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Autore: Sundy    23/02/2004    3 recensioni
la Claviceps purpurea è un fungo, conosciuto anche col nome di segale cornuta, una malattia che parassita il grano responsabile di gravi epidemie nel corso della storia. I sintomi dell'intossicazione con questo potente allucinogeno erano spesso considerati il risultato di maledizioni scagliate dalle streghe. Ma la caccia alle streghe non fa parte di questa storia. Daltronde, come sarebbe possibile in un mondo dal quale la magia è stata cancellata...? Dolore, abbandono, follia... il risveglio e l'oblio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Claviceps Purpurea

Freddo.. mani gelate che si contorcevano dentro le tasche… scivolava attraverso la folla sfiorando gli altri passanti con i lembi del cappotto aperto, nonostante il freddo, sul maglione infeltrito dalla pioggia. Gli uomini con i loro cappelli, la signore avvolte nelle sciarpe. Volti tesi, rilassati, felici, aspri, giovani, vecchi…li vedeva appena, gli occhi in continuo movimento si dondolavano tra la terra e i ciuffi di capelli chiari che gli rimbalzavano sul viso… non riusciva a vedere la sua ombra, neanche in mezzo alla folla, ma se l’immaginava piccola. Del resto, non era più riuscito a crescere sopra al metro e sessanta. Sfiorava la gente col suo passo veloce e silenzioso, la stoffa che dondolava al suo passaggio gli dava l’illusione piacevole di indossare ancora uno dei lunghi mantelli ai quali era abituato nella sua vita precedente. Strinse i pugni dentro le tasche gelide, e respinse immediatamente quel pensiero puerile… Non mangiava da molte ore, ormai, ma non sentiva fame… piuttosto un diffuso senso di nausea che quell’aria umida aveva fatto penetrare dentro di lui attraverso le narici, le orecchie, la fessura impercettibile della bocca, attraverso gli occhi, appannati di lacrime. Aveva gli occhi sensibili al freddo…

Camminava, un passo dietro l’altro, le scarpe slacciate, i pantaloni malamente arrotolati dentro gli stivali, mentre le luci della città si riflettevano perfettamente sullo schermo di invisibilità che lo copriva. Non sapeva come fosse possibile, se potesse in qualche modo liberarsi da quella che era ormai diventata una maledizione. Certo era che non dipendeva più dalla sua volontà. Se fosse stato per lui, vi avrebbe già rinunciato da tempo. Poteva vedere chiaramente se stesso, il viso pallido, i capelli spettinati, gli abiti lisi e il sacco in cui teneva le poche cose di cui non voleva fare a meno, i denti ingialliti da quella vita di stenti, gli occhi stupidi e vuoti, esattamente come se li era sempre visti addosso, due macchiette grigie dal taglio irregolare. Sensibili al freddo. Si cancellò frettolosamente una lacrima dal volto, riflesso sul nero e sul rosa del cartello saldi di una vetrina.

A volte pensava di non aver mai ucciso nessuno. Nessuno. Sì, forse qualche verme, qualche mosca, ma chi non l’aveva fatto. Poi gli tornava in mente il capriolo. Hanno zampe fragili, ma muscoli forti… il capriolo impigliato nella rete si divincolava, in preda ai crampi e alle convulsioni della morte imminente… suo padre avanzava sulla collinetta, si avvicinò, spianò la balestra, poi lo ritrasse. –fallo tu, Draco- la bestia aveva la lingua viola, la freccia sibilò, schizzi di sangue. Gli toccò una gamba. Rigida come la pietra.

Si tocco le mani, l’una con l’altra, non lo faceva spesso, erano rigide, erano fredde, ruvide sulla superficie, riarse dal vento. La lacrima si stava asciugando sul dorso della destra. Si appoggiò al muro, mentre la folla continuava a passargli accanto come un unico corpo amorfo multicolore. Un mostro magnifico dai mille occhi e nessuna testa. Respinse quell’immagine fantastica con la stessa forza con la quale aveva rifiutato il ricordo di prima. Era solo, in mezzo alla strada. Invisibile, impercettibile a tutti. Eppure si sentiva lo stesso ridicolo e vulnerabile. Si guardò intorno, cercando un nascondiglio.. forse avrebbe dovuto mettersi al riparo, al caldo, dentro qualche pub o qualche taverna, nel chiacchiericcio e nel vapore fumoso della gente, ma stare attenti a evitare la gente in quei locali che si riempivano di persone dopo le nove era estremamente stancante. Avrebbe rubato qualcosa da mangiare e si sarebbe nascosto in un negozio qualunque prima della chiusura. Un’altra notte all’aperto lo avrebbe ucciso. Si chiese cosa lo tenesse tanto tenacemente aggrappato a quella vita d’esilio, ma non trovò risposte. Nemmeno una. La speranza, forse, di trovare un senso più profondo del rimorso privato e banale di un ex tredicenne presuntuoso, a quello che era successo. Si toccò il volto fastidiosamente umido di lacrime e di muco, provò ad asciugarlo, ma il contatto con la lana ruvida del maglione rese la sensazione ancora più spiacevole. Si appoggiò di nuovo a un muro, accanto alla vetrina di un negozio di ombrelli e borse da viaggio. Forse si sarebbe intrufolato furtivamente nella casa di qualche babbano, meglio riscaldata e più sicura di un negozio. Del resto lo aveva fatto altre volte. Infilarsi in casa con un balzo mentre la porta è aperta, rubare dalla dispensa, evitarli nascosto negli angoli, ascoltare i loro discorsi solo a metà, dormire sul divano della casa di sconosciuti che non sospettano neanche che tu sia lì. Lo trovava ormai solo vagamente insopportabile, l’unica professione che avrebbe potuto intraprendere il quel mondo, nelle sue condizioni, era quella di spettro. Del resto, avrebbe potuto trasferirsi in pianta stabile nella villa di qualche nobile. Usare i loro vestiti, le loro stanze degli ospiti, rubare tutto ciò di cui aveva bisogno senza che nessuno se ne accorgesse, e concedersi ogni comodità. Bastava scegliere con cura l’animale da parassitare, e avrebbe potuto vivere da signore. Ma del vivere e delle gioie che questo portava, a Draco Malfoy non importava più nulla. Si eresse stancamente sulle ginocchia che gli facevano male, e si avviò verso la stazione. Il centro città gli dava sui nervi, in quell’ora, era meglio allontanarsi un po’…. Scese le scale insieme a mole altre persone, avvolte nei loro cappotti, sgranocchiando come un topo un pezzo di focaccia stantio che aveva rubato lungo la strada… il fischio del treno, uno strano treno sporco di scritte incomprensibili che si muoveva solo sotto terra, gli diede uno strano senso di vertigine. Credette di sorridere. E invece perse i sensi e scivolò lentamente lungo un’ombra più nera del tunnel dove il treno, ogni dieci minuti, si tuffava…

  
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