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Autore: LawrenceTwosomeTime    07/08/2011    0 recensioni
Due ragazzi, una città decadente e l'estate che minaccia di finire troppo presto. La curiosità li porterà in un luogo segreto, un luogo dove alberga il potere più grande.
Genere: Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La marmaglia di marmocchi vocianti turbinava per le vie cittadine come una calamità, lasciando dietro di sé nient'altro che caos e scompiglio.
Era una domenica mattina di fine estate, una domenica tra le tante. Si erano susseguite davanti agli occhi di Tykko come fotografie sempre uguali, fatta eccezione per una progressiva saturazione dell'immagine.
Era un ottimista nato, Tykko. Dove gli altri vedevano istantanee sbiadite, fotocopie sgranate di vite già vissute, lui scopriva particolari nascosti, eccessi, malcelate anomalie che presagivano una deviazione di percorso. Da cui ne deriva che era anche inquieto, insofferente, incapace di godersi i momenti per ciò che erano: momenti, nient'altro.
Quel giorno le strade nuotavano in una coltre di afa, i bidoni straripanti calamitavano calabroni d'etere, e lui non aveva nessuna voglia di trascorrere un'altra domenica a bighellonare senza meta. Si voltò a guardare Nikki, che indugiava sempre a ridosso delle bancarelle ambulanti. Le si accostò.
"Che ne diresti di bigiare la scuola, oggi?"
Continuando a frugare tra le stoffe consunte, lei replicò: "Di quale scuola stai parlando? È vacanza, è domenica, non c'è proprio niente da cui scappare. A eccezione del richiamo liturgico"
Lui appoggiò nervosamente il gomito al bancone, coprendole la luce.
"Lo sai di quale scuola sto parlando"
Lei sollevò gli occhi, che aveva viola come ametiste.
"Ah, capisco. Intendi quella scuola di vita che ci insegna a rubare e raggirare, minacciare e sgattaiolare. Con l'obiettivo finale di sopravvivere, sempre e comunque. Perché mai vorresti rinunciare a una siffatta dottrina?"
"Tu non mi sembri molto interessata"
Ironico a dirsi, la loro banda era capeggiata da un ragazzino più piccolo di loro, tale Timo – delinquente nato, pappone in erba e di erba rivenditore (se così si può definire uno che spaccia dei cardi mutanti colti dietro la discarica per potentissimi allucinogeni).
Oh beh, non se la sarebbe di certo presa, rimuginò Nikki. Poi lo prese per mano e lo guidò nella direzione opposta.
Tykko e Nikki erano sempre stati in buoni rapporti. Si conoscevano come fratello e sorella, ma senza dipendere l'uno dall'altra o considerarsi la fonte dei reciproci guai. A dire la verità, nulla impediva loro di diventare amanti (nella loro città – e più in generale nel loro Paese – era uso comune svezzarsi a vicenda prima della scuola media), ma poi sarebbe insorto l'affetto come una malerba, zavorrando d'impaccio le attività ladresche, e questo avrebbe potuto cementare la loro storiella in un riformatorio statale, ne erano consci entrambi.
Il fatto che nessuno dei due avesse ancora conosciuto l'unione carnale aiutava il loro casto rapporto a rimanere tale.
"E dunque, che vogliamo fare?", chiese lei dopo che ebbero rubato un paio di mela-tuberi e si furono appollaiati sull'unica balaustra ombreggiata da un tendone nel raggio di chilometri.
"Che ne dici di un Ultimo Sangue?"
Ultimo Sangue era, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, un gioco da tavolo che si praticava nelle bische malfamate del quartiere popolare. Si trattava di un malaugurato incrocio tra scacchi, shogi e go, con un ripiano a spirale e pedine di plastica trasparente; solo sfidanti dello stesso gruppo sanguigno potevano competere, perché gli ovali che fungevano da pezzi venivano riempiti con il loro stesso sangue. Chi vinceva si accaparrava le pedine dell'altro, e una trasfusione omaggio.
Tykko non sapeva chi fosse più bravo tra lui e Nikki: in tutti quegli anni l'aveva sempre lasciata vincere.
"No, ti prego, sono stufa di quel passatempo per vegliardi!", stava dicendo lei.
"Strano", disse lui, "a me pare che vada di moda tra i bambini. Ma forse hai ragione… è solo una scusa per far entrare qualcosa di mio dentro di te", aggiunse con una risatina. Lei gli diede un pugno sulla spalla.
Inutile nascondere che loro non erano più dei bambini.
Avevano raggiunto l'età in cui fare la posta a un cane randagio o sbirciare le effusioni dei ragazzi più grandi non appare più così allettante.
Eppure, mentre il sole si alzava in quella torrida giornata di agosto e le zanzare tentavano inutilmente di perforare il rifugio concesso dal telone a strisce blu e arancioni, Tykko meditò sul fatto che lo scorrere del tempo non riguarda gli esseri umani, quanto più il tempo stesso.
Cercò di esprimere il suo pensiero a Nikki.
"Cioè?", disse lei, "Stai dicendo che gli uomini non dovrebbero invecchiare mai?"
"Da un certo punto di vista è così", rispose lui con fare meditabondo.
"Pensaci, esiste un'età per tutto: per le case, per i gatti, per le cucine, per gli aghi da cucito. Ma il Tempo con la T maiuscola rimane qualcosa di intangibile… come se quei frammenti non potessero incastrarsi a dovere"
Lei fece dondolare le gambe, sgranocchiando la patata succosa.
"L'altro ieri ho ricevuto un messaggio sul citolare. Diceva: "Affrettati se non vuoi perdere i maxi sconti ai magazzini Permaglax!". Affrettati... come se non ripetessero la stessa identica offerta tra un mese"
"È di questo che sto parlando. Quando muori, di te non rimane niente (al massimo qualche frammento di pelle, unghie, capelli – ma tanto bruciano tutto, quindi non si può parlare di veri e propri resti). Ma cosa succede al tuo numero di citolare?"
"Lo interdicono?"
"Si, ma prima di quello?"
Lei fece spallucce.
"Rimane un numero. Un numero per chiamare una persona che non esiste più. L'automatismo non cessa la sua funzione, ma a livello pratico - a livello umano - è insensato. E vogliamo parlare della tua casella di posta? L'indirizzo e-mail, il profilo sui vari social network, gli account, i domini, i siti in cui hai lasciato un segno? Sono tracce, tracce che significano qualcosa. E non significano niente"
"Tracce digitali", concluse lei.
Per un po' rimasero seduti senza parlare. Ogni tanto qualche tubatura usurata li punzecchiava con una pioggerella di acqua sporca.
Un volatile mandò un lamento laconico che si perse nelle propaggini di metallo del borgo.
La meridiana incrostata di ruggine spaccò in due la giornata.
A un certo punto Nikki indicò in basso, portandosi l'altro indice alle labbra.
Tykko sbirciò giù, sforzandosi di distinguere le persone dalle macchine. Non c'era nessuno.
No, un momento. Qualcuno c'era. Si trattava dell'unico essere umano sulla stradina. Arrancava sotto il mantello di velluto ossidato, pingue e pallido come un tacchino spennato, sudando e contorcendosi e tremando, quasi lo pervadesse una febbre tropicale.
"Che cosa ci fa qui uno come lui?", disse Nikki rivolgendosi più che altro a sé stessa.
Se lo stava chiedendo anche Tykko. Un parvenu della Cinta Bordata non si sarebbe mai avventurato in quella zona di persona, a meno che non dovesse svolgere una commissione dall'elevatissimo livello di segretezza; o non volesse suicidarsi.
Più per curiosità che per il famelico bisogno di spogliarlo dei suoi averi – un istinto comune, si diceva, a tutti quelli della loro stirpe – lo tampinarono da presso, facendosi largo sui tetti.
Di sotto, tra le vie turgide e intasate come le budella di un grasso animale elettrico, zampettava il tacchino irrequieto; mentre di sopra, sulle assi traballanti e le macilente serrande scrostate, scivolavano due ombre feline.
A un certo punto il ciccione (perché questo era, un otre di grasso) fece qualcosa che li spiazzò.
Era fermo davanti a un vicolo cieco, una montagna di rifiuti così alta e acuminata che solo un disgraziato l'avrebbe eletta a sua dimora. Stranamente, i cocci di vetro e le contorte strutture di metallo di cui era composta parevano intonse, ammonticchiate e apparecchiate a regola d'arte appena un momento fa; era come se emanassero un'intensa fosforescenza sonora, una vibrazione eloquente che feriva le orecchie dei due ragazzi, lassù, sopra i tetti, e probabilmente di chiunque avesse voluto avvicinarvisi.
Incurante dell'emorragia sensoriale, il pasciuto gentiluomo affondò le mani in corrispondenza di due condutture quasi simmetriche. Le ritirò stringendo altrettante leve cromate, forse di bronzo o di un materiale analogo, da cui si dipartiva un groviglio di fili che serpeggiavano nelle profondità dell'oleodotto. Gli tremavano i polsi, ma era impossibile stabilire se a causa del nervosismo o di qualche misteriosa corrente elettrica.
A un mezzo giro sincronizzato in senso antiorario, le manopole si aprirono come coltellini svizzeri, eviscerando due pulsanti gemelli. L'uomo li premette. E il pavimento sotto di lui cominciò a scendere.
Tykko e Nikki si guardarono negli occhi, increduli di fronte a ciò che avevano visto. Prima cercarono conferme.
Poi, consapevoli del fatto che si stavano immischiando in qualcosa di grosso, cercarono la reciproca approvazione.
L'uomo era praticamente scomparso nell'attimo che era occorso ai due ragazzi per calarsi giù dall'edificio, lasciando dietro di sé solo le impugnature snodate; si stavano ritirando nella pila di rifiuti grazie alla trazione di qualche carrucola invisibile.
La botola nel pavimento emanava un'oscurità aliena, più densa della più soffocante canicola estiva, e altrettanto opprimente.
"Saltaci dentro, prima che uno di noi due ci ripensi", disse Nikki fissando ostinatamente la voragine. Tykko eseguì alla lettera, e lei lo seguì a ruota.
Atterrarono sulla botola di poc'anzi, confusi più che allarmati. Stava risalendo. Fecero appena in tempo a capitombolare su un freddo pavimento di cristallo, accompagnati dall'asettico clic del pilastro che si saldava al soffitto. E poi fu silenzio. Un silenzio eloquente.
Flebili neon azzurri crepitavano nello spazio buio intorno a loro. Si cercarono, si toccarono per essere certi di esistere ancora.
In quella cellula gigante priva di suono o temperatura, l'unico punto di riferimento erano i lumi rettangolari. Li seguirono.
Impossibile dire quanta strada percorsero o quanto impiegarono per percorrerla. Fu come quando ci si addormenta con l'ineffabile noncuranza di animali stanchi e un attimo dopo ci si scopre svegli, la mattina seguente.
Forse furono anni, e decine di migliaia di chilometri, ma nello spazio di un subito furono dall'altra parte:entrata e uscita si confusero fino ad annullarsi a vicenda, e seppero di trovarsi dentro una stanza.
C'erano pannelli ambrati rivestiti di intarsi che forse erano parole, accostati in modo da comporre un esagono, o forse un ottagono, o un poligono più complesso.
La libertà di movimento era piuttosto ridotta, eppure la distanza tra i pistoni e le turbine che ruotavano lente, incastonate nel terreno come i circuiti di un primitivo carillon, pareva infinita. Il soffitto a volta, più che estendersi in altezza, gravava con la sua progenie di ingranaggi, predelle e ruote dentate, crepitando sinuoso – neanche fosse fatto d'insetti.
E al centro, spogliato di tutti i suoi averi mortali, galleggiava il galantuomo.
Nikki si strinse a Tykko in un gesto inconsapevole.
A quanto pareva, l'adiposo benestante era stato rimpinzato di tubicini da fleboclisi e infilato in un contenitore sferico dove sciaguattava una sostanza bruna e viscosa.
"Tutto questo non ha senso", mormorò Tykko.
Vincendo la ripugnanza, si sporse oltre la membrana di vetro.
C'era un organo, che per molti versi ricordava anche una monumentale macchina da scrivere; una figura esile e sinuosa, solo vagamente imparentata con la fisionomia umana, si protendeva a percuotere una gorgiera di bottoni, forse scrivendo, forse intessendo le note di una melodia astratta. Con gli stessi gesti metodici, di quando in quando allungava l'estremità affilata per abbassare una rudimentale leva del cambio, forse variando il ritmo dei cilindri (sembravano ruotare sempre alla stessa velocità, né troppo piano né troppo forte), e un registratore di cassa abbarbicato su un fianco del complesso trillava come un tumore sarcastico.
"Non dovremmo essere qui", sussurrò Nikki all'orecchio di Tykko.
Proprio al centro di quel cuore vivo e pulsante, girava con cadenza impercettibile una ruota.
Pur senza capire che cosa c'era scritto, Tykko e Nikki intuirono che le variazioni cromatiche di quell'affresco raffiguravano le stagioni. E tutto ciò che esse comprendevano.
Il misterioso burattinaio – o forse sarebbe più opportuno dire il macchinista – non aveva testa, da ciò si poteva desumere che non avesse nemmeno occhi e, per quel che ne sapevano, organi di senso. Si limitava a lavorare.
Facendo scorrere lo sguardo dal recipiente di vetro al meccanismo, e dal macchinista all'artifizio cronometrico della sua danza, uno spiraglio di comprensione - tuttavia molto lontano da quello che si definisce "presa di coscienza" - affiorò nella mente dei ragazzi.
"Forse è proprio qui che dovevamo trovarci oggi", disse Tykko come se stesse parlando del più e del meno.
"Non ti seguo", gli fece eco Nikki, meditando in cuor suo che lo sapeva perfettamente.
Ma in fondo erano due bambini.
Tykko pigiò uno dei tasti che sorgevano in bella mostra su quel congegno astratto, e la fragilissima architettura del Tempo si ripiegò su sé stessa.
Non vi furono calamità o sconvolgimenti, nulla di eclatante.
Solo, il corpo nella vasca si sciolse. Il robot si fermò. La ruota smise di girare.

La marmaglia di marmocchi vocianti turbinava per le vie cittadine come una calamità, lasciando dietro di sé nient'altro che caos e scompiglio.
Ma questo, solo in potentia.
Tykko e Nikki non avrebbero saputo dire come avevano fatto a uscire da quell'antro. Cercata, la strada si era ritrovata da sé.
Ma la meraviglia era stata grande quando avevano riabbracciato il mondo, il mondo che loro conoscevano da sempre.
Percepivano il calore come un editto sbiadito, una decorazione immortale e insignificante.
Le persone erano immobili, tutto era immobile. Ognuno aveva ritrovato la strada del tempo.
Finalmente la vita si lasciava guardare! Spoglia dall'illusione di continuità, perdurava in un unico, incorruttibile istante.
"È fatta", disse Tykko mentre sedevano sulla loro balaustra prediletta, contemplando il viavai della gente che era un viavai concettuale.
"E nessuno la disferà mai", aggiunse Nikki.
Non dovevano più preoccuparsi, lo sapevano entrambi, del domani. Non sarebbero invecchiati; non sarebbero maturati; non avrebbero avuto sbalzi di umore; né avrebbero dovuto lavarsi.
Lui avrebbe continuato per sempre a desiderarla. Lei a stuzzicarlo.
Non c'era più niente da pianificare, in quell'estate eterna.



  
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