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Autore: Invader_from_Hell    24/02/2004    4 recensioni
Gettarsi in un'impresa impossibile è l'attuale occupazione del protagonista. La ragazza, osserva e commenta, consapevole di essere lei la vera protagonista. Insomma, per chi mi conosce non sarà difficile classificare questo racconto tra quelli che trattano relazioni e amori non esattamente idilliaci. Qui però, c'è qualcosa di più, un particolare subdolo. Il tratto autobiografico è minimo. Se leggete, vi prego, commentate.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vuoi che lo ami

Vuoi che lo ami?

 

Niente da fare, e a quel punto avrei dovuto averlo già previsto. Non c’era proprio niente da fare, la mia totale ostinazione a non fidarmi dell’esperienza mi aveva nuovamente tradito. Ingannato da un pugno di vanità grondante. Proprio non mi sarei aspettato di traboccare di fastidio al pensiero di lui a letto con qualcuno che non fossi io. L’arroganza, tradita dai suoi alleati, e abbandonata prudeva.

Il cielo, nel frattempo, rischiava di inghiottirmi nelle sue viscere rosate e ardenti. Mi sistemai gli occhiali sul naso. Il prurito era più che mai fisico adesso, e rispetto a quello dell’anima aveva il vantaggio di poter essere respinto con la rapida azione delle mani.

Lei restava leggermente indietro rispetto a me e sembrava osservare con interesse i miei ciuffi che ondeggiavano tra il rame e l’oro.

“ Possibile che ti dia così noia?” mi disse all’improvviso. Non si era mossa e a dispetto della domanda, nella sua voce non c’era la minima traccia di incredulità. La dissimulazione delle proprie intenzioni è qualcosa di molto semplice per iscritto, e quasi impossibile quando ogni emozione sfocia con un immenso estuario nell’oralità.

“ Da quanto lo sai?” le chiesi allora io. Sinceramente, la voglia di reggere il suo gioco scarseggiava. Mentre il sole schiantava i suoi ultimi riflessi come una maledizione disperata sui piccoli sputi di ghiaccio e vapore all’orizzonte, la concatenazione degli eventi mi aveva spinto a chiedere la fine di quella mano di poker.

La sua sospresa si proiettò con tutta la sua forza contro la mia schiena. Sussultai, e così sembrò fare una della ultime nuvole che esplodeva di rosso. Il vento suonava le foglie degli alberi come un plettro inesperto, provocando un’armoniosa dissonanza.

“ Ah… non molto se devo dirti la verità.” rispose alzando lo sguardo al cielo per non essere influenzata dall’aura onnipotente e nostalgica che emanavo.  “Ti avrei creduto più attento a queste cose. E poi mi fidavo quando dicevi di aver imparato la lezione… non so..” rimase qui interdetta. Sorrisi debolmente. Il vento penetrava i miei vestiti, mi rendeva instabile, incapace di pensare ad un qualsiasi movimento. Nelle sue parole chiara traspariva l’intenzione sincera di esprimere affetto e preoccupazione. Temeva di far trasparire delusione e risentimento nei miei confronti. Ma poteva stare tranquilla, la sua voce non mentiva mai. Il cielo invece mente spesso. Non si capiscono mai le sue intenzioni.

“ Non mi basta mai “ risposi riassettandomi nuovamente gli occhiali. La sentii farsi vicina. Che fosse rincuorata dal vento sempre più forte? Che sentisse la sua anima guidata adesso da una forza superiore anche al dio in cui credeva? Che vedesse davanti a sé una strada diritta ma sconnessa? Che adesso avvertisse la necessittà di percorrerla a suo rischio e pericolo? Di buche e affossamenti, la vita, ne è piena.

Adesso la sua anima mi accoltellava di fianco, senza malizia e manifestamente. Con affetto.

“ Anche sapendolo” commentò “Voglio dire… non è riuscito a frenarti? Mi sembra strano ecco, tutto qui.” Sapevo che non aveva finito di parlare: il suo viso tradiva una smorfia di incompiutezza.

“ Sì, vedi…di solito la gente desiste, sei uno dei pochi che ho visto così ostinato” disse poi. Sì, si era spiegata bene, e la tranquillità che adesso mi pervadeva partendo dal coltello piantato nel mio fianco ne era la chiara prova. La città respirava fuoco e vento mentre noi respiravamo i rigurgiti di un paio d’anni.

Lei sapeva benisismo che per trovare le parole avrei impiegato un po’ di tempo. Sarebbe stato un difficile esame per me, e sembrava tenerci molto. Mi tolsi gli occhiali per ammirare il più magnifico esempio d’azione. Un cielo che fatica una giornata inetera per bruciare di aulici fumi solo per un paio di secondi, prima dell’avvento della celatrice.

“ Voglio domare la bestia, mi appartiene. Non ti sembra il caso che mi diverta un po’ anche io? Siete sempre a rimproverarmi il muso lungo… “ risposi infine. Quelle parole non furono frutto di un accurato ragionamento, e non risposi certamente quello che chiunque si sarebbe aspettato. Ecco però che la vanità crollava, e la consapevolezza delle passate esperienze si faceva minacciosa e didascalica. Imparavo sempre troppo tardi, e persevero in questo mio ritardo anche adesso.

Se devo essere sincero, lei non mi sembrò affatto sorpresa. Non nasconderò neppure quanto questo mi urtasse. Chi stava vincendo nella gara delle laceranti consapevolezza? Chi faceva maggior sfoggio di camuffata vanità?

Un branco di nuvole sciamava fiammeggiante, e sembrava di poter salire su quel convoglio vaporoso.

 

[… Chaque fleur s’évapore ainsi qu’un incensoir ... ]

 

Mi tornò in mente un verso di Baudelaire. Forse perché lei in quel momento sembrava evaporare come i fiori della poesia e affidare i suoi pensieri ad un vento proveniente da paesi esotici e lontani. Mi apparve perfetta. Una visione allucinante, e sorrisi. Le avrei affidato l’anima.

“ Torna vivo” eruppe all’improvviso, probabilmente sicura di svegliare il guerriero assopito.

Lo disse con una dolcezza che descrivere mi sarebbe difficile.

“ Non so se sottovaluti me o sopravvaluti lui…” risposi io scherzosamente. Ma non troppo. Quello che poteva scaturire dalla mia ultima risposta era un dubbio tuttaltro che illegittimo. Mi si fece un po’ più vicina, non mi guardava.

“ Conosco appieno il tuo potenziale, a questo punto hai dimostrato di essere all’altezza…” rispose.

Già sapeva che un’orchidea così rara non si sarebbe fatta cogliere così facilmente, ed evitai di ricordarglielo. Già sapeva come la tigre potesse passare da tigrotto a divoratrice di uomini, ed evitai di ricordarglielo.

L’orizzonte sembrava tracciato con un pennarello verde ed un righello. Era una visione talmente artificiale da far pensare che il sole – adesso circondato dall’ultimo sospiro di un diavolo affranto- non ci si sarebbe mai tuffato volentieri. Faceva quasi pena a vederlo penetrare lentamente l’orizzonte, sarebbe venuta voglia di accorrere in suo aiuto e di spezzare le sue catene.

“ Senza speranza, difficile, alienante. Mi era sembrata una cosa da provare a tutti i costi…” dissi. Sapevo di essere stato convincente a sufficienza, ma nonostante tutto sapevo anche che lei se ne sarebbe accorta e non me l’avrebbe fatta passare. Non mi sopportava quando fingevo totale sicurezza, sebbene poi avessi tutte le ragioni di questo dannatissimo mondo per avercela davvero tutta quella sicurezza. Sembravo onnipotente e certo sul da farsi, secondo molti.

Coltellata al fianco. La vanità si faceva piccola piccola. La richiusi prontamente nello scrigno dell’arroganza, che a sua volta nascosi dietro le quinte dell’insicurezza.

“ Fai bene ad aver paura…” rispose sorridendo. Niente da fare, non volevo imparare. E di questo lei era estremamente felice. Almeno quel mio ostinato difetto mi avrebbe salvato.

I fiori di ciliegio spazzavano l’aria di profumo e candore.

“ Vuoi che lo ami?” chiesi. Vidi crollare un castello da qualche parte.

L’ultima immagine che ebbe di me quella sera fu quella di un ragazzo piuttosto alto che si allontava, vestito di nero. Si stagliava nel vento con una stabilità artificiosa. Piano piano, fu inghiottito dai fiori e dalle spirali eoliche.

Sorrise. Il mattino dopo sarebbe stato quello di sempre, ma avrebbe nascosto nei suoi occhi una forza inimmaginabile, un’ostinazione malata ed assurda. Avrebbe gridato con lo sguardo.

E soprattutto, sarebbe tornato, avrebbe domato la bestia. Ma non bastava, ma…

“ Ma uccidilo” sussurrò abbracciando il vento. “Fagli vedere che per me non è nulla”.

 

 

  
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