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Autore: Natalja_Aljona    09/08/2011    3 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Note


Cambio di programma.

Il capitolo shtormiano a cui avevo accennato ieri è bell'e pronto, e lo posterò presto, ma questo...questo ha la precedenza su tutti.

E' in assoluto quello a cui tengo di più, quello di cui vado più fiera, indiscutibilmente.

Ci tengo quasi quanto tengo alla storia intera, a questo capitolo novantaquattro.

Nella prima versione di Sic Volvere Parcas era il capitolo dodici, e l'ho scritto esattamente tra il 16 e il 17 Marzo.

L'avevo pubblicato anche come Missing Moment, ma adesso ho trovato il momento perfetto della storia in cui incastrarlo, ho modificato alcune cose, ho sistemato tutto, o almeno spero. ;)

Questa è la notte prima del duello, la notte del 4 Maggio 1838, ma è anche il 27 Febbraio, il giorno del compleanno di Natal'ja e George.

E' la notte in cui si scopre l'ultima carta, l'ultima Moira, e poi si potrà veramente dire Sic Volvere Parcas.

Lachesi, che tesse il filo del Destino. Lachesi, che personifica il Destino stesso. Lachesi, una figura mitologica che adoro.

L'ultimo sottotitolo del capitolo è una citazione da “Tu Italia” di Riccardo Cocciante, mentre “Improbe Amor”, dal latino “Spietato Amore”, è l'inizio di una citazione dell'Eneide (Virgilio) che troverete per intero a fine capitolo.

I dannati anticonformisti di questo capitolo sono più che mai Natal'ja e George, non c'è altro da dire.

Più coerenti di così con la loro incoerenza non lo sono mai stati.

Insomma, spero davvero davvero che vi piaccia. ;)

A presto! ;)

Marty


Altre note:


Filottete: Eroe greco che uccise il troiano Paride con una pioggia di frecce, le frecce avvelenate donategli da Eracle.

Tunica di Nasso: secondo il mito greco, era la tunica avvelenata che causò la morte di Eracle tra agonie ed atroci tormenti.
"Mou zoí" (greco): Letteralmente "La mia vita", ma in questo caso "Vita mia".

"Il grande Vic": Victor Hugo, nato appunto il 26 Febbraio 1802, un giorno prima di George e Natal'ja (27 Febbraio 1821-1825). George e Natal'ja sono, in effetti, gli unici squilibrati che chiamano Victor "Vic" o "Vicky" oltre a me. ;)

Infandum, regina, iubes renovare dolorem (Eneide, Libro II): Tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore.

Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis! (Eneide, Libro IV): Spietato amore, a quali mortali peccati non costringi!


Novantaquattro

Ventisette Febbraio

Come vuole il Destino, senza chiederlo a noi

Lachesi - Improbe Amor


What I feel, I can't say

Quello che sento, non posso dirlo

(What is Life, George Harrison)


Sparta, 4 Maggio 1838



-Nessuno mi ha chiesto di ballare, sai?-

George esitò prima di rispondere. Doveva ancora capire come mai Luce gli stesse raccontando vita, morte e miracoli degli invitati del ricevimento a cui aveva partecipato l'anno prima, doveva ancora capire tante cose.

Voleva essere sicuro di aver lasciato trascorrere la quantità di secondi necessari per cancellare dal suo viso ogni traccia di esultanza e sollievo.

Non finse dispiacere, non gli sarebbe riuscito affatto bene. Sarebbe stato inutile.

Inarcò appena le sopracciglia, distogliendo lo sguardo dal sasso che aveva preso ad osservare con esagerata insistenza.

Era un bel sasso, però.

Scosse la testa. Era un pensiero talmente stupido! Possibile che per dissimulare si fosse messo a passare in rassegna i sassi del giardino? Possibile eccome.

-Proprio nessuno?- chiese con estrema cautela, smettendo finalmente di pensare al sasso.

-Cera un ragazzo, insomma, non proprio un ragazzo, doveva essere poco più giovane di mio padre, che forse me lavrebbe anche chiesto, ma prima ha voluto sapere quanti anni avessi. Vuoi sapere una cosa? Quando glielho detto, è praticamente scappato via-

George sospirò, prendendole la mano sinistra e appoggiandosela sul ginocchio.

-Ti dirò, amica mia, questo signore non è stato affatto giusto con te. Hai quasi quattordici anni, non sei proprio una bambina. Sei qualcosa di più. Sei quasi una ragazza-

-Ma tu ci balleresti, con una quasi ragazza?-

-Non potrei, e lo sai bene, dal momento che non so ballare. Ehi, ma tu non sei una quasi ragazza qualsiasi! Tu sei sempre stata una sorprendente quasi ragazza, a dir la verità. Tu sei nata il ventisette Febbraio, un giorno dopo il grande Vic. Sai quante persone sono nate quel giorno? Due soltanto. Solo i Migliori-

Luce abbozzò un sorriso.

-Crepi la modestia, mi raccomando-

-Modestia? Oh, non credo di averne mai avuta. Non che questo costituisca un particolare problema. Io sono nato a Spárti, qui non cè tempo di farsi tanti complessi-

-Non per niente sei un esibizionista-

George incassò il colpo.

-Non per niente-

-A dirla tutta, con le armi non sei un granché. Eppure sei un Eroe. Almeno quanto Ettore domatore di cavalli, Aiace rocca degli Achei e Achille piè veloce. Perché i tuoi sogni, il tuo coraggio, non li raggiunge nessuno. Sei come un fuoco dartificio, che esplode di mille luci e colori, lascia sempre un bel ricordo, ma non lo puoi stringere tra le mani. Mai per davvero- Luce sorrise lievemente. George era il fuoco dartificio più luminoso e distruttivo che avesse mai conosciuto.

-Puoi tenerlo in mano per un secondo, alla fine sulla pelle rimane solo il colore del sangue. Ha un cuore tagliente come la lama di un oplita, batte troppo forte o troppo lento, e prima o poi, con estrema incoerenza, fa fermare il tuo-

-Tu assomigli di più a un colpo al cuore. Che saresti stata una quasi ragazza memorabile, già si sapeva. Fai male in uguale misura a quanto fai bene. Hai un orgoglio che ferisce, tu stessa sei stata ferita dal tuo orgoglio, ma non impari mai. Hai una caparbietà da denuncia, una fantasia che uccide, una fermezza di pensiero che farebbe impallidire una scogliera. Sai cosa succede se vai contro una scogliera? Come minimo ti ammazzi. Tu uccidi piano, con astuzia. Sei una freccia di Filottete scagliata nel petto, sei come la tunica di Nasso. Sei una maledettissima ribelle. Sai una cosa, Lucy? Sei una disgraziata- George la guardò, poi sorrise.

-Però ti fai volere bene. Sarà perché il più delle volte sono più disgraziato di te, sarà anche per questo. Sarà che di colpi ne ho presi di molto più violenti, a Sparta, e tu assomigli di più a una carezza. Non una carezza dolce, però. Una carezza che a volte strappa la pelle, ma pur sempre una carezza d'amore. Sì, più d'amore che d'altro- si guardò intorno per una manciata di secondi, poi scosse la testa, ridendo e stringendosi le ginocchia al petto.

-Oh, che dichiarazione cretina. Peggio ancora di quella che avevo immaginato-

-Stai facendo tutto da solo, lo sai?-

-Sì, lo so. Credo di averlo messo in conto-

-Sai? Mi sa che sei più matto che disgraziato-

-La tua invece è proprio una caratteristica radicata-

-E della mia dichiarazione non dici niente? Che delusione-

-Chiamala dichiarazione! Però è stata carina-

-Cosa ti aspettavi? Che ti buttassi la braccia al collo giurandoti amore eterno? Che poi, a pensarci bene, sarebbe stato anche meglio-

-Per carità, da stamattina ho un torcicollo invidiabile. Anche perché poi, se rifletti, tu amore eterno me lo giuri ad ogni sguardo. Anche con quelli più obliqui che mi lanci-

-Si capisce. Sei bello quanto cieco, su questo cè poco da fare-

-Comunque era sottinteso: se mi abbracci, magari, il torcicollo mi passa-

-Hai una filosofia talmente contorta, Georgie, che già che ci sono ti abbraccio due volte. Con una te lo faccio passare, con laltra magari ritorna-

-Sei una strega, ma provaci lo stesso. Peggio di così-

L'abbracciò e George le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia.

Lei gli sputò in un occhio, per poi voltargli le spalle.

Per sbaglio, poi, la sua mano scivolò verso quella del ragazzo.

La strinse.


Ed eccoli lì, quei due ragazzini a metà tra il tardo, il tordo e l'insolente, con i loro bei visetti arrossati dallemozione, gli occhi lucidi lucidi, offuscati d'amore.

Perché di più forte della luce dei loro sorrisi di quella notte, c'era solo la Rivoluzione.


-Lucy?-

Luce inclinò leggermente la testa, guardandolo.

-Potresti buttarmi le braccia al collo e giurarmi amore eterno, adesso? Voglio dire- George smise di stropicciarsi il colletto della camicia, cercando di darsi un minimo di serietà -Con un bacio, magari-

Luce contò fino a ventisette, muovendo nervosamente le dita sulle sue ginocchia.

La sua mano era ormai scivolata via da quella di George, ed era intenta a tormentare con febbrile frenesia il nastro dei capelli.

Poi socchiuse gli occhi, alzandosi in piedi.

Lentamente, si sfilò gli stivaletti di pelle blu, abbandonandoli miseramente sulla terra scura, poi alzò nuovamente le sguardo.

George abbozzò un sorriso, sebbene un poco confuso dalle manovre della sua quasi ragazza.

-Alzati, per favore. Non voglio baciare uno gnomo-

-Lucy, il mio torcicollo-

-Aumenta con lo spostamento daria, per caso? Faccio tutto io, non ti preoccupare-

-Come sarebbe faccio tutto io? Hai tredici anni! Anche se, in effetti, te lo dimentichi facilmente- E lo fai dimenticare, aggiunse mentalmente, mordendosi le labbra per assicurarsi di non tradire quel recondito pensiero nemmeno con un filo di voce.

-Sarà, ma il primo bacio hai voluto darmelo quando ne avevo nove. So come si fa-

-Daccordo, ma perché ti sei tolta gli stivali?-

-Indovina, Aristotele-

George ci pensò per una manciata di secondi, poi capì. Sorrise.

Per una volta -una volta sola- non maledì il suo metro e sessantadue.

-Questi tuoi cinque centimetri in più sono sempre stati di unirriverenza terrificante-

-Lo sono ancora. Ma mi hai chiesto un bacio, mi risulta. O è forse solo una blanda presa in giro?- gli occhi di Luce luccicarono sospettosi -Non ti perdonerei facilmente-.

George alzò gli occhi al cielo. Era scuro, quella notte. Non scuro come le altre volte.

Scuro di tempesta e dinvidia, perché si preparava al ventisette Febbraio.

Al ventisette Febbraio del cuore.

Perché quella notte, quegli irremovibili illuministi dal cuore tenero, se la dovevano illuminare da soli.

-Nessuna presa in giro, Lulù-

Luce non disse niente, allinizio. Si limitò a prendergli le mani e a sbuffare, negli occhi una scintilla un po severa un po divertita.

-Non chiamarmi così-

-Non fare la complicata, Lucy. Non farlo più. Pensa allatmosfera che hai appena mandato a quel paese. Pensa a tutte le altre che ci manderai-

-Gee, noi abbiamo fatto dei voti-

-Voti da illuministi davanti alla miniatura di Voltaire, già. Ma pensa a stamattina, come ci veniva tutto più facile. Pensa a ieri notte, come ti ho stretto la mano, che non mi hai voluto lasciare fino allAlba, che a momenti me la staccavi pur di tenertela vicino-

-Stamattina era tutto più sottinteso. Adesso vorrei baciarti, George. Io non vorrei innamorarmi, non ancora. Non tanto quanto mi fai innamorare tu. E se ti bacio m'innamoro, testone, lo sai-


Poi lo strinse, quel suo George così dannatamente sfuggente, così dannatamente illuminista e sdolcinato, così dannatamente anticonformista e incoerente, disperatamente innamorato e disperatamente vittima di un Luogo Comune.

Il più grande e pericoloso di tutti, forse.

Lo strinse perché George li aveva fatti scappare via, quei suoi inutili, meravigliosi tredici anni, che se li avesse fatti sedere a tavola, i suoi anni, avrebbe provocato una catastrofe.

Perché per Luce, in quel momento, tredici era il numero più bello del mondo, alla faccia di tutti i superstiziosi.

Perché George aveva scelto proprio quel momento per baciarla -forse perché gli era miracolosamente passato il torcicollo, o perché si era stancato di aspettare lei, ferma e smarrita come un pipistrello trovatosi di colpo a testa insù- proprio allo scattare della mezzanotte.


Suonavano come le campane di Notre-Dame, i suoi tredici anni.

Pensava a quel ventisette Febbraio che avevano passato lontani, quel ventisette Febbraio in cui, fino a prova contraria, come lei aveva compiuto tredici anni, George ne aveva compiuti diciassette.

Diciassette, tanto per restare in argomento con i numeri sfortunati.

-Buon compleanno ebuona fortuna- gli disse alla fine del primo e unico atto di quella tragica commedia che era stata la scena del loro bacio, quando entrambi non se ne scambiavano uno da ben quattro anni -esclusi gli occasionali sfioramenti di guancia- e sembravano quasi essersi dimenticati non tanto come si baciasse una persona, quanto come si baciassero due anticonformisti.

Per la cronaca, Natal'ja Luce Lulù Morrison e Brian George GeorginoGibson, Geórgos allanagrafe di Sparta, si erano baciati davvero.

Si erano baciati tanto realmente da meritare, forse, un trafiletto sulla cronaca nera di una qualche rivista illuministica del Settecento.

Purché non ci prendessero gusto, però. Avevano pur sempre una reputazione da difendere.


Ad un tratto scoppiò a ridere, George, proprio come se non sapesse cosa altro fare.

Rideva di cuore, perché in quel momento era stato colto da un pensiero, un pensiero tanto strano quanto divertente, un pensiero bello e irrealizzabile, un pensiero simile a un desiderio.

Luce lo guardò, lo guardò e si accorse di non sapere cosa fare, perché ridere dopo un bacio era proprio un comportamento da George, ma un comportamento che non sapeva come interpretare.


-Ebbene?- gli chiese, scrutando i suoi occhi belli e inspiegabilmente divertiti, forse per quello che era successo, forse per quello che doveva succedere ancora.

George la guardò e smise di ridere. Sì, il suo era più simile a un desiderio che ad un pensiero. Uno di quei desideri per cui continui a ripetere vorrei, vorrei, usando il condizionale e non lindicativo, perché lo sai bene che non si avvereranno mai.

-Questo sarebbe il momento di dire una bella frase- sussurrò, talmente piano da costringerla ad avvicinarsi di nuovo, tanto, troppo, come prima, come per un altro bacio.

Una bella frase. Luce aveva gli occhi sbarrati, sbarrati e scintillanti dincredulità.

Una bella frase. Che razza di richiesta era mai quella?

Una bella frase. Da certi baci ai ranocchi spuntano occhi di diamante, splendenti armature e biondi capelli, da altri gli illuministi sognano le belle frasi?

Rimase in silenzio, pensierosa e stordita.

Ad essere sinceri, lei non ci pensava tanto spesso, alle belle frasi.

Le suonavano stucchevoli, stucchevoli come lo zucchero e il cioccolato al latte.

Lei di zucchero preferiva quello di canna, scuro, che si poteva sentire sotto i denti, e di cioccolato quello fondente, amaro amaro, che allinizio aveva un sapore quasi dolce, ma poi pizzicava la lingua, e allora si sentiva, che non era dolce per niente.

Le suonavano false, perché le dicevano in tanti, sempre le stesse, come in un circolo vizioso.

A lei piacevano le improvvisazioni, le frasi belle e originali, oppure quelle delle opere antiche, che erano tanto belle ma nessuno se le ricordava.

A lei piacevano le frasi nuove, spettacolari, che esplodevano sulla punta della lingua e si ricordavano per sempre, di giorno, di notte, in cui ogni parola aveva un significato, e ogni parola in relazione alla persona che laveva pronunciata era come un piccolo fremito, come un respiro che andava di traverso, che bisognava inghiottirlo per mandarlo giù, fino al cuore.

Quelle frasi che facevano ballare i battiti, che facevano cadere nel vezzo di fare infantili giravolte con la gonna, di portarsi la mano al cuore e chiudere gli occhi, per la sorpresa e la felicità.

Così fece appello alle sue conoscenze, alle sue capacità di creare o ricordare una frase che potesse assomigliare alla bella frase che aveva in mente George.

Ma certo, doveva essere così.

George aveva la sua stessa idea di bella frase, come poteva essere diversamente?

Continuò a pensarci e infine la trovò, una frase che a lei personalmente faceva scintillare gli occhi, e che anche a lui di sicuro sarebbe piaciuta.

-I numi ti largir cortesi pari alla forza e ad al valore il senno, e nel valor tu vinci ogni altro Acheo-

Poi lo guardò, lo guardò che sorrideva, che la guardava, che forse cercava di dirle, in silenzio, che purtroppo non aveva capito.

-Cosa posso dirti? Il Libro VII è memorabile-

Lo pensava davvero, su questo Luce non aveva assolutamente intenzione di dubitare.

George amava lIliade quanto e più di lei, amava il duello tra Ettore e Aiace, amava il Libro VII quanto e anche più degli altri Libri.

-Ma non era la frase che aspettavi-

Allimprovviso, Luce ne fu certa.

-Non era la frase che aspettavo- convenne lui, ma con dolcezza, senza fargliene una colpa.

-Quale sarebbe la frase che aspetti?-

-La frase che mi è aspetto non me la dirai mai-

Va bene, va bene, dicevano i suoi occhi. Dove vuoi arrivare, George?, chiedevano, confusi e smarriti.

Ma dove vuoi tu, Lucy, rispondevano i suoi. Perché un giorno me la dirai, una bella frase, vero?.

-Perché disperare?-


Con estrema lentezza, George le sfiorò la mano, per poi posarsela sulla guancia e stringerla delicatamente.

-Kai eísai ómorfi, to xéreis?-

Adesso anche Luce guardava il sasso. E anche lei, come era prevedibile, lo trovava estremamente bello.


-Uhm, non ti sembrava una bella frase?-

-Ha un suono fantastico, ma temo di non aver capito-

-Come dimenticare. Tu sei…uhm, russa?-

-Siberiana

-Lo stesso-

-George, la Siberia è…-

-sempre in Russia, quindi poche storie-

-Villano-

-Sarà-

Luce scosse la testa, voltandosi per mascherare il divertimento nei suoi occhi.

-Incorreggibile-

-Come te-

Luce sembrò soddisfatta del paragone.

-E sei bella, lo sai?-

Luce sollevò un sopracciglio.

-Ti sembra pertinente con il discorso?-

George sorrise seraficamente.

-Era la traduzione-

Luce deglutì. La traduzione. Eh già.

-Cosa ti fa pensare che io non lo sappia?-

George le lanciò uno sguardo tremendo, uno di quelli che riuscivano a inquietare persino lei, l'imperturbabile e sfrontata Natal'ja Eileen Morrison - in arte Luce.

-Lei si diverte a stroncare ogni accenno di dichiarazione. E io la amo come uno stupido- constatò, accigliato.

-Cosa ti fa pensare che io non ti senta?-

-Il fatto che, tanto, non mi ascolterai-

Luce afferrò il ragazzo per un lembo della camicia, guardandolo di traverso.

-Cè qualche problema, Gee?-

George sospirò, alzando gli occhi alle stelle spettatrici.

-Ce ne sono tanti-

-Sii più preciso-

-Infandum, regina, iubes renovare dolorem-

-Potrebbe non essere un male-


-Ricordi il supplizio di Prometeo?-

Luce storse la bocca. Codesto era uno dei miti greci più raccapriccianti.

-Ricordi Prometeo, il titano amico degli uomini, che rubò il fuoco a Zeus per portarlo sulla Terra, e che per punizione venne incatenato ad una roccia del Caucaso? Ricordi laquila che ogni giorno gli strappava il fegato dal petto, dilaniandolo, ogni giorno, ogni maledetto, maledettissimo giorno?-

-Cera bisogno di rigirare il coltello nella piaga?-

George ignorò la sua domanda, procedendo senza esitazioni nel suo monologo.

-Ti sei mai messa nei panni dellaquila?-

George scrutò il grigio chiaro degli occhi di Luce, leggendovi la prevedibile risposta.

-Sei sempre stata poco empatica, tu- commentò, scuotendo la bruna chioma con rassegnazione.

-Questo è relativo-

-Meno di quanto tu possa pensare-

Luce premette i pugni contro la terra fredda, infastidita.

George la sfidava con lo sguardo, continuando a parlare per enigmi.

-Ergo?-

-Edipo ha sconfitto la Sfinge, Lucy. Mi stai forse lasciando intendere che, stasera, la Sfinge avrà lonore di sconfiggere Edipo?-

-Se solo tu avessi il buonsenso di essere più pragmatico e diretto-

-Eh no, Lucy. Se mi metto ad essere pragmatico e diretto, finisce male. Ti assicuro che finisce male-

-Finisca come deve finire-

-Se mi dici che non ti sei mai sentita come laquila di Prometeo, nemmeno adesso, giuro che ti tiro un pugno-

-Daltronde è così che cominciano le migliori storie damore-

-Con un pugno?-

-Magari non dato proprio alla protagonista-

-Lhai detto-

George sorrise, gesto che Luce, dopo pochi attimi di attesa, ricambiò.

Ma subito dopo i suoi occhi si allarmarono, il suo sorriso sincupì.

-Perché dovrei sentirmi come laquila di Prometeo, Gee?- chiese, la voce flebile, lo sguardo triste, confuso.

Aveva capito che era una cosa seria, aveva capito che non le sarebbe piaciuta.

Aveva capito che fare larrogante le sarebbe servito a poco, in quel momento.

Aveva capito che quello che ancora non era stato detto a George faceva male, e che presto avrebbe fatto male anche a lei.

-Te lo dirò, Lucy. Pazienta e te lo dirò. Per te ho perso la testa, fin dalla notte dei tempi, direi. Per te ho perso il controllo, allincirca quattro minuti fa. Io vorrei solo sapere quando hai preso nel becco il mio disgraziato cuore e lhai portato via. Vorrei saperlo, perché mi pare che tu labbia dilaniato bene, da quel giorno. Vorrei sapere dove te ne sei volata-

Luce sgranò gli occhi e tacque, tacque sgranando gli occhi, sconvolta, ferita.

L’aquila di Prometeo. No, non si era mai sentita così.


-Perché?-

Un filo di voce. Più di questo non le era uscito dalle labbra.

Per una volta aveva paura, Natal'ja Eileen Morrison. Paura del suo cuore.

-Perché tu mi uccidi, ragazzina. Che dea crudele, che aquila spietata sei. Perché, sai, in una notte come questa, io...-

George si morse la lingua. Lui che era "romantico" solo davanti agli scritti di Rousseau...no, non ce la poteva fare.

-Se mia vradiá ópos aftó, egó…- In una notte come questa, io…

-…tu?-

-I, egó, Georgòs, se gyrévo to say you…- Io, io, George, sto cercando di dirti…

-Sì?- Luce non era affatto d’aiuto, e lo sapeva.

-S’ agapó opos agapó to mia zoí…ti thálassa…Spárti…mia zoí to Elláda…mazí-

Ti amo come amo la vitail mareSpartala vita in Greciainsieme.

-Kai den katalavaíno- E non capisco

-Tu mi ami?-

-Zoí, you don’t understand. Son las palabras “s’ agapó” that don’t persuaded me. I’m not used-

-George, perchéperché stai parlando in spagnolo?-

George sospirò, seppur ridendo sotto i baffi.

-Lagitazione-

-Lagitazione, giusto. Ma in tre lingue, davvero, non riesco a seguirti-

-Ricapitoliamo. Sono le parole ti amo che non mi convincono. Non ci sono abituato, davvero. E tu, naturalmente, hai il livello di comprensione di un paguro-

Luce arricciò il naso.

-Je comprendre-

George sorrise, poi le prese una mano, portandosela sulla guancia.

-Vita, mare, Sparta Luce, i tuoi occhi sono grigi-

-Come la cenere arsa, dicono-

-Come lEgeo-

Luce gli sorrise.

-Non ci avevo mai pensato-

-Io sì-

Il giovane brigante socchiuse gli occhi, stringendo più forte la sua mano.

-E i tuoi capelli sono biondi-

-Come i fiocchi di grano-

-Come il sole di Sparta-

-Sono la tua Grecia in miniatura, praticamente-

-Oh, no. Per niente. Tu sei Lucy. La mia piccola -non più tanto piccola-, adorabile Lucy-

-Mi ami, Gee?-

-Vieni qui, zoí, per favore. Vieni qui, sole di Sparta, occhi d’Egeo. Siediti vicino a me e, possibilmente, non parlare. Taci, perché non ci metto niente a scaraventarti nell'Eurota insieme alle trote e alle pantegane. Non è il momento, piccola dea. Non rovinare tutto-

Luce si sedette sulle sue ginocchia, tremante.

Lo guardò a lungo, quel suo George, a volte inenarrabilmente idiota quanto schifosamente intelligente altre, sempre così perdutamente bello ai suoi occhi.

George, che quando era piccola la chiamava mou zoí” -e non aveva perso l'abitudine- , la faceva sedere sulle sue ginocchia e le raccontava i brani più avventurosi dell’Iliade, anche se, parlando in greco, aveva ben poche speranze di farsi capire.

George, che le voleva bene, tanto bene, anche se faceva fatica a dimostrarlo.

George, che alla fine gliel'aveva data, quella benedetta risposta.

Perché l'amava sì, la sua piccola dea.

La sua disgraziata.

-San trelós- Come un matto.

-Davvero?-

-Sovará- Davvero.

-Egó- Luce si morse il labbro inferiore, pensierosa. Come accidenti si diceva anche in greco? -egó too-

George la guardava con un sopracciglio inarcato, lo sguardo beffardo, quasi divertito.

-Era ora, aquilotto-

Sorrise, George. Sorrise tra le righe, fugacemente.

Sorrise, perché si era innamorato di una ragazzina di un altro pianeta.

Sorrise, perché negli occhi di Luce aveva visto l’impietosa Lachesi, la Fatalità.

Improbe amor, quid non mortalia pectora cogis!

Sorrise, perché Virgilio aveva ragione.



I once had a girl or should I say she once had me

Una volta avevo una ragazza, o forse dovrei dire che lei aveva me

[Norwegian Wood (This Bird Has Flown), The Beatles]




  
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