Videogiochi > Final Fantasy VIII
Segui la storia  |       
Autore: Alessia Heartilly    08/08/2011    0 recensioni
"Allora va bene così. Giochiamo a carte scoperte."
In quel momento, Squall non si rese conto del senso nascosto in quella frase, pronunciata con una certa malinconia.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Laguna Loire, Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CARDS
Interludio: Kiros

Vent'anni prima
Il giorno in cui Laguna Loire rimase completamente solo al mondo pioveva a dirotto.

Aveva appena sepolto sua madre, e il cimitero antico di Deling City, con le sue statue bianche e le croci grigie sulle tombe a terra, aveva un'aria sinistra che gli fece capire ancora di più come sarebbe cambiata la sua vita da quel giorno in poi. Non aveva più nessuno al mondo: i suoi genitori erano figli unici, e suo padre era stato travolto da un'auto quando lui aveva solo quattro anni. Era cresciuto solo con sua madre, che non aveva mai voluto risposarsi, e che se n'era andata due giorni prima, ripetendo continuamente di voler essere sepolta accanto al marito che aveva adorato e venerato in quei ventuno anni di vedovanza.

Almeno quello era riuscito a farlo, si trovò a pensare, ma davvero non sapeva come pagare la lapide e le spese funerarie. Doveva trovare un lavoro in fretta, e dire addio ai suoi sogni di giornalista che scriveva su posti esotici e sulle meraviglie del mondo là fuori, verso l'orizzonte, oltre i limiti di Deling, di Galbadia...

Scosse la testa e cercò di concentrarsi su cosa fare. Per prima cosa, credeva, doveva portare gli articoli di prova alla redazione di Timber Maniacs; aveva pensato di andarci di persona, quando li aveva scritti pieno di entusiasmo, ma adesso il pensiero di uscire per strada, in mezzo alla gente, con il cuore gonfio e pesante di dolore, gli dava quasi la nausea. Sarebbe stato meglio andarci di persona, certo, ma con che soldi avrebbe pagato il biglietto del treno? Poteva spedirli, avrebbe speso meno... e poteva sperare che andasse bene comunque.

Incurante della pioggia che gli incollava i capelli al viso, Laguna percorse la via principale di Deling, quell'enorme strada affiancata da alberi che tagliava in due la città. In quei giorni, quando la pioggia era fitta, pesante e sembrava quasi pizzicare la pelle, Deling City diventava diversa, aveva un'aria quasi mattutina. Era stato scrivendo uno degli articoli di prova che aveva scoperto che a Deling City non esistevano giornate terse. Sulla città, probabilmente per via del Pianto Lunare di ottant'anni prima e del riassestamento della terra in seguito a quell'evento, c'erano sempre ammassi di nuvole grigi e densi, che agli occhi degli umani facevano sembrare che fosse sempre notte. Non ricordava un raggio di sole a Deling - per lui il sole era stata una scoperta infantile e morbida, come far scivolare la penna sul foglio e sapere che cosa stava scrivendo - saperlo sulla pelle, negli occhi. Saperlo davvero.

A Deling City è sempre notte, aveva scritto in quegli articoli. Ma quando piove, e sembra che le nuvole si slavino, man mano, che si schiariscano, quasi, allora la città diventa diversa, e sembra di osservarla attraverso una nebbia, un velo di acqua che ricorda quelli delle spose. E allora si ha l'impressione che possa esistere anche qui una specie di luce - filtrata, e sempre ombrosa, ma comunque una luce, ed è un po' come potersi alzare e pensare che sta albeggiando.

Gli piaceva scrivere.

Era un peccato pensare che non avrebbe potuto farlo più.

Svoltando a destra per immettersi nel viale commerciale, vide un enorme cartellone pubblicitario con la faccia di Vinzer Deling atteggiata ad un sorriso condiscendente, che richiamava i cittadini maschi alle armi per poter stabilire il giusto dominio di Galbadia sul continente e sul mondo. Il viso di quell'uomo era in grado di dargli sempre i brividi, e l'idea di diventare un soldato non gli piaceva poi molto... ma che cosa gli rimaneva da fare? Era solo. Doveva badare a se stesso, e l'unica cosa che sapeva fare bene era scrivere, più o meno, ma non riusciva a farne un lavoro. E allora che cosa c'era di meglio di quello? Il dominio sul mondo. I viaggi, le missioni, le scoperte... e poi avrebbe scritto del suo vagabondare per il mondo.

D'altra parte non c'era nulla che lo trattenesse a Deling City.

Seguendo le indicazioni sul cartellone - e sugli svariati altri annunci sparsi lungo il viale - arrivò ad un incrocio. Si guardò intorno, grattandosi la nuca per cercare di capire dove andare; lui aveva uno scarsissimo senso dell'orientamento, e si era perso più di una volta nella sua stessa città. Alla sua destra vide una fila di uomini in attesa, e si avvicinò.

"Ci si arruola qui?" chiese all'ultimo della fila.

Quello grugnì un assenso e incrociò le braccia. Laguna capì immediatamente che non era un tipo socievole. Si dispose ad attendere, appoggiandosi contro il muro, per allontanarsi subito dopo quando lo sentì umido e freddo. Non c'era nulla, quel giorno, che sapesse un po' di calore. Non gli serviva molto - gli sarebbe bastato un fuoco, una minestra fumante, magari nel brodo di pollo che sua madre sapeva fare così bene.

Da dentro la stanza, una voce gridava "il prossimo!" a intervalli brevi e regolari. Laguna pensò che quasi sembrava che nemmeno li esaminassero, i candidati all'arruolamento - li guardavano e così stabilivano che andava bene. Dritto di fronte alla stanza in cui avveniva il frettoloso reclutamento, c'era una locanda dall'aspetto alla mano. C'erano tendine a quadretti bianchi e rossi alle finestre, e dalla strada principale si riversavano frotte di lavoratori che avevano chiuso i negozi del centro commerciale per la pausa pranzo.

"Il prossimo!"

In un vicolo umido e buio di Deling City è possibile trovare un posto che sa di passato, quasi di casa. Quando si apre la porta di questo locale esce un sapore di caldo e di buono, consolante per chi si trova in strada, sotto la cappa nuvolosa di pioggia che opprime ogni giorno la città.

In posti come questo-

"Il prossimo!"

In posti come questo la città si riversa, quando i negozi si chiudono. I turisti preferiscono i posti più eleganti, più importanti, quelli da cui si ammira la via commerciale, o magari il grande Arco di Trionfo. Ma noi cittadini preferiamo questi posti, dove possiamo trovare un po' del sole che gli altri sentono sempre sulla pelle ogni giorno, e che noi invece aspettiamo per mesi, a volte anche per anni.

Aspettiamo la pioggerellina, e quando capita, e camminiamo lungo le strade della nostra città verso la nostra locanda accogliente, e calda, allora per noi è come essere sotto al sole.

"Hey, ti dai una mossa?"

Sbatté le ciglia; toccava a lui. Borbottò una scusa e si fiondò nella stanzetta.

"Nome?" chiese l'ufficiale dietro la scrivania. Accanto a lui, un ragazzetto di sedici anni forse scribacchiava in fretta su dei moduli.

"Laguna."

"Cognome?"

"Loire."

"Età?"

"Venticinque."

"Altezza?"

"Un metro e ottantuno."

"Peso?"

"Ottanta chili."

"Gruppo sanguigno?"

"B."

"Arma?"

"Machine Gun."

"Di là c'è la tua divisa. Il prossimo!"

Laguna se ne andò con la sensazione di essere una semplice inutile pedina sacrificabile.

Entrò nella stanza che gli era stata indicata, e un uomo dall'aspetto burbero lo squadrò e gli mise in mano una divisa che, a colpo d'occhio, riteneva fosse della taglia giusta. Poi lo spinse avanti - dietro di lui c'era già il candidato successivo che doveva ritirare la divisa - e un altro soldato, in una stanzetta piccola e umida che odorava di muffa, gli cacciò in mano una cartellina e gli abbaiò l'ordine di compilarla tutta e in fretta. Laguna scribacchiò quello che gli veniva chiesto - recapiti, uno solo, in un palazzone grigio di periferia da cui si vede l'Arco di Trionfo da una parte e il Cimitero Monumentale dall'altro, parenti prossimi - nessuno che l'avrebbe pianto, nessuno che avrebbe sentito la sua mancanza, chi contattare in caso di bisogno - nessuno.

Eccola lì, su un foglio a righe verosimilmente strappato da un quaderno, la sua più completa solitudine.

L'uomo ritirò la cartellina che Laguna a malapena aveva finito di firmare, e infatti la penna sembrò sbavare, e fece un gesto da imbranato totale per trattenerla. Persino lui se ne accorse. Il soldato sbuffò grugnendo e gli ficcò in mano una busta.

"I tuoi ordini," abbaiò. "Tra quattro ore presentati qui. Il prossimo!"

*~*~*~*~*

Quattro ore dopo e innumerevoli giri in tondo per ritrovare quella caspita di via, Laguna si presentò con addosso la sua divisa e la busta degli ordini in mano.

Sembrava che dovesse fare una semplice missione di ricognizione; lui e altri tre compagni avrebbero dovuto dirigersi verso Timber, e scandagliare parte delle fitte foreste che la circondavano per individuare punti d'accesso per l'esercito. Aveva sbarrato gli occhi quando aveva visto la paga extra che avrebbero avuto per eseguire gli ordini: gli sarebbe bastato per il funerale, la lapide e se voleva anche per risistemare un po' la sua casa, che aveva bisogno di un po' di manutenzione.

Si affrettò ad accodarsi alla fila, grattandosi il braccio cercando di non darlo a vedere; la prima spesa che avrebbe fatto con il suo nuovo stipendio sarebbe stata far lavare quella dannata divisa, che gli prudeva in posti che nemmeno aveva saputo di avere, quattro ore prima.

I nomi venivano strillati dallo stesso stanzino dove si erano sottoposti a quella sommaria verifica, la mattina, e si affrettò a presentarsi quando udì il suo. Imitò il saluto militare che vide fare ad altri soldati che erano lì con lui - nessuno glielo aveva insegnato - e si dispose ad ascoltare i comandi sbirciando i suoi compagni.

C'erano due ragazzi anonimi, poco più giovani di lui, con i capelli neri tagliati a spazzola. Indossavano anche loro una divisa blu come la sua, tenevano il casco sotto braccio e sembravano usare dei fucili. Era l'altro però a colpirlo particolarmente, fin dal suo aspetto. Era un uomo imponente, che lo sovrastava di quasi dieci centimetri; valutò che sfiorasse i due metri. Aveva la pelle scurissima, segno che proveniva da una delle tribù nomadi del deserto di Centra; portava i capelli corti, ma aveva una serie di treccine fermate da perle colorate. Due ciocche ribelli gli sfuggivano a incorniciargli il viso, e ogni movimento era sottolineato dal tintinnare dell'orecchino lungo che portava. Aveva una cintura intorno alla vita a cui aveva appeso due pugnali; la sua arma di combattimento?

L'ufficiale disse loro di dirigersi immediatamente a Timber. Uno dei due ragazzi anonimi ebbe il comando della missione, e dopo un altro saluto militare frettoloso e un po' imbranato, i quattro si spostarono in strada. Il caposquadra disse che avrebbero preso una macchina e lanciò le chiavi all'uomo scuro perché guidasse lui.

Il viaggio si svolse praticamente in silenzio, salvo qualche inutile tentativo di Laguna di fare conversazione. Era particolarmente interessato a quel ragazzo enorme e misterioso; sembrava di poche parole, guidava con cautela, ma anche abbastanza velocemente. Raggiunsero Timber che oramai stava calando la sera, ma ai suoi occhi di nativo di Deling City sembrava che fosse ancora giorno.

A Timber, le giornate sono verdi. La città si trova proprio in mezzo alle foreste, e queste sono così folte e lussureggianti che gli edifici bianchi sembrano luccicare come foglie rivolte al sole.

Passare da Deling City a Timber è come addormentarsi la sera, con il buio e l'inverno, e svegliarsi poi la mattina alla luce chiara della primavera.

E anche solo cercare Timber è una scoperta. Bisogna inoltrarsi nella foresta, dove vivono tutte le speci possibili di animali e mostri, attraversare ruscelli, lasciarsi guidare dal rumore dell'acqua, e all'improvviso i cancelli appaiono come dal nulla, come una città di favola che si presenta al viaggiatore, e si lascia visitare come premio per l'ardua ricerca.

"Bene," disse il caposquadra quando scesero dalla macchina. "Noi due," disse indicando se stesso e l'altro ragazzo anonimo, "andremo ad est e perlustreremo quella zona. Voi prendete la parte di ovest. Dobbiamo fare un giro completo, quindi ci incontreremo dall'altra parte."

Laguna si grattò la testa. "Se ci fosse bisogno di contattarsi?"

L'altro scollò le spalle. "Fischiamo, dovremmo riuscire a sentirci."

Stavano già per andarsene quando Laguna intervenne di nuovo. "Ma se ci fossero problemi, non dovremmo almeno sapere i nostri nomi? Io sono Laguna..."

"Wedge," disse uno dei due ragazzi.

"Biggs," disse l'altro.

L'ultimo incrociò le braccia. La sua voce era profonda e un po' arrochita dal silenzio quando finalmente parlò. "Kiros."

Gli altri due oramai se ne erano già andati. Laguna si grattò la testa, poi picchiò il pugno contro il palmo dell'altra mano e disse con fare convinto, "va beh, non ha importanza. Chi fa da sé fa per sé!"

Kiros lo guardò piegando la testa, con gli occhi vagamente sbarrati. "Vorrai dire 'fa per tre'." Dall'espressione che gli rivolse Laguna, capì che era meglio spiegarsi. "Il proverbio dice 'fa per tre'. Non 'fa per sé'. Cosa vorrebbe dire altrimenti?"

Laguna si grattò nuovamente la testa. "Ehm... a volte confondo i proverbi..."

Kiros scosse la testa allargando le braccia. "Muoviamoci, o non finiremo più."

*~*~*~*~*

La macchina li sballottava da una parte all'altra.

Wedge non sapeva guidare bene quanto Kiros; andava veloce e cambiava le marce con troppo scatto, facendoli sobbalzare ogni volta. Biggs russava con forza dal sedile accanto a lui, e rimanevano solo lui e Kiros, a cui era stato concesso di fare il viaggio sul retro della macchina, dove si stava più comodi.

Kiros aveva gli occhi chiusi, e un braccio piegato a coprirli, ma il suo respiro rivelava che non dormiva; Laguna non vedeva l'ora di arrivare a casa e levarsi quella divisa che gli dava prurito in anche più posti, ora che la missione lo aveva fatto sudare da maledetti. C'era anche un'altra cosa; aveva insistito perché Kiros lo seguisse quando si era detto convinto che 'da quella parte c'era la strada giusta', ma dopo aver girato in tondo un'ora Kiros gli aveva chiesto se adesso aveva finalmente capito che aveva un senso dell'orientamento a dir poco scarso, e che quindi era meglio ascoltare lui, che tra i due era di sicuro quello che capiva dove dovevano andare. Laguna aveva incrociato le braccia annunciando, fiero, "meglio sano ma lontano!" ma Kiros lo aveva corretto un'altra volta. Sembrava che oltre ad aver poco senso dell'orientamento avesse anche una pessima memoria per i proverbi.

Il che era una cosa piuttosto ridicola, se si pensava che i proverbi erano fatti così proprio per essere ricordati.

"Kiros?" disse esitante, a voce bassa come per non disturbarlo.

L'altro si tolse il braccio dagli occhi e si voltò lentamente a guardarlo.

"Mi dispiace di averti fatto perdere un'ora."

Kiros scrollò le spalle, e poi si sollevò su un braccio e si voltò a guardarlo. "Hai un pessimo senso dell'orientamento, spero che tu lo abbia capito."

Laguna ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca. "Sì, beh..."

Ci fu un momento di silenzio, fino a quando Kiros, piegando la testa in un gesto che, come aveva capito Laguna, significava curiosità, gli chiese, "che ci fa uno come te nell'esercito?"

Il sorriso scomparve. In quel momento, la dolorosa consapevolezza che sua madre aveva lasciato per sempre quella terra lo punse da dentro, e una smorfia gli contrasse il viso. Inghiottì un groppo che gli serrò d'improvviso la gola, e schiarendosi la voce iniziò a cercare di rispondere. Solo che poi si trovò a non avere le parole per farlo.

Kiros lo guardò un momento, come perplesso, e poi decise di rispondere lui per primo. "Io vengo da Centra," iniziò, confermando i sospetti di Laguna. "Sono in pochi a saperlo, ma ci sono alcune tribù che vivono nel deserto. Io faccio parte di una di queste. Un mese fa..."

La voce si spezzò anche a lui. Laguna pensò che, evidentemente, avevano tutti i due spinte dolorose nel petto, ricordi che avevan fatto venire loro la voglia di andare lontano, in un posto dove si potesse dimenticare il dolore.

Ma esisteva, un posto del genere?

"Un mese fa," riprese Kiros, coricandosi di nuovo sui sedili, facendo tintinnare l'orecchino e le perline che portava nei capelli, "la mia tribù è stata attaccata. Siamo gente pacifica, ma non tutte le tribù del deserto lo sono. Abbiamo cercato tutti di difenderci il più possibile, ma..."

Silenzio.

"Non è servito?" chiese a bassa voce Laguna.

Kiros scosse semplicemente la testa. Ci fu un altro lungo silenzio, e poi si schiarì la voce per terminare, "mia moglie è stata uccisa nell'attacco. Questo," continuò toccandosi l'orecchino, "era il regalo di nozze. Lo porto con me per ricordarmi sempre di quanto non sono stato capace di difenderla. Sono entrato nell'esercito per questo. Ogni persona che riuscirò a difendere, così... sarà un omaggio per lei."

Laguna annuì.

"Ho sepolto mia madre questa mattina," iniziò a raccontare. "Mio padre è morto più di vent'anni fa. Lei era l'unica persona che avevo al mondo, non ha mai voluto risposarsi e io ero l'unico figlio." Si fermò, come vergognandosi delle sue motivazioni puramente economiche, di fronte a quelle morali di Kiros. "Vorrei fare il giornalista," scelse di dire infine. "Vorrei viaggiare per il mondo, descrivere quello che vedo, per le persone che passeranno da quei posti dopo di me, e per quelle che invece per vari motivi non potranno passarci. Ma non è semplice e..."

Kiros non diede a vedere di voler intervenire.

Laguna estrasse la sua medaglia militare, su cui sua madre aveva fatto incidere il suo nome e la sua data di nascita, e una dedica sul retro in occasione del suo diciottesimo compleanno. "Questa," disse sollevandola perché l'altro la vedesse, "è stato un suo regalo. Mi ha scritto una dedica dietro, a nome suo e di mio padre. Quando l'ha fatto, lui era morto da quasi quindici anni." Accarezzò con il pollice l'incisione, rivivendo l'emozione di due genitori che gli parlavano come una coppia che va oltre la morte, che va oltre le barriere fisiche per spaziare in quelle dell'infinito. "Le mie motivazioni sono... economiche. Mia madre aveva praticamente un unico desiderio, essere sepolta accanto a mio padre. E voglio realizzarlo, per loro. Mi vergogno di dire che lo faccio per i soldi, ma..."

"Non lo fai per i soldi," lo interruppe Kiros. "Lo fai perché lo spirito di tua madre possa riposare accanto a quello di tuo padre."

"Tu pensi?" chiese Laguna, poco convinto, infilando di nuovo la sua medaglia nella maglia della divisa.

"Lo vedo nei tuoi occhi," rispose Kiros, e lo sguardo che gli rivolse parve arrivargli fin dentro l'anima. Forse era vero quello che si diceva delle tribù del deserto, forse era vero che sapevano leggere le motivazioni più profonde delle persone, interpretare i silenzi, parlare con gli sguardi.

"Mi piacerebbe essere tuo amico," disse Laguna.

"Piacerebbe molto anche a me, credo."

*~*~*~*~*

Carissimi lettori di viaggio,
in verità, io non ho sempre fatto il giornalista. Una volta, prima di iniziare a raccontarvi dei posti che ho visitato e delle genti che ho conosciuto, sono stato un soldato dell'esercito.
La mia prima missione partiva da Deling City, in una giornata buia, fredda e piovosa, una giornata in cui la mia vita era piuttosto triste, di quelle giornate su cui il destino piazza un segno e fa in modo che su di noi rimanga una bella cicatrice, per ricordare quella data, quel dolore. Entrai nell'esercito perché non potevo fare il giornalista, ma volevo comunque vedere il mondo. Era un passo sulla strada del mio sogno, ma allora mi sembrò un triste ripiego per un ragazzo triste.
Andammo a Timber. A quei tempi Timber non era nuda come lo è adesso: a quei tempi Timber non andava solo visitata, andava cercata. Se adesso vi avvicinate a Timber, potete ancora vedere una parte delle foreste che la circondavano quando io ero un giovane soldato alle prime armi: quelle foreste una volta si estendevano su quasi tutto il continente, e da una parte si arrivava al Lago Ober, che era già abitato dall'ombra, e dall'altra si aprivano i cancelli della città di Timber. Si diceva che quando si andava lì, non si conosceva la data del proprio ritorno, perché la foresta inglobava viaggiatori a suo piacimento, e con i suoi rami guidava alcuni al Lago, e altri alla città, che appariva magica, eterea, onirica. Era pietra bianca e azzurra in mezzo al verde, e quando si arrivava era difficile distinguerla dal cielo e dalle nuvole. Alcuni dicevano che la foresta inghiottiva gli impuri, ma consegnava la città ai puri di cuore.
Per altri, invece, era solo un capriccio del destino.
Ma Timber era comunque un'apparizione a chi vagava nella foresta, e questo ha sicuramente nutrito tutte le leggende sul suo conto.
Timber conserva ancora, nella sua architettura, le tracce della sua storia di città magica della foresta, con i suoi edifici e negozi fatti di pietra, e quella di città occupata da Galbadia, più moderna ma così meno leggendaria, più prosaica. Non ci sono più foreste, a Timber, ed entrare con il treno non è come vederla avvolta nel fresco degli alberi e nella nebbiolina che saliva dalle decine di ruscelli. Ma chi l'ha vista a quei tempi serba un ricordo indelebile di quell'impressione, dell'istante in cui la città si è aperta per accoglierlo.
Io la vidi la prima volta in quell'occasione. Ero un giovane soldato, un po' imbranato, alla sua primissima missione, e fu grazie a quella giornata dal destino che conobbi insieme il dolore e l'amicizia. Ebbi la fortuna di passare la mia giornata con un uomo dallo spirito indomito, forgiato dal deserto. Proveniva da una tribù del deserto di Centra, e nella mia mente l'immagine di Timber che sorge dalla foresta si mescola al tintinnare delle perline che aveva nella pettinatura tribale e dell'orecchino lungo, ricordo di una persona che ha lasciato questa terra troppo presto. Sono due apparizioni ugualmente magiche nella mia vita, la città e quell'amicizia inaspettata, trovata senza cercarla in una missione che faceva da preludio a una guerra.
Quel viaggio mi permise di essere testimone, oggi, di un'immagine che non esiste più, e che noi possiamo solo tramandare con parole inadatte, e sempre troppo deboli. Ma forse, la città che mi si consegnò nella sua bellezza mi svelò anche il suo segreto: che i puri di cuore non hanno bisogno di parlare per essere capiti. Basta guardarli per saperli accogliere, come faceva la città con i suoi edifici scintillanti nella luce che filtrava dalle foglie, una luce verdastra che sapeva di acqua.
Che strano, adesso che ci penso: a Deling City è sempre notte, e si fa chiaro solo quando piove, e l'acqua riesce a farsi strada tra gli ammassi di nuvole spinti sulla città dal vecchio pianto lunare. Anche lì, allora, la luce sa di acqua, ma di acqua scura, quelle delle profondità marine. A Timber invece la luce era trasparente come un ruscello.
Quel viaggio mi rese testimone di svariati miracoli, che solo oggi, a vent'anni e più di distanza, so riconoscere.
Il miracolo della luce del sole, che un cittadino di Deling City non dà mai per scontato.
Il miracolo della natura, con la sua foresta fitta, fresca e viva.
E il miracolo dell'amicizia, che è tanto più bella quanto più è inaspettata.
RJ

*****
Nota dell'autrice: ed eccoci con la seconda parte. Forse da qui capite già come sarà strutturata la storia, ma in ogni caso ve lo dico; ci saranno capitoli ambientanti nel "presente", con le regole delle carte a far di titolo ai capitoli, alternati a interludi nel "passato", che di fatto rappresentano la storia di Laguna.
Ho consultato la pagina di Laguna e quella di Kiros sulla Final Fantasy Wikia, ma qualsiasi cosa che non sia reperibile lì è frutto della mia invenzione (in pratica, tutto XD).
Spero che l'idea vi piaccia... e sappiate che il prossimo capitolo è per tre quarti pronto :)
Come al solito, vi lascio il link al post in cui risponderò ai commenti (anche se, dove possibile, risponderò direttamente sui siti) e vi saluto con la promessa di un prossimo aggiornamento rapido :D – Alessia Heartilly

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VIII / Vai alla pagina dell'autore: Alessia Heartilly