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Autore: Rivaleth    05/08/2011    5 recensioni
-Harry, ti ricorderai di me?
-Non potrei mai dimenticarti.
-Anche se quando sarò morta sarà difficile rievocare il suono della mia voce e quello delle mie risate?
-Io li ricorderò per sempre.
-Come fai a saperlo?
-Perché ti amo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Storia uscita fuori in un momento di momentanea insanità mentale.
Leggete e non strappatevi i capelli, io vi aspetto a fine pagina.
 

White camellias in the rain

 

La lenta e straziante melodia funebre gravava nell’aria come una disperata, commovente invocazione, il più segreto e sublime pianto, l’estremo saluto prima dell’addio.
C’erano tutti. I volti chinati in basso, seri, rigidi, pallidi. Avrebbero potuto confondersi con le statue del cimitero. Impassibili angeli della morte, marmorei e gelidi, immortalati nell’attimo in cui tutto finisce. Facevano quasi paura, vestiti di nero, gli uomini in giacca e cravatta, le donne con la veletta di pizzo nero calato sul viso, a celare le poche lacrime che sarebbero state versate.
Al centro, una piccola bara bianca che sapeva d’innocenza.
Tutt’intorno, un leggero vento autunnale, frizzante, piacevole, trasportava sulla sua scia le ultime foglie morte, odorose di acqua e terra. L’odore di pioggia permeava gli alberi e il terreno del più misterioso dei profumi. A breve sarebbe scoppiato un temporale.
Il lontano rompo del tuono si fece sentire non appena il prete ebbe finito di recitare la messa funebre. Poco dopo, piccole e gelide gocce di pioggia cominciarono a cadere su di loro, sulla bara, sulla fossa vuota che le stava di fronte.
La pioggia, abluzione di tutte le colpe, lavacro di ogni peccato. Del più profondo dolore. Persino quelle nuvole nere volevano sgravarsi delle lacrime, ma lui non ci riusciva.
Harry rimase per tutta la durata della messa a osservare la bara con sguardo vitreo. Anche quando Hermione gli sfiorò la mano con la propria, lui non avvertì altro che un lieve alito di vento, la piccola e incerta carezza che non gli avrebbe restituito la felicità.
I suoi occhi verdi fissavano la bara, impotenti.
Non badò neppure alla pioggia, che adesso batteva implacabile sulle sue spalle, sui suoi capelli, sugli abiti di seconda mano.
A lei piaceva la pioggia. Le piaceva perché la trovava romantica.
 
-Harry, hai mai baciato sotto la pioggia?
La sua voce trasognata, e una mano candida che scostava i tendaggi di una finestra.
Loro, insieme, al sicuro dentro casa. Fuori, il diluvio.
-No.
Dita pallide e affusolate, agganciavano la maniglia e spalancavano i vetri, liberando da quel senso di costrizione che lei odiava, facendo volare le tende, lasciando passare il gelo e l’acqua.
-Cosa stai facendo?!
-Ti bacio, qui, sotto la pioggia. Baciami, Harry.
Il suo sorriso pulito, distante. Sfuggente.
Bella come mai lo era stata.
-Perché ti piace la pioggia?
-Perché lava via ogni dolore. Amo la pioggia, Harry. E amo te.
 
Guardava la bara bianca e voleva morire. Guardava le camelie e i fiori di gelsomino posti delicatamente accanto alla cassa. Eleganti e raffinati, come lei. Immacolati e freschi, come lei.
Lo splendore dei fiori che sconfiggevano persino l’inverno. Sbocciavano nelle neve come una nuova promessa, e lei amava le promesse.
Anche se non ne aveva mantenuta neppure una.
Accanto a lui, Hermione piangeva silenziosamente, ma non gli chiese di ripararsi sotto l’ombrello, perché sarebbe stato inutile.
Ho le mie colpe da espiare.
Ho le mie colpe da lavare sotto la pioggia.
Due uomini sollevarono la bara con delicatezza, e i fiori ricaddero nel fango, macchiandosi. La calarono nel ventre umido e inospitale della terra. Una dimora che non le apparteneva.
Dovevi restare con me, nella nostra casa.
La posarono sul fondo freddo di quella tomba vuota, spoglia. Estranea. Imprigionata sotto due metri di terra, in un cimitero lontano dalla casa in cui era nata, con due uniche promesse: essere destinata a venire baciata da pioggia e neve, e non morire mai nei suoi ricordi.
 
-Harry, ti ricorderai di me?
-Non potrei mai dimenticarti.
-Anche se quando sarò morta sarà difficile rievocare il suono della mia voce e quello delle mie risate?
-Io li ricorderò per sempre.
-Come fai a saperlo?
-Perché ti amo.
 
Con movimenti lenti, stanchi, Harry si chinò e afferrò una manciata di terra bagnata, afferrò il fango, e lo sentì scivolare tra le sue dita come un nastro di velluto. Lo lanciò sulla bara, macchiandola.
I becchini, due uomini vestiti di nero e armati di pale, iniziarono a ricoprire il tumulo con altro fango.
E lei era sempre più lontana. Sempre più distante.
Harry abbassò lo sguardo. Vicino ai suoi piedi, la pioggia lavava via il fango dalle camelie, e i gelsomini profumavano così intensamente che avrebbero potuto richiamarla a sé ancora una volta.
Era il profumo della nostalgia.
Alle sue spalle, Hermione disse qualcosa, e Ron rispose a bassa voce, ma il rumore sordo dell’acqua coprì le loro parole. Harry non si voltò verso di loro, non li seguì fuori dal cimitero.
Rimase solo, insieme ai becchini, a lasciarsi baciare dalla pioggia, davanti a un sepolcro anonimo.
La pioggia lavava via ogni colpa. Forse.
Ma come avrebbe potuto guarire il suo cuore spezzato?
 

***

 
La stanza da letto era più piccola di come la ricordava. Ogni volta che ci entrava, gli sembrava che lo spazio diventasse sempre più angusto, e ormai faceva fatica a muoversi. La finestra era aperta, e i raggi del sole crepuscolare illuminavano il letto, esposto in un cono di luce dorata. L’ambiente era spartano ma ospitale, ovunque regnava il bianco, dal parquet all’armadio, al davanzale della finestra allo scheletro del letto. Un profumo di lavanda giungeva dai cespugli piantati sotto la finestra, avvolgendo la stanza in un aroma fresco e primaverile.
Non c’era niente di primaverile, però. Nel suo cuore c’era solo gelo e paura.
Era da un anno che non riusciva a vedere altro che un perenne inverno.
-Harry.
La ragazza, distesa nel letto, non appena lo scorse sulla soglia della porta cercò di mettersi a sedere, ma i suoi movimenti erano scoordinati e impacciati, e riuscire a sollevarsi risultò impossibile.
Harry avrebbe voluto correrle incontro e aiutarla, ma sapeva che l’avrebbe solamente fatta piangere.
Anche adesso, nonostante il suo stesso corpo la ostacolasse, lacrime di rabbia le scendevano lungo il viso.
-Perché sei venuto?- chiese infine, scoraggiata, arrendendosi contro i soffici cuscini.
Harry non rispose. La raggiunse lentamente, sedendosi sul bordo del letto. Lo guardava con durezza, ostentando un distaccato disprezzo, l’unica difesa per riuscire a tenerlo lontano da lei.
Per riuscire a tenerlo lontano dalla sua malattia.
Harry le sorrise, addolorato. Un metro e settantacinque per quarantotto chili di peso. Leggera come una piuma. Avrebbe potuto sollevarla con una facilità spaventosa. Sdraiata nel letto, vestita solo di una labile
camicia da notte, le ossa delle costole spiccavano scarne sotto lo strato di pelle, un pronunciato promontorio prima della pancia piatta e infossata, bianca come neve, alla fine della quale risaltavano in maniera altrettanto lampante le ossa delle anche. Le coperte coprivano le gambe, ma era sin troppo facile immaginarsele esili e secche.
Sdraiata in quel letto c’era una piccola bambina anoressica. Uno scricciolo tutto ossa e sofferenza, così debole e insofferente che Harry ne fu quasi spaventato.
-Perché sei venuto?- ripeté, la voce vibrante di collera e tristezza.
Harry sollevò lo sguardo sul suo viso. Le guance erano infossate, esangui, prive di quel tenue colore rosato che lui aveva tanto amato. Tutto in lei gridava fragilità e voglia di mollare.
Semplicemente mollare, e farla finita una volta per tutte.
I suoi capelli, un tempo di un biondo tanto splendente da abbagliare, erano opachi e spenti.
Solo gli occhi, cerchiati di un blu che non poteva essere trucco, conservavano quella scintilla di fierezza, quel fuoco che non sarebbe mai morto.
-Torna a casa.
Una lacrima rigò la guancia di lei, che chiuse gli occhi, tanto acuto era il dolore che non riusciva a mascherare.
-Harry, non ho più una casa.- disse con voce incrinata. –Sto per morire.
Quelle tre parole ebbero lo stesso effetto di un calcio nello stomaco. Resero tutto più concreto, tangibile...resero tutto più insopportabile.
-Oggi ho perso altri capelli.- disse con voce convulsa. –Sono l’ombra di me stessa. Non vorrei neanche che tu fossi qui, a guardarmi ridotta a questo stato larvale. Ti prego Harry, per favore, vai via.
Harry la ignorò, issandosi sul materasso e liberandosi della scarpe.
-Non posso andarmene.
-Ti supplico, torna a casa.
-Questa è la mia casa. Qui, adesso, accanto a te.
Altre lacrime bagnarono il suo viso, ma stavolta lui le asciugò una per una con i polpastrelli delle dita, accovacciandosi accanto a lei e accogliendola tra le sue braccia, ignorando le deboli proteste con cui cercava di respingerlo.
-Ti prego, Harry…non mi toccare, sono orribile.
Harry le bloccò le mani davanti al viso, quelle mani su cui lei faceva forza per cercare di spingerlo lontano, senza riuscire a smuoverlo di un centimetro.
-Lasciami restare.
-No...non riesco a sopportarlo...
-Cosa?
-Tutto quanto. La malattia, la morte...persino te. Sembro una vecchia, mi sento una vecchia. Tra poco sarò morta, come puoi desiderarmi?
-Sei la creatura più bella che abbia mai visto.- sussurrò a bassa voce, come un segreto da confessare in chiesa, una verità che lui mormorò tra i suoi capelli radi e stopposi.
Non mentiva. Harry Potter non aveva mai mentito.
Lei era davvero la creatura più bella che avesse incontrato. Anche ridotta in quello stato, con l’aspetto di una vecchia nonostante i suoi vent’anni di età, era sempre bella come la prima volta in cui l’aveva vista.
Mani deboli e ossute si aggrapparono alle sue braccia, facendo forza per riuscire a sollevarsi. Harry le circondò l’esile vita e la issò a sedere senza alcuno sforzo.
-Ho paura, Harry.
Lo disse piangendo, avvinghiandosi come un riccio tra le sue braccia, cercando calore e protezione nel suo corpo tiepido.
-Lo so.
Anche lui aveva paura. Aveva paura della vita senza di lei. Aveva paura di svegliarsi nel letto al mattino e trovare il lato accanto al suo intatto e vuoto. Freddo come l’inverno. Aveva paura di arrivare in cucina e non sentire più il profumo di pane tostato e uova bruciate. Aveva paura di tornare dal lavoro e non vederla corrergli incontro con un mazzo di fiori comprati apposta per lui. Aveva paura di andarla a cercare in giro per la casa, e non riuscire mai a trovarla da nessuna parte, neppure in giardino, a baciare la pioggia. Aveva paura di dover affrontare la solitudine e il vuoto incolmabile che lei avrebbe lasciato dietro di sé.
Temeva di non riuscire a sopportare il dolore che lei provava, pensava che sarebbe scappato per poter evitare l’inevitabile. Temeva che sarebbe arrivato al punto di abbandonarla.
-Ho paura del niente che ci sarà dopo. Non voglio finire nel nulla, nel silenzio, non vogliono perdere tutte le persone a cui voglio bene.
-Non le perderai mai.
-Nemmeno te?
-Te lo prometto.
-Perché mi ami?
-Dalla prima volta che ti ho vista.
-Allora vai via, Harry. Io non so più come renderti felice, e non voglio che di me ti rimanga solo il ricordo dei miei capelli che si staccano a ciocche e del mio corpo raggrinzito e...
-Stanotte prenderò la tua anima, amore mio.
Lo confessò a fior di labbra, posando un bacio sulle sue palpebre stanche, e sulla punta del suo naso. Baciando le sue lacrime e curando ogni ferita.
-La mia anima l’hai presa molto tempo fa.
-Non finirà così.
-Così come?
-Così...nel nulla. Tu non sparirai mai.
-Mi porterai nel tuo cuore?
-Qualunque cosa accada, sarai sempre nel mio cuore...per sempre.
La strinse a sé, piccolo tesoro da custodire, posando le labbra sulle sue, baciandola con disperazione.
Le mani di lei lo attrassero a sé con le ultime energie rimanenti, nell’estremo, dolcissimo sforzo prima del congedo.  Fu un bacio indimenticabile. Sentire il corpo di Harry fremere a contatto con le sue mani fu un’emozione destabilizzante. Dovette credergli sulla parola, perché la baciò appassionatamente, e fu un bacio tormentato, pieno di dolore e terrore. Ebbe un senso di vertigine così potente che dovette aggrapparsi alle sue spalle per riuscire a non perdere l’appiglio. Le sue lacrime si confusero con quelle di Harry, che scivolarono copiosamente sul suo viso, mischiandosi al loro bacio. Mischiare amore e dolore, ecco cosa voleva dire prendere un’anima.
Fissare un singolo istante e riuscire a renderlo immortale.
Fermarlo così bene nella mente e nel cuore da essere sicuri di non poterlo dimenticare mai, mai più.
E, dannazione, se la malattia le avesse tolto la vita, lei avrebbe lottato fino all’ultimo per non lasciarsi togliere anche quell’istante, quel piccolo frammento di vita perfetta.
 -Mi hai toccato l’anima con un bacio. Grazie.
Il singhiozzo di Harry la fece sorridere. Un sorriso che sembrava venire da lontano, come quello degli anziani. Malinconico.
-Promettimi, Harry, che quando non ci sarò più tu mi amerai ancora.
-Sai che lo farò.
-E prometti che amerai la pioggia.
-Perché lava via il dolore?
-Perché mi riporterà da te. Ama la pioggia, Harry. Ama tutto ciò che ho amato io, e così amerai anche me.
-E tu prometti di non portarti via tutti i miei sogni.
-Ne hai talmente tanti che non mi entrerebbero in valigia.
-Hai fatto le valigie?
-A dire il vero no. Nel posto dove vado non dovrebbero servire. L’unica cosa che mi porterò dietro sarà questo bacio. Questo bellissimo, ultimo bacio.
-Allora tornerai con me a casa?
Lo sguardo di lei si velò appena. Volse il capo verso il tramonto infuocato fuori dalla finestra. L’odore di lavanda era ancora più forte.
-Avrei voluto delle camelie.- mormorò assorta. –O del gelsomino. La lavanda morirà d’inverno...
Harry chiuse gli occhi, baciandole  la fronte e i capelli.
Torna a casa con me, torna a casa con me, torna a casa con me...
-Stanotte pioverà.
-Come fai a saperlo?
-Sento l’odore della pioggia.
-Io non riesco a sentirlo.
-Cosa senti, tu?
-Il battito del tuo cuore.
-E cosa dice?
-Che tornerai a casa con me.
-Ma io sono già a casa.
Prese le sue mani, baciandole con dolcezza.
-Sono stanca.- disse sdraiandosi nuovamente, distesa su un fianco. Harry si lasciò scivolare di fronte a lei, una mano stretta nella sua, l’altra che le accarezzava il viso.
-Harry?
-Sì?
-Ho sonno.
-Allora chiudi gli occhi e riposa.
-Ho paura di non riuscire più a svegliarmi.
-Ti sveglierò io.
-Me lo prometti?
-Te lo prometto.
-Harry?
-Sì?
-Tu riesci ancora a vedere la bellezza?
-Oh sì.
-E com’è?
-Mortalmente bella.
-Cioè?
-Cioè...è bionda, alta...e ha gli occhi più verdi dei miei.
-...Ti amo.
Gli rivolse un ultimo sorriso, e per un attimo Harry rivide la stessa ragazza che gli aveva fatto perdere la testa a scuola. La stessa ragazza che bruciava le uova e gli regalava mazzi di fiori quando tornava dal lavoro. Era tornata più giovane.
Hai paura?
No, tu non hai paura, non ne hai mai avuta. E’ per questo che ti amo.
La vide chiudere gli occhi, e abbandonarsi al sonno placido e tranquillo di chi sa che al proprio fianco c’è qualcuno che veglia e protegge.
Non avrebbe potuto proteggerla come desiderava, ma avrebbe vegliato ancora per molto, molto tempo.
Rimase a osservarla fino a notte fonda, senza mai allontanarsi dal letto, neanche quando scoppiò il temporale.
Si addormentò con la mano ancora stretta nella sua.
Fu l’ultima volta la vide.
 

***

 
Era morta quella stessa notte. Al suo risveglio, poche ore dopo, l’aveva trovata con gli occhi chiusi e un’espressione serena che le distendeva il volto. Non sembrava più una ragazza malata, solo una giovane persa in un sogno bellissimo e segreto. Era andata via, e dietro di sé aveva lasciato il vuoto.
Si era lasciata morire prima di sfiorire del tutto, in una notte di tempesta, proprio come le sarebbe piaciuto. E lo aveva lasciato solo, solo in un mattino denso di nubi e di una fitta pioggerella autunnale.
Se ne era andata, e lui sentiva freddo.
 

***
 

La tomba era stata coperta di terra, e adesso se ne erano andati anche i becchini. Non era altro che un tumulo su cui sorgeva una lapide di marmo bianco col suo nome inciso sopra, insieme alla data di nascita e a quella di morte. vent’anni di vita, spezzati da un  male inguaribile, una malattia che si era scavata una strada lungo le sue vene, fino a toglierle ogni forza residua. Per un anno lui l’aveva vista morire, e non aveva potuto far niente per riuscire a salvarla. Lei era morta da dodici mesi. Da quel terribile giorno in cui aveva scoperto che il tumore per cui sarebbe morta scorreva nel suo sangue, facendolo diventare bianco...
 
-Perché ti piace il bianco?
-Perché è il colore dell’immensità.
-Strano, ho sempre pensato che il bianco fosse il nulla.
-L’immensità cosa altro può essere se non il nulla?
-Per questo ti piace il bianco?
-Mi piace perché è il colore della purezza. E ciò che è puro, è anche bello.
-Tu sei bella. Dio, quanto sei bella.
-Però non sono pura.
 
Cosa sarebbe rimasto di lei? Solo pioggia, camelie e una sconfinata distesa di bianco vuoto e opprimente?
Il vento scosse le fronde degli alberi, mischiando l’odore dei cipressi a quello di pioggia e terra bagnata, il più misterioso dei profumi. Le ultime gocce d’acqua grondarono pigre dai rami sgravati di foglie.
 
-Promettimi, Harry, che quando non ci sarò più tu mi amerai ancora.
-Sai che lo farò.
-E prometti che amerai la pioggia.
-Perché lava via il dolore?
-Perché mi riporterà da te. Ama la pioggia, Harry. Ama tutto ciò che ho amato io, e così amerai anche me.
 
La pioggia. La pioggia che non cadeva più. Il rompo di un ultimo tuono fu seguito dalla comparsa di un timido raggio di sole, proprio dietro a una nuvola viola. Anche il cielo non era più congestionato da tutte le lacrime versate.
 
-Harry?
-Sì?
-Tu riesci ancora a vedere la bellezza?
-Oh sì.
-E com’è?
-Mortalmente bella.
-Cioè?

 
Ha il colore dei tuoi occhi, la bellezza. Ha il profumo della pioggia, la tenacia delle camelie che affrontano l’inverno ed è potente come la malattia che ti ha portata via, in qualche luogo lontano.
E’ mortalmente bella.
Harry si inginocchiò, raccogliendo una camelia bianca che la pioggia aveva lavato. Profumava ancora di lei. Era buffo. Non aveva mai pensato che fosse lei a profumare di camelie, ma il contrario.
Quanta bellezza c’era in quel fiore.
Lo depose delicatamente sul tumulo di terra baciato dal sole.
 

 

Addio amore mio, addio amica mia, sei stata l’unica per me.
Sono i miei sogni che prendi con te, e visto che sei andata via, ricordati di me, ricordati di noi e di quello che siamo stati.
Ti ho vista piangere, ti ho vista sorridere, ti ho guardata per un po’ mentre dormivi.
Sarei stato il padre dei tuoi figli,
avrei passato il resto della mia vita con te.
Perché ti amo.
 

 

-Addio Daphne.
Il suo bisbiglio si perse nel vento autunnale, affidato alla brezza che l’avrebbe raggiunta, ovunque si trovasse. Diede le spalle alla tomba, percorrendo il piccolo viale che lo avrebbe condotto fuori dal cimitero. Che lo avrebbe riportato a casa.
 
-Harry, ti ricorderai di me?
-Non potrei mai dimenticarti.
-Anche se quando sarò morta sarà difficile rievocare il suono della mia voce e quello delle mie risate?
-Io li ricorderò per sempre.
-Come fai a saperlo?
-Perché ti amo. 


 

***

 

Questa storia mi è saltata fuori all'improvviso, non so spiegarmaleo neppure io. Di Harry Potter ha solo i nomi dei personaggi tra l'altro, ed è venuta su nel giro di due ore, perciò non mi aspetto che sia poi chissà quale bellezza. Avevo semplicemente voglia di staccare e scrivere su una delle coppie che più amo (purtroppo ci sono pochissime storie su Harry e Daphne). Con questo state tranquilli, non ho intenzione di abbandonare "Never let me go", e anzi, il lavoro procede spedito.
Piccole annotazioni:
Mi sono ispirata al libro "Bianca come il latte, Rossa come il sangue" di Alessandro D'Avenia. Bellissimo libro, vi consiglio di leggerlo!
La parte centrale alla fine della storia è la traduzione della canzone Goodbye my lover, di James Blunt. Una delle più belle e struggenti canzoni d'amore.
Spero che vi sia piaciuta, e se così fosse, vi prego, fatemelo sapere altrimenti finirò col cancellarla per mancanza di sicurezza e/o autostima.
Grazie.
Un bacio a tutti!

  
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