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Autore: Roxe    07/08/2011    5 recensioni
L’erba alta gli solleticava la nuca, infilandosi sotto il bordo della camicia per dispetto, ma lui non osava muoversi, paralizzato dalla consapevolezza che anche il più piccolo gesto avrebbe disegnato una vistosa macchia verde brillante su quella stoffa bianca, stirata ed inamidata, che gli stringeva il collo ma non si poteva slacciare, perché non era decoroso.
In quel preciso momento, con le spalle inchiodate al suolo e il naso puntato verso il cielo, riusciva a trovare un po’ di conforto solo nella certezza che non avrebbe più sentito alcun rimprovero. Perché quella era l’ultima notte che passava disteso sull’erba a guardare le stelle.
Insieme a lui.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono-… oh wait!

WARNING: State per impattare con un’idea strampalata (che strano…), quindi non fate inutili sforzi di comprensione che potrebbero rovinarvi la lettura, seguite il dito senza preoccuparvi troppo di dove guiderà il vostro sguardo.
Se poi a qualcuno capitasse di comprendete…
Complimenti. Siete più pazzi di me.
Inoltre. Questa storia è stata scritta in pochissimo tempo, cosa per me fino ad oggi impensabile, per cui non c’è alcuna garanzia di qualità, nessun rodaggio né alcun crash test all’attivo per ciò che (spero) andrete (comunque) a leggere dopo queste terrificanti premesse.

 

 

 

 

 

 

Quella sera l’aria era frizzante, quasi fosse inconsapevole d’appartenere ancora all’estate.

Le giornate erano sempre lunghe, ed il sole caldo. Ma non appena i suoi raggi sbiadivano sotto la linea dell’orizzonte la terra si dimenticava presto del loro calore, ed un tiepido vento si alzava dal mare, annunciando l’imminente arrivo di una nuova stagione.

Quando quella brezza gli sfiorò viso Arthur sentì un brivido fresco attraversargli la schiena, e serrò d’istinto le braccia lungo i fianchi.

L’erba alta gli solleticava la nuca, infilandosi sotto il bordo della camicia per dispetto, ma lui non osava muoversi, paralizzato dalla consapevolezza che anche il più piccolo gesto avrebbe disegnato una vistosa macchia verde brillante su quella stoffa bianca, stirata ed inamidata, che gli stringeva il collo ma non si poteva slacciare, perché non era decoroso.

Lo sai che le macchie d’erba sono le più difficili da mandare via! Quante volte dovrò ancora ripeterti che non puoi sdraiarti per terra con i vestiti puliti! Sciocco bambino disobbediente!

La voce di sua madre s’imprimeva con nuova forza nella memoria ogni volta che sentiva quella frase. Il che succedeva ogni sera, da quando era estate, e lui dopo il tramonto poteva correre sulla collina, lasciando a casa la giacca, con indosso solo la camicia, i pantaloni corti sopra il ginocchio, e quei buffi calzini che calavano indegnamente ad ogni passo, con buona pace del decoro tanto caro alla mamma.

In quel preciso momento, con le spalle inchiodate al suolo e il naso puntato verso il cielo, riusciva a trovare un po’ di conforto solo nella certezza che non avrebbe più sentito il suo rimprovero. Perché quella era l’ultima notte che passava disteso sull’erba a guardare le stelle.
Insieme a lui.

- Ehi Joe…

- Mh.

Arthur ruotò la testa verso la figura distesa al suo fianco, lunga quasi il doppio di lui, fissando il profilo affilato ch’emergeva nella penombra della sera.

- Ci devi proprio andare al College?

Il consueto ritornello di quell’usurata domanda ottenne come risposta un secondo grugnito.
Poi Joe parlò con il tono annoiato di chi è costretto a ripetere una volta di troppo le stesse parole, replicandone semplicemente il suono, senza più curarsi del loro significato.

- Certo che devo andarci. Il mio destino è quello di diventare un grande chirurgo, come mio padre. E mio nonno. E il nonno di mio nonno. E-…

- Secondo me dovresti fare il detective invece! Sei molto più portato!

- Non dire sciocchezze. Gli ispettori di polizia non guadagnano un accidente di niente.

- Già…

Arthur lo odiava quel maledetto destino.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per farsi venire in mente un’alternativa plausibile. Una di quelle talmente buone da poter andare a genio anche a quel pignolo di Joe, che notava sempre ogni cosa, ed era attento a tutto, e non si lasciava mai sfuggire niente. E aveva sempre ragione.
Il suo amico Joe. Ch’era tanto più grande di lui. E il più intelligente del mondo intero.

Joe, che parlava agli adulti con strafottenza. E lo guardava dall’alto in basso.
Ma ad Arthur non importava. Perché quello sguardo era gentile.

Mentre quando scrutava il resto dell’umanità non lo era mai.

- Anch’io da grande farò il dottore. Come te.

In realtà non ci aveva pensato affatto. Nemmeno una volta, prima di quel momento.
Eppure la frase suonò convinta, impregnata della risolutezza propria di una ponderata decisione.

Perché il suo migliore amico stava per andarsene in un posto lontano, del quale non ricordava neanche il nome, e riusciva solo a pensare che non l’avrebbe rivisto mai più.

Perchè questo non era assolutamente sopportabile, e quindi la mente girovagava nel buio alla ricerca di un motivo qualsiasi per trattenerlo. O per seguirlo.

Perchè un bambino di dieci anni non riesce ad immaginare un dolore più grande.
E allora finisce per starsene sdraiato a guardare le stelle.
Evitando di pensare.

- Ehi Joe…

- Mh?

- Tu la vedi l’Orsa Maggiore?

- No.

Per niente scoraggiato dalla risposta Arthur aguzzò lo sguardo, concentrando tutti i suoi sforzi nel tracciare sulla lavagna nera della notte tante piccole linee di congiunzione in mezzo a quello sciame di macchioline luminose, alla ricerca di una forma conosciuta.
D’un tratto riconobbe una sequenza familiare. Sette punti vicini ed evidenti, che disegnavano nello spazio un grande arco teso.
Allora si alzò di scatto a sedere, come se sollevarsi da terra quella manciata di centimetri potesse avvicinarlo al cielo abbastanza da vedere meglio il chiarore di quelle stelle, appena un po’ più brillanti delle altre, offuscate dal riverbero dell’orizzonte.

- Joe Guarda! Si vede benissimo la costellazione del tuo segno, il Sagittario! Lì in basso a destra! Dev’essere sicuramente un presagio!

Senza mostrare il minimo interesse per la sua grandiosa scoperta Joe si limitò ad una scrollata di spalle, che nel buio fu soltanto un sussulto di nero su nero.

- Che scemenza.

Contrariato da quel tono arrogante che aveva imparato a conoscere, ma non a sopportare, Arthur abbandonò la sua conquista per spostare lo sguardo su quel volto nascosto nell’oscurità.

- Come sarebbe a dire?

- Sarebbe a dire che l’astronomia è una scemenza.

Impregnando la sua risposta della consueta quantità di disprezzo Joe assestò i capelli sulla fronte con un movimento del capo, e poi intrecciò le dita sul petto, iniziando a battere adagio i pollici l’uno contro l’altro, quasi a voler scandire il ritmo lento e regolare dell’ovvio.

- A cosa mai potrà servire nella vita sapere quanti anelli ha Saturno? A niente. Questa faccenda delle costellazioni e dell’astrologia poi! È ancora più inutile.

La replica di Arthur arrivò un po’ troppo precipitosa, decretando apertamente la sua ritirata in posizione di difesa.

- Non è vero! L’astrologia è una scienza quasi esatta!

- Sì, giusto quasi… Così come quasi esistono i tuoi fantasmi.

Per qualche ragione quella sera il suo scetticismo faceva più male del solito.

- Non chiamarli fantasmi! Sono spiriti! Ed esistono! Io lo so!

- No non esistono.

- Sì invece!

- No.

- Sì!

- No!

- SI’!

- E allora provalo!

 

Qualunque sforzo facesse.
Qualsiasi quantità d’impegno mettesse nel cercare di prendersela. Non c’era niente da fare.

L’ultima parola era sempre sua.

Serrando tra le dita i fili d’erba schiacciati sotto il palmo della mano Arthur iniziò a sbattere violentemente le palpebre, nel tentativo di spazzare via le cocenti gocce di rabbia che si stavano accumulando in fondo agli occhi. E anche se nessuno avrebbe mai potuto vedere quelle lacrime scendere sulle sue guance, protette dal buio della notte, lui impedì con tutte le sue forze che trovassero la strada, ricacciandole in fondo alla gola.
Perché piangere era da bambini.

Eppure ogni secondo in più del suo silenzio impotente stringeva quel nodo, ed aggiungeva altro dolore alla straziante sensazione dell’ultima possibilità che gli sfuggiva via rapida dalle dita. Assieme a Joe. Che domani sarebbe partito verso un luogo lontano, e non avrebbe ascoltato la sua risposta mai più. Mai più.

Mai più.

Con quelle due parole conficcate in testa ingoiò l’ultima lacrima, la più amara e salata, per poi ributtarsi a terra con uno scatto furioso, incrociando le braccia al petto e tornando a fissare le stelle. Senza più riuscire a vederle.

E mentre immergeva gli occhi in quel nero senza fondo Arthur pronunciò al cielo una solenne promessa.
Una di quelle che fanno solo i bambini, perché gli uomini sono troppo saggi, e troppo vigliacchi, per poterle mantenere.
Giurò a se stesso che prima o poi avrebbe dimostrato a Joe che aveva ragione, e lui torto.

Avesse dovuto metterci il resto della vita, sarebbe riuscito a provarglielo.

In qualche modo.

 

- Ehi Arthur…

 

Se quella voce non fosse stata la sua, avrebbe subito avvertito ch’era esitante. Carica di un rimorso che lui non riuscì a cogliere, ed al quale replicò con un sibilo feroce, deciso a non arretrare più di un solo passo.

- Mhpf!

- Quanti anelli ha Saturno?

Ma così era impossibile non capire.

Strattonato da quella timida domanda il nodo fermo in mezzo alla gola si sciolse d’un tratto, senza lasciare nessuna traccia di sé.
Ed Arthur distese nuovamente la fronte, tornando a vedere le stelle.

- Quattro mi sembra. O cinque… Sì sono cinque!

Sentì che Joe si muoveva al suo fianco, spostandosi  verso di lui, e all’improvviso un lungo dito affusolato entrò prepotente nel suo campo visivo, indicando un punto nello spazio proprio sopra la loro testa.

- E quella stella che brilla più di tutte le altre, come si chiama?

- Non è una stella. Quello è il pianeta Venere.

Arthur prese un bel respiro, allargò appena le braccia, e disegnò l’ultima grande macchia di verde sulla sua schiena, scivolando verso di lui e premendo la testa contro la sua spalla.
Poi sollevò il suo piccolo indice accanto a quello di Joe, e quelle due dita stagliate contro l’universo improvvisamente furono uguali, perchè entrambe riuscivano a toccare il cielo.

- Per questo brilla più di tutte, e si può vedere da qualsiasi parte della Terra. Le stelle cambiano posto a seconda di dove ti trovi, a seconda del mese e dell’anno. Venere invece sta sempre là, tutte le sere.

Joe ascoltò in silenzio la sua spiegazione, e per una volta non replicò.
Si limitò ad abbassare lentamente il braccio, tornando a posare le dita intrecciate sulle costole.
Ma questa volta non le battè tra loro per scandire il tempo delle sue parole.
Le lasciò riposare sopra il suo petto, l’una stretta all’altra.

- Quindi… guardarla è un po’ come trovarsi nello stesso luogo anche quando si è lontani.

Improvvisamente quel puntino bianco sopra le loro teste sembrò illuminarsi di un nuovo splendore. Una luce talmente intensa da spazzare via tutte le altre, indicando con scintillante chiarezza l’unica direzione da seguire.
E lasciandoli finalmente senza parole, ad ascoltare il ritmo dei loro respiri.

Persi nel cielo abbagliante della loro ultima notte d’estate.

 

- Ehi Joe…

- Mh?

 

- Ma ci devi proprio andare al College?...

 

           - Oh santo cielo Arthur!

 

 

 

 

 

*** *** ***

Questa storia è stata realizzata con la gentile (quanto in volontaria) collaborazione di:

Joseph Joe Bell
alias Sherlock Holmes
Nato il 2 Dicembre 1837 e morto il 4 Ottobre 1911 in Inghilterra.

(Scova l’intruso! Una delle tre foto non è di Bell. Lo riconoscete?**)

&

Sir Arthur Conan Doyle,
alias John H. Watson
Nato il 22 Maggio 1859 e morto il 7 Luglio 1930 in Inghilterra.

(Non ho trovato una sua foto da piccolo purtroppo XD)

 

Note:
1. Anche se sono quasi certa che vi siate chiesti dall’inizio alla fine della storia chi diamine fossero questo Joe e questo Arthur, sono altrettanto sicura che qualunque fan di Sherlock Holmes sappia a quale persona realmente esistita è ispirato il nostro consulting detective preferito.
Joseph Bell fu insegnante di Doyle all’università di medicina, ultimo di una gloriosa stirpe di medici chirurghi, nonché precursore e direi quasi ‘inventore’ della polizia scientifica (R.I.S., C.S.I., e tutti questi amici qui che oggi vanno tanto di moda).
Delle sue straordinarie doti deduttive –sfruttate principalmente per la diagnosi medica- parlano in molti, e lo stesso Doyle era solito ripetere a chiunque glielo chiedesse che tanti aspetti del personaggio nato dalla sua penna erano ispirati al suo maestro ed amico.
Ovviamente ci sono anche infinite differenze.
Sherlock Holmes è Sherlock Holmes, non Joseph Bell.
Così come John Watson non è Doyle, per quanto le similitudini siano a tratti sfacciate.
Eppure -al di là delle ovvie divergenze tra fantasia e realtà- se devo pensare a due persone reali che incarnino nel modo più verosimile Sherlock Holmes e John Watson, non posso far altro che pensare a Joseph Bell e Sir Arthur Conan Doyle.

2. Immagino che a questo punto abbiate capito chi siano questo Joe e questo Arthur che guardano le stelle in una notte d’estate di chissà dove e chissà quando...
Sia ben chiaro: Io non avevo e non ho tutt’ora nessuna idea di quali fossero i veri caratteri di questi due uomini, né conosco i reali termini del loro rapporto. Mi sono limitata a farcirli con i loro alter ego letterari (e nello specifico televisivi) –non credo infatti che Bell abbia mai avuto problemi con l’astronomia XD- senza rinunciare a rimescolare un pochino le carte, giocando sulla differenza d’età e sulla conseguente sproporzione che nella realtà separava ‘Sherlock Holmes’ da ‘John Watson’.
Questo divario marcato sparisce del tutto nei romanzi di Doyle, anche se talvolta a me pare che faccia capolino tra le righe il ‘maestro’ di Sir Arthur, nascosto in alcune frasi, alcuni atteggiamenti, ed un certo tipo di riguardo che secondo me non sarebbero dovuti da Watson ad un uomo più giovane di lui com’è Holmes nel canone (seppur di soli due anni) per quanto intelligente e carismatico esso sia.
Così come nel romanzo la realtà a volte fa capolino nella costruzione letteraria, viceversa nella mia storia è la fantasia a far capolino nella realtà, prendendosi alla fine gran parte dello spazio, perché a dispetto dei nomi che ho scelto per i miei personaggi, la storia che ho raccontato non può in alcun modo essersi svolta realmente. Infatti tra Bell e Doyle correvano ben 22 anni di differenza, e Joe è andato al College svariati anni prima che Arthur nascesse.
Ciò che avete appena letto è quindi una storia ‘impossibile’.
Quel cielo stellato e quella collina si trovano nella Terra di Mezzo tra realtà e fantasia in cui nascono i personaggi quando sono ispirati a persone reali, prendendo qualcosa da loro e qualcos’altro inventando.
Questo è il motivo per cui ho trovato la storia in qualche strano modo ‘adatta’ alla Challenge proposta da MadameButterfly (e potete benissimo NON essere d’accordo con me, sia chiaro XD) al di là dell’ambientazione notturna ed estiva. Perchè quando penso ad Holmes e Watson prima dell’inizio delle loro avventure, mi viene naturale vederli quando erano ‘persone’ e non ‘personaggi’. In un certo senso anzi ritengo che questo sia il modo più esatto di vederli ‘nel passato’, e cioè quando ancora non erano formati nella mente del loro autore.
Scrivere questa storia per me è stato un po’ come affacciarmi timidamente alla sorgente dalla quale sono sgorgati i personaggi che amo, immaginando la loro origine.
Quindi non lasciatevi confondere dal fatto che i protagonisti della mia storia siano molto giovani, considerandolo l’unico elemento adatto a collocarla nel passato. Arthur e Joe potrebbero essere ben più anziani di Holmes e Watson, e paradossalmente il concetto risulterebbe anche più chiaro, perché non ci sarebbe più alcun dubbio sul tipo di passato al quale voglio riferirmi.
Si tratta di quel tempo antico, precedente ad ogni cosa, in cui Sherlock e John si chiamavano ancora Joe ed Arthur.

3. La faccenda di spiriti e fantasmi sulla quale i due bisticciano costituisce un timido accenno alla passione di Doyle per il paranormale, che in età adulta lo vedrà impegnato in sedute spiritiche, ricerche, saggi, e tentativi di dimostrare l’esistenza di una vita oltre la morte, nonché la possibilità di contattare i defunti.
Sir Arthur ha trascorso molto più tempo della sua vita ad occuparsi di loro che di Sherlock Holmes, mantenendo la sua promessa.

4. Gli anelli di saturno sono attualmente arrivati alla ragguardevole cifra di 17 unità, ma molti tra loro sono stati individuati solo negli ultimi anni, grazie alle moderne tecniche d’osservazione dello spazio.

5. A prescindere dal fatto che si chiamasse Arthur oppure John, il punto di vista principale di questa storia è quello di un bambino di dieci anni, che ingigantisce le cose, e vede tutto dalla sua prospettiva, molto spesso banale, vivendo il distacco come un’autentica tragedia. Spero d’essere riuscita a rendere al meglio il fatto che in questa storia non c’è niente di obiettivo a parte le stelle. Tutto è ‘filtrato’ attraverso Arthur e la sua personale –ed ancora infantile- sensibilità, iniziando dal dolore esagerato per la separazione per finire alla stella nel cielo che unisce luoghi lontani.

6. il Titolo! Quasi dimenticavo… La Stella del Mattino (Morning Star)- altresì detta Stella della Sera (Evening Star)- è per l’appunto Venere, che non è una stella, ma è indubbiamente l’astro più splendente del firmamento, e deve i suoi due soprannomi al particolare fulgore di cui fa sfoggio all’inizio ed alla fine della notte.
A dispetto di ciò che dice Arthur Venere non è affatto l’unica ‘stella’ perenne nell’emisfero boreale (il nostro).
Le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore –e di conseguenza le stelle che le compongono- sono sempre presenti nel cielo in ogni giorno dell’anno (per questo quando guardi in alto cerchi sempre quelle… visto che le altre non è detto siano presenti all’appello XD), e l’unico astro che resta immobile nella sua posizione per 365 giorni all’anno è soltanto la Stella Polare, talmente ferma nel cielo da poter essere utilizzata come punto di riferimento per la navigazione.
Mai chiedere nozioni esatte d’astronomia ad un bambino di dieci anni.

 

Che altro dire?… Quest’affare l’ho scritto appositamente per la Speedy Challenge #2 dello SFI -per di più in un solo pomeriggio, la qual cosa è già un evento STRAORDINARIO per me- però non è comunque un’idea nata PER il concorso.
L’avevo in mente già da un po’, decisamente più complicata di così, ed ovviamente più lunga (c’entrava anche Harry Houdini, che fu un altro grande amico di Doyle XD).
Si trattava di una cosa talmente stramba che probabilmente non l’avrei mai scritta, ma quando ho letto il tema della Challenge l’ho trovata (con le dovute interpretazioni) terribilmente adatta, così l’ho voluta buttare giù senza pensarci troppo, visto che non avrebbe comunque mai visto la luce nella sua forma completa.
Mi sono detta: «Via Maria! Proviamoci! Lo so che senti il bisogno di pensare le cose per mesi, rileggerle 5mila volte, e farle lievitare bene prima di scriverle… ma PROVIAMOCI!
Mal che vada non guadagnerà alcun bollino e se ne resterà sepolta in silenzio senza far male a nessuno! (tranne che ai defunti.. XD Mai come in questo momento ho sperato che Joe avesse ragione ed Arthur torto…Se così non fosse stasera sentirò tirare le coperte… XD)»

Ribadisco senza timore d’essere ripetitiva…: Questa è una storia talmente fuori da ogni categoria (RPF? Solo in parte. AU? No, non lo è. Crossover? Forse. Tra realtà e fantasia.) che davvero non mi sentirò né offesa né dispiaciuta se Madame deciderà di escluderla dal concorso.

Mi sono comunque divertita a scriverla! **
E spero che l’idea abbia divertito anche voi!

 

 

Poichè la vita è meravigliosa...
Ecco qui il mio banner onorario conquistato nella suddetta Challenge!
No dico... ONORARIO!**
È Meglio di uno normale dico io! Ringrazio Madame per questo onore. <3
Sempre sempre troppo buona con me.

 

 

 

 

 

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