Vuoi che lo ami?
Niente da fare, e a quel punto avrei dovuto averlo già previsto. Non c’era proprio niente da fare, la mia totale ostinazione a non fidarmi dell’esperienza mi aveva nuovamente tradito. Ingannato da un pugno di vanità grondante. Proprio non mi sarei aspettato di traboccare di fastidio al pensiero di lui a letto con qualcuno che non fossi io. L’arroganza, tradita dai suoi alleati, e abbandonata prudeva.
Il cielo, nel frattempo, rischiava di inghiottirmi nelle sue
viscere rosate e ardenti. Mi sistemai gli occhiali sul naso. Il prurito era più
che mai fisico adesso, e rispetto a quello dell’anima aveva il vantaggio di
poter essere respinto con la rapida azione delle mani.
Lei restava leggermente indietro rispetto a me e sembrava
osservare con interesse i miei ciuffi che ondeggiavano tra il rame e l’oro.
“ Possibile che ti dia così noia?” mi disse all’improvviso.
Non si era mossa e a dispetto della domanda, nella sua voce non c’era la minima
traccia di incredulità. La dissimulazione delle proprie intenzioni è qualcosa
di molto semplice per iscritto, e quasi impossibile quando ogni emozione sfocia
con un immenso estuario nell’oralità.
“ Da quanto lo sai?” le chiesi allora io. Sinceramente, la
voglia di reggere il suo gioco scarseggiava. Mentre il sole schiantava i suoi
ultimi riflessi come una maledizione disperata sui piccoli sputi di ghiaccio e
vapore all’orizzonte, la concatenazione degli eventi mi aveva spinto a chiedere
la fine di quella mano di poker.
La sua sospresa si proiettò con tutta la sua forza contro la
mia schiena. Sussultai, e così sembrò fare una della ultime nuvole che
esplodeva di rosso. Il vento suonava le foglie degli alberi come un plettro
inesperto, provocando un’armoniosa dissonanza.
“ Ah… non molto se devo dirti la verità.” rispose alzando lo
sguardo al cielo per non essere influenzata dall’aura onnipotente e nostalgica
che emanavo. “Ti avrei creduto più
attento a queste cose. E poi mi fidavo quando dicevi di aver imparato la
lezione… non so..” rimase qui interdetta. Sorrisi debolmente. Il vento
penetrava i miei vestiti, mi rendeva instabile, incapace di pensare ad un
qualsiasi movimento. Nelle sue parole chiara traspariva l’intenzione sincera di
esprimere affetto e preoccupazione. Temeva di far trasparire delusione e risentimento
nei miei confronti. Ma poteva stare tranquilla, la sua voce non mentiva mai. Il
cielo invece mente spesso. Non si capiscono mai le sue intenzioni.
“ Non mi basta mai “ risposi riassettandomi nuovamente gli
occhiali. La sentii farsi vicina. Che fosse rincuorata dal vento sempre più
forte? Che sentisse la sua anima guidata adesso da una forza superiore anche al
dio in cui credeva? Che vedesse davanti a sé una strada diritta ma sconnessa?
Che adesso avvertisse la necessittà di percorrerla a suo rischio e pericolo? Di
buche e affossamenti, la vita, ne è piena.
Adesso la sua anima mi accoltellava di fianco, senza malizia
e manifestamente. Con affetto.
“ Anche sapendolo” commentò “Voglio dire… non è riuscito a
frenarti? Mi sembra strano ecco, tutto qui.” Sapevo che non aveva finito di
parlare: il suo viso tradiva una smorfia di incompiutezza.
“ Sì, vedi…di solito la gente desiste, sei uno dei pochi che
ho visto così ostinato” disse poi. Sì, si era spiegata bene, e la tranquillità
che adesso mi pervadeva partendo dal coltello piantato nel mio fianco ne era la
chiara prova. La città respirava fuoco e vento mentre noi respiravamo i
rigurgiti di un paio d’anni.
Lei sapeva benisismo che per trovare le parole avrei
impiegato un po’ di tempo. Sarebbe stato un difficile esame per me, e sembrava
tenerci molto. Mi tolsi gli occhiali per ammirare il più magnifico esempio
d’azione. Un cielo che fatica una giornata inetera per bruciare di aulici fumi
solo per un paio di secondi, prima dell’avvento della celatrice.
“ Voglio domare la bestia, mi appartiene. Non ti sembra il
caso che mi diverta un po’ anche io? Siete sempre a rimproverarmi il muso
lungo… “ risposi infine. Quelle parole non furono frutto di un accurato
ragionamento, e non risposi certamente quello che chiunque si sarebbe
aspettato. Ecco però che la vanità crollava, e la consapevolezza delle passate
esperienze si faceva minacciosa e didascalica. Imparavo sempre troppo tardi, e
persevero in questo mio ritardo anche adesso.
Se devo essere sincero, lei non mi sembrò affatto sorpresa.
Non nasconderò neppure quanto questo mi urtasse. Chi stava vincendo nella gara
delle laceranti consapevolezza? Chi faceva maggior sfoggio di camuffata vanità?
Un branco di nuvole sciamava fiammeggiante, e sembrava di
poter salire su quel convoglio vaporoso.
[… Chaque fleur s’évapore
ainsi qu’un incensoir ... ]
Mi tornò in mente un verso di Baudelaire. Forse perché lei in quel momento sembrava evaporare come i fiori della poesia e affidare i suoi pensieri ad un vento proveniente da paesi esotici e lontani. Mi apparve perfetta. Una visione allucinante, e sorrisi. Le avrei affidato l’anima.
“ Torna vivo” eruppe all’improvviso, probabilmente sicura di
svegliare il guerriero assopito.
Lo disse con una dolcezza che descrivere mi sarebbe difficile.
“ Non so se sottovaluti me o sopravvaluti lui…” risposi io
scherzosamente. Ma non troppo. Quello che poteva scaturire dalla mia ultima
risposta era un dubbio tuttaltro che illegittimo. Mi si fece un po’ più vicina,
non mi guardava.
“ Conosco appieno il tuo potenziale, a questo punto hai
dimostrato di essere all’altezza…” rispose.
Già sapeva che un’orchidea così rara non si sarebbe fatta
cogliere così facilmente, ed evitai di ricordarglielo. Già sapeva come la tigre
potesse passare da tigrotto a divoratrice di uomini, ed evitai di
ricordarglielo.
L’orizzonte sembrava tracciato con un pennarello verde ed un
righello. Era una visione talmente artificiale da far pensare che il sole –
adesso circondato dall’ultimo sospiro di un diavolo affranto- non ci si sarebbe
mai tuffato volentieri. Faceva quasi pena a vederlo penetrare lentamente
l’orizzonte, sarebbe venuta voglia di accorrere in suo aiuto e di spezzare le
sue catene.
“ Senza speranza, difficile, alienante. Mi era sembrata una
cosa da provare a tutti i costi…” dissi. Sapevo di essere stato convincente a
sufficienza, ma nonostante tutto sapevo anche che lei se ne sarebbe accorta e
non me l’avrebbe fatta passare. Non mi sopportava quando fingevo totale
sicurezza, sebbene poi avessi tutte le ragioni di questo dannatissimo mondo per
avercela davvero tutta quella sicurezza. Sembravo onnipotente e certo sul da
farsi, secondo molti.
Coltellata al fianco. La vanità si faceva piccola piccola.
La richiusi prontamente nello scrigno dell’arroganza, che a sua volta nascosi
dietro le quinte dell’insicurezza.
“ Fai bene ad aver paura…” rispose sorridendo. Niente da
fare, non volevo imparare. E di questo lei era estremamente felice. Almeno quel
mio ostinato difetto mi avrebbe salvato.
I fiori di ciliegio spazzavano l’aria di profumo e candore.
“ Vuoi che lo ami?” chiesi. Vidi crollare un castello da
qualche parte.
L’ultima immagine che ebbe di me quella sera fu quella di un
ragazzo piuttosto alto che si allontava, vestito di nero. Si stagliava nel
vento con una stabilità artificiosa. Piano piano, fu inghiottito dai fiori e
dalle spirali eoliche.
Sorrise. Il mattino dopo sarebbe stato quello di sempre, ma
avrebbe nascosto nei suoi occhi una forza inimmaginabile, un’ostinazione malata
ed assurda. Avrebbe gridato con lo sguardo.
E soprattutto, sarebbe tornato, avrebbe domato la bestia. Ma
non bastava, ma…
“ Ma uccidilo” sussurrò abbracciando il vento. “Fagli vedere
che per me non è nulla”.