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Autore: livia    05/08/2011    12 recensioni
I pensieri di Oscar nella notte più straziante....
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa: è raro che io scriva ff oscariane “ortodosse” perchè, per quanto mi piaccia leggerle, esse non sono molto nelle mie corde di scrittura. E neanche questa, infatti, può dirsi tale: più di una ff, infatti, sono i pensieri di Oscar nella notte successiva alla morte di André, e sono random come mi sono venuti in mente in una notte, di getto. E' una Oscar che ho pensato a vegliare il corpo del suo uomo dentro la chiesa, e non fuori di essa secondo l'immagine che ci ha consegnato l'anime; ed è una Oscar che ripercorre alcuni punti salienti del suo passato con André, l'infanzia di giochi ma anche la giovinezza in Normandia. Lo fa con frasi brevi, forse sconnesse, forse caotiche: ma, ripeto, è ciò che è uscito in una notte e avevo piacere di passarvelo così.
Buona lettura, e grazie a chi vorrà commentare
Livia






La voce di Alain ha un'urgenza che conosco.
Mi guarda con il corpo piegato in avanti, le mani puntellate sulle ginocchia.
Non mi sono accorto, dice.
Ha bisogno di giustificare quel proiettile che non ha saputo evitarti.
Non è colpa tua, gli dico.
E comunque, che importa?
Non lo guardo mentre gli parlo. Rimango seduta per terra, le spalle curve.
Non c'è più nulla che può fare per lui, Comandante.
Non può rimanere in questa chiesa per tutta la notte.
Non rispondo, non muovo un muscolo.
Non voglio nessuno accanto, e Alain è come se comprendesse.
Mi appoggia addosso la coperta e poi mi lascia sola, un filo di imbarazzo che segna la sua camminata.





Eccoti qui.
A pochi centimetri da me.
Eppure sei altrove in modo irrimediabile, a una tale distanza che so che non ci sarà modo di raggiungerti più.
Ho il fiato corto mentre le mie mani ti toccano.
Non c'è più elasticità di pelle, non c'è contrazione di muscoli, eppure è sempre la percezione inconfutabile di te quella che risale dai miei polpastrelli.
Tu.
Io.
Non distinguo la consistenza tra te e me, tra il mio spazio d'azione e il tuo che rimane immobile. Tra le tue dita gelide e le mie, che tremano in una carezza inutile.





Avevi le dita ancora piccole, quando ci siamo conosciuti: le unghie corte, il palmo molle. Lo allargavi e scoprivi con un sorriso la pelle arrossata, là dove avevi stretto l'impugnatura. La pelle delle mie mani aveva gli stessi arrossamenti, alcuni alla base delle dita e uno, più grande, al centro del palmo. Era un gioco, ricordi? Le confrontavamo, le nostre mani, spingendole l'una contro l'altra e facendo aderire con forza i punti di dolore.
Le mani vive di chi fa il nostro mestiere, André.
Speculari e parallele, le tue e le mie.





Eccomi qui.
A pochi centimetri da te.
Eppure per sempre lontana, sola.
Senza la tua mano da tenere.
Spaiata, divisa.
Slegata da tutto.
Perché tu sei morto e io non sono in vita.
Perché siamo qui e non ci siamo più.





Quando mi cavalcavi accanto, spalla contro spalla, i tuoi capelli erano così scuri da essere notte. Il vento li apriva a ventaglio, ed erano belli malgrado il maestrale e la polvere.
L'odore del sale che ci raggiungeva con la luce del giorno, e il sole che aveva odore di mare.
L'orizzonte emergeva senza fretta dall'aria rarefatta dell'alba, i profili diluiti contro il colore rosato del cielo e del mare.
E noi, che avevamo addosso l'odore di sonno e di erba umida, e di giorno che nasce.
Mi guardavi come se non mi avessi mai vista. C'era un buco profondo al centro delle tue pupille, e ingoiava ogni cosa si trovasse davanti ai nostri occhi: la scarpata verticale, la piana coltivata fino al mare, e il mare stesso con il suo universo sotterraneo e meraviglioso.
Distoglievo gli occhi dai tuoi, li riportavo al paesaggio riflesso nello specchio d'acqua. L'uno di fronte all'altra, senza abbraccio apparente ma con le gambe allacciate. Là dove gli occhi non arrivano a guardare ma il cuore arriva a vedere.
Il tempo che iniziava piano e che aveva il sentore pungente di carne viva.
Come dentro la tua bocca, André. Lo avrei scoperto più tardi: un identico sentore di vita che respira.





Eccoci qui.
Dove tutto finisce.
Tra queste quattro mura, accanto a un altare.
Non ti pare strano che la vita, descritta sempre come ricca e piena, possa ridursi a questo modo, in questo spazio circoscritto grande come una moneta?




Una notte.
Una sola notte passata come la moglie di André Grandier. Lo sconcerto per quello che ci accadeva non lasciava aria nei polmoni.
Una sola notte per sentirsi vivi e invincibili.
Che cosa mi è rimasto impresso nelle mani, se non te?





Il cielo, in quest'alba, è tessuto di ovatta. Comandante, ci sono decisioni da prendere.
E' ancora Alain, col suo passo imbarazzato.
Non posso, non voglio, non sono più io.
Piangere.
E' tutto quello che mi è rimasto, Alain. Non posso, gli dico.
Lo faccia per lui, Comandante.
Ti accarezzo la fronte, so di toccarla per l'ultima volta.
Lo faccia per lui.





Oltre la porta della chiesa ci sono le strade, e là saremo noi, tra un minuto.
Annuisco con gli occhi, sono stanca.
Allungo una mano e le mie dita riconoscono la luce prima ancora che lo facciano i miei occhi.
Sei dentro di me, adesso. Siamo noi due insieme, stretti in un abbraccio fuori dal tempo mentre m'incammino da sola.
Guardami: non c'è più esitazione nel mio corpo, e posso di nuovo sentire la tua voce che mi parla.
Sono pronta, amore mio.
  
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