A mia nonna.
Sono trascorsi
due mesi e mi manchi come il primo giorno,
come se fosse
ancora ieri.
Ti voglio bene.
Inter rosas
leniter ridens
*
Già da lontano
lo scintillio della struttura della serra di Bryce si sviluppava nella notte
stellata in barbagli azzurrini, chiari quasi quanto l’aria di cristallo che la
circondava.
Rifulgeva di riflesso, ora che ci faceva caso, quale delle due
però, se l’edificio o l’etere stesso, era difficile affermarlo con assoluta
precisione in ultima analisi.
Giunse a destinazione con le guance
accese e gli occhi lucidi per la fatica, fermandosi di fronte all’imponente
porta in rovere a doppio battente e spazzando con un ultimo, preciso movimento
della gonna foderata il ritaglio finale del viale, ricoperto di guazza e foglie
brune congelate dalla brina. Si sentiva nervosa come una scholara al suo primo
giorno di matricula, ma per contro l’espressione sul suo viso aveva una
placidità frutto d’astuzia e prestanza tutta femminile, menzognera.
Ashton Blackmore registrò
quell’appunto con un sorriso di condiscendenza e insieme complice, un affetto
che trovava motivo d’esistere in ricordi troppo recenti per avere strascichi di
polvere e rimpianto. Arricciò un angolo di bocca percependo anche a quella
distanza il pulsare forsennato del sangue nella figura dabbasso e le pulsazioni
aritmiche dei suoi battiti accelerati.
Era tesa e perciò facilmente
irritabile Eloise in quella sera all’imbrunire, col vento glaciale di un
inverno infinito a sferzarle il volto arrossato e aggrovigliarle i capelli in
intrecci scomposti.
Tuttavia, per quanto agitata lui
sapeva che fosse in realtà, manteneva un aspetto composto e forzatamente
sereno. Nulla di nuovo in tutto ciò se non fosse stato per il sorriso
completamente privo d’artifici che sfoggiava, la stessa immodestia con la quale
altre donne al suo posto avrebbero ostentato ninnoli e vezzi, specie se in
un’occasione come quella.
La vanità dell’orgoglio che le
infiammava lo sguardo e le faceva fremere pelle e cuore, riversandolo in
palpiti dolorosi sino alla gola. Strideva con gli occhi in un parossismo quasi
farsesco, ma anche piacevole, sicuramente gradito.
Fu quel sorriso la prima cosa su cui
lo sguardo di Axel Vandemberg si soffermò vedendola entrare e a cui rispose con
immediatezza.
Non c’erano mai stati impacci tra
loro o momenti d’imbarazzante silenzio a frenare il manifestarsi di parole e
azioni considerate familiari, ma quella notte entrambi non si diedero pena di
nascondere un turbamento che non era paura sragionata, ma ansia e panico
tangibili, pure da considerarsi normalissimi.
Non poteva ferirli né separarli
d’altronde, semmai unirli in una stretta invisibile con tocchi gentili. L’amore
non era anche comprensione, percezione l’uno del secondo, la sensazione di
completarsi, e spezzarsi anche, a vicenda? La crudeltà del sapere di
dipendere ciascuno dall’altro e la piacevolezza insita in quella coscienza
agrodolce.
Axel stirò le labbra sottili nella
risata accennata del predatore, di chi attende con piena fiducia che giunga il
momento in cui sarà la stessa preda ad avvicinarsi cauta alle sue fauci
spalancate.
Quel riso di bambino smorzato
dall’eco cavernoso dell’adulto che era diventato, invitante e dolorosamente
differente. Allungò le dita senza pensarci e lui le prese le punte
stringendogliele con amorevolezza. La scrutava con una tenerezza che gli
ammorbidiva i tratti sprezzanti, rendeva torbido il suo sguardo e per
contro dava una consistenza molle alle proprie gambe vacillanti.
Sapeva essere così dolce quando
voleva e se serviva allo scopo che perseguiva.
- Mi hai fatto chiamare – lo mise al
corrente Eloise, una punta di fastidio per il silenzio ostinato mostratole.
Axel annuì dirigendo la propria attenzione su un angolo del giardino e
rifuggendo quella di lei. La situazione si stava rivelando in partenza più
ostica di quanto avesse previsto - gettò un’occhiata obliqua al volto
accigliato di Eloise - ; non che si fosse atteso rose e fiori, d’altra parte
sapeva bene che lei non ne fosse certamente il tipo. Di sottecchi la vide
aprire bocca, sicuramente per discutere di argomenti scomodi e la precedette.
– Sai perché Bryce ha creato questa
serra? –
C’era una nota d’urgenza nella voce
di Axel che spianò la seccatura e le appiattì in testa le penne arruffate. – No
– ammise Eloise in uno sbuffo contrariato.
Lui la guardò acquiescente e le
strinse la mano che non aveva mai lasciato andare. – E’ mia intenzione
mostrartelo allora – replicò senza tracce di malizia e le si mise di fianco,
guidandola col braccio avvolto saldamente attorno alla sua vita.
Lei, com’era naturale, non si lasciò
sfuggire quel particolare. – Temi che io scappi, Axel? – sbatté le ciglia con
fare provocante guardandolo da sotto in su.
Frantumando le sue aspettative e
privandola dell’occasione di pungolarlo un altro po’, Axel scoppiò in una
risata fragorosa, ma lo sguardo era serio e di un blu intenso quanto la volta
sopra le loro teste, oltre gli spicchi tersi delle lastre di vetro, flutti
d’acqua congelata nelle sue cascate e diramati in bracci e supporti traforati,
di un bianco lucente. In opposizione, ovunque posasse lo sguardo in basso
invece, Eloise poteva ammirare il trionfo della natura in tutto l’onore
glorioso della sua vittoria, un’affermarsi morbido come un abbraccio attraverso
i tralci d’edera di un verde profondo, con foglie larghe a cuore e spesse al
tatto come velluto, una trapunta calda e accogliente, profumata d’estate e
grembo materno.
E ardente e romantico in quello
inestricabile d’amante proprio dei rampicanti e dei fiori attorcigliati alle
snelle colonnine d’alabastro. Impegnata com’era a osservare il laborioso
operare di Bryce – aveva davvero del prodigioso non solo il risultato finale,
ma la stessa mirabolante idea di chi ne era(1) fautore e protettore
– non parve prestare la dovuta attenzione davanti a sé.
Sarebbe inciampata nella radice spuntata
dal nulla se Axel non l’avesse prevedibilmente mantenuta, afferrandola con
prontezza prima che caracollasse al suolo con un semplice movimento del
braccio, trasferito dalla schiena all’addome.
- Ti dispiacerebbe prestare maggiore
attenzione? – la redarguì con dolcezza soave e un principio di sorriso nella
piega irridente delle sopracciglia. – Gradirei che la mia fidanzata fosse
lucida e non graziosamente esanime mentre le porgo le mie profferte – parve
riflettere su qualcosa a lei oscuro per pochi istanti e procedette incurante,
mentre la mano che le stringeva il polso si faceva fredda e vibrante – non
prima che io abbia concluso almeno. –
Eloise fu certa di essere sussultata
in modo vistoso, tuttavia lo sgomento di quell’inaspettata schiettezza era
qualcosa di troppo esteso dentro di lei perché non scacciasse in un cantuccio
della mente l’imbarazzo della reazione che quelle parole sincere le aveva
cagionato.
Fu altresì sicura di aver
strabuzzato poco elegantemente gli occhi e sgranato la bocca in una semisfera
di perfetta incredulità, ma Axel seppe tacitare quell’emozione sospirandole
contro la tempia un sussurro che le intimava silenzio. Ad un soffio di bacio,
più di quello sshh, il respiro profumato di lui parve assumere una concretezza
che defraudò la realtà e qualsiasi altro pensiero d’importanza. – Siamo
arrivati. –
L’informazione incredibilmente non
la colse impreparata. Allontanò con risolutezza il viso dal suo, cogliendo
nello scostarsi la ruvidezza delle guance di lui e sfregandovi contro
involontariamente l’incavo del collo, là dove le carezze di dita di neve e
nocche bollenti le avevano già scostato dalla nuca la chioma.
Si guardò intorno con curiosità e
sollecitudine, mentre ad un passo di distanza Axel le scrutava con fissità e
indulgenza insieme le spalle, contratte nello sforzo di mantenerle dritte.
Se si era aspettata un’alcova, come
accennato in tono di negligente predizione e in via del tutto scherzosa dallo
stesso Bryce, Eloise, che non aveva minimamente prestato fede o dato credito
alle sue parole, non ebbe quindi motivi di biasimo o delusione cocenti, al
contrario.
Si trattava di un patio coperto, una
costruzione complessa all’interno di un edificio che lo era ancora di più,
costruito secondo un gusto sobrio e moderato. Delimitato ai quattro lati da
archi atti a formare una sorta di pergolato, aveva al suo interno esibizioni
floreali a circoscriverlo.
Le basse panche di marmo erano
avvolte da ramoscelli e virgulti, germogli raccolti su se stessi, quasi in
cerca di tepore al freddo esterno.
Erano disposte in modo armonico
seppur a distanze diseguali e maioliche smaltate sul pavimento piastrellato
raccontavano la storia di un fiore fatato, l’incanto di una fattucchiera che
aveva fatto assumere siffatte sembianze al giovane che aveva osato respingerla.
Ma il giovane aveva un’amata e non
era stata presunzione né disgusto la ragione per la quale aveva respinto la
strega, ma fedeltà al suo stesso cuore innamorato.
Frutto di rancore e dell’amarezza di
un amore rifiutato, soltanto la bella avrebbe potuto spezzare il sortilegio. A
tal proposito la favola vantava diversi finali: secondo alcuni questa, troppo
sconvolta alla notizia della scomparsa dell’amato, aveva presto trovato
consolazione tra le braccia del rivale per eccellenza, altri con animi più
romantici e meno sibillini preferivano credere che si fosse gettata dalla rupe
più alta degli strapiombi, al limitare della cittadina.
L’ultima versione, meno conosciuta,
prevedeva infine la credenza secondo cui la poverina avesse vagato per giorni e
giorni nei tramagli pulsanti del bosco finché, esausta, non s’era accasciata
contro le radici di una quercia, ai margini di un torrente e a pochi passi dal
punto in cui il giovane tramutato in fiore traeva sostentamento da quelle
stesse acque. Era spirata col nome dell’amato sulle labbra esangui e la sua
anima inquieta e in pena avrebbe continuato a vagabondare tra quelle terre
incolte, nella ricerca eterna di quanto aveva perduto e dimenticato.
Ed era per l’appunto questa variante
che Eloise si ritrovò ad esaminare in tralice nelle raffigurazioni e nelle
tarsie del suolo.
- Perché mi hai portato qui? – voltò
la testa all’indietro senza osare muovere un muscolo di più, sprovvista del
coraggio necessario per fissarlo direttamente, eppure sentendo la vampa di
calore provocata dal sapere i suoi occhi saldi su di sé.
– Mi sembrava di avertelo già
spiegato. Ho qualcosa da mostrarti ed è mia intenzione farlo. –
- Non vedo nulla che possa attrarre
la mia attenzione, tanto meno la tua – ribatté lei caustica.
Axel le scostò una ciocca dalla
fronte, carezzando il fermaglio sulla nuca in punta di polpastrelli, e
piegandogliela con riverenza dietro l’orecchio. – Questo perché non sei mai
stata un’osservatrice acuta, Eloise. Presta maggiore concentrazione, sii
attenta. –
- Non c’è niente che… oh. –
Nel buio e presa com’era a guardarsi
intorno per non ricercare lui, non aveva notato le rose.
Le rose di Bryce.
Ora non riuscì a distogliere lo
sguardo. Come aveva potuto non accorgersene prima?
L’odore di rose era soffocante.
Ribolliva nell’aria in volute di fumo rosa cenere e tralci attorcigliati ai
boccioli, quasi a voler loro strizzare dagli steli meramente fragili ogni
stilla di linfa e avvenenza. Le narici fremettero involontariamente per la
fragranza granulosa e artefatta di quei fiori dischiusi, un profumo dolce e
insieme agro, zucchero mischiato a lacrime. Le sembrava di essere avvolta in
spire crepitanti, petali pronti a sbriciolarsi al primo dito allungato per
sfiorarne la punta tenera. Era uno spettacolo dalla grazia compita e impeccabile,
cortese. I fiori si allungavano con discrezione, un porgere di dita esili, in
carezze materne con linee sinuose impresse nei cippi, come prolungamenti di
polsi incatenati a pietre miliari, confinamento e franchigia.
Axel si allontanò di scatto portandosi
qualche passo in avanti, al centro della favola istoriata, la stessa
espressione tormentata del giovane che sotto di lui rinunciava per sempre alla
libertà e si trasformava in fiore.
- Sai che aspetto aveva mia madre? –
Axel piegò la testa di lato, senza che quell’aria addolorata si acuisse al
nominare ricordi penosi e neppure accennasse a dileguarsi o mitigarsi un poco.
Scrollò il capo, rendendosi conto da sé della sciocchezza detta. – Di certo non
puoi. Fu questa domanda comunque che Bryce mi pose - ci fu guizzo sulla
fronte aggrottata e lungo la mandibola, un sospiro veloce quanto l’accavallarsi
dei tendini nelle mani, strette a pugno in una morsa energica.
- Aveva sei anni allora e mi pare
superfluo precisare che io non fui in grado di rispondergli. –
- Axel…-
Lui le regalò un sorriso di una
bellezza straziante e fragile quanto la neve che aveva preso a cadere contro le
pareti iridescenti della cupola.
- Dimenticare quando si è giovani è
così semplice da risultare quasi ridicolo, ma quando si diventa grandi
abbastanza da comprendere l’errore in cui si è incorsi trascurando i ricordi,
allora come si può voler male ai bambini che si è stati? Lo ripetevo spesso
dicendo a me stesso che fosse normale, rassicurandomi, ma ho continuato a
odiarmi profondamente e a lungo per questo. Mi sembrava di infangare la sua
memoria. E poi… - fece una pausa ed Eloise non si accorse di aver trattenuto il
respiro nell’attesa crescente, fino a quando le costole non le dolsero di
rimando per la sofferenza acuta del mancato riprender fiato. - Poi sei arrivata
tu Eloise. –
- Io? – la semplice parola risuonò
simile a un singulto, il rumore secco di un ramoscello calpestato da piedi
incuranti.
- Tu – ridisse in tono di conferma –
e quel sorriso troppo genuino e buono per apparire vero, quel modo delicato che
avevi per scacciare le lacrime dal viso paonazzo di Jordan e le paure blande di
Bryce con poche moine. Tu che senza accorgertene con pugno di ferro avvicinavi
i cuori di tutti. - Questa volta mancò poco lei scoppiasse in una risatina
nervosa. Axel ripercorse il tragitto al contrario tornando di fronte a lei, la
mano a scorrere l’angolo tra sopracciglia e gote, come seta increspata da
inserti di pizzo. – Questo tuo sorriso ci ha ridato speranza, Eloise e mi ha
restituito i pochi estratti di reminiscenze che ancora possedevo di lei,
serbati in angoli inavvicinabili per chiunque altro. Quel sorriso così simile
al suo che tanto mi ha stregato. Mi hai reso tuo in quell’istante, l’istante in
cui mi hai ridato mia madre. –
Eloise aggrottò la fronte abbassando
il mento. – Non credo di capire – ammise in un mormorio a malapena
udibile.
Axel annuì: - Comprensibile. –
- Senti questo profumo? – Lei
sollevò il capo senza rispondere. – Questo è sempre stato il ricordo di Bryce
invece. –
Eloise assunse un’espressione
interdetta. – Un profumo? – ripeté confusa.
- Un sorriso e un profumo. E’ tutto
quel che resta di nostra madre. –
Davanti a loro, al di là dei
palchetti sporgenti e le concavità colme di rose di ogni genere e tonalità,
quelle singole creature che avevano assistito all’assunzione di colore delle
loro corolle direttamente tra le dita assottigliate del principe secondogenito,
arrossite di pudicizia e vergogna e piacere davanti a chi tanto aveva speso per
vederle nascere, sgorgavano come ombre da un pozzo artesiano, prodighe e docili
nel trastullarsi verso il basso in pose cascanti d’attesa, simili più che mai a
fanciulle sui balconi intente a rimirare con occhi languidi e sognanti la luna,
consigliera dei loro sospiri verecondi e puerili.
- Riesci a comprendere adesso? –
chiese lui. Non ricordava occasione in cui avesse impresso maggiore delicatezza
nelle sue mani rispetto a quel momento e la voce priva di qualsiasi altra cosa
non fosse premura da dedicare a lei, nota tanto gentile e amabile quanto
pericolosa, nemica giurata della propria lucidità.
- Questa serra sarebbe potuto essere
un mausoleo, ma non lo è mai diventato. Non vuoi sapere perché? –
Gli scoccò uno sguardo indignato e
furioso. Certo che voleva.
- Il ricordo è sempre stato vivo,
tra di noi e tutto questo è diventato un regalo. E’ per rendere grazie a te che
Bryce l’ha creata. Quel sorriso, quel profumo… - le sorrise senza filtri,
audacemente e irresistibilmente Axel – per quanto simili sono sempre stati
tuoi, appartenuti a te sola. –
Con un movimento rapidissimo e
sciolto piegò la gamba, in ginocchio nella più classica e fiabesca delle
posizioni. Il principe dai capelli d’oro le porgeva una rosa, l’altra mano
stretta attorno alla sua. Gli occhi che la scrutarono da sotto in su non
avevano alcuna tendenza alla beffa o scintilla sprezzante, erano al contrario
tanto autorevoli e posati da non dar adito a dubbi di sorta.
Il particolare che il petto le
stesse scoppiando e le costole avessero deciso di premere in fuori diventava
dunque trascurabile, qualcosa di insignificante.
- Eloise – lo sguardo dardeggiò ai
suoi occhi spalancati, affondò negli abissi che erano quei suoi scurissimi,
fatti di tenebra priva di ombre che non fossero spettri e paure, le labbra
roventi quanto il respiro dolcissimo mentre risalivano lungo il braccio sino al
gomito, lì dove la veste copriva l’ignominia di un segreto non più nascosto, –
ti sto chiedendo di concedermi quel sorriso per tutti i giorni a venire e
finché potrò goderne la vista. Ti chiedo di diventare mia, Eloise, di essere
mia. In cambio io ti prometto lo stesso. –
Eloise annuì con semplicità perché
non c’era altro da fare o dire, niente su cui riflettere che non fossero
impedimenti, ostacoli che le apparivano insormontabili senza Axel accanto.
Se una stessa rosa era destinata a
sbocciare con la consapevolezza di dover appassire un giorno, chi era lei per
lamentarsi?
Quando Axel poggiò la testa sul suo
petto, il nodo si sciolse e lei gli avvolse le braccia attorno al collo
sorridendo intenta.
Niente sarebbe mai stato più come
prima e quello stesso momento non sarebbe mai più tornato, stava già sfumando
come il nevischio sciolto nei fili d'aria delle infiltrazioni.
Eppure loro erano ancora lì,
rimanevano in piedi e tanto le bastava per essere felice.
N.B.:
L’ho scritta di getto
in mezzo pomeriggio, che posso dire tranne che sono allibita dall’ispirazione
che l’idea di una copia autografata riesce ad accendere?
Stupidaggini a parte,
era un’idea quella che fa da perno alla storia, che mi assillava ( in senso
buono ovviamente ) da un po’.
Da cosa di preciso
nasce la passione di Bryce per le rose?
La mia mente ha
elaborato di conseguenza una teoria assurda e strampalata sul profumo, quando
invece in linea col personaggio sarebbe molto più semplice in effetti motivarla
come tale e basta, una “genialità” coi fiori come lo era quella di Blaise con i
vestiti per intenderci.
Nulla da sviscerare
come ho tentato di fare io quindi, il solito gusto del volersi a tutti i costi
complicare la vita. E’ la prima volta, e credo sarà anche l’ultima, che mi
cimento con questi personaggi come coppia e per quanto breve è stata una
faticaccia immane. Sono così complicati da rendere e ci sono tante e tali
sfaccettature, passione, dolcezza, torbidezza di cui io non sono riuscita a
rendere una cippa (XD)! C’è da impazzire tra Axel ed Eloise, davvero.
Il titolo e anche l’idea
di associare il sorriso alle rose mi è venuta leggendo la poesia di Pablo
Neruda “Il tuo sorriso”; da qui sorridere dolcemente tra le rose.
(1): questa nota è dovuta ad una mia
indecisione, ero insicura infatti se fosse più opportuno all’interno della frase
inserire un “fosse” al posto dell’”era”.
Grazie per
l’attenzione, buona lettura!
Ci
tengo a ringraziare sentitamente anche qui Mirya per la splendida opportunità
offerta dal concorso, non tanto la preziosa copia autografata che era in palio,
quanto la stessa possibilità di avere a che fare strettamente con autrici e
autori splendidi come i partecipanti e soprattutto quello di avere un giudice
come lei, così puntiglioso negli scrupoli e nella dovizia dei pareri,
valutazioni che vi invito caldamente a leggere per comprendere la
professionalità e la competenza di questa donna meravigliosa. Credo di non aver
mai partecipato ad un concorso con tanto piacere né di essere mai stata così
appagata nel ricevere un’opinione estranea su quanto scrivo: gentile,
doviziosa, preparata e colma dell’impegno profuso per redarla. Di nuovo, vi
invito a leggerle per farvene un’idea.
Per questo e altre
piccolezze su cui non voglio dilungarmi, ringrazio di nuovo lei quindi e ogni
partecipante, rivolgo loro i miei più sentiti complimenti oltre che le
congratulazioni.
E’ un periodo ‘un po’
così’ direbbe una mia cara amica scrollando le spalle. Non nero nero, ma di un
marrone fondo, capite? Un tunnel di cui non riesco ancora a scorgere una via di
uscita per il momento. La rabbia per questo è tanto grande che a volte temo di
soffocarmici, ma sto anche imparando a conviverci e a lottarci giorno dopo
giorno. Sono un po’ gualcita emotivamente, ma resisto e a me come nel caso di
Eloise qui sopra, tanto basta per essere - non felice, no, non ancora almeno, -
ma almeno in pace con me stessa.
Un saluto caloroso a
tutti e un abbraccio, a presto spero :)