Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: formerly_known_as_A    06/08/2011    2 recensioni
Alza lo sguardo verso il cielo ed ha il riflesso di buttarsi nella sabbia, liberando nella caduta un po' dell'ansia che gli sta mangiando pezzo per pezzo lo stomaco. E' grigio. Probabilmente pioverà tra poco. E' uno di quei momenti di calma irreale prima di un temporale. E' tutto troppo calmo per non insospettirsi.
Oh, ironia. Persino gli elementi lo prendono in giro. O forse è solo lui a vedere similitudini ovunque.

[Personaggi: Norvegia; Danimarca - Bashing contro un pg femminile, ma giustificato dallo stato d'animo del personaggio su cui si basa il punto di vista]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa:

Questo capitolo è scritto a quattro mani dalla sottoscritta e la responsabile dei capitoli pari ed è la conclusione di questa storia. Ci sono parti di Danimarca (di cui ho scritto il punto di vista) che non mi convincono molto, ma l'ho rimaneggiato abbastanza e se continuo finisce che non pubblico nulla. Ringrazio chi ha letto (più di 300 letture, yay!) e chi l'ha messa tra le preferite/ricordate. Ergo: adrienne riordan, Maa chan, medinspower Ari, Milla Chan, OrochiMary, Tifawow, Fuiuki e alala.

Ringrazio sentitamente chi si è fermato cinque minuti a commentare, alcuni commenti sono stati utilissimi per concludere la storia (sì, anche quelli che dicevano che sono una sadica, su Facebook), spero che quest'ultimo capitolo vi piaccia.

Amy


La responsabile dei capitoli pari ringrazia allo stesso modo! Per le recensioni, per i consigli, per aver letto e aver sofferto fino a qui. Spero sinceramente che tutto risulti abbastanza fluido, pur essendo, appunto, un lavoro a quattro mani. E' stato un capitolo difficile per me, oserei dire di essermelo sognato per una settimana intera! Per cui taglio qui e lascio spazio alla fine della storia, sperando regali emozioni come ha fatto a noi.

Lulu



Oh, Dio. Non se lo aspettava. Non poteva aspettarselo. Ritrovarselo lì, sentirsi stupido ed inappropriato, dopo una notte in bianco -l'ennesima-, facendosi vedere fragile, debole, sentendosi vulnerabile davanti al suo sguardo.

Come se non bastasse, è completamente intontito dai medicinali. Quelli che gli impediscono di cadere a pezzi, necessari per la propria sopravvivenza in quanto spirito di una Nazione.

Vorrebbe stringerlo al petto, nonostante tutto. E si odia per questo, perché non deve pensarlo. Deve soltanto chiudergli la porta in faccia, fargli una scenata. Ecco, è una soluzione, no?

Perdonare. Così ha detto Fin, vero? Perdonare. Non è certo che riuscirebbe a perdonare veramente Sve, se facesse qualcosa del genere. E ancora, è diverso, perché un bacio non è poi così importante, vero?

Norge, mi hai lasciato davvero per un bacio? Uno stupido bacio, soltanto? Non ha significato, se è dato nella foga del momento, sai? Se è dato soltanto perché magari, quel giorno, eri arrabbiato con me per qualche motivo, perché, magari, eri ubriaco o soltanto non avevi bevuto le tue cinque tazze di caffè ed eri confuso o... No, non funziona così.

Dentro di sé, nonostante quei pensieri, non può fare a meno di provare gelosia. E' un sentimento terribile. Lo porterebbe a fare cose terribili, se solo gli permettesse di prendere il controllo.

Anche se vuole perdonarlo, anche se vuole soltanto dirgli che gli oggetti che gli appartengono, in casa, fanno male come una pugnalata, ogni volta che li nota, anche se vuole soltanto portarselo al petto e dirgli che non può andarsene, che non deve più andarsene, tace. Resta immobile, sulla porta, a guardarlo.

Vorrebbe sapere come. Cosa. Perché. Vorrebbe capire il suo tradimento e, allo stesso tempo, comprende e giustifica il suo comportamento. Ha mille domande, ma non ne pone nessuna. Le considera essenziali, ma non parla. Non può.

Se parlasse ora, sotto quello sguardo che lo rende tanto vulnerabile, non potrebbe che dire che sta morendo lentamente, senza di lui. Ma è ancora orgoglioso, anche se non sorride da tempo, anche se non ne perde più a pettinare nel solito modo assurdo i propri capelli e sono, comunque, diventati troppo lunghi per questo. Anche se non riesce neppure a stare dritto e sta tremando, si aggrappa con forza allo stipite ed incontra il suo sguardo.

Non lo sfida. Non ne ha la forza. Lascia che il suo sguardo apatico frughi nella propria anima e gli mostra quanto quegli occhi siano diventati simili.

Una vendetta che non lo soddisfa. Ma non gli importa.


Stava quasi per andarsene, convinto in cuor suo che non gli avrebbe aperto. E' un anno, mese più mese meno, che non vede quella porta, quella casa; è un po' meno, ma ugualmente molto tempo, che non incrocia degnamente il suo sguardo.

La sorpresa di vederlo viene immediatamente sostituita da alcune considerazioni.

Non aveva la più pallida idea che fosse lui a suonare, è evidente dalla medesima sorpresa che ha visto per qualche lungo istante sulla sua faccia; è in uno stato che non merita commenti.

Lo osserva lungamente, mentre ogni dettaglio che nota lo ferisce in più e più modi. Non sono i capelli ormai piuttosto lunghi e lasciati a loro stessi, non è il fatto che sia mezzo nudo e palesemente assonnato in maniera insana (come se si trascinasse da un luogo all'altro senza pensare all'importanza di aprire la porta con dei vestiti addosso e un aspetto presentabile), non è nemmeno – soltanto - la dolorosa consapevolezza di quanto sia cambiato.

E' il vuoto.

E' l'assenza di espressione, tolto quel sussulto iniziale di vita ed una serie di emozioni contrastanti che gli ha visto passare nelle iridi alla velocità della luce. Una rapidità di pensiero che sembra essere sparita, come se avesse spento un interruttore in qualche luogo remoto del suo cervello.

Non c'è niente in quegli occhi e non c'è il solito Danmark che sorride di riflesso anche se è triste, anche se ha tante cose che lo preoccupano.

E' una statua dai capelli troppo lunghi, troppo magra, stanca e tremante.

Se ne accorge dopo un po', preso com'è a contemplarlo, ma sì, sta tremando. Nota la mano aggrappata allo stipite e non può fare a meno di chiedersi se si stia trattenendo dallo spingerlo via.

Nonostante veda disgregarsi in un istante le sue rosee aspettative di un Danmark felice, solo o in compagnia di qualcuno che tenesse viva la sua risata fragorosa, cerca di non farsi vedere colpito dal suo aspetto come in realtà è.

“Mattæus”, comincia, decidendosi a spezzare il silenzio. “E' molto tempo che non parliamo. Avevo bisogno di sapere come stavi.”

Tutto lì, l'essenziale, la verità. Inutile girarci intorno, chiedergli di farlo entrare o di mettersi addosso qualcosa. Non è importante come sentirlo dire qualcosa, fosse anche per rispondergli che può andare al Diavolo e prenderlo a braccetto.


E' strano vederlo lì davanti, ma, da qualche parte, sembra che abbia perso completamente importanza.

L'ha chiamato Mattæus. Solo quello, un tempo, avrebbe provocato una piccola fitta di felicità. E' passato un anno... e ancora sa il suo nome. Anche se quello non è il suo Lukas, anche se non lo ritroverà più, avrebbe dovuto provare... qualcosa di diverso.

Si porta i capelli all'indietro, notando passivamente quanto non sia affatto cambiato. Sembra che sia trascorso un giorno soltanto -come se non avesse neppure avuto importanza- e questo dovrebbe fare male. Dovrebbe soffrire terribilmente, eppure...

“Non è abbastanza evidente?” chiede, non senza una traccia di sarcasmo.

Sarcasmo. E' indispensabile per sopravvivere, per non soccombere al vuoto che sembra volerlo trascinare via.

Vuoto, stanchezza. Oh, Dio... Si sente così stanco, comincia a non sentire nulla, neppure quando lo guarda negli occhi, cercando di tenere i propri aperti. E' diventato così difficile.

Che cosa... che cosa l'ha convinto ad aprire la porta? Se non lo avesse fatto, se si fosse soltanto lasciato andare nella vasca calda, ora sarebbe calmo. In momenti come questi sembra che non esista più nulla, se non il vuoto assoluto che regna finalmente nella propria testa.


Evidente.

“Sì, lo è”, risponde socchiudendo gli occhi e rendendosi conto di trovare davvero insopportabile quello sguardo, quella vista in generale. “Scusa se l'ho chiesto.”

Ecco, ci sta ricadendo. Non riesce a lasciarlo in quel modo e anche se adesso è più sereno e tranquillo, non è passato giorno di quell'anno senza che pensasse a Matt, senza che si sentisse male per averlo abbandonato.

Sospira brevemente e studia ancora la sua espressione, cercando di leggerne i pensieri come se fosse tecnicamente possibile.

Non è abituato a quella versione. Conosce quella dolce, quella romantica, quella violenta, quella miserabile, quella appassionata, quella infantile... ma non quella spenta.

Anche nella malinconia, Matt ha sempre mostrato la sua sofferenza; quel nulla, invece...

Vorrebbe non averlo mai amato. Così, adesso, non lo avrebbe perso anche come amico e potrebbe fare qualcosa.

“Probabilmente non ti interessa essere aiutato da me, ma almeno rivolgiti agli altri. Sve, Fin e mio fratello hanno un telefono. Dovresti smetterla di allontanarli.”

Non siamo amici e non mi sorriderai mai più. Non mi infastidirai, né mi preparerai il caffè. Lo so. Sapevo che sarebbe successo.

Per una frazione di secondo, solo un battito di ciglia e anche meno, abbassa lo sguardo. Contemporaneamente stringe le labbra e osserva l'ennesima nuvoletta di respiro causata dalla temperatura. Sì, fa freddo e dovrebbe farlo rientrare.

“Non puoi continuare a vivere in questo modo. Guardati. La tua vita non è finita perché non siamo più una coppia. Hai tante cose da fare, non sei un uomo qualunque.”

Fa un piccolo passo indietro rimettendo le mani in tasca, dicendosi che non era una grande idea, dopotutto, quella di andare di persona. Dovrebbe dire a Island di chiamarlo al posto suo, insistere anche se non risponde o se riattacca.

“Non permetterti di lasciarti andare in questo modo e smetti di farti del male. Per piacere.”

Non ha molto da dire e tornerà indietro più preoccupato di prima, ma cosa può fare, materialmente? Quel vuoto lo spaventa anche più delle sue crisi, questa è la verità.


“Gli altri hanno la loro vita.” risponde, semplicemente.

E' sempre stato così, anche prima. Lui c'era. Lui era il suo sostegno, la persona a cui raccontare ogni cosa. Gli altri... erano altri, appunto. Non che li consideri estranei, quello mai... ma, con il passare del tempo, hanno finito col creare le proprie famiglie, dividendosi. Non più loro cinque, ma coppie.

E' stanco. Esausto. Vederselo così, davanti, all'improvviso, non può che stancarlo. Ha vissuto per mesi cercando di non pensare, di lasciar scivolare via quel sentimento, finché, piano piano, non è riuscito ad essere... soltanto una Nazione.

Queste cose le sento da tantissimo tempo. Forse da prima del tempo. E' tanto che lo penso, che ho una forma umana solo per te. Solo per conoscerti, importunarti, prendere pugni da te e... amarti.

A cosa serve, quella forma, se non ha più il senso che ha sempre avuto? Voleva appartenergli, voleva che ogni singolo pensiero fosse rivolto completamente a lui, voleva che lui fosse l'unica ragione per cui aveva una forma umana ed esisteva.

Ed è stato così, per un tempo che è sembrato lunghissimo e perfetto, un periodo in cui si è sentito, finalmente, una persona completa. E non ha mai messo nulla, durante quei momenti, prima di Lukas. Nulla. Mai.

“Qual'è il problema, per te, Norvegia?” chiede, apatico, prendendo distrattamente nota delle nuvolette di vapore che emette quando respira. Se riuscisse ancora a sentirlo, direbbe che fa freddo.

“Non salto riunioni, i miei capi sono soddisfatti, non causo problemi. Mi sto comportando come una Nazione come si deve. Non vedo... quale possa essere il problema per te.” aggiunge, con quel nuovo tono piatto, quel tono in cui riesce a proteggersi.

Di nuovo, però, il nulla è sostituito, come quando ha aperto la porta, da mille sentimenti contrastanti. Vorrebbe ancora chiedergli tante cose, vorrebbe trattenerlo lì, comincia ad avere freddo. Ma non può permetterselo.

Se vuole essere solo un guscio, se vuole continuare a pensare che può resistere, in quella disperata sopravvivenza, deve uccidere quegli ultimi barlumi di coscienza, fingere di stare bene... di essere... svuotato.

“Non farò nulla di patetico come suicidarmi, se questa è la tua preoccupazione. Puoi tornare a casa.” sussurra, quando l'unica cosa che desidera, dal fondo del cuore, in quei momenti, è soltanto stringerlo ed intrappolarlo accanto a sé.



“Non mi preoccupo che tu possa suicidarti. Non ti ritengo tanto debole”, risponde soffermandosi ancora, trattenuto dalle sue parole. Almeno parla, almeno dice qualcosa ed è meglio del silenzio, anche se non è abituato a quel tono. Non che abbia da lamentarsi: lo preferisce così, giunti a quel punto, rispetto a quello che lo intrappolava tra le braccia nel cubicolo del bagno e si ribellava alle sue decisioni. In qualche modo, così sembra che abbia accettato la fine di tutto.

Non gli sfugge il fatto di essere stato chiamato col nome impersonale che lo rappresenta. Anche quello va bene, ma non riesce a fare lo stesso. Quando pensa a lui o quando ne parla con altri, può anche uscirgli Danmark, ma l'altro nome è così importante che rivolgendoglisi con calma deve chiamarlo da umano.

“Non era nei miei desideri che ti spegnessi in questo modo, sarà questo che mi preoccupa.”

Stava bene insieme a lui e odia il fatto di dover passare per quello che l'ha ridotto così, quando non avrebbe potuto chiedere altro che rimanere insieme altri mille anni e mille ancora dopo.

Odia anche il fatto che sembri importare solo a lui, quando non è così.

Si aggrappava tanto e dipendeva troppo da lui, forse avrebbe dovuto creare un distacco più lento, ma a che scopo se la fine era quella?

“Sembra che tu non abbia bisogno di niente”, sussurra incontrando per l'ultima volta i suoi occhi chiari. “Torna subito dentro, Matt, fa freddo.”

China la testa un momento in un cenno di saluto mite e contenuto, retrocede di un paio di passi e si volta andando via.


Ed ecco... di nuovo la sua schiena, un'altra volta.

Gli basterebbe allungare una mano per fendere l'aria fredda, soltanto due secondi, ha il tempo di reagire, di cambiare le cose, di porre almeno una domanda, una domanda fondamentale.

Lascia che gli invadano la testa, lascia che il freddo l'avvolga, ad occhi chiusi.

Non lo ritiene tanto debole.

Cosa ne sa? Cosa ne sa di quello che è diventato, senza di lui? Cosa ne sa, di cos'è capace? Non è questione di debolezza, non è... non è questione di coraggio. E' senso del dovere, prima di tutto.

Una rappresentazione di Nazione non muore mai completamente, qualcuno prende il suo posto, ma servono anni per insegnare a quella nuova tutto quello che deve fare, i suoi obblighi, quello che non può essere, mai.

“Se sembra che io non abbia bisogno di nulla è perché ormai di questo vorrei essere fatto...” mormora, ma non è sicuro che sia udibile.

Eccola, una piccola crepa, un piccolo segno di quanto in realtà si senta spezzare, appena si lascia andare, appena ritrova quell'umanità.

“Mattæus aveva tante domande da fargli. Avrebbe voluto scrivergli una lettera, ma l'ha sempre e solo abbozzata, perché, lo sai, non era affatto bravo con le parole... si lasciava trasportare dalle emozioni e alla fine si perdeva il senso ultimo.” dice, finalmente a voce alta e ferma.

Parlare di Mattæus, come se fosse morto, come se fosse qualcuno di distante, fa meno male, anche nel gelo di quella serata. Lui ha perso Lukas, quel Lukas che è morto quel giorno, di fronte al mare. Se si fossero gettati tra le onde, se fossero rinati senza memoria, forse sarebbe così.

“Io non sono Matt e tu non sei Lukie... Ma nell'eventualità che in te non fosse completamente morto, persino io sono curioso e vorrei sapere cos'è andato storto. Che cos'è cambiato tra loro? Sei anni distrutti da un bacio... è davvero possibile?” chiede, facendo una piccola smorfia.

Un tempo lontanissimo, una persona ormai scomparsa, avrebbe definito quella smorfia un sorriso. Qualcosa di simile, anche se svuotato del proprio significato originario.

“Nel nulla che c'è dentro di me ho ancora le sue domande.” mormora, abbassando gli occhi, prima di spostare l'attenzione sui cappotti appesi dietro la porta ed infilandosene uno.


Nor resta voltato di spalle, il piede fermo nell'atto di compiere un passo, un altro piccolo passo che lo allontanerebbe ulteriormente da lui, un passo che scopre di non voler fare nonostante l'incredibile distanza che si è creata tra loro.

Sospira piano sentendosi il viso gelato, soffocato da pensieri, preoccupazioni, desideri, sentimenti che non vogliono sparire e altri che non hanno la forza di soppiantare i precedenti, come un affetto per Ukraina che non riesce a diventare amore e un amore che non si lascia uccidere.

Ecco, dovrebbe dirgli che lo ha lasciato perché non lo amava più.

Si volta e recupera in fretta la distanza. Apre la bocca con la ferma intenzione di sparare quella cazzata che porrebbe la parola fine alle sue domande. A quello non ci sarebbe replica.

Le sue labbra restano dischiuse, ma la voce non riesce a venire fuori. Non emette il benché minimo suono, bloccato e schiacciato dal peso di quell'assurda bugia.

La richiude e rinuncia, stando in silenzio per il tempo necessario ad appellarsi ad una compostezza più naturale.

Sei anni gettati via solo per un bacio... no, non è del tutto vero.

Sono passati pochi secondi da quando Danmark ha smesso di parlare, eppure gli sembra di essere rimasto lì impalato e zitto a fissare il suo cappotto per molto più tempo, motivo per il quale si decide finalmente a rispondergli.

“Non è il bacio, è come ci sono arrivato.”

Soffia un po' d'aria, le mani rigidamente infilate in tasca. Ci siamo, eh. Deve dirglielo.

Se Danmark parla di sé al passato in quel modo, come se fosse morto, come se ora non fosse altro che una Nazione senza le particolarità che lo distinguevano, forse è abbastanza distaccato dal non accusarsi troppo.

“Ci sono delle cose che non ricordi, cose che non ho mai voluto dirti. C'è stata quella volta... dopo mesi di calma assoluta, hai avuto una crisi. Avevi sognato qualcosa del passato e continuavi a gridare, agitandoti per la stanza. Ho cercato di calmarti e mi hai s... spinto via.”

Prende un bel respiro e gli rivolge uno sguardo molto tranquillo.

“Hai presente quella vetrata che ti ho fatto credere di aver rotto accidentalmente? Non è stato accidentale. E' dove sono andato a sbattere.”

E' dove mi sono tagliato, dove ho cominciato a temerti e perdere qualcosa.

“Non è stato per il gesto, ma da quella mattina sono rimasto sulle spine. Continuavo a chiedermi se potesse capitare di nuovo qualcosa del genere o di peggiore e cosa avrei dovuto fare, nel caso. Tutta quell'ansia si è ingigantita e non sono più stato in grado di gestirla, tanto che senza quasi rendermene conto mi sono allontanato da te giorno dopo giorno.”

Ascoltare la propria voce posata rievocare situazioni e pensieri che sono rimasti chiusi dentro di sé per lunghissimi mesi lo stordisce. Non credeva di essere capace di dire tanto, proprio a lui, ammettendo debolezza e fragilità.

“Ho sbagliato. Avrei dovuto affrontare questo discorso all'epoca, farti conoscere le mie paure, ma sapevo che ti saresti odiato e il fatto di non ricordarlo rendeva tutto più ingestibile. Adesso puoi odiare me, perché non ho saputo fare di meglio che cercare più calma. Qui dentro”, aggiunge sfiorandosi un secondo la tempia con l'indice.

Si lascia scappare una minima smorfia e, preso da quella confessione sempre taciuta, non si rende conto di essersi esposto troppo fino a quando non ha la mano sul petto, sopra il cappotto abbottonato, e ascolta la propria voce parlare ancora.

“Qui, invece, non è cambiato proprio niente, perché non ho smesso di essere Lukas.”

Che cosa sta dicendo? Non gli serve sentire quella parte, non serve a nessuno di loro. Niente di quello che può dire ha il potere di sistemare le cose.

E' tardi perfino per rimangiarsi quanto si è appena lasciato fuggire, ma riesce a fermarsi in tempo prima di dire troppo.

Abbassa la mano, lasciando il braccio penzoloni lungo il fianco e guardando l'uomo.

“Ho risposto alle domande di Mattæus?”, chiede, completamente incolore.


La vista è appannata. Ha cominciato quando Norge gli ha confessato quella cosa terribile e si è trattenuto, per un po', nella speranza di bloccare le sue parole con una porta.

Ma non è riuscito a tagliare il discorso, a smettere di ascoltare la sua voce.

Matt ha sempre avuto una dipendenza per la voce di Lukie. Era talmente raro, sentirlo parlare così tanto, che non poteva fare a meno di ascoltarlo in silenzio, qualsiasi cosa dicesse, fosse anche per lamentarsi di qualcosa che aveva fatto.

Certe abitudini non muoiono così in fretta. Non basta un anno ad ucciderle, perché sono nate e si sono consolidate nel corso di tutta un'esistenza.

Sapere di aver ferito Lukie uccide le ultime parti di Matt che speravano ancora.

Patetico, certo, ma... Nonostante non possa non ripetersi che ormai l'ha perso, ha sempre avuto quella piccola speranza, la convinzione che, un giorno, forse, Lukie sarebbe tornato e che non ci sarebbero state domande o accuse, soltanto un abbraccio.

Se ne va' con le lacrime, che cominciano a scendere silenziosamente, su un viso che non vuole cambiare espressione, che vuole rimanere impassibile, ma che quelle grosse gocce tradiscono.

Ha promesso di non fare mai del male a Lukie. Ha promesso di cambiare, di essere migliore, di proteggerlo da quella persona che era diventato quasi senza accorgersene, verso la fine di Kalmar, quando si era lasciato andare alla paura, affidandosi ad una persona che non era mai stato prima, perdendo a poco a poco se stesso.

Sapere di avergli fatto male, nonostante non legga accuse nel suo sguardo, lo spezza.

“Credevo ci fosse fiducia, tra di noi. Credevo fossimo riusciti a stabilire un rapporto solido proprio per questo. Perché io ho mille cose che non vanno e che ci facevano male, ma che... Stavo cambiando per te. Per quel noi che hai distrutto mentendomi!” sbotta. Il suo tono di voce si alterna tra furia e apatia, in un'altalena di emozioni contrastanti che sottolineano ancora una volta come stia perdendo il controllo.

Non gli importa più di mantenere Matt nella tomba, di parlarne come se fosse qualcun altro, come se la comparsa improvvisa di quell'uomo, dopo un anno, non lo sconvolgesse.

Non basterebbero milioni di calmanti per mantenere la farsa.

“Che cosa credevi di fare, Lukas? Che cosa pensavi di ottenere, nascondendomi una cosa del genere? Proteggermi? E del fatto che avrei dato la mia vita, per proteggere te, che sarei arrivato... Avresti dovuto dirmelo! Non mi sarebbe importato di sentirmi morire, se tu stavi soffrendo, se ti stavi allontanando, avevo il diritto di sapere, perché ti amavo, dannazione!”

Resta in silenzio, continuando a fissare i suoi occhi viola attraverso il velo delle lacrime, dicendosi che vorrebbe chiudergli la porta in faccia o schiaffeggiarlo, ma che non lo farà, perché il solo pensiero di fargli ancora del male è terribile.

Invece crolla in ginocchio, aggrappandosi ai lembi del suo cappotto ed appoggiandosi il viso.

I suoi vestiti hanno mantenuto quel suo profumo particolare, quello di dolci e caramelle, come un carretto di una fiera di paese. L'aveva preso in giro spesso, per quel cambiamento, rispetto alla salsedine dei tempi in cui era un vichingo, salsedine mista a sangue. Gli aveva detto che si era rammollito con il tempo, ma poi gli aveva confessato che quel profumo caratteristico era quello che distingueva Norge da Lukas... Il suo... Il suo Lukas.

“Perdonami.” riesce a sussurrare, prima di allontanarsi, notando come tra i dolci ci sia qualcosa di completamente diverso... come... paglia.

Questa persona non è più tua. pensa, per l'ennesima volta. Non è la prima volta, sa tutto quello che ha perso e sa tutto quello che non avrà mai più.


Lo guarda e non sa che fare. La mano dentro la tasca si stringe da sola formando un pugno, tremando, convogliando in quel misero punto una miriade di emozioni violente.

La sinistra è ancora lì, attaccata al braccio abbandonato lungo il fianco. Nor lo guarda crollare e tenergli il cappotto, ascolta il suo pianto, vede le sue lacrime; ha accettato ogni accusa senza poter replicare, perché ha perfettamente ragione. Avrebbe dovuto parlare, ma la paura di sbagliare lo ha fermato. Ha sempre pensato troppo alle conseguenze e ora... ora...

Desidera toccarlo, consolarlo, come avrebbe voluto fare quell'unica volta in cui lo ha cercato e lui lo ha respinto mostrando una freddezza che non sentiva. Voleva liberarlo da sé, da quella presenza inutile che non era in grado di stargli vicino nel modo giusto, voleva a sua volta liberarsi da quella presenza incognita che lo teneva sul filo di un rasoio.

A distanza di un anno sembra che nessuno di loro sia riuscito a liberarsi dall'altro.

E ancora, vuole rassicurarlo. Non può lasciarlo a quel modo.

“Matt...”, sussurra allungando la mano e cercando di sfiorargli i capelli. La ritrae dopo pochi secondi, avvicinandosela alle labbra, guardandolo con una profonda malinconia e temendo anche quel gesto. Prima sembrava che, preso dalla rabbia, volesse seriamente picchiarlo e lui... glielo avrebbe lasciato fare. Non c'è niente di sensato nella propria testa quando lo vede in quel modo e pensare che è tutta colpa sua, che non ha saputo reagire correttamente e l'ha lasciato perché voleva fuggire, in sostanza, dal loro rapporto, fa dannatamente male.

Come può allungare le mani come se niente fosse e accarezzarlo? Ma continua a vederlo scosso dai singhiozzi e non resiste oltre. Ignora il freddo e si sfila il guanto con i denti, tornando con minor esitazione alla sua testa, lisciando i capelli con le dita come faceva un tempo. Si abbassa quasi senza rendersene conto e in un secondo è in ginocchio davanti a lui, con la sua guancia nel palmo della mano. “Ti ho nascosto una cosa importante, il che equivale a mentire. Hai ragione... quello che avrei voluto non si è avverato, quindi è evidente che abbia sbagliato tutto. Non serve a molto dirlo adesso, vero? Mi dispiace. Non devi scusarti tu”, sussurra con la maggior dolcezza possibile.

Ah, si... si sta lasciando andare troppo, ma non vuole che pianga.

Lo accarezza piano col pollice sentendo la mano riempirsi delle sue lacrime.

Ci mette un po' a capire che anche l'altra mano -non c'è stato bisogno di togliere guanti da quella, non li ha più messi entrambi- è finita sul suo viso e si muove piano per spostargli le lunghe ciocche dietro l'orecchio. La guarda come in sogno, chiedendosi quando e come ci sia andata senza il permesso del cervello. Scuote leggermente la testa e cattura i suoi occhi, serissimo, addolorato in fondo all'anima.

“Ti chiedo perdono.”

E' brutto, ma si sente più leggero. Non perché è ridotto così, assolutamente no, ma per avergli svelato qualcosa che ha sempre tenuto chiuso in un luogo inaccessibile, insieme a tante frasi dolci che non è mai riuscito a dire a voce alta.

Si avvicina e gli posa un bacio sulla fronte, scivolando alla tempia e poi fino allo zigomo, sfiorandolo con le labbra come se avesse timore a premerle completamente sulla sua pelle fredda.

Respirandogli vicino dopo tanto tempo è colpito, oltre che dal tatto, da quel profumo solo ed esclusivamente suo al quale era abituato e che, senza rimedio, associa alla vita che condividevano: era quello che sentiva sempre prima di addormentarsi.

“Vorrei tornare indietro e agire diversamente. Perdonami... perdonami... perdonami, Matt.” mormora, tra un piccolo bacio e l'altro.


Sta tremando dalla testa ai piedi. Non riesce a fermarsi, non quando è così vicino, non quando sente di nuovo le sue mani, le sue labbra... sono sempre state tanto delicate?

Gli hanno sempre fatto così tanto male?

Scuote piano la testa, aggrappandosi al suo cappotto, spinto dal bisogno di tenerlo tra le braccia, di gridargli che non importa, che deve assolutamente entrare in casa e tornare a dare un senso a tutto quello che si è lasciato alle spalle... anche a Dan stesso. A Matt.

Quando riesce a sfiorarlo con le labbra, anche lui, gli sembra di sentire uno strappo, al centro del petto. Non è un bacio, quello, non è il contatto che ha sempre immaginato, dopo tutto il tempo trascorso separati, qualcosa di violento ed irruento, che ottenebra la mente.

E' fin troppo cosciente del modo in cui si stanno sfiorando, dopo quelle parole, dopo le scuse e le lacrime. Perdonarlo. Perdonarlo, ora che glielo sta chiedendo, con questa tristezza incredibile, con le labbra calde che sfiorano la pelle come se non volessero osare troppo, come se fosse il loro primo bacio... può farlo?

Può perdonare, invece, se stesso, per quello che li ha fatti allontanare?

Alza le mani per sfiorargli il volto e i capelli, ad occhi chiusi, respirando a malapena, con il petto bloccato dal dolore, dalla felicità che esplode dentro di lui per quel piccolo gesto.

Ha creduto che non avrebbe mai più... Mai più sfiorato quella pelle che sta diventando fredda, mai più tenuto in quel modo, mai più... quelle parole che l'hanno ucciso, gli hanno tolto il respiro.

Non ho smesso di essere Lukas.

Entra in casa, Lukie. Entra, resta con me, sei freddo, non voglio che ti ammali per colpa mia. O almeno rimettiti i guanti, anche se sentire le tue mani su di me, ancora una volta, dopo tanto tempo...

“Freddo...” riesce a sussurrare, quando si accorge di poter parlare senza il rischio di singhiozzare, scivolando con le braccia intorno a lui e stringendolo come a volerlo scaldare e sentendosi bruciare laddove sente il contatto con il suo corpo, come se il proprio fosse completamente teso a cercarlo, come se questo fosse qualcosa di indispensabile che a lungo si è negato.

Resta a respirare sulla sua spalla, bloccandosi di tanto in tanto come per intrappolare il suo profumo più a lungo, come per riabituarsi a qualcosa che credeva di aver perso.

Ma quel profumo non è il solo e dopo alcuni lunghi respiri non può fare a meno di allontanarsi, abbassando la testa.

“Devi tornare da lei.”


Per un po', sentire le sue braccia cercarlo lo ha riportato indietro. Si è lasciato stringere senza respingerlo, sperando che anche solo quello potesse calmarlo.

Teso com'è a cercare un perdono, teso com'è a cercare di rivedere quello di un tempo (è lo scopo col quale è andato lì, no? Dirgli qualcosa che potesse aiutarlo - in caso stesse ancora male - e fargli capire che lui non è sparito se ha bisogno), non si è goduto pienamente il contatto. E' distratto da troppe cose, troppi pensieri e vorrebbe davvero poterli rinchiudere da qualche parte, parlare apertamente, esprimersi senza le solite difficoltà, ammettere ancora di aver sbagliato.

Gli è mancato da morire, questa è la verità, ma sapeva benissimo che sarebbe stato così, dopo. Non avrebbe mai voluto lasciarlo, ma quel bacio... quando è successo, quando, non spinto da un desiderio fisico o da una tempesta ormonale di strana origine, si è avvicinato a lei e ha premuto le labbra sulle sue trovando un'immediata risposta, qualcosa si è spezzato.

Quel bacio gli ha detto che era arrivato al limite, che se cercava conforto in qualcun altro e non aveva il coraggio di aprire la sua mente alla persona che amava e che aveva accanto, beh, i giochi erano finiti, le luci si erano spente, la pista da ballo era deserta. Finito.

Aveva bisogno di lei, in quel momento, e lei c'era. Aveva bisogno di sentirsi protetto, al sicuro, trattato in maniera prevedibile, senza essere la colonna portante di una coppia. E lei c'era.

Tornare da lei.

Rabbrividisce, un po' per il freddo, un po' perché sono ancora molto vicini e non può negare che gli faccia effetto, che anche se ha cercato di vederlo in altri modi quello è l'uomo che...

Che... ah.

Osserva i suoi capelli ricadere giù a nascondergli il viso abbassato e si chiede se lei potrebbe sentirsi usata, buona solo per colmare un vuoto che era diventato troppo fastidioso, anche se non stanno insieme e non ne hanno mai parlato.

A volte ha pensato che lei sapesse perfettamente come stavano le cose dentro di lui. Non è possibile, ovviamente, ma certe volte, nei suoi occhi, gli è sembrato di leggere la consapevolezza di non essere la persona di cui sentiva la mancanza durante la notte. Anche se Norge vorrebbe amare Ukraina e ogni cosa di lei sia perfetta tanto da avergli fatto pensare più di una volta di essere adatta a stargli vicino, non può comandare a piacimento i propri sentimenti.

Amala. Non è facile. Sì, lo sarebbe, perché lei è amabile, ma... non quando c'è un precedente così forte.

Si trattiene ad accarezzarlo ancora un po', volendo sinceramente spiegargli meglio le cose, ma non trovando le parole perché parlare di sentimenti è sempre stato complicato. Gli sposta i capelli indietro con una mano, lasciandoli scivolare tra le dita e socchiudendo gli occhi mentre si avvicina.

“Non stiamo insieme, non siamo innamorati.”

Come se questo spiegasse tutto.

Una parte di lui voleva che lo sapesse, forse... forse sta lavorando troppo di fantasia. Deve smetterla di pensare di poterlo avere ancora, anche se i problemi tra loro potrebbero risolversi spiegandosi meglio, con calma, affrontando con coraggio ogni momento no, imparando dagli errori commessi.

Un anno non si cancella così e Matt non è lì ad aspettarlo.

Nemmeno i sei, nemmeno i sei.

Stringe la mano dietro la sua nuca e se lo spinge sotto il mento, sul petto.

Lo tiene in quel modo per un po', senza parlare, ripiombato nella solita quiete verbale dopo il lungo discorso di prima che - fa male -, ma era doveroso a fronte delle domande irrisolte.

Vorrebbe tenerlo molto di più, nonostante il freddo e nonostante stia passando per un approfittatore seriale. Sospira interiormente e alla fine, dopo aver resistito alla tentazione di dargli ancora un piccolo bacio sulla testa, lo allontana restando davanti a lui.

“Torno a casa. Non volevo farti star male, venendo stasera. Se puoi perdonarmi, un giorno, fammelo sapere. Basta un sorriso... come quelli che facevi spesso”, mormora aspettando che lo guardi ancora una volta.

Non voglio tornare da nessuno, voglio restare qui, pensa, trattenendosi dal sollevare a forza il suo viso e baciarlo fino al mattino dopo. Non per bisogno di affetto, ma proprio perché lo vuole.


Non stanno insieme, non sono innamorati.

E' improvviso il gelo che sente. La rabbia che preme per sfogarsi e quel terribile senso di nulla che sembra volerlo inghiottire dall'interno.

Non alza la testa, quando si allontana, in cuor proprio pensa sia meglio non guardarlo e lasciare che se ne vada, nonostante tutto il calore che ha sentito prima, per il semplice sfiorarsi delle labbra.

Si è sentito vivo per la prima volta in quella che gli è sembrata una vita, ma che è solo un anno.

Però non va' bene. Non va' bene, quella frase, è talmente sbagliata che non può non fargli male.

Che cosa vuol dire, non sono innamorati? Che cosa vuol dire, quando per mesi l'ha detestata, ha sognato le peggiori immagini di loro due felici, lontani anni luce da lui, che tentava di andare avanti con i pezzi che gli erano rimasti, costretto a sopravvivere in una casa in cui ogni singolo centimetro gli ricordava lui?

“Non vi amate...” sussurra, con una voce che non gli esce del tutto normale. Spezzata, sofferta, stanca da quel continuo sbalzo di umore. Vorrebbe trascinarsi fino alla camera e prendere i soliti calmanti, sprofondare in un sonno senza sogni ed annullarsi.

Tornare ad essere solo Danmark, nonostante tutte le emozioni provate in quello sfiorarsi timido.

“Come faccio a sorridere, se neppure quello che desideravo per te era vero? Credevo... credevo fossi felice, con lei, ero pronto a dirti che è una ragazza tanto carina e che non la devi assolutamente far soffrire!” sbotta, alzando la testa di scatto.

E' ancora lì. Sembra che voglia indugiare il più possibile, sembra quasi non voglia andarsene... e nonostante gli abbia detto che è ancora Lukie -il suo Lukie?- non vuole crederci, non vuole illudersi ed essere risbattuto in terra dalla realtà dei fatti.

Eppure tende la mano per afferrargli un polso, per trattenerlo.

“Mi ami da morire.” comincia, guardandolo dal basso, il petto ancora bloccato dallo strappo che ha sentito prima, ancora spaventato. Ma se quello è il suo Lukie... Quello è lui, vero? Suo, suo, suo.

Gli gira la testa, ma non gli importa.

“Più di quanto ritenevi possibile, ogni giorno di più. Quando mi hai lasciato eri distrutto e, anche se sei andato avanti per la tua Nazione, ti sei spento ed il tuo cuore è diventato un blocco di ghiaccio. Hai continuato ad evitarmi, stai usando qualcuno perché così credi sia più semplice, ma in realtà ti senti solo quanto me e in cuor tuo sai che mi amerai ancora fino al Ragnarök.”

Non voleva pronunciare quelle parole, perché è quello che spera, quello che desidera, quello che lo renderebbe così felice da ucciderlo, probabilmente. Se Norge negasse... Se dicesse che sono solo elucubrazioni mentali malate, se tornasse da lei come gli ha chiesto...

Ma lei lo merita. Si mette un attimo al suo posto e la immagina aspettarlo, con quel viso sempre sorridente e dolce, nonostante tutto. Non si amano. E Lukas cosa diavolo ne sa?

E se anche tornassero insieme, di fronte all'abisso delle loro personalità, cosa lo tratterrebbe accanto a lui? Se anche... Non deve pensarci. Non deve assolutamente, non deve sperare consciamente queste cose.


Devo tornare a casa, devo andare via. Alzarmi e percorrere a ritroso la strada che ho fatto, senza voltarmi. Adesso.

Lo pensa intensamente, ma sono occhi negli occhi, vicini, ha il polso bloccato dalla sua presa ed è stordito.

Dovrebbe correggerlo e dirgli che non sta usando una persona, che le vuole bene, che lo ha trattato con la massima cura e gli ha dato quello che poteva, ma anche che lei non soffrirà perché amava (e ama) un altro uomo. Per una volta vorrebbe davvero aprire la bocca e chiarirgli le parti in ombra di quell'anno trascorso e di quel rapporto, ma non c'è spazio per altro dopo che gli ha mandato il cuore in gola.

Gli dirà ogni cosa, se vuole ascoltare, ma non ora. Ora ci sono solo loro.

Quelle... parole...

Avrebbe saputo dar voce ad una dichiarazione simile con la medesima intensità? Forse nemmeno per iscritto. E sa di non aver mai detto niente del genere in vita sua, eppure...

“Ogni parola”, dichiara sentendo spezzarsi qualcosa dentro, dolorosamente e improvvisamente, quel qualcosa che cercava di tenere chiuso in un angolo perché non facesse troppo rumore.

“E' vera ogni parola.”

L'ha ammesso. Non avrebbe dovuto, ma avverte un'ondata di calore assieme allo strappo delle proprie cuciture - accurate solo in apparenza - perché Mattæus ha capito tutto.

Non potevo dirlo meglio, pensa, schiacciato dall'imbarazzo e da quel suono invadente e martellante che continua ad essere il proprio battito. Non sente più freddo, nemmeno al viso.

Continua a guardarlo negli occhi, passando in pochi secondi da uno all'altro, finché si spinge contro di lui ed è un movimento quasi sincronizzato dato che Matt gli si getta addosso nello stesso istante.

Norge lo prende per il bavero del cappotto e lo bacia senza poter aggiungere altro, senza la forza né la volontà di farlo. Lo preme contro la cornice della porta e si schiaccia così violentemente al suo corpo che, mentre viene a sua volta circondato da due braccia decise, gli manca il respiro.


Per qualche secondo si dice che è quasi buffo, il modo in cui si sono avventati l'uno sull'altro.

Ma tutto è presto annullato in un soffio, mentre incrocia le braccia nella sua schiena, come se temesse una sua fuga -un'altra! Non potrebbe sopportarlo!- e risponde a quel bacio. O lo inizia. Poco importa, ora.

E' vera ogni parola. Significa che lo ama e basta quello. Davvero, basta, è sempre bastato.

Nella propria testa è come se avesse fatto tabula rasa di ogni cosa. Lacrime, rimpianti, accuse. Non c'è più nulla, ma è un nulla che non è affatto desolante come quello che gli offrono le medicine. E' un nulla assolutamente pieno di Norge. Di Lukas.

Gli appoggia le mani sul viso, nella disperazione di quel bacio, non appena si accorge che sono di nuovo legati, che Norge non scapperà e non lo lascerà solo.

Non gli è mai piaciuto farlo sentire in trappola, seppure il desiderio di chiuderlo in uno scrigno, come qualcosa di incredibilmente prezioso, sia sempre stato forte.

Una prigione, per trattenerlo e non farlo scomparire.

Per un attimo ha desiderato respingerlo, dirgli che li ha lasciati morire, che non potrà mai più fidarsi, che ha il terrore di perderlo nello stesso modo, ma come potrebbe riuscirci? L'idea di avergli fatto del male, di esserselo dimenticato, è abbastanza da farlo tacere.

Danimarca sa di essere egoista.

Per questo lo trascina in casa, chiudendo la porta dietro di loro, senza staccare un secondo le labbra dalle sue. Perdere un secondo soltanto di quel contatto sarebbe un delitto. L'ha desiderato troppo.

Resta. Resta, per favore, torna a darmi un senso. Sono debole e stupido e dipendo da te. Non è così che si comporta una Nazione, ma non mi importa. Non mi è mai importato.

Tu sei la persona che ho scelto e quelle parole, quella dichiarazione, era la mia.

Vorrebbe gridarglielo e sussurrarglielo allo stesso tempo, ma non ne ha la forza. Come tante cose prima di questo, chiude tutto in una parte del cuore, in attesa di trovare parole che lo facciano apparire meno patetico.

Norge... Lukie deve sapere che è indispensabile. Quando troverà quelle parole e sarà capace di dirglielo senza fargli del male, allora... Allora potrà togliersi quel fiume di parole dal cuore. Riversargli addosso tutto il proprio amore.


Norge si accorge vagamente di essere dentro casa e che la porta è stata chiusa con una pedata. Lo sa perché le mani di Matt non si sono mosse dal suo viso e dai capelli e lo sa perché ha udito lo sbattere secco che non è riuscito a farlo sobbalzare nemmeno di un millimetro.

Nonostante la delicatezza di quel tocco e le continue carezze che riceve, non riesce ad essere composto allo stesso modo. Semplicemente ha perso la capacità di fingere, di controllarsi, di mentire – o è troppo stanco per continuare a farlo - e quelle maledette parole continuano a rimbalzargli in testa, vorticando.

Camera, camera, camera.

E' importante arrivarci?

Scosta violentemente i lembi del suo cappotto e lo abbassa lungo le braccia, sbottonando il proprio, veloce, fino a lanciarlo dietro di sé con poche mosse furiose.

Non smette di baciarlo, non ci pensa nemmeno, ma si prodiga lo stesso a far sparire più indumenti che può per unirsi finalmente, di nuovo, all'unico corpo che ama.



Apre gli occhi di scatto, subito colpito da un feroce mal di testa. E' sempre così, quando le medicine smettono di fare effetto. I pensieri corrono più velocemente, non più rallentati e bloccati. Non è più apatico e sente il dolore, tutto il possibile dolore, troppo intenso per essere sopportabile.

La prima cosa che fa, di solito, è tendere il braccio verso il comodino per trovare le pillole, ma questa volta è diverso.

E' diverso perché ricorda la sera precedente, ricorda che Lukas è tornato, ricorda che gli ha detto che lo ama, che hanno fatto l'amore. Ferocemente. Il proprio corpo conferma, non era un sogno, ha male ovunque e, se si guarda, ha probabilmente il segno dei morsi.

Eppure, nonostante la violenza, sa che non hanno mai fatto l'amore in un modo così dolce. Con tutto il cuore, dopo mesi passati a mentirsi e negare ciò che ormai è ovvio.

Se non controlla lo stato del proprio corpo, è perché ha paura ad abbassare gli occhi ed accorgersi che quello è veramente un sogno o che, peggio, è solo nel letto.

Eppure ha detto che mi ama.

Ingenuo. E' davvero ingenuo ad aggrapparsi a quelle parole.

Lo sai benissimo che potrebbe essersene andato anche dopo questo. Lo ha già fatto.

Vorrebbe prendere le medicine e raggomitolarsi sotto le coperte, nascondersi agli occhi del mondo, vergognarsi per come si è comportato, preso dalla foga del momento. Ma è impulsivo, dannazione.

E lo ama. Così tanto.

Guardando il soffitto, rimane teso a cercare il respiro della persona che -deve- dormirgli accanto. Trattiene il proprio, per così tanto tempo che i bordi della propria visuale diventano neri. Quando respira rumorosamente, tutto in una volta, è consapevole che il letto è vuoto.

Gli bruciano gli occhi, ma non ha più lacrime. Le ha versate tutte la sera precedente. Diavolo. E' stato così felice. Una felicità così grande esplosa nel petto in un solo momento, come il primo respiro doloroso dopo un'apnea.

Ed è così. E' rimasto in una sorta di stasi, per un lungo anno, un sonno profondo, da cui ormai si sente lontano. Anche volendolo, non può tornare a quello stato di catatonia.

Deve guardare la realtà... e scoprire se quella notte è stata solo qualcosa di irripetibile, un'occasione in cui si sono sentiti soli oppure... Oppure.

Tende un braccio verso la parte vuota del letto, facendo un piccolo sorriso quando si rende conto che è stato automatico addormentarsi così, come se, veramente, Lukas avesse ripreso almeno quel posto alla sua destra, a lungo vuoto.

Sfiora il tessuto e lo sente fresco. Risalendo, tendendosi all'inverosimile, nulla cambia. Il sorriso svanisce. Il vuoto prende di nuovo il sopravvento.

Un vuoto ben diverso da quello con cui si è svegliato -non pensare a nulla, essere felici- o quello che ha provato ogni secondo, nel corso di quell'anno. Il vuoto che si forma quando qualcosa che è perfettamente al proprio posto viene portato via. Doloroso, lo fa tornare ad un'apnea diversa, quella che precede un singhiozzo. Non vuole. Non può.

Basta debolezza.

Ti ha offerto molto più di quello che meritavi, questa notte. Ti ha dato un modo per staccarti da lui.

Ma mille ragioni per stargli accanto. Non posso smettere di amarlo.

Si rannicchia su un fianco, artigliando il cuscino vuoto e portandoselo al petto, dicendosi che non deve farlo, ma respirando a pieni polmoni il leggero profumo dolce dell'uomo che ama.

Ricorda di averlo fatto anche la prima volta che hanno fatto l'amore, mentre Lukas era sotto la doccia. L'aveva trovato così e Den l'aveva fissato mentre, sfregandosi i capelli con un asciugamano, lo guardava tra il confuso e il perplesso, chiedendogli cosa cavolo stesse combinando e togliendogli il cuscino.

Il suo profumo lo fa sentire male e bene allo stesso tempo, come uno squarcio nel cuore che si risana e torna a formarsi, in continuazione. E' una presenza. Un'assenza.

E' Lukas.

Resta a respirare ad occhi chiusi, quando sente un botto provenire dalla cucina e sobbalza, scattando in piedi.

Recupera l'ascia e scende rapidamente di sotto, fino all'origine di quel rumore, pronto ad affrontare l'avversario. Ma quello che si ritrova davanti non è affatto uno sconosciuto entrato di nascosto.

“Lukie...” sussurra, lasciando l'ascia appoggiata al muro ed osservando la scena che gli si presenta dinanzi. C'è qualcosa di bruciato e fumante, nella padella abbandonata nel lavandino. E le fette di pane tostato non se la passano meglio. Il caffè profuma e sovrasta tutto l'odore di bruciato.

E poi c'è lui. Impeccabile, nonostante il segno nero sotto l'occhio -da dove esce il carbone?- solo un po' stizzito per il disastro in mezzo al quale lo ha trovato.

Ma è lì. E' nella sua cucina e sta cercando di preparare un sembiante di colazione. E non l'ha mai fatto. E anche se la cucina è probabilmente da cambiare, quel gesto è incredibilmente bello.

Per questo lo abbraccia di slancio, incrociando le braccia nella sua schiena e non facendo alcun movimento che indichi che voglia lasciarlo andare. Non vuole. Non può.

Questa volta lo intrappola, posando la guancia sulla sua testa e sfregandosi piano. Il profumo lo invade completamente e riesce finalmente a respirare normalmente, senza scatti strani, senza strappi.

“Non sei andato via. Sei ancora qui.”


“... Ce-certo che sono qui”, borbotta Norge dopo qualche secondo, arrossendo furiosamente per il modo in cui l'ha trovato e per quell'abbraccio stritolante.

Non ci è andato affatto leggero durante la notte. Hanno fatto l'amore senza lasciarsi il tempo di riprendersi, più e più volte, per ore, toccandosi e baciandosi con una foga che non ricorda di aver mai avuto, nemmeno i primi tempi. C'era tanto bisogno di riaverlo e ancora di più sentirsi suo. Non c'è stato un singolo istante di imbarazzo mentre si trascinavano reciprocamente verso la camera da letto, sbattendo in ogni angolo, ansimando senza ossigeno tra un bacio e l'altro, finendo finalmente uno sull'altro. Come se non avessero mai smesso di amarsi in quel modo.

Tuttavia, i suoi slanci gli sono mancati e riescono ancora a coglierlo di sorpresa.

Norge si è svegliato presto restando ad osservarlo dormire, con una fissità tale che temeva si sentisse squadrato e si svegliasse. Lo ha sfiorato con la punta delle dita, pensando tanto, fermandosi ad analizzare ogni momento della sera prima, ogni parola e ogni gesto.

Mi ami da morire.

Si è ritratto e si è voltato sul fianco, mettendosi seduto e guardandosi le gambe graffiate. Niente di preoccupante: i segni che ha lasciato su Matt ci metteranno molto di più a guarire e... vuole fargliene altri, ancora. Vuole dormire in quel letto, vuole farsi amare da lui.

Vuole, non vorrebbe. Vuole.

Si è alzato con l'intenzione di andarsene e la voglia di rimanere. Per un po' ha pensato che si è lasciato prendere troppo da lui, dai suoi occhi e da quel bisogno disperato di riaverlo con sé che ha sentito in ogni sua reazione. Ha pensato che doveva essere sicuro di quello che faceva, che non poteva spuntare a quel modo nella sua vita e rimanere senza la ferma convinzione di tornare ins...

Mi ami da morire.

La verità assoluta, più forte di qualsiasi paura, una verità che gli ha fatto girare la testa come una giostra e lo ha ributtato a sedere, affondato, con l'unica risposta alle proprie incertezze.

Non poteva andarsene, non di nuovo, non in quel modo. Perché andarsene? Ha molta più voglia di restare e ha molte più ragioni per farlo.

“Sono qui”, ripete con maggior convinzione. “Ma ho combinato un disastro”, borbotta in tono serio e lamentoso al tempo stesso, cercando di darsi un tono. “Non so cosa mi sia saltato in mente... forse è meglio che esca a compr...”

Non lo fa finire. Matt lo stringe talmente forte, gemendo piano, che il solo pensiero di andare a comprare qualcosa di commestibile, caldo e già pronto per la colazione, scivola dalla sua mente come sabbia tra le dita.

“O forse no. Chi se ne frega”, aggiunge appoggiando la fronte alla sua spalla e posando le dita sulla pelle nuda della schiena. Riesce a sentire i graffi sotto i polpastrelli e, per un attimo, si domanda se non abbia esagerato. Li accarezza piano seguendone il rilievo, sentendo la sua guancia premuta contro la propria testa. Se lo stringe ancora un po' rischia di fargli mancare l'aria, ma sembra che a Matt non importi altro che tenerlo lì, fermo, intrappolato, sotto controllo.

A Norge la cosa non dispiace assolutamente.

Quante mattine avrebbe voluto riaverlo vicino in quel modo? Quante notti? Quante volte si è chiesto se avesse preso una decisione giusta e sensata?

“No, non credo di dover andare da qualche parte”, aggiunge salendo con le mani e trovando le punte dei capelli decisamente troppo lunghi.

“Questa mattina preferisco tagliarti i capelli.”

Li arrotola tra le dita, socchiudendo gli occhi e provando una pace che bramava da moltissimo tempo. Spera che anche per lui sia lo stesso, che gli basti anche solo tenerlo a quel modo.

“E ti dirò una cosa che sentirai ogni giorno, a partire da oggi.”

Si solleva e avvicina le labbra al suo orecchio, spostando di lato le ciocche invadenti con la punta del naso.

“... Buongiorno, Matt.”

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: formerly_known_as_A