. Tutto era nuovo e allo stesso tempo già familiare.

 Il loro albergo era un modesto ma elegante quattro stelle che si affacciava su un piccolo parco cittadino. Il parco era un quadrato perfetto, con poca erba, molto ghiaino e un laghetto col ponte di legno, ispirato allo zen e all’urbanistica minimale. Dalla loro camera, una piccola suite al penultimo piano, con la carta da parati bianco crema e oro, se ne godeva una vista molto rilassante.

Ron fischiò, ammirato. ‹‹Kingsley ci vuole bene, eh?››

‹‹Ho accettato il minimo indispensabile,›› replicò Hermione, vagamente infastidita, lasciandosi cadere sul divanetto.

‹‹Sì, e a quest’ora il Ministero della Magia australiano avrebbe potuto fare tutto il lavoro per noi, senza che ci sforzassimo di cercarli in tutta Sydney. Non ho ancora capito esattamente perché hai rifiutato il suo aiuto.››

Hermione sbuffò. ‹‹Solo perché avrei potuto chiederglielo non significa che avrei dovuto. E poi,›› aggiunse, lanciandogli un’occhiata significativa, ‹‹abbiamo trovato l’impossibile, no? Scommetto che trovarli sarà una passeggiata.››

Ron non disse nulla, ma sbadigliò e si passò una mano sugli occhi, quindi annunciò che avrebbe fatto una doccia e, soggiunse un po’ nervosamente, si sarebbe infilato sotto le coperte.

Hermione lo seguì con lo sguardo finché non si fu chiuso in bagno. Quelle ultime due settimane avevano infuso dentro di lui una nuova qualità, Harriesca, se così si poteva definire; quella specie di indescrivibile ma tangibile emanazione di stanchezza, rigata da fiumiciattoli di malinconia e pensieroso silenzio che negli anni era diventata così caratteristica del loro migliore amico. “Harry si sta comportando da Harry,” avevano detto tante volte, quando lo vedevano scomparire su per le scale del dormitorio con le spalle basse. Bè, ora era Ron a ‘comportarsi da Harry’. Aveva amato Fred, e non dimenticava il suo ultimo sorriso, ma il dolore provoca misteriose sconnessioni tra chi è in lutto ufficiale e chi, per un motivo o l’altro, si trova solo alla periferia di quel dolore.

 In Ron quel dolore aveva scavato macchie grigie sotto gli occhi. Nonostante lo avesse visto piangere solo una volta, al funerale di Fred, aveva gli occhi sempre rossi.

Si era confidato con Harry, lo sapeva: li aveva sentiti conversare a lungo, prima di dormire. Erano bisbigli quieti ed interminabili oltre la porta dai quali lei era esclusa. Forse era una di quelle stupide cose da uomini, nascondere alla Donna il dolore. Non era virile e tutto il resto. Da lei Ron aveva chiesto un altro tipo di conforto: abbracci, baci agitati da quattordicenni alle prime armi. Dopo qualche risposta evasiva non aveva avuto il coraggio di insistere che si aprisse di più con lei.

Ron aveva la pelle delicata. Dopo la doccia era sempre arrossata e incredibilmente morbida. Le piaceva l’odore della sua pelle quand’era così fresca (ma, doveva ammettere, le piaceva anche l’odore del suo sudore, per quanto strano potesse sembrare), ma toccarla, sotto le coperte di un letto vero, senza la supervisione di nessuno, le provocava capriole nello stomaco, mancamenti d’aria.

Ron non notava. Stava guardando con espressione serena il soffitto. ‹‹Forse sono stanco, forse sono ubriaco, ma questo letto è bello quasi quanto quello a Bombay.››

‹‹ Mumbai, Ron, ora si chiama Mumbai,›› lo corresse Hermione, accoccolata sul suo petto, in ascolto del suo cuore. Quella sera non aveva molta voglia di pensare. L’indomani avrebbero incominciato le loro ricerche, e non si sarebbe sorpresa se li avessero trovati entro la giornata; poi ci sarebbero stati anche i suoi genitori, e tante spiegazioni da dare. Quella era forse l’ultima sera, prima di chissà quanto tempo, da trascorrere nell’assoluta, indisturbata compagnia l’uno dell’altra.

‹‹È strano essere qui, eh?›› chiese Ron, vago, accarezzandole la nuca. ‹‹Me l’aspettavo diverso.››

‹‹Canguri per strada e koala sugli alberi in centro?››

Sentì, con qualche nuovo senso che aveva sviluppato da poco, che Ron aveva sorriso. Forse era quella lieve espirazione dal naso, quella provocata dalla contrazione dei muscoli del viso.

‹‹Più o meno,›› rispose Ron.‹‹Qualche emu, qualche liana…››

‹‹Un po’ di deserto…››

‹‹Anche. Per scenografia.››

Hermione gli diede un piccolo colpo al petto, divertita.

Le piaceva stare lì con Ron, i piedi puntati contro gli stinchi di lui.

‹‹Secondo te avremmo dovuto insistere con Harry?›› chiese ad un tratto. ‹‹Magari a quest’ora si sarebbe divertito.››

‹‹Oh, sì. Sono sicuro che si sarebbe divertito un mondo a stare proprio qui, nel letto con noi,›› rispose Ron.

Rise suo malgrado. ‹‹Lo sai che non intendevo quello.››

‹‹Bè, se vuoi il mio parere, lo sai com’è Harry. Non sarebbe venuto comunque, per non essere ‘di troppo’. L’idiota si è messo in testa quest’idea -››

‹‹ - classico Harry - ››

‹‹ - e poi immagino che se vuole un po’ di divertimento, Ginny -››

‹‹Ron…!››

‹‹Cosa? Non ho detto nulla!›› esclamò lui. Le sembrò di sentire la temperatura della sua pelle aumentare. Era arrossito?

Rimasero in un confortevole silenzio per qualche minuto. Avevano deciso di non bere la Pozione Soporifera che Hermione aveva portato per combattere il jet-lag, e ora si ritrovavano davanti a quella frustrante sensazione di essere stanchi ma di non poter dormire, come se fossero le undici del mattino. Ron continuava a guardare il soffitto. Hermione alzò la testa un paio di volte per lanciargli un’occhiata: era ritornato serio. Al buio la sua pelle chiara era luminescente, le occhiaie più visibili. I tagli sul suo viso erano diventati sottili croste, vedeva un paio di cicatrici sulla mascella. Nascosto dai capelli sulla fronte, sapeva che c’era ancora un grosso livido, nato viola e ora avviatosi verso un giallo-verde infermo. Pareva che si fosse cacciato in una piccola zuffa.

‹‹Come te li immagini?›› chiese Ron alla fine, iniziando a giocherellare con uno dei suoi ricci. ‹‹I tuoi genitori, dico.››

‹‹Credo più felici di come li ho lasciati.››

‹‹Erano tristi, prima?››

Dovette sopprimere l’istinto di ridere. Lo chiedeva come se i Granger fossero dei malinconici di natura.

‹‹Mmm, non lo so. C’è stato un periodo in cui le cose erano andate male tra di loro. Volevano divorziare, ecco.››

‹‹Oh. Mi dispiace,›› disse Ron. ‹‹Ma ora va tutto bene, giusto?››

‹‹Sì, credo di sì.››

Non gliene aveva mai parlato; quell’argomento lo aveva accennato solo ad Harry. Era difficile esprimere il senso di colpa, di fallimento, quella paura di non conoscerli più. Ne aveva parlato con Harry in tenda, durante quell’anno, una sera in cui erano stati particolarmente tristi e avevano bevuto ed erano insieme sotto le coperte, scambiandosi saggezze del momento e speranze per il futuro. Harry era stato pessimista e sarcastico e poi lei aveva iniziato a parlare dei suoi genitori. Harry aveva detto che gli dispiaceva e avevano buttato giù un altro giro di vodka da supermercato.

‹‹Ogni tanto non mi sento più parte del loro mondo. Ma immagino che sia così per tutti i nati-Babbani. Prima o poi devi scegliere, no?››

‹‹Tu fai parte del mio mondo,›› disse Ron. Le parole risuonarono profonde ed appassionate al buio.

Hermione sorrise contro il suo petto. ‹‹Oh, molto romantico, Ron.››

‹‹Lo dico davvero. È una di quelle cose per cui abbiamo lottato quest’anno, no?››

Ogni tanto Ron aveva dei momenti in cui pareva l’uomo più sensibile e accorto del mondo, un cucchiaino tramutatosi in un poeta, o qualcosa di simile. Lo baciò piuttosto felicemente, e funzionò a conciliare loro il sonno, forse, perché scivolarono nel mare dei sogni.

Fu un mare tempestoso.

Le parve di sognare qualcosa di brutto ma stupido, come quel ragazzino della sua classe che la prendeva in giro alle elementari. Si chiamava Christopher Grube, ed era un arrogante e un presuntuoso. Non era mai stata molto popolare con gli altri bambini, ma Grube, quel piccolo animale in divisa da scuola privata, aveva subodorato qualcosa. E non gli era mai piaciuta.

‹‹Granger, Granger,›› cantilenava. ‹‹Strana Granger…››

E poi si avvicinava, ed arrivava sempre più vicino, finché non era così vicino da urlarle nell’orecchio ‹‹Granger, Granger!››

E quando le parve che stesse per perforarle un timpano la svegliarono dei calci.

‹‹Ron!››

Si dimenava, roteava i pugni e piangeva nel sonno; ma non sembrava riuscire a parlare. Le parole gli morivano in gola come dei ringhi, ma a sprazzi sembrava riuscire a comporre delle parole, una sequela di ‘no’ disperati e un ‘dalla a me’ appena sospirato. Un’occhiata all’orologio sul comodino la informò che erano le quattro del mattino. Fuori dalla finestra c’era ancora buio pesto.

‹‹Svegliati, Ron, svegliati… Ron!››

Cercava di evitare le sue gomitate, ma poi si arrestò, ebbe un sussulto e spalancò gli occhi. Aveva il volto tutto bagnato di lacrime, e la fissava come se fosse un fantasma. Tremava, terrorizzato alla follia.

‹‹Cosa…››

‹‹Era un sogno. Solo un sogno.››

Ron prese un paio di boccate d’aria e scosse la testa, come per schiarirsela. Si guardò da un lato e dall’altro come un animale impazzito, poi si rilassò contro il materasso e la guardò di nuovo.

‹‹Scusami,›› le disse, allungando una mano verso il suo viso. ‹‹Ti ho fatto male?››

‹‹No,›› mentì Hermione. ‹‹Cosa stavi sognando?››

‹‹Nulla. Io – uh, non ricordo -››

Hermione lo squadrò bene, dritto in volto. ‹‹Cosa hai sognato, Ron?››

‹‹Nulla – è – è una cosa stupida.››

‹‹Raccontamela lo stesso.››

Il ragazzo deglutì sonoramente e si passò una mano per i capelli, arruffandoli ancora di più. Si asciugò la faccia furiosamente con il dorso della mano, e, nel buio, ad Hermione diede tanto l’impressione di un bambino spaventato.

 ‹‹Sogno sempre che uso la Giratempo per ritornare indietro a – insomma, il momento prima che Fred… Sono convinto di poterlo salvare, ma non riesco a fare nulla, c’è sempre l’esplosione e lui è lì, morto, e poi arriva – è stupido, no? – arriva la Lestrange e prende la Giratempo e la riporta indietro, e Fred muore un’altra volta, e succede tre, quattro, cinque volte, e io non riesco mai a fare nulla e lei ride…››

 

*

 

Note dell’Autrice

Buonsalve a tutti! Mi ripropongo con una long di cinque capitoli bella canon. Prossimo aggiornamento il 9 agosto :) La storia partecipa al contest Ron&Hermione di Sara_Marauder sul forum di EFP. Spero vi piaccia :)

Per la sezione ‘trivia’: Bombay cambiò il suo nome in Mumbai nel 1995. Diciamo che la lacuna di Ron era comprensibile ;)

  
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